"Questo è il messaggio che abbiamo sentito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce e in lui non vi sono affatto tenebre" (1Gv. 1,5)
TOMO AGHIORITICO
La dottrina insegnata con la parola, comunemente conosciuta da tutti, apertamente predicata, si riferisce a quei misteri della legge di Mosè che, nello Spirito, furono previsti solo dai profeti. Mentre i beni del secolo futuro, i beni promessi ai santi che sono stati fatti degni di vedere mediante lo Spirito, questi sono misteri della vita secondo il Vangelo, dati in visione anticipata con misura e come caparra.
Ma come un tempo qualcuno dei giudei avrebbe chiuso le orecchie, ascoltando, senza rendere grazie, i profeti dire che il Verbo e lo Spirito di Dio sono l'uno e l'altro eterni e prima di tutti i secoli, poiché riteneva di udire parole proibite dalla pietà e contrarie a quanto devono confessare i credenti fedeli alla voce che dice: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo; allo stesso modo ora, forse qualcuno potrebbe sperimentare la stessa cosa ascoltando, non con pietà, i misteri dello Spirito, noti solo a coloro che si sono purificati mediante la virtù.
Ma come il compiersi delle profezie ha dimostrato che gli antichi misteri erano concordi con l'evidenza della fede di ora – crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, Divinità tri-ipostatica, natura unica e semplice, non composta, increata, invisibile, incomprensibile - , così anche un giorno i misteri del secolo futuro che sarà rivelato a suo tempo nell'ineffabile manifestazione dell'unico Dio in tre perfette ipostasi, questi misteri – dico – saranno manifestati in conformità con quanto ora è visibile.
Bisogna però considerare anche questo, che per quanto le Tre Persone della Trinità siano state in seguito manifestate fino ai confini della terra, senza alcun danno per la monarchia divina, esse tuttavia, prima ancora che si compissero gli eventi, sono state già conosciute dai profeti stessi e sono state accolte da coloro che in quei tempi li hanno ascoltati. Allo stesso modo oggi noi non ignoriamo le parole della confessione relativa a ciò che viene predicato apertamente e misticamente anticipato, nello Spirito, a quelli che ne sono degni.
Alcuni di questi sono stati iniziati dalla stessa esperienza, quanti cioè che, per la vita evangelica, hanno non solo rinunciato al possesso dei beni, alla gloria degli uomini e ai cattivi piaceri del corpo; ma hanno confermato questa rinuncia sottomettendosi a quelli che sono pervenuti all'età adulta secondo Cristo; infatti, dopo che si sono consacrati a Dio liberandosi da ogni preoccupazione nell'esichia, superando se stessi, raggiungendo Dio con la preghiera in una mistica e inintelligibile unione con Lui, essi sono stati iniziati alle realtà che superano l'intelletto. Gli altri, invece, sono stati iniziati dal rispetto, dalla fiducia e dall'amore verso tali uomini.
Ora, è lo stesso per noi che, ascoltando il grande Dionigi nella seconda lettera a Gaio crediamo che il dono deificante di Dio sia divinità, abbia divina origine, sia origine di bene, crediamo che Dio, il quale dona questa grazia a quelli che ne sono degni, è superiore a questa condizione divina. Dio infatti non è soggetto a molteplicità, e per questo non si può mai dire che ci sono due divinità; ma che questa grazia deificante di Dio "è increata e proviene dal Dio che sempre è", lo dimostra il divino Massimo scrivendo su Melchisedech. E altrove, in molti brani dice che essa è luce non generata nella persona per quelli che ne sono degni, manifestata quando divengono degni, anche se non suscita in quel momento. Egli chiama questa luce "luce di gloria inesprimibile e purezza degli angeli". E il grande Macario la chiama: "nutrimento degli incorporei, gloria della natura, bellezza del secolo futuro, fuoco divino e celeste, luce indicibile e intellettuale, caparra dello Spirito Santo, olio santificante di esultanza".
Se c'è qualcuno, quindi, che assimila ai messaliani e ai duoteisti coloro che chiamano questa grazia deificante di Dio increata e ingenerata e personale, costui sappia che si oppone ai santi di Dio e che, se non si ravvede, si esclude dall'eredità dei salvati, decade dall'unico Dio, che è per natura unico Dio dei santi.
Colui che, invece, crede, che è convinto, che parla con i santi, che non cerca scuse ai peccati, chi per il fatto di non capire non respinge ciò che viene detto apertamente, pur non ignorando che si tratta di mistero, costui non disdegni di cercare e di imparare da coloro che sanno. Giungerà a comprendere infatti che nulla è in disaccordo con le parole e le opere di Dio, e questo persino nelle cose più necessarie, senza le quali nulla regge, neanche il mistero assolutamente divino.
Chi afferma che si può arrivare all'unione perfetta con Dio per sola imitazione e disposizione naturale, senza la grazia deificante dello Spirito, come avviene per le persone di uguale indole che si amano fra di loro; chi afferma che la grazia deificante di Dio è stato della natura razionale suscitato dalla sola imitazione, e che da una illuminazione soprannaturale e indescrivibile e da un'energia divina, invisibilmente visibile e incomprensibilmente comprensibile da coloro che ne sono fatti degni, costui sappia di essere caduto senza saperlo nell'errore dei messaliani. Infatti il deificato sarà necessariamente dio per natura, se la divinizzazione avverrà per una potenza naturale e se per sua natura è compresa nei limiti della natura.
Un tale uomo, dunque, non si metta a cercare di rendere gli altri che sono saldi, responsabili della sua situazione e di spostare il rimprovero su coloro la cui fede è irreprensibile; ma, deposta la sua arroganza, impari da coloro che hanno esperienza – o da altri istruiti da quelli – che "la grazia della divinizzazione è assolutamente libera nella relazione, perché la natura non possiede nessuna potenzialità, quale che sia, di riceverla. Allora, infatti, non sarebbe più grazia, ma manifestazione dell'atto (energia) secondo la capacità naturale. E così, ancora, non sarà assurdo, se la divinizzazione dell'uomo avviene secondo la potenzialità di riceverla, che ha la sua natura. Altrimenti, infatti, la divinizzazione sarà logicamente opera della natura e non dono di Dio, se avverrà secondo la potenzialità naturale di ricevere, che ha la natura dell'uomo, e in tal modo siffatta persona potrà essere ed essere chiamata propriamente "Dio" per natura. Infatti la potenzialità naturale di ciascuna cosa non risulta essere altro che un moto incessante della sua natura in funzione del suo atto (energia). E in che modo la divinizzazione fa uscire dai propri limiti colui che viene divinizzato, se la divinizzazione è compresa nei limiti della natura? Proprio non riesco a capirlo".
La grazia della divinizzazione supera la natura, la virtù e la conoscenza. Tutte queste cose – secondo san Massimo – le sono infinitamente inferiori. Ogni virtù infatti, e l'imitazione di Dio di cui siamo capaci, rendono idoneo colui che le possiede alla divina unione. Ma è la grazia che compie perfettamente nel mistero la stessa unione; per essa infatti "Dio tutto intero è interamente presente in quelli che ne sono degni, e i santi sono interamente presenti in tutto Dio, ricevendo tutto Dio in cambio di se stessi e avendo acquistato come premio della loro ascesa verso di Lui, Lui solo, Dio": l'orientamento dell'anima si lega al corpo quasi come alle sue stesse membra e li fa degni di essere in Lui.
Chiunque dice che sono messaliani quanti sostengono che sede dell'intelletto è il cuore o il cervello, sappia che ingiustamente fa violenza ai santi. Il grande Atanasio infatti dice che il razionale dell'anima sta nel cervello Macario, che non manca per nulla di grandezza, dice che l'energia dell'intelletto sta nel cuore. Quasi tutti i santi Padri concordano con essi. Ciò che dice infatti il divino Gregorio di Nissa, che cioè l'intelletto non è né dentro né fuori del corpo in quanto è incorporeo, non si contrappone a quanto dicono i santi Atanasio e Macario. Quelli affermano che l'intelletto è dentro il corpo in quanto legato ad esso, e pur dicendolo in un altro modo, non differiscono minimamente da quello che dice san Gregorio. Non contraddice chi afferma che Dio non è in alcun luogo perché è incorporeo colui che sostiene che il Verbo di Dio fu un tempo nel seno verginale e immacolato: là in un modo che supera la ragione, si è unito alla nostra natura per un indicibile amore per gli uomini.
Chiunque dice che la luce che avvolse i discepoli sul Tabor era un fantasma e un simbolo che apparve e scomparve, che non proveniva da se stessa e non era al di sopra di ogni intellezione, bensì non era altro che una banale proiezione del pensiero, costui contraddice chiaramente quanto dicono i santi. Questi infatti, sia nei cantici sia negli scritti, dicono questa luce inesprimibile, increata, eterna, atemporale, inaccessibile, immensa, infinita, indeterminata, invisibile agli angeli e agli uomini, bellezza archetipo, e immutabile, gloria di Dio, gloria di Cristo, gloria dello Spirito, raggio della divinità, e altre denominazioni simili. Dicono infatti che "la carne, quando è assunta è glorificata e la gloria della divinità diventa gloria del corpo. [...] Ma non era visibile la gloria, nel corpo visibile, a coloro che non accoglievano ciò che è invisibile anche agli angeli. Si trasfigura dunque, non assumendo ciò che prima non aveva né trasformandosi in ciò che non era, ma manifestando ai suoi discepoli ciò che era e aprendo i loro occhi e rendendoli, da ciechi, veggenti. [...] Infatti, rimanendo se stesso nella sua identità, diversamente da ciò che prima appariva, ora era visto manifestamente dai discepoli [...], poiché egli è la luce vera, decoro della gloria; e risplendette la sua faccia come il sole; che è immagine doppia, ma è impossibile nel mondo creato raffigurare l'increato con una similitudine adeguata".
Chiunque dice che solo l'essenza di Dio è increata e non le sue eterne energie, perchè l'essenza le sovrasta tutte come ciò che opera sovrasta tutto ciò che è operato, costui ascolti il santo Massimo dire: "Tutte le cose immortali e la stessa immortalità; tutti gli esseri viventi e la vita stessa; tutte le cose sante e la santità stessa; tutte le cose virtuose e la virtù stessa; tutte le cose buone e la bontà stessa; tutte le cose che sono e l'essere stesso sono manifestamente opere di Dio. Alcune però hanno cominciato ad essere nel tempo: ci fu infatti un tempo in cui non c'erano. Le altre non hanno mai avuto alcun inizio temporale: non ci fu mai, infatti, un tempo nel quale non esistessero virtù, bontà, santità, immortalità". E ancora: "...la bontà, e tutto quanto è compreso nel concetto di bontà. Insomma ogni vita, immortalità, semplicità, immutabilità, infinità, e quanto si considera secondo l'essenza intorno a Dio: cose che sono opere di Dio e non sono state cominciate nel tempo. Il non essere infatti non ha mai preceduto la virtù, né qualche altra delle cose suddette, anche se i diversi esseri che partecipano di tali qualità hanno avuto un principio di essere nel tempo. Ogni virtù è infatti senza principio, non avendo un tempo che la preceda, in quanto ha assolutamente soltanto Dio che eternamente genera il suo essere. Dio trascende infinite volte infinitamente tutti gli enti partecipanti e partecipabili".
Un tale uomo impari dunque da costoro che tutte le cose sottoposte a Dio non sono tutte anche sottoposte al tempo. Di queste infatti ve ne sono alcune che sono senza principio eppure non vengono annullate dall'unità trinitaria, che è l'unica ad essere natura pura senza inizi, né della sua soprannaturale semplicità patiscono alcuna corruzione. Allo stesso modo anche l'intelletto, come oscura immagine di quella trascendente invisibilità, non è affatto composto a motivo dei pensieri che gli sono naturali.
Chiunque non ammette le disposizioni spirituali che si esprimono nel corpo con segni, attraverso i carismi dello Spirito nell'anima di coloro che progrediscono secondo Dio, e chiama impassibilità la mortificazione abituale della parte passibile, ma non l'energia che porta abitualmente verso ciò che è migliore chi si è interamente distaccato dal male e si è orientato verso il bene, avendo rinunciato alle abitudini cattive, essendosi arricchito di quelle buone; costui, in conformità con ciò che pensa, nega che il corpo possa essere vivo in ciò che è eterno. Se una volta, tramite l'anima, il corpo partecipa dei beni ineffabili, è probabile che esso parteciperà, per quanto è possibile, della grazia elargita in modo misterioso e ineffabile da Dio che la dà all'intelletto purificato; e allora il corpo si affiderà da se stesso alle realtà divine, quando la parte passibile dell'anima sarà trasformata e santificata ma non mortificata nel suo stato: la grazia comune all'anima e al corpo santificherà le disposizioni e le energie del corpo. Poiché, l'intelletto di coloro che si sono liberati dai beni della vita per la speranza dei beni futuri – secondo il santo Diadoco – si muove con vigore se è privo di preoccupazione e gusta l'ineffabile dolcezza divina e questa dolcezza trasmette al corpo nella misura del suo progresso. Una tale gioia che viene allora nell'anima e nel corpo è memoria infallibile di vita incorruttibile.
La luce che l'intelletto percepisce per natura è diversa dalla luce che percepiscono i sensi. Poiché i sensi hanno la percezione di ciò che è sensibile e le realtà sensibili come sensibili. La luce dell'intelletto invece è la conoscenza posta nei concetti. Dunque, la vista e l'intelletto non percepiscono la stessa luce, e ciascuno di essi la riceve finché opera secondo la propria natura e nelle realtà naturali. Quando però hanno parte alla grazia e alla potenza spirituali, coloro i quali ne sono fatti degni vedono con i sensi e con l'intelletto cose che superano ogni percezione sensibile e ogni intelletto. Compiono miracoli tali che solo Dio lo sa, per dirla come il grande Gregorio il Teologo.
Ecco quanto abbiamo imparato dalle Scritture. Ecco quanto abbiamo ricevuto dai santi Padri. Ecco quanto ci dà di sapere la nostra piccola esperienza.
Ecco quanto per piena e sicura informazione a favore di quanti leggeranno, abbiamo noi sottoscritto con il nostro veneratissimo fratello Gregorio che ha scritto queste cose in difesa dei santi esicasti, seguendo rigorosamente la tradizione dei santi.
Giacomo, povero vescovo di Ierisso e del Santo Monte, cresciuto nelle tradizioni dell'Athos e dei Padri: attesto che attraverso i monaci che hanno firmato qui, è tutto il Santo Monte che ha sottoscritto il suo consenso. Io stesso, sentendo e ratificando, ho letto e approvato, aggiungendo insieme a tutti: chi non è d'accordo con i santi come facciamo noi e come lo fecero i nostri Padri prima di noi, noi non accogliamo nella comunione.
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