Dagli Scritti di Valtorta



Dagli Scritti di Valtorta


L'esame  di  Gesù  maggiorenne  al  Tempio.

21 dicembre 1944.

Il Tempio in giorni di festa. Folla che entra ed esce dalle porte di cinta, che traversa cortili, atri e portici, che scompare in questa o quella costruzione sita nei diversi ripiani su cui è disseminato l'agglomerato del Tempio. Entra anche, cantando sommessamente dei salmi, la comitiva della famiglia di Gesù. Tutti gli uomini prima, poi le donne. A loro si sono uniti anche altri, forse di Nazaret, forse amici di Gerusalemme. Non so. Giuseppe si separa, dopo aver con tutti adorato l'Altissimo dal punto in cui, si capisce, gli uomini potevano farlo (le donne si sono fermate un ripiano più basso) e col Figlio riattraversa, retrocedendo, dei cortili, poi piega da una parte ed entra in una vasta stanza che ha l'aspetto di una sinagoga. Non so come mai. C'erano anche nel Tempio le sinagoghe? Parla con un levita e questo scompare dietro una tenda a righe per tornare poi con dei sacerdoti anziani, credo siano sacerdoti, certo sono maestri nella conoscenza della Legge e destinati perciò ad esaminare i fedeli. Giuseppe presenta Gesù. Prima si sono ambedue profondamente inchinati ai dieci dottori, che si sono seduti dignitosamente su dei bassi sgabelli di legno. «Ecco» dice. «Questo è mio figlio. Da tre lune e dodici giorni è entrato nel tempo che la Legge destina per esser maggiorenni. Ma io voglio che lo sia secondo i precetti d'Israele. Vi prego osservare che per la sua complessione Egli mostra di essere uscito dalla puerizia e dall'età minore. E vi prego esaminarlo benignamente e giustamente per giudicare che quanto qui io, suo padre, asserisco è verità. Io l'ho preparato per quest'ora e per questa sua dignità di figlio della Legge. Egli sa i precetti, le tradizioni, le decisioni, le consuetudini delle fimbrie e delle filatterie, sa recitare le preghiere e le benedizioni quotidiane. Può quindi, conoscendo la Legge in se stessa e nei suoi tre rami dell'Halascia, Midrasc e Aggada, condursi da uomo. Perciò io desidero esser liberato dalla responsabilità delle sue azioni e dei suoi peccati. D'ora in poi Egli sia soggetto ai precetti e sconti di suo le pene per i mancamenti verso di essi. Esaminatelo». «Lo faremo. Vieni avanti, fanciullo. Il tuo nome?». Gesù di Giuseppe, di Nazareth».

«Nazareno... Sai dunque leggere?». «Sì, rabbi. So leggere le parole scritte e quelle che sono chiuse nelle parole stesse». Come vorresti dire?». «Voglio dire che comprendo anche il significato dell'allegoria o del simbolo che si cela sotto l'apparenza, così come la perla non appare ma

nella conchiglia brutta e serrata». «Risposta non comune e molto saggia. Raramente si ode ciò su labbra adulte; in un bambino, poi, e nazareno per giunta!...». L'attenzione dei dieci si è fatta sveglia. I loro occhi non perdono un istante di vista il bel fanciullo biondo che li guarda sicuro, senza spavalderia, ma senza paura. «Tu fai onore al tuo maestro, che, per certo, era assai dotto». «La Sapienza di Dio era raccolta nel suo cuore giusto». Ma udite! Te felice, padre di tal figlio!». Giuseppe, che è in fondo alla sala, sorride e si inchina. Danno a Gesù tre rotoli diversi, dicendo: «Leggi quello serrato da nastro d'oro». Gesù apre il rotolo e legge. E' il Decalogo. Ma, dopo le prime parole, un giudice gli leva il rotolo dicendo: «Prosegui a memoria». Gesù lo dice così sicuro che pare che legga. Ogni volta che nomina il Signore si inchina profondamente. Chi ti ha insegnato ciò? Perché lo fai?».

«Perché santo è quel Nome e va pronunciato con segno interno ed esterno di rispetto. Al re, che è re per breve tempo, si inchinano i sudditi, e polvere egli è. Al Re dei re, all'altissimo Signore d'Israele, presente anche se non visibile che allo spirito, non si dovrà inchinare ogni creatura, che da Lui dipende con sudditanza eterna?». «Bravo! Uomo, noi ti consigliamo di fare istruire il figlio tuo da Hillel o Gamaliele. E' nazareno... ma le sue risposte fanno sperare da Esso un nuovo grande dottore». «Il figlio è maggiorenne. Farà secondo il suo volere. Io, se sarà volere onesto, non lo contrasterò». «Fanciullo, ascolta. Hai detto: "Ricordati di santificare le feste. Ma non solo per te, ma per tuo figlio e figlia e servo e serva, ma persino per il giumento è detto di non fare, il sabato, lavoro". Or dimmi, se una gallina depone un uovo in sabato od una pecora figlia, sarà lecito usare quel frutto del suo ventre, oppure sarà considerato obbrobrio?». So che molti rabbi, ultimo il vivente Sciammai, dicono che l'uovo deposto in sabato è contrario al precetto. Ma Io penso che altro è l'uomo e altro è l'animale o chi compie atto animale come
il partorire. Se io obbligo il giumento a lavorare, io compio anche il suo peccato, perché io mi impongo con la sferza a farlo lavorare. Ma se una gallina depone l'uovo maturatosi nella sua ovaia, o una pecora genera il figlio in sabato, perché ormai maturo al nascere, no, che tale opera non è peccato, né peccato è, agli occhi di Dio, l'uovo e l'agnello in sabato deposti». «Perché mai, se tutto ed ogni lavoro in sabato è peccato?». «Perché il concepire e generare corrisponde al volere del Creatore ed è regolato da leggi da Lui date ad ogni creato. Or la galli na non fa che ubbidire a quella legge che dice che, dopo tante ore di formazione, l'uovo è completo e va deposto, e la pecora pure non fa che ubbidire a quelle leggi messe da Colui che tutto fece, il quale stabilì che due volte l'anno, quando ride primavera sui prati in fiore, e quando si spoglia il bosco delle sue fronde e gelo stringe il petto dell'uomo, le pecore andassero ai loro connubi per dar poi, all'opposto tempo, latte, carne e formaggi sostanziosi, nei mesi di più aspra fatica per le messi, o di più sofferente squallore per i geli. Se dunque una pecora, giunto il suo tempo, depone il suo nato, oh! questo ben può esser sacro anche all'altare, perché è frutto di ubbidienza al Creatore».

«Io non lo esaminerei oltre. La sua sapienza supera le adulte e stupisce». «No. Si è detto capace di comprendere anche i simboli. Udiamolo». Prima dica un salmo, le benedizioni e le preghiere». Anche i precetti Sì. Di' i midrasciot». Gesù dice sicuro una litania di «non fare questo... non fare quello...». Se noi dovessimo avere ancora tutte queste limitazioni, ribelli come siamo, le assicuro che non si salverebbe più nessuno... Basta. Apri il rotolo dal nastro verde». Gesù apre e fa per leggere. «Più avanti, più ancora». Gesù ubbidisce. Basta. Leggi e spiega, se ti pare che ci sia simbolo». «Nella Parola santa raramente manca. Siamo noi che non lo sappiamo vedere e applicare.

Leggo: libro dei Re, capo 22°, versetto 10: "Safan, scriba, continuando a riferire al re, disse: 'Il sommo sacerdote Elcia m'ha dato un libro'. Avendolo Safan letto alla presenza del re, il re, udite le parole della Legge del Signore, si stracciò le vesti e poi diede...

«Vai oltre i nomi». «"...quest'ordine: 'Andate a consultare il Signore per me, per il popolo, per tutto Giuda, riguardo alle parole di questo libro che si è trovato, perché la grande ira di Dio s’è accesa contro di noi perché i padri nostri non ascoltarono le parole di questo libro, in modo da seguirne le prescrizioni ... «Basta. Il fatto avviene molti secoli lontano da noi. Quale simbolo trovi in un fatto di cronaca antica?». «Trovo che non vi è tempo per ciò che è eterno. E eterno è Dio e l'anima nostra, eterni i rapporti fra Dio e l'anima. Perciò, ciò che aveva provocato il castigo allora è la stessa cosa che provoca i castighi ora, e uguali sono gli effetti della colpa». «Cioè?». «Israele più non sa la Sapienza, la quale viene da Dio. E' a Lui, e non ai poveri uomini, che occorre chiedere luce, e luce non si ha se non si ha giustizia e fedeltà a Dio. Perciò si pecca, e Dio, nella sua ira, punisce». «Noi non sappiamo più? Ma che dici, fanciullo? E i precetti?».

«I precetti sono, ma son parole. Li sappiamo ma non li mettiamo in pratica. Perciò NON SAPPIAMO. Il simbolo è questo: ogni uomo, in ogni tempo, ha bisogno di consultare il Signore per conoscerne il volere e ad esso attenersi per non attirarne l'ira». «Il fanciullo è perfetto. Neppure il tranello della domanda insidiosa ha turbato la sua risposta. Sia condotto nella vera sinagoga». Passano in una stanza più vasta e pomposa.

Qui, per prima cosa, gli raccorciano i capelli. I riccioloni vengono raccolti da Giuseppe. Poi gli stringono la veste rossa con una lunga cintura girata a più giri intorno alla vita, gli legano delle striscioline alla fronte, al braccio e al mantello. Le fissano con delle specie di borchie. Poi cantano salmi e Giuseppe loda con una lunga preghiera il Signore e invoca sul Figlio ogni bene. La cerimonia ha termine. Gesù esce con Giuseppe. Tornano da dove erano venuti, si riuniscono ai parenti maschi, comperano e offrono un agnello; poi, con la vittima sgozzata, raggiungono le donne. Maria bacia il suo Gesù. Pare sia degli anni che non lo vede. Lo guarda, fatto più uomo nella veste e nei capelli, lo carezza...

Escono e tutto finisce.



La disputa di Gesù nel Tempio coi dottori.
L'angoscia della Madre e la risposta del Figlio.

28 gennaio 1944.

Vedo Gesù. E' adolescente. Vestito di una tunica che mi sembra di lino candido, lunga sino ai piedi. Su questa si posa e si drappeggia un drappo rettangolare d'un rosso pallido. E' a testa nuda, coi capelli lunghi sino a metà orecchie, più carichi di tinta di quando lo vidi bambino. E' un fanciullo robusto e molto alto per la sua età che, come dimostra il viso, è molto fanciulla. Mi guarda e sorride tendendomi le mani. Un sorriso però che somiglia già a quello che gli vedo da uomo: dolce e piuttosto serio. E' solo. Non vedo altro per ora. Sta appoggiato ad un muretto su una stradellina tutta a sali e scendi, sassosa e con una fossa verso il centro che certo in tempo di pioggia si muta in rigagnolo. Ma ora è asciutta perché è giornata serena. Mi pare di accostarmi io pure al muretto e di guardare intorno e in basso come fa Gesù. Vedo un agglomerato di case. Un agglomerato disordinato. Le case sono quali alte, quali basse, e vanno in tutti i sensi.

Sembra, con un paragone molto povero ma molto somigliante, una manciata di ciottoli bianchi gettata su un terreno scuro. Le vie e viette sono come vene in quel biancore. Qua e là delle piante sporgono dai muri. Molte sono in fiore e molte sono già coperte di foglie novelle. Deve essere primavera. A sinistra, rispetto a me che guardo, vi è un grande agglomerato, fatto a tre ordini di terrazze coperte di fabbricati, e torri e cortili e porticati, al centro del quale si alza un più alto, maestoso, ricchissimo fabbricato a cupole tonde, splendenti al sole come fossero coperte di metallo: rame od oro. Il tutto è recinto da una muraglia merlata: dei merli fatti così come fosse una fortezza. Una torre più alta delle altre, posta a cavalcioni di una via piuttosto stretta e che è in salita, domina nettamente quel vasto agglomerato. Sembra una sentinella severa.

Gesù guarda fissamente quel luogo. Poi torna a voltarsi, riappoggiando la schiena al muretto, come era prima, e guarda un monticiattolo che sta di fronte all'agglomerato. Un monticiattolo assalito dalle case sino alla base, poi lasciato nudo. Vedo che una via termina là con un arco, oltre il quale non c è che una via lastricata a pietre quadrangolari, irregolari e sconnesse. Non sono troppo grandi, non come le pietre delle strade consolari romane; sembrano piuttosto le classiche pietre dei vecchi marciapiedi viareggini (non so se ne esistano ancora) ma messe senza connessione. Una stradaccia. Il volto di Gesù si fa tanto serio che io mi fisso a cercare su quel monticiattolo la causa di questa malinconia. Ma non trovo nulla di speciale. E' un'altitudine nuda. E basta. In cambio perdo Gesù, perché quando mi volgo non è più li.

E mi assopisco con questa visione. Quando mi risveglio col ricordo della stessa nel cuore, dopo esser tornata un poco in forze e in pace, perché tutti dormono, mi trovo in un posto che non ho mai visto. Vi sono cortili e fontane e porticati e case, ossia padiglioni, perché hanno più la caratteristica di padiglioni che di case. Vi è molta folla vestita all'ebraica antica, e molto vociare. Guardandomi intorno comprendo d'essere dentro a quell'agglomerato che Gesù guardava, perché vedo la muraglia merlata che lo cinge, la torre che lo vigila e l'imponente fabbricato che si erge nel centro e contro il quale si stringono i porticati, molto belli e vasti, e sotto ai quali vi è molta folla intenta chi a una cosa, chi ad un'altra. Comprendo essere nel recinto del Tempio di Gerusalemme.

Vedo farisei in lunghe vesti ondeggianti, sacerdoti vestiti di lino e con una placca preziosa al sommo del petto e della fronte e altri punti luccicanti sparsi qua e là sulle diverse vesti molto ampie e bianche, strette alla vita da una cintura preziosa. Poi altri che sono meno ornati, ma devono sempre appartenere alla casta sacerdotale, e che sono circondati da discepoli più giovani. Comprendo che sono i dottori della Legge. Fra tutti questi personaggi mi trovo spersa, perché non so proprio che ci sto a fare. Mi accosto al gruppo dei dottori, dove si è iniziata una disputa teologica. Molta folla fa la stessa cosa.

Fra i "dottori vi e un gruppo capitanato da uno chiamato Gamaliele e da un altro, vecchio e quasi cieco, che sostiene Gamaliele nella disputa. Costui, che sento chiamare Hillel (metto l'h perché sento una aspirazione in principio al nome) mi pare maestro o parente di Gamaliele, perché questo lo tratta con confidenza e rispetto insieme. Il gruppo di Gamaliele ha vedute più larghe, mentre un altro gruppo, ed è il più numeroso, è diretto da uno che chiamano Sciammai, ed è dotato di quell'intransigenza astiosa e retriva che il Vangelo tanto bene ci illustra. Gamaliele, circondato da un folto gruppo di discepoli, parla della venuta del Messia e, appoggiandosi alla profezia di Daniele, sostiene che il Messia deve ormai essere nato, perché da una
decina d'anni circa le settanta settimane profetate sono compiute da quando era uscito il decreto di ricostruzione del Tempio.

Sciammai lo combatte asserendo che, se è vero che il Tempio è stato riedificato, è anche vero che la schiavitù di Israele è aumentata, e la pace, che avrebbe dovuto portare seco Colui che i Profeti chiamavano «Principe della Pace», è ben lontana d'essere nel mondo e specie a Gerusalemme, oppressa da un nemico che osa spingere la sua dominazione fin entro il recinto del Tempio, dominato dalla torre Antonia piena di legionari romani, pronti a sedare con la spada ogni tumulto di indipendenza patria. La disputa, piena di cavilli, va per le lunghe. Ogni maestro fa sfoggio di erudizione, non tanto per vincere il rivale, quanto per imporsi all'ammirazione degli ascoltatori. E' palese questo intento. Dal folto del gruppo dei fedeli esce una fresca voce di fanciullo: «Gamaliele ha ragione». Movimento della folla e del gruppo dottorale. Si cerca l'interruttore. Ma non occorre cercarlo. Non si nasconde. Si fa largo da sé e si accosta al gruppo dei "rabbi". Riconosco il mio Gesù adolescente.

E' sicuro e franco, con due sfavillanti occhi pieni di intelligenza. «Chi sei?» gli chiedono. «Un figlio di Israele venuto a compiere ciò che la Legge ordina». La risposta ardita e sicura piace e ottiene sorrisi di approvazione e benevolenza. Ci si interessa del piccolo israelita. «Come ti chiami?». «Gesù di Nazareth». La benevolenza si smorza nel gruppo di Sciammai. Ma Gamaliele, più benigno, prosegue il dialogo insieme ad Hillel. Anzi è proprio Gamaliele che con deferenza dice al vecchio: «Chiedi al fanciullo qualcosa». Su cosa fondi la tua sicurezza?» chiede Hillel.
(Metto i nomi in testa alle risposte per abbreviare e rendere chiaro).

Gesù:«Sulla profezia che non può errare nell'epoca e sui segni che l'hanno accompagnata quando fu il tempo del suo avverarsi. E' vero che Cesare ci domina. Ma il mondo era tanto in pace e la Palestina tanto in calma quando si compirono le settanta settimane, che fu possibile a Cesare ordinare il censimento nei suoi domini. Non lo avrebbe potuto se la guerra fosse stata nell'Impero e le sommosse in Palestina. Come era compito quel tempo, così si sta compiendo l'altro delle sessantadue più una dal compimento del Tempio, perché il Messia sia unto e si avveri il seguito della profezia per il popolo che non lo volle.

Potete avere dubbi? Non ricordate che la stella fu vista dai Savi d'Oriente e che andò a posarsi proprio sul cielo di Betlemme di Giuda e che le profezie e le visioni, da Giacobbe in poi, indicano quel luogo come il destinato ad accogliere la nascita del Messia, figlio del figlio del figlio di Giacobbe, attraverso Davide che era di Betlemme? Non ricordate Balaam? "Una stella nascerà da Giacobbe". 1 Savi d'Oriente, che la purezza e la fede rendevano occhi e orecchi aperti, hanno visto la stella e compreso il suo nome: " Messia ", e sono venuti ad adorare la Luce scesa nel mondo». Sciammai, con sguardo livido: «Tu dici che il Messia nacque nel tempo della stella a BetlemmeEfrata?». Gesù «Io lo dico». Sciammai: «Allora non vi è più. Non sai, fanciullo, che Erode fece uccidere tutti i nati di donna, da un giorno a due anni d'età, di Betlemme e dintorni? Tu, tanto sapiente nella Scrittura, devi sapere anche questo: "Un grido s'è sentito nell'alto... E' Rachele che piange i suoi figli". Le valli e le cime di Betlemme, che hanno raccolto il pianto di Rachele morente, sono rimaste piene di pianto, e le madri l'hanno ripetuto sui figli uccisi. Fra esse era certo anche la Madre del Messia». Gesù: «Ti sbagli, o vecchio. Il pianto di Rachele s'è volto in osanna, perché là dove essa ha dato alla luce il "figlio del suo dolore", la nuova Rachele ha dato al mondo il Beniamino del Padre celeste, il Figlio della sua destra, Colui che è destinato a riunire il popolo di Dio sotto il suo scettro e a liberarlo dalla più tremenda schiavitù». Sciammai: «E come, se Egli fu ucciso?».

Gesù: «Non hai letto di Elia? Egli fu rapito dal cocchio di fuoco. E non potrà il Signore Iddio aver salvato il suo Emmanuele perché fosse Messia del suo popolo? Egli, che ha aperto il mare davanti a Mosè perché Israele passasse a piede asciutto verso la sua terra, non avrà potuto mandare i suoi angeli a salvare il Figlio suo, il suo Cristo, dalla ferocia dell'uomo? In verità vi dico: il Cristo vive ed è fra voi, e quando sarà la sua ora si manifesterà nella sua potenza».

Gesù, nel dire queste parole, che sottolineo, ha nella voce uno squillo che empie lo spazio. I suoi occhi sfavillano più ancora e, con mossa d'imperio e promessa, Egli tende il braccio e la mano destra e li abbassa come per giurare. E' un fanciullo, ma è solenne come un uomo. Hillel: «Fanciullo, chi ti ha insegnato queste parole?» Gesù: «Lo Spirito di Dio. Non ho maestro umano. Questa è la Parola del Signore che vi parla attraverso le mie labbra». Hillel: «Vieni fra noi, che io ti veda da presso, o fanciullo, e la mia speranza si ravvivi a contatto della tua fede e la mia anima si illumini al sole della tua». E Gesù viene fatto sedere su un alto sgabello fra Gamaliele e Hillel, e gli vengono porti dei rotoli perché li legga e spieghi. E' un esame in piena regola. La folla si accalca e ascolta. La voce fanciulla di Gesù legge: «"Consolati, o mio popolo.

Parlate al cuore di Gerusalemme, consolatela perché la sua schiavitù è finita... Voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore... Allora apparirà la gloria del Signore. Sciammai: «Lo vedi, o nazareno! Qui si parla di schiavitù finita. Mai come ora siamo schiavi. Qui si parla di un precursore. Dove è egli? Tu farnetichi». Gesù: «Io ti dico che a te più che agli altri va fatto l'invito del Precursore. A te e ai tuoi simili. Altrimenti non vedrai la gloria del Signore né comprenderai la parola di Dio, perché le bassezze, le superbie, le doppiezze ti faranno ostacolo a vedere ed udire». Sciammai: «Così parli ad un maestro?». Gesù: «Così parlo. E così parlerò sino alla morte. Poiché sopra il mio utile sta l'interesse del Signore e l'amore alla Verità di cui sono Figlio. E ti aggiungo, o rabbi, che la schiavitù di cui parla il Profeta, e di cui Io parlo, non è quella che credi, come la regalità non sarà quella che pensi. Ma sibbene per merito del Messia verrà reso libero l'uomo dalla schiavitù del Male che lo separa da Dio, e il segno del Cristo sarà sugli spiriti, liberati da ogni giogo e fatti sudditi dell'eterno Regno.

Tutte le nazioni curveranno il capo, o stirpe di Davide, davanti al Germoglio nato da te e divenuto albero che copre tutta la terra e si alza al Cielo. E in Cielo e in terra ogni bocca loderà il suo Nome e piegherà il ginocchio davanti all'Unto di Dio, al Principe della Pace, al Condottiero, a Colui che con Se stesso avrà inebriato ogni anima stanca e saziato ogni anima affamata, al Santo che stipulerà una alleanza fra terra e Cielo. Non come quella stipulata coi Padri d'Israele quando Dio li trasse d'Egitto trattandoli ancora da servi, ma imprimendo la paternità celeste nello spirito degli uomini con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore, per il quale tutti i buoni conosceranno il Signore e il Santuario di Dio non sarà più abbattuto e distrutto». Sciammai: «Ma non bestemmiare, fanciullo!

Ricorda Daniele. Egli dice che, dopo l'uccisione del Cristo, il Tempio e la Città saranno distrutti da un popolo e da un condottiero che verrà. E Tu sostieni che il Santuario di Dio non sarà più abbattuto! Rispetta i Profeti!». Gesù: «In verità ti dico che vi è Qualcuno che è da più dei Profeti, e tu non lo conosci e non lo conoscerai, perché te ne manca la voglia. E ti dico che quanto ho detto è vero. Non conoscerà più morte il Santuario vero. Ma, come il suo Santificatore, risorgerà a vita eterna e alla fine dei giorni del mondo vivrà in Cielo». Hillel: «Ascolta me, fanciullo. Aggeo dice: "... Verrà il Desiderato delle genti... Grande sarà allora la gloria di questa casa, e di quest'ultima più della prima ". Vuol forse parlare del Santuario di cui Tu parli?». Gesù: «Si, maestro. Questo vuol dire. La tua rettezza ti porta verso la Luce ed Io te lo dico: quando il Sacrificio del Cristo sarà compiuto, a te verrà pace, poiché sei un israelita senza malizia». Gamaliele: «Dimmi, Gesù. La pace di cui parlano i Profeti come può sperarsi se a questo popolo verrà distruzione di guerra? Parla e da' luce anche a me».

Gesù: «Non ricordi, maestro, cosa dissero coloro che furono presenti la notte della nascita del Cristo? Che le schiere angeliche cantarono: "Pace agli uomini di buona volontà". Ma questo popolo non ha buona volontà e non avrà pace. Esso misconoscerà il suo Re, il Giusto, il Salvatore, perché lo spera re di umana potenza, mentre Egli è Re dello spirito. Esso non lo amerà, dato che il Cristo predicherà ciò che a questo popolo non piace. Il Cristo non debellerà i nemici coi loro cocchi e i loro cavalli, ma i nemici dell'anima, che piegano a possesso infernale il cuore dell'uomo creato per il Signore. E questa non è la vittoria che Israele si attende da Lui. Egli verrà, Gerusalemme, il tuo Re, cavalcando "l'asina e l'asinello", ossia i giusti di Israele e i gentili.

Ma l'asinello, Io ve lo dico, sarà a Lui più fedele e lo seguirà precedendo l'asina e crescerà nella via della Verità e della Vita. Israele per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto il Re di dolore di cui parla Isaia». Sciammai «La tua bocca sa insieme di latte e di bestemmia, nazareno. Rispondi: e dove è il Precursore? Quando lo avemmo?». Gesù: «Egli è. Non dice Malachia: "Ecco, io mando il mio angelo a preparare davanti a Me la strada; e subito verrà al suo Tempio il Dominatore da voi cercato e l'Angelo del Testamento, da voi bramato"? Dunque il Precursore precede immediatamente il Cristo. Egli già è come è il Cristo. Se anni passassero fra colui che prepara le vie al Signore e il Cristo, tutte le vie tornerebbero ingombre e contorte. Dio lo sa e predispone che il Precursore anticipi di un'ora sola il Maestro.

Quando vedrete questo Precursore, potrete dire: "La missione del Cristo ha inizio". A te dico: il Cristo aprirà molti occhi e molti orecchi quando verrà a queste vie. Ma non le tue e quelle dei tuoi pari, che gli darete morte per la Vita che vi porta. Ma quando più alto di questo Tempio, più alto del Tabernacolo chiuso nel Santo dei santi, più alto della Gloria sostenuta dai Cherubini, il Redentore sarà sul suo trono e sul suo altare, maledizione ai deicidi e vita ai gentili fluiranno dalle sue mille e mille ferite, perché Egli, o maestro che non sai, non è, lo ripeto, Re di un regno umano, ma di un Regno spirituale, e suoi sudditi saranno unicamente coloro che per
suo amore sapranno rigenerarsi nello spirito e, come Giona, dopo esser già nati, rinascere, su altri lidi: " quelli di Dio", attraverso la spirituale generazione che avverrà per Cristo, il quale darà all'umanità la Vita vera». Sciammai e i suoi accoliti: «Questo nazareno è Satana!».

Hillel e i suoi: «No. Questo fanciullo è Profeta di Dio. Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza trasfonderà quanto sa al tuo sapere, e Tu sarai Maestro del popolo di Dio».

Gesù: «In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele. Ma la mia ora non è venuta. A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà la mia ora. Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa. Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo.

Attendetemi nella mia ora. Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale Io dico: "Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perché di compierla Io ardo"

E qui, con la visione di Gesù col volto infiammato di ardore spirituale alzato al cielo, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti, mi finisce la visione.(e sono le 3,30 del 29).

29 GENNAIO 1944.

Avrei qui da dirle due cose che la interessano certo e che avevo deciso di scrivere non appena tornata dal sopore. Ma siccome c'è dell'altro più pressante, scriverò poi.

Quello che le volevo dire all'inizio e questa cosa. Lei oggi mi diceva come avevo potuto sapere i nomi di Hillel e Gamaliele e quello di Sciammai. E' la voce che io chiamo «seconda voce» quella che mi dice queste cose. Una voce ancor meno sensibile di quella del mio Gesù e degli altri che dettano. Queste sono voci, gliel'ho detto e glielo ripeto, che il mio udito spirituale percepisce uguali a voci umane. Le sento dolci o irate, forti o leggere, ridenti o meste. Come uno parlasse proprio vicino a me. Mentre questa «seconda voce» è come una luce, una intuizione che parla nel mio spirito. «Nel», non «al» mio spirito. E' una indicazione. Così, mentre io mi avvicinavo al gruppo dei disputanti e non sapevo chi era quell'illustre personaggio che a fianco di un vecchio disputava con tanto calore, questo «che» interno mi disse: «Gamaliele  Hillel». Sì. Prima Gamaliele e poi Hillel. Non ho dubbi. Mentre pensavo chi erano costoro, questo indicatore interno mi indicò il terzo antipatico individuo proprio mentre Gamaliele lo chiamava a nome. E così ho potuto sapere chi era costui dal farisaico aspetto.

22 febbraio 1944.

DICE GESÙ: «Torniamo indietro molto, molto. Torniamo al Tempio, dove Io dodicenne sto disputando. Anzi torniamo nelle vie che conducono a Gerusalemme e da Gerusalemme al Tempio.

Vedi l'angoscia di Maria quando, riunitesi le schiere degli uomini e delle donne, Ella vede che Io non sono con Giuseppe. Non alza la voce in rimproveri aspri verso lo sposo. Tutte le donne l'avrebbero fatto. Lo fate per molto meno, dimenticando che l'uomo è sempre il capo di casa. Ma il dolore che traspare dal volto di Maria trafigge Giuseppe più d'ogni rimprovero. Non si abbandona Maria a scene drammatiche. Per molto meno lo fate, amando d'esser notate e compatite. Ma il suo dolore contenuto è così palese, dal tremito che la prende, dal volto che impallidisce, dagli occhi che si dilatano, che commuove più d'ogni scena di pianto e clamore. Non sente più fatica, non fame. E il cammino era stato lungo e da tante ore non s'era preso ristoro! Ma Ella lascia tutto. E il giaciglio che si sta preparando e il cibo che sta per essere distribuito. E torna indietro. E' sera, scende la notte. Non importa. Ogni passo la riporta verso Gerusalemme. Ferma le carovane, i pellegrini. Interroga. Giuseppe la segue, la aiuta. Un giorno di cammino a ritroso e poi l'affannosa ricerca per la città. Dove, dove può essere il suo Gesù? E Dio permette che Ella non sappia per tante ore dove cercarmi. Cercare un bambino nel Tempio era cosa senza giudizio. Che ci doveva fare un bambino nel Tempio? Al massimo, se s'era sperduto per la città ed era tornato là dentro, portato dai suoi piccoli passi, la sua voce piangente avrebbe chiamato la mamma ed attirato l'attenzione degli adulti, dei sacerdoti, i quali avrebbero provveduto a ricercare i genitori con dei bandi messi alle porte. Ma non c'era nessun bando. Nessuno in città sapeva di questo Bambino. Bello? Biondo? Robusto? Eh! ce ne sono tanti! Troppo poco per poter dire: "L'ho visto. Era là e là"!


Poi, dopo tre giorni, simbolo di altri tre giorni di angoscia futura, ecco che Maria esausta penetra nel Tempio, scorre i cortili e i vestiboli. Nulla. Corre, corre, la povera Mamma, là dove sente una voce di bimbo. E fin gli agnelli col loro belare le paiono il pianto della sua Creatura che la cerca. Ma Gesù non piange. Ammaestra. Ecco che Maria sente, oltre una barriera di persone, la cara voce che dice: "Queste pietre fremeranno...". Ella cerca di fendere la calca e vi riesce dopo molto stento. Eccolo, il Figlio, a braccia aperte, ritto fra i dottori. Maria è la Vergine prudente.

Ma questa volta l'affanno soverchia la sua riservatezza. E' una diga che abbatte ogni altra cosa. Corre al Figlio, lo abbraccia, levandolo dallo sgabello e posandolo al suolo, ed esclama: "Oh! perché ci hai fatto questo? Da tre giorni ti andiamo cercando. La tua Mamma sta per morire di dolore, Figlio. Il padre tuo è sfinito di fatica. Perché, Gesù? Non si chiedono i "perché" a Chi sa. I "perché" del suo modo di agire. Ai vocati non si chiede "perché" lasciano tutto per seguire la voce di Dio. Io ero Sapienza e sapevo.

Io ero "vocato" ad una missione e la compivo. Sopra il padre e la madre della terra vi è Dio, Padre divino. I suoi interessi superano i nostri, i suoi affetti sono superiori ad ogni altro. Io lo dico a mia Madre. Termino l'insegnamento ai dottori con l'insegnamento a Maria, Regina dei dottori. Ed Ella non se lo è più dimenticato. Il sole le è tornato nel cuore avendomi per mano, umile e ubbidiente, ma le mie parole le sono pure nel cuore. Molto sole e molte nubi scorreranno nel cielo durante quei ventuno anni in cui sarò ancora sulla terra. E molta gioia e molto pianto si alternerà nel suo cuore per altri ventuno anni. Ma Ella non chiederà più: "Perché, Figlio mio, ci hai fatto questo?". Imparate, o uomini protervi. Ho istruito e illuminato Io la visione, perché tu non sei in grado di fare di più.
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