DIARIO SPIRITUALE
di Anonimo napoletano
che comprende una scelta di detti e di fatti di santi, o di altre persone di singolare virtù adattati ad incitare le anime all'acquisto della perfezione, e i loro confessori a condurveli
EDIZIONE DUODECIMA
corretta, accresciuta, e ridotta a miglior ordine
coll'aggiunta
DI UNA UTILISSIMA APPENDICE
colla pratica della umiltà, e della carità
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NAPOLI
della tipografia Paci
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1843
AL DIVOTO LETTORE
Vi presento, o divoto Lettore , nuovamente il Diario Spirituale, che anni or sono uscì alla luce. Egli è il medesimo di prima, vale a dire, una raccolta di detti e fatti di Santi canonizzati, di persone addottrinate nella vita spirituale, e di altri soggetti di accreditata pietà, sulle virtù a noi più particolarmente inculcate dal Santo Vangelo, e scorgerete solamente in questa edizione una notabile variazione nelle massime e ne' Racconti, derivata dall'essersi ridotte le materie a miglior ordine, e dall'aver cambiati alcuni detti, e sottratti non pochi esempi di minor conto per sostituirne molti altri di maggior riguardo, e più adattati al sentimento corrispondente. In oltre siccome la sperienza fa conoscere, che le persone anche più timorate di Dio vengono sovente maggiormente bersagliate dalle tentazioni, ed angustiate dalle aridità di spirito, colle quali il Signore suole talora provare la finezza delle loro virtù ; si è giudicato spediente di formare per loro consolazione e conforto un succinto Trattato su tal proposito, che troverete in una particolare Appendice separata dal Diario unitamente colla Pratica dell'Umiltà, e della Carità, e quelle due egregie virtù, che per la loro eccellenza meritano d'esser trattate distintamente.
Potreste forse rimaner ammirato dal veder troppo spesso citata l'autorità e l'esempio di S. Francesco di Sales, di S. Vincenzo de Paoli, di S. Teresa, di S. Maria Maddalena de' Pazzi, e di alcuni altri ; ma sappiate esser ciò avvenuto, sì perchè l'Autore ha sempre mai professata verso dei mentovati Santi una special devozione, sì, e molto più, perchè egli ha considerati come i maestri di quella vera e soda pietà, e divozione, che ne' tempi nostri può, e dee seguirsi da ogni genere di persone ; ed ha insieme riflettuto, che la via da essi additata nel cammino della Perfezione è talmente agevole, piana, e dolce, che niuno può ragionevolmente esimersi dal seguire i loro santissimi dettami.
Molto meno vi dovrete meravigliare di non vedere minutamente i luoghi precisi, donde sono state ricavate le cose comprese in questo libro. Una tale diligenza non si giudicherà necessaria da chi consideri, che le dottrine qui rapportate sono indipendentemente dai loro Autori in se stesse di sommo pregio, riguardo a' fatti, che essendo essi in gran numero, e strettamente epilogati, e riferiti uno dopo l'altro, una soverchia prolissa citazione avrebbe piuttosto generata confusione, che divozione. Nulladimeno assicuratevi, che il tutto si è tratto fedelmente dalle Opere e dalle Vite degli Scrittori nominati, col solo cambiamento dell'espressioni necessarie per accomodare la varietà dello scrivere di tanti Autori ad uno stile semplice, familiare, e sempre uguale.
Resta solo, mio caro Lettore, che vi avverta, che per approfittarvi della presente Raccolta non basta il leggerla. Questo sarebbe il meno. Convien leggerla con posatezza, con riflessione, con ponderazione, e soprattutto con desiderio di ridurre in pratica quanto in esse ravviserete giovevole all'anima vostra. Perchè ciò più agevolmente vi riesca, si è avuta l'attenzione di dividerla in diverse materie, e tante, quanti sono i mesi dell'anno, assegnando una materia per ciascun mese, e sotto di quella i Detti e i Fatti, che le appartengono. Perchè adunque la vostra lezione non sia varia, nè fatta, come suol dirsi a salti, ma stabile ed ordinata, prefiggetevi di leggere materia per materia, e paragrafo per paragrafo. E sebben niun v'impedisca di leggere ove e quanto vi piace, nondimeno sarà bene non omettere mai quel punto, che appartiensi al giorno determinato. Così facendo otterrete il fine piamente preteso da chi a sua e vostra istruzione ha compilato questo libro. Vivete felice e pregate per lui.
GENNAIO
PERFEZIONE
Estote perfecti, sicut et Pater voster caelestis perfectus est. Matteo 5.48.
1. " Fate conto, che tutto il passato sia nullo e dite con David: Adesso comincio ad amare il mio Dio. " S. Francesco di Sales.
Così appunto facea l'Apostolo S. Paolo. Quantunque dopo la sua conversione fosse egli divenuto un vaso d'elezione, ripieno dello spirito di Gesù Cristo ; con tuttocciò per mantenersi ed avanzarsi nella via del Cielo, si valea di questo mezzo ; poiché scrivendo ai Filippesi: Fratelli miei, disse loro, io non mi penso d'esser arrivato alla perfezione, ma ho tutto l'impegno per arrivarci: ed a tal effetto mi scordo di quanto ho fatto per l'addietro, e mi metto avanti gli occhi quel che mi manca, facendomi animo, e procurando di conseguirlo. Così pure si andava di giorno in giorno stimolando alla virtù il glorioso S. Antonio. Scrive di lui S. Attanasio, che si tenea sempre per principiante, come se ogni giorno fosse il primo, in cui cominciasse a servir Dio, e come se per l'addietro non avesse fatto niente di bene, ed allora ponesse il piede nella via del Signore, e facesse il primo passo verso il Cielo. E questo appunto fu l'ultimo ricordo, ch'egli diede ai suoi Monaci mentre stava per morire. Figli miei, disse loro, se volete far profitto nella virtù e nella perfezione, abbiate sempre questa cosa innanzi agli occhi, di far ogni giorno conto, che allora cominciate, di portarvi sempre come il primo giorno, che cominciaste. Così ancora si trova aver fatto e consigliato ad altri fare S. Gregorio, S. Bernardo, S. Carlo. Questi per rendere a tutti più chiara la necessità e l'utilità di questo mezzo, si servivano di due belle similitudini, dicendo che si dee far in questo come fanno i viandanti, che non guardano quanto han camminato, ma quel che lor resta da camminare, e questo tengono sempre innanzi agli occhi finattanto che abbiano finita la giornata: come i negozianti di questo Mondo, che invogliati delle ricchezze non fanno conto di quel che hanno acquistato sino a quell'ora, né delle fatiche, che vi han sofferte ; ma mettono tutta la opra e sollecitudine loro in far nuovi acquisti, ed in moltiplicarli ogni giorno più, come se per l'addietro non avessero fatto, né guadagnato niente.
2. " Bisogna cominciare con una forte e costante risoluzione di darsi tutto a Dio, protestandogli con una maniera tenera ed amorosa, che venga dal fondo del cuore, che per l'avvenire vogliamo esser suoi senza alcuna riserva ; e poi andare spesso rinnovando questa stessa risoluzione. " S. Francesco di Sales.
Questo appunto era uno dei mezzi molto inculcato da S. Filippo Neri, per l'acquisto della Perfezione, e molto da esso praticato, di rinnovare spesso i buoni propositi. S. Francesco di Sales facea di tanto in tanto la rinnovazione di spirito, ed in quella concepiva sempre nuovi desideri di servir meglio a Dio. Il Ven. Gio. Beremans fin dal principio che entrò in Religione, si piantò in cuore un vero proposito di volersi fare Santo ; e poi non solo si mantenne sempre costante in tutte le pratiche e risoluzioni, che a questo fine intraprendeva ; ma ogni dì prendeva nuovo vigore per lo suo profitto spirituale. Dando gli esercizi in Torre di Specchi in Roma un Santo Religioso, una Monaca detta Suor Maria Bonaventura, che viveva molto rilassata, non ci voleva intervenire ; pire con molti prieghi vi s'indusse. Ed alla prima meditazione del fine dell'uomo restò talmente accesa, che appena il Padre ebbe finito, lo chiamò a se, e gli disse: Pater, volo fieri sancta, et cito: e ritiratosi in stanza, si scrisse queste stesse parole in una cartuccia, che attaccò ai piedi del suo Crocifisso. E da quel punto si diede con tanto fervore all'esercizio della Perfezione, che morendo undici mesi dopo, se ne scrisse la Vita.
3. " Il Signore desidera sommamente da noi, che siamo totalmente Perfetti, per essere una medesima cosa con lui. Miriamo quel che ci manca per arrivare a questo. " S. Teresa.
Il P. Pietro Fabro, compagno di S. Ignazio, tanto stimato da S. Francesco di Sales, pensando a questo, che Iddio brama molto il nostro profitto, si studiava di andar sempre crescendo, e di non lasciar passare giorno senza far qualche progresso nella virtù. Con che crebbe in gran Perfezione, ed in grande opinione di santità. S. Pacomio, e S. Antonio con mirare le virtù degli altri, stimolava se stessi a procurarne l'avanzamento in sé. La Ven. Suor Maria Villani nel giorno della festa di S. Francesco, di cui ella era molto divota, ebbe questa visione. Le apparse il Santo, e la condusse in un luogo eminente, il più bello che avesse mai veduto. Per entrarvi dentro, bisognava salire per quattro mura altissime, che, come il Santo le dichiarò, significavano i quattro stati della Perfezione. La fece salire sul primo muro, provandoci essa gran difficoltà, e le disse esser quello il primo stato di perfezione, chiamato di purità di coscienza, la quale confina colla purità angelica, ove l'Anima diventa come una fanciulla di tre o di quattro anni, e vi gode una monda e santa serenità, e non giudica mai male de' fatti altrui, né si cura d'intendere cosa alcuna di quelle, che non appartengono al proprio stato, parendole ogni altra cosa fuor di proposito. Indi la fece salire il secondo muro, dicendole che chi è arrivato allo stato di purità di coscienza, si rende capace dell'orazione e del vero amore: frutto indivisibile dell'orazione. E qui le scoprì le proprietà del vero amatore, che sono, esser puro, semplice spropriato, e fondato nella verità del solo Dio, il quale non si può comunicare se non alle Anime, che hanno la suddetta purità. Poi la fece salire il terzo muro, che è quello della croce e mortificazione, dicendole, che dalla purità ed amore passa l'Anima a prender coraggiosamente la croce su le proprie spalle, e ad esser crocifissa ; e che per arrivare a questo stato, dee far acquisto di quattro principali virtù: che sono una vera mortificazione di tutt'i vizi, e d'ogni affetto terreno: una perfetta povertà di spirito, con cui si pone sotto i piedi tutti i beni temporali: una morte vitale, con cui morendo a se stessa ed a tutti gli affetti del senso, vive in una totale annichilazione: e trasformata nel Crocifisso, sicchè possa dire: Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus. Giunta l'anima a questo stato, le sembra di signoreggiare il Mondo, e sopporta i patimenti e le croci di tal maniera, che le pare di non esser più capace di patire. Il quarto muro poi, le disse, è lo stato della reale e perfetta unione.
4. " Io non sento parlare che di Perfezione, ma da pochi la leggo praticare. Ognuno se la figura a modo suo. Altri la ripongono nella semplicità del vestire, altri nell'austerità, altri nelle limosine, altri nella frequenza de' Sagramenti ; chi nell'orazione, chi nella contemplazione passiva, e chi in quelle grazie gratis date, dette gratuite: ma con un continuo inganno, prendendo gli effetti per la causa, ed i mezzi per lo fine. Io per me non conosco altra Perfezione, che è quella di amar Dio di tutto cuore, ed il prossimo come me stesso. Chi si figura altra specie di Perfezione, s'inganna: poiché tutto il cumulo delle altre virtù senza questo amore non è più che una massa di pietre. E se non godiamo subito e perfettamente questo tesoro del santo amore, il difetto viene da noi ; perocché siamo troppo scarsi e lenti con Dio, e non finiamo di darci interamente a lui, come fecero i santi. " S. Francesco di Sales
Chi non vede da questo, che la Perfezione del medesimo Santo non potè non esser della vera, e molto sublime, mentre fu sì grande e sì puro il suo amore e verso Dio, e verso il prossimo ? L'istesso pure si può dire di S. Vincenzo de Paoli, e di molti altri. Ammirabile veramente fu in queste due cose S. M. Maddalena de' Pazzi. Essa come si vedrà in appresso, tanto crebbe nell'amor di Dio, che non potendo resistere agli eccessivi ardori di quel fuoco divino, era tal volta costretta a refrigerarsi il petto con panni lini inzuppati nell'acqua fredda, e tanto inoltrossi nell'amor dei suoi prossimi, che bramava proccurare più il bene loro che il proprio.
5. " Tutta la perfezione sta fondata in due soli principi, coll'uso de' quali se si attende alle azioni quotidiane della sua vocazione, sicuramente si arriva al colmo e compimento di essa. Il primo è una stima bassissima di tutto il creato, ma soprattutto di sé stesso. Della quale stima ha da derivare in pratica uno spogliarci e rinunciare a noi medesimi ed a tutte le cose create, e nell'affetto con risoluta volontà e nell'opera, quando, e come conviene, e particolarmente con restarcene contenti e con somma allegrezza, quando il Signore ci spoglia di esso e di qualsiasi altra cosa. Il secondo principio è una stima altissima di Dio, che facilmente si acquista considerando col lume della Fede, come egli è onnipotente, sommo bene, nostro fine, e quegli che tanto ci ha amato, e ci è sempre presente, e ci governa in tutto e quanto alla natura, e quanto alla grazia, ed in particolare ci chiama, e c'incammina con singolar vocazione ad un'alta perfezione. Da questa stima poi ne ha da nascere una prontezza, e gran sommessione della volontà e di tutto l'uomo alla volontà divina, per adorarla, e per eseguire tutto ciò, ch'egli vuole da noi a maggior gloria sua, senza alcun nostro interesse quanto si voglia anche santo ; ed insieme una piena conformità col divino volere, la qual sia la misura pratica di tutti i nostri segni, affetti, ed operazioni. In questa maniera arriva l'Anima all'unione, non già mistica, per via di ratti, d'elevazioni di mente e di affetti veementi, ma soda, reale, e comune per via di volontà sommamente conforme al divino volere per amor perfetto, che fa sperar senza lumi tutto in Dio, e per Dio. E di questi tutti ne son capaci, e tutti con chiarezza, ma non senza croci vi possono infallibilmente arrivare. " Il P. Achille Gagliardi.
Questo fu sempre lo studio principale di S. Vincenzo de Paoli, di ben fondarsi e perfezionarsi in questi due principi. Imperocché credendosi egli per la sua profonda umiltà affatto incapace di cose grandi, non pensò ad altro, che a voler compir fedelmente le obbligazioni che ha con Dio un vero e perfetto Cristiano. E perché illuminato da luce superna conobbe, che tutta la cristiana Perfezione dipende dal buon uso di questi due principi, questi cercò sopra ogni altra cosa di ben penetrare e stabilire nell'Anima sua ; sicché gli servissero di retta regola e guida sicura per ogni sua azione. E ben gli riuscì l'intento. Perocché Iddio ch'esalta gli umili, non si contentò di condurlo per questo mezzo a quella Perfezione cristiana, ch'egli s'avea prefissa ; ma volle di più inalzarlo ad una santità quanto soda, altrettanto eminente, e si può dir singolare: poiché pochi certamente trovansi tra quei, che senza l'aiuto di lumi straordinari della grazia, giungano ad una sì eccelsa santità, qual fu quella di questo umil servo di Dio.
6. " La Perfezione consiste in una sola cosa, che è di fare la volontà di Dio. Poiché se al dire di nostro Signore, per esser perfetto, basta negare se stesso, portar la sua croce, e seguir lui ; chi nega meglio se stesso, e porta meglio la propria croce, e segue più Cristo di colui, che si studia di non fare mai la propria volontà, ma sempre quella di Dio ? Or vedete quanto poco ci vuole a farsi santo ! Non altro che abituarsi a volere in ogni occasione ciò che vuole Iddio. " S. Vincenzo de Paoli.
In questo più che in ogni altra cosa mostrò il medesimo Santo la purità e sodezza della sua virtù, in istudiarsi di sempre seguitare e adempire la volontà del Signore. Era questo il gran principio, su cui fondava tutte le sue risoluzioni, e con cui fedelmente e costantemente eseguiva quanto avea risoluto ; mettendosi sotto i piedi ogni proprio interesse, e preferendo sempre la divina volontà, e la gloria, e servizio di Dio a qualunque altra cosa, senza eccettuarne veruna. Di Davide disse il Signore, ch'era un uomo secondo il cuor suo: ed ecco ove si fondava tutta questa gran santità ; perché, disse, farà la mia volontà. S. M. Maddalena de' Pazzi era a questo tanto attaccata, che disse più volte, che mai non si sarebbe posta a far cosa alcuna quantunque minima, come sarebbe l'andare da una stanza all'altra, se avesse pensato non esser conforme al divino volere ; né avrebbe mai lasciato di fare cosa alcuna, che avesse creduto esser a quello conforme: e che, se avendo cominciato a fare qualche azione, nell'atto di farla le fosse venuto in pensiero, esser quella contro la volontà del Signore, in quel medesimo istante l'avrebbe subito lasciata, ancorché il non proseguirla le dovesse costar la vita. Racconta il Taulero di un certo uomo santo e dotto, che mentre stava in punto di morte, pregato dagli amici di lasciar loro qualche buon documento, disse così: il sommario e il breviario d'ogni dottrina è di prendere dalla mano di Dio tutte le cose, che avvengono, e non voler altre ; che fare in ogni cosa la sua divina volontà. La V. M. Serafina di Dio, era tanto affezionata alla volontà di Dio, che pregava spesso il suo Direttore a manifargliela, dicendo: avvisatemi P. che debbo fare, e non mi lasciate far niente da me: acciò tenga contenta sua divina Maestà ; perché il vederla un tantino disgustata farebbe annichilar mille mondi. Ed essendole un di venuto un gran desiderio di non far niente di proprio volere, ma il solo volere di Dio, col consenso del Direttore ne fece il voto.
7. " Servo di Dio vuol dire: Avere una gran carità verso il prossimo, ed una inviolabile risoluzione di seguir in tutto la divina volontà, confidare in Dio con semplicità ed umiltà: sopportare se stesso nei propri difetti, e tollerar pacificamente le altrui imperfezioni. " S. Francesco di Sales.
Tutta la vita di questo santo, come pure quella di S. Vincenzo de Paoli altro non fu, che un fedele e continuo esercizio di questi atti di virtù nelle occasioni, che alla giornata se gli presentavano: con che ambidue divennero gran servi di Dio. Nelle Vite de' PP. occidentali si narra di S. Fintano, che ogni giorno era visitato da un Angelo, e che avendo questi mancato di ciò fare per alcuni giorni, quando il Santo ebbe la grazia di rivederlo, lo richiese perché l'avesse privato per tanto tempo della sua dolcissima presenza: perché, rispose l'Angelo, mi è convenuto di assistere alla morte di Motua, ch'era gran servo di Dio, e meglio di te perché ha fatto cose che non hai fatto tu. Questo non ha offeso mai con parole alcuno presente, né ha mormorato alcuno assente, né mai si è lagnato del tempo, dolce, o rigido che fosse, né di verun altra cosa, qualunque si fosse, e comunque avvenisse, ma sempre si è interamente conformato al volere di Dio, nelle cui mani stanno tutte le cose. Affliggendosi un dì S. Geltrude per un piccolo difetto, nel quale era solito cadere di tanto in tanto, pregò istantemente il Signore di liberarnela ; il quale le disse con molta piacevolezza: vorresti dunque, che io restassi privo d'un grand'onore, e tu d'un gran premio ? Sappi, che quante volte uno riconosce il suo mancamento, e si propone di schivarlo per l'avvenire, si guadagna un gran premio per se ; e quante volte si astiene per amor mio dal ricadervi, fa a me tanto onore, quanto ne fa ad un Re un bravo Soldato, allorché combatte coi suoi nemici e li vince.
8. " L'esser perfetto nella sua vocazione altro non è, che fare i doveri o gli uffizi, che uno per la sua condizione è obbligato di fare ; ma farli bene, ed unicamente per l'onore ed amore di Dio, col riferir tutto alla gloria di lui. Chi così opera, dicesi perfetto nel suo stato, ed uomo secondo il cuore, e secondo la volontà di Dio. " S. Francesco di Sales.
Nelle Vite de' SS. PP. si narra dell'Abbate Pafunzio, tanto celebre in santità, che un giorno mostrò desiderio di sapere dal Signore se egli avesse alcun merito presso di lui ; e gli fu risposto, ch'era giunto ad uguagliare il merito di un tal gentiluomo, Barone di una terra, che gli nominò. Si portò subito il Santo a trovar colui, dal quale fu ricevuto benignamente, e ben trattato, e terminata la cena lo pregò di manifestargli il tenore della sua vita. Si scusò il Barone con dire di non aver egli in sé virtù alcuna: ma poi importunato dall'altro gli disse, ch'era attentissimo ad albergare i Pellegrini, e in provvederli di quanto era loro necessario per lo viaggio: che mai non disprezzava i poveri, e li soccorreva nei loro bisogni ; che faceva amministrar la giustizia rettamente, e dava sempre le sentenze giuste, non partendosi mai dalla ragione né per raccomandazioni, né per affetto: che non facea verun' angaria a' suoi sudditi: che lasciava seminar ne' suoi campi a chiunque voleva, e non prendeva più del dovere: che niuno si poteva lamentare d'aver mai ricevuto danno, o molestia dalla sua famiglia, o da' suoi bestiami: che non avea mai contristato alcuno, né mai detto male d'altrui ; ma onorava tutti, amava tutti, aiutava tutti in quel che poteva, e si studiava di mantenere tutti in pace e concordia. In udir ciò restò il S. Abate grandemente consolato, ed intese, che la vera Perfezione non sta in tante cose, ma in adempiere i suoi doveri. In S. Cesario, Terra della Provincia di Lecce, vi era una Monaca di casa, tenuta in concetto di santità nel tempo che viveva il B. Giuseppe da Cupertino ; il quale trovandosi un giorno in casa del marchese di quel luogo, e richiesto dal medesimo del suo parere circa la fama di santità, che correa di quella Monaca, rispose: una ne avete qui vera santa, che non è conosciuta ; e gli nominò una povera vedova, di cui non glie n'era stata mai fatta parola. S'informò il Marchese della qualità di questa, e trovò, che se ne stava sempre chiusa nella sua piccola casuccia insieme con alcune sue figliole, faticando continuamente per potersi mantenere, e non si lasciavano mai vedere fuorché una volta il giorno, ch'era la mattina di buon'ora, che andavano alla Chiesa per sentire la Messa.
9. " Benché a chi è entrato in Religione, e si guarda d'offender Dio, paia di aver fatto tutto ; oh che rimangono certi vermi, che non si lascian conoscere, finché non ci abbian rose le virtù ! E questi sono un amor proprio, una propria stima, un giudicare gli altri, benché per lo più in cose piccole, ed un mancamento di carità verso il prossimo: poiché se pure strascinando, soddisfacciamo all'obbligo, non lo facciamo con quella perfezione, che Dio vorrebbe da noi. " S. Teresa.
Ad uno di questi vermi, che è quello della propria stima, attribuiva Monsignor di Palafox la causa della sua rilassazione dopo la sua conversione, e dell'essere stato vicino a perdersi per sempre. Poiché, dice, sebbene io era umile, mi dava però a credere di esser veramente umile: ed ancorché procurassi e bramassi d'esser buono, solea presumere d'esser veramente buono: e quella occulta superbia obbligò la divina Bontà ad ammaestrarmi, acciò vedessi, che non era buono, ma cattivo, fiacco, miserabile, e pieno di superbia, di sensualità, d'infedeltà, ed un prodigo dispregiatore de' beni della grazia. Si narra nelle Vite de' PP. che due di loro aveano ricevuto il dono di vedersi scambievolmente la Grazia uno del cuore dell'altro. Or essendo uno di loro uscito di cella un Venerdì di buon'ora, trovando un Monaco, che stava mangiando in quell'ora contro il consueto de' Monaci, lo giudicò di mancamento, e ne lo riprese. Ritornato poi a casa, il compagno non vide in lui il solito segno della Grazia, e gli dimandò che avesse fatto, e non ricordandosi l'altro di nulla: vedi soggiunse, che non abbi detta alcuna parola oziosa. Allora ricordossi quegli del suo mal giudizio, e gli narrò il fatto: per lo che ambidue digiunarono due intere settimane: quali terminate, apparve nel colpevole il solito segno.
10. " Avvertite, che la Perfezione non si acquista con tenere le braccia in croce ; ma convien travagliar davvero, per domar se stesso, e ridursi a vivere non secondo le inclinazioni, e le passioni, ma secondo la ragione, e secondo la regola o l'ubbidienza. La cosa è dura, non può negarsi, ma necessario: coll'uso però divien facile e gustosa. " S. Francesco di Sales.
Racconta Plutarco di Licurgo, che avendo presi due piccoli cagnolini, figli d'un istesso padre, n'allevò uno nella cucina, e l'altro nella caccia. E fatti che furono grandi, un giorno che dovea fare un'esortazione al Popolo, li condusse nel Foro ove gettò per terra delle spine di pesci, e nel tempo stesso fece uscire una lepre, alla qual vista il primo si mise incontanente e stritolar co' denti le spine, e l'altro a seguire il lepre. Allora Licurgo intimato silenzio: vedete, disse rivolto al Popolo, questi due cani sono ambedue della medesima stirpe, e pure non son portati a far la medesima cosa, ma ciascuno quella, alla quale si è assuefatto. Tant'è vero, che coll'assuefazione s'arrivano a superar fin le inclinazioni più violenti della stessa natura. Si scrive di S. Ignazio di Loyola, che colla continua forza, che avea fatta a se stesso in mortificarsi, ed in soffrir le avversità, era giunto a tal segno, che parea non avesse più alcuna inclinazione. Ed il medesimo pure s'è veduto in molti altri.
11. " Tutta la scienza de' Santi si ristringeva a due cose: Fare, e soffrire. E chi meglio ha fatte queste cose, quegli si è fatto più Santo. " S. Francesco di Sales.
Chi leggerà la Vita de' Santi Ambrogio, Basilio, Girolamo, Grisostomo, Domenico, Vincenzo de Paoli, e di tanti altri gran Santi, non si maraviglierà, che riuscissero tanto eccellenti in santità, in vedere le innumerevoli opere, che fecero, ed i gran patimenti, che soffrirono. Questa, come si narra nelle Vite de' PP. fu l'arte tanto praticata da S. Doroteo, di tenerlo in esercizio continuo, e specialmente in cose contrarie a' suoi propri voleri: dimodoché se gli vedeva in mano alcuna cosa ben fatta, ancorché necessaria al suo uffizio, come coltelli, libri, e simili, glieli toglieva: se gli chiedeva notizie di cose anche buone, lo licenziava senza rispondergli ; e così in tutte le brame, che avea, cercava di mortificarlo ; ed egli in tutto prontamente ubbidiva, e tutto soffriva senza replica. Ed in questa maniera nello spazio di soli cinque anni arrivò ad una molto alta perfezione e santità.
12. " Io vorrei persuadere alle persone spirituali, che il cammino della Perfezione non consiste in tanti modi ; né in molto pensare, ma in negare in tutto se stesso, ed in darsi a patire in ogni cosa per amor di Cristo. E se vi è mancamento di quest'esercizio, tutte le altre maniere di camminare nella via spirituale sono un andare di pala in frasca, e per via di bagattelle senza profitto alcuno, ancorché la persona avesse un'altissima contemplazione e comunicazione con Dio. " S. Giovanni della Croce.
Scrive Cassiano dell'Abbate Pafunzio, che la strada, per la quale questi giunse a tanta santità fu per avere egli atteso a mortificare continuamente le proprie voglie: e che in questo modo estinse in sé tutt'i vizi, e perfezionò in tutte le virtù. Il P. Baldassarre Alvarez stava continuamente affliggendosi, e negando se stesso in tutto quello che la natura appetiva, non solo nelle cose grandi, ma ancor nelle piccole: con che giunse ad un'alta Perfezione. La B. Angela di Foligno stando in estasi, vide il Signore, che facea carezze ad alcuni suoi servi, ma a chi più, a chi meno: e bramosa d'intendere la cagione di tale diversità s'avanzò a domandarne il Signore, il quale così le rispose: Io chiamo tutti a me ; ma non tutti veggo venire, perché la strada è intralciata di spine. Quelli poi, che vengono, io tutti l'invito a mangiare al piatto mio, ed a bere alla mia coppa. Ma perché le mie vivande sono ingrate al senso, ed il mio Calice è ripieno d'amarezze ; non a tutti piace di satollarsi meco di quei travagli, de' quali io nel Mondo mi pasceva. Quelli però, che son più costanti in tenermi compagnia, quei son certamente i miei più cari, ed i miei favoriti. Udito ciò la Beata, si riempì di tanta brama di patire, e di negare in tutto sé stessa, che venendole poscia mosse molte contrarietà da' suoi Religiosi, e dai suoi Parenti, vi pruovò tanta consolazione, quanta ne avrebbe ricevuta un mondano in una ricreazione di tutto suo genio e vantaggio.
12. " Il peggior de' mali in quei che hanno buona volontà, e che vogliono esser quel che non possono essere, e non vogliono essere quel che necessariamente essere debbono. Concepiscono desideri di far cose grandi, che forse non gli verranno mai a taglio ; e frattanto trascurano le picciole, che il Signore mette nelle loro mani. Mille piccioli atti di virtù ; come sarebbe sopportare l'opportunità e le imperfezioni del prossimo, soffrire una parolina, o un picciol torto, reprimere uno sdegnuccio, mortificare un'affezioncella, una curiosità di dire, o di sentire, scusare una indiscrezione, condiscendere altrui in cose piccole, e simili: queste sono cose, che fanno per tutti, perché non praticarle ? L'occasioni di guadagnar grosse somme vengono di raro ; ma de' piccioli guadagni se ne possono far molti ogni giorno: e col maneggiar con giudizio questi piccioli, vi son quelli, che si arricchiscono. Oh quanto ci faremmo santi, e ricchi di meriti, se sapessimo profittare delle occasioni, che la nostra vocazione ci somministra ! Si, si, applichiamoci a battere bene la strada, che è più vicina a noi, ed a far bene la prima giornata, senza trattenerci nel pensiero dell'ultima, che faremo buon cammino. " S. Francesco di Sales.
S. Filippo Neri, acceso di desiderio del martirio si era risoluto d'andare a predicare la Fede nelle Indie: ma avendogli Dio fatto intendere per via d'una rivelazione, che le sue Indie doveano essere in Roma, ivi si trattenne: e con menarvi una vita piena d'atti virtuosi riuscì un gran Santo. Il V. Bercmans in cinque soli anni di Religione giunse certamente ad un'alta Perfezione. Or che fece mai ? Niente altro, che studiarsi di esser fedele in far esattamente tutte quelle cose che nella via della virtù conobbe di dovere, e di poter fare, non trascurando parte alcuna di Perfezione, che coll'aiuto della grazia potesse acquistare. S. Geltrude una volta trovandosi molto debole, volle sforzarsi a dire il Mattutino ; ed avendo finito il primo notturno, venne un'altra inferma a pregarla di dirlo con lei, ed ella tornò a principiare. La mattina poi ebbe una visione, in cui vide l'Anima sua guarnita di gioia di gran prezzo ; ed il Signore le disse, che con quell'atto di carità fatto per amor suo, s'avea meritato quell'ornamento, nel quale tante erano le gioie, quante le parole ridette. Di un giovine studente Gesuita si legge, che una mattina in giorno di vacanza mentre egli stava per uscire a prendere aria insieme con gli altri suoi compagni, fu pregato da uno de' Padri a trattenersi per una mezz'ora, a fine di servire la Messa, ed egli lo fece. Cresciuto poi in dottrina ed in età, andò a predicare la Fede tra gli Infedeli, e là fu fatto degno di conseguir la gloria del Martirio. Ed allora gli fu rivelato una grazia sì grande essergli stata data da Dio in premio di quella piccola mortificazione, che abbracciò in servir la Messa.
14. " Il nostro maggior male si è, che vogliamo servir Dio a modo nostro, e non a modo suo, secondo la volontà nostra, e non secondo la sua. Quando egli vuole, che siamo ammalati, noi vogliamo esser sani, quando egli desidera che lo serviamo co' patimenti, noi desideriamo di servirlo coll'opere: quando vuole ch'esercitiamo la carità, noi vogliamo esercitare l'umiltà: quando vuol da noi la rassegnazione, vogliamo la divozione, l'orazione, o alcun'altra virtù ; e questo non perché le cose, che noi vogliamo sieno più grate a lui, ma perché sono di più gusto nostro. Questo è certamente l'impedimento maggiore, che noi possiamo porre alla nostra Perfezione: essendo indubitato, che se vorremo esser santi secondo la nostra propria volontà, non lo saremo mai. Per essere veramente santo, convien esserlo secondo la volontà di Dio. " S. Francesco di Sales.
Conobbe bene questa tanto importante verità S. M. Maddalena de' Pazzi ; e con la guida d'una luce si chiara di tal maniera seppe sottomettere la volontà sua a quella di Dio, che sempre contenta di quanto le accadeva nella giornata, nulla mai bramava di nuovo ; e solea dire, che avrebbe tenuto per difetto notabile il chiedere al Signore alcuna grazia per sé, o per altri con maggior istanza, che con semplici preghiere ; e che godeva e si gloriava di fare la volontà di lui, e ch'egli non facesse la sua. Per fin la santità, e perfezione dell'anima sua desiderava, che fosse non secondo il desiderio suo, ma secondo il volere di Dio. Ond'è, che si avea scritta questa risoluzione: Offerire me stessa a Dio, e volere tutta, e quella sola Perfezione, ch'egli compiace che io abbia, e nel modo e nel tempo ch'egli vorrà, e non altrimenti. Ed una volta favellando con una sua confidente, disse così: Il bene, che non mi viene per questa via della divina volontà, non mi par bene, ed eleggerei anzi di non aver dono alcuno, fuorché quello di lasciar ogni mio volere, ed ogni mio desiderio in Dio, che avere qualunque dono per mio desiderio e volere. Si, si, in me sint, Deus, vota tua, et non vota mea. E questa era la grazia, ch'ella più frequentemente e più istantemente chiedeva al Signore, che la facesse star sempre sin alla morte subordinata ed interamente sottomessa al suo divino volere e beneplacito: e però non è maraviglia se ella divenne sì santa. Fra gl'istessi Gentili, si son trovati di quelli, che col solo lume della ragione chiaramente compresero questa verità. Plutarco disapprova quella comune preghiera del volgo: Dio ti dia tutto quel bene, che vuoi: no, dicea, si dee dir piuttosto: Dio faccia, che tu vogli quel che vuole egli. E quel che è più. Epitetto lo praticava, poiché diceva: Io son sempre contento di quanto mi accade alla giornata: perché so, che quanto mi avviene, tutto avviene per disposizione di Dio, e son certo, esser meglio quel che vuole Iddio di quel che io possa mai volere.
15. " Due inganni veggo io comuni tra le persone spirituali. Uno è, che misurano per lo più la loro divozione colle consolazioni e soddisfazioni, che provan nella via di Dio: talmente che se talora vengono queste a mancare ad esse, allora par loro di aver perduta tutta la divozione. No, questa non è più che una divozione sensibile. La vera e sostanziale divozione non consiste in queste cose, ma in avere una volontà risoluta, attiva, pronta, e constante di non offendere Dio, e di eseguire tutto ciò che appartiene al di lui servizio. L'altro inganno è, che se mai loro accade di far alcuna cosa con ripugnanza e con tedio, credono di non averci alcun merito. Anzi allora si merita assai più: talmente che una sola oncia di bene, fatto colla punta dello spirito tralle tenebre senza gusto, e con tedio, val più che cento libbre, fatto con gran facilità e dolcezza: poiché questa si viene a fare con un amor più forte, e più puro. E però per quante sieno mai le aridità ripugnanze della parte sensibile dell'Anima, non ci dobbiamo mai perder d'animo, ma seguitare la nostra strada, come appunto fanno i viandanti all'abbaiare de' cani. " S. Francesco di Sales.
Desiderando una pia Motrana di sapere quali fossero le Anime più accette al Signore: egli la compiacque colla seguente visione. Ascoltando ella una mattina la Messa, dopo fatta l'elevazione vide Gesù in forma d'un vaghissimo fanciullo, che si mise a passeggiar sull'Altare, indi sceso in piano, ove stavano genuflesse tre divote monache, ne prese una per la mano, e le fece molte carezze ; poi accostatosi all'altra le alzò il velo dal viso, e le diede uno schiaffo partendosi da lei come adirato ; ma poco dopo ritornò e trovatola dolente e afflitta, si diede a consolarla con mille finezze d'amore. Venne in fine alla terza, e mostrandosele tutto sdegnato, presala per un braccio, la scacciò dall'Altare caricandola di pugni e di calci, e fino strappandole dal capo i capelli ; soffrendo ella tutto con pace, umiliandosi benedicendo il Signore. Allora Gesù rivolto alla Matrona: dei, disse, sapere che quella prima è debole nella virtù, e molto mutabile ; e però per istabilirla nella buona via, me le mostro tutto amorevole e benigno, altrimenti la lascerebbe. Quell'altra è più forte, e più perfetta, però ha bisogno di provare di tanto in tanto qualche soavità di spirito. La terza poi è così ferma e stabile nel mio servizio, che per qualunque avversità le venga, non si lascia da quello di togliere, e questa è la mia più diletta. S. Filippo Neri, per sottrarre i suoi penitenti dal primo inganno, dicea loro, che nella vita spirituale vi sono tre gradi. Il primo, che si chiama vita animale: ed è di coloro che van dietro alla divozione sensibile, la quale suole Iddio dare a' principianti, acciocché tirati da quel gusto, come gli animali dall'obbietto sensibile, si diano alla vita spirituale. Il secondo, che si dice vita da uomo: ed è di quelli, che privati della dolcezza sensibile, combattono per la virtù contra le proprie passioni, ch'è cosa propria dell'uomo. Il terzo, che dicesi vita da Angeli, al quale grado sono arrivati quei, che esercitati per molto tempo in domare le proprie passioni, ricevono da Dio una vita quieta e tranquilla, e quasi che angelica eziandio in questo Mondo. Ed a chi preserva nel secondo, Iddio a tempo suo non manca di concedergli il terzo.
16. " Non si ha da mirar tanto a' gran favori di Dio ; quanto alle virtù, ed a chi con più mortificazione, umiltà e purità di coscienza serve il Signore: che quest'Anima senz'altro sarà la più santa. " S. Teresa.
Quando mancassero prove di questa verità, basterebbe per confermarla il solo esempio di S. Vincenzo de Paoli, del quale si sanno sì pochi straordinari favori: e pure egli è stato, ed è appresso tutti in concetto di rara santità. Narra Rufino d'Aquileja di S. Macario, che stando un giorno in orazione, e parendogli d'aver già fatto molto progresso nella virtù, che si trova nelle tali due Donne, che abitano nella Città. Si portò egli subito da loro, e dopo averle ben esaminate, trovò esser quelle due maritate, le quali per quindici anni avevano abitato sempre insieme nella medesima casa in perfetta unione e carità, senza esservi mai stata tra di loro una minima discordia né di fatti, né di parole. Di che stupito il Santo, confessò esser elle in vero migliori e più perfette di lui, con tutto che fosse stato dotato dalla divina bontà di molti e straordinari favori.
17. " Signore, che vuoi ch'io faccia ? Ecco il vero contrassegno di un'Anima totalmente perfetta, quando uno è giunto a lasciar talmente la sua volontà, che più non cerchi, non pretenda, né desideri di fare quel ch'ei vorrebbe, ma quella solamente, che vuole Iddio. " S. Bernardo.
Queste furono le prime parole dell'Apostolo S. Paolo, subito ch'ebbe conosciuto il Signore: Signore, che vuoi che io faccia ? e furono da lui proferite con tanta sincerità d'affetto, e con tal sommissione di volontà, che da lì in poi altra brama ed altra pretensione più non ebbe, che d'adempire in tutto e per tutto il divino volere, né tra tante avversità, travagli, patimenti, e tormenti, che se gli opposero, vi fu mai cosa, che fosse bastante a diminuire, o far vacillare d'un punto la sua costanza e fedeltà. La B. Madre di Chantal aveva un sì gran desiderio di conoscere, e di seguire la divina volontà, che nel sol udir pronunciare questa parola, volontà divina, quasi se le fosse accostata una torcia al cuore si sentiva tutta consumare, e finattantoché non l'avea conosciuta, le parea di star ne' tormenti. La V. M. Serafina di Dio, attesta di sé, che il Signore in una interna illustrazione le diede chiaramente a conoscere quanto buona cosa sia il vivere senza il proprio volere, standosene la persona tutta rimessa nel santo volere di lui, e restai, dice, sì persuasa, che per l'esser suo sì grandioso e perfetto, tanto appunto conveniva di fare alle sue creature, di non avere altro volere, che quello del loro amorosissimo Dio ; e che giunto che uno sia a questo, allora viene ad essere tutto in Dio, ed a godere il Paradiso in Terra.
18. " Se vuoi davvero far profitto, conviene, che ti attacchi strettamente a quel consiglio dell'Apostolo: Attende tibi, il quale importa due cose. La prima è, di non impicciarsi ne' fatti altrui, né guardare a' mancamenti degli altri. Poiché non ha poco a che fare chi vuol far bene i fatti suoi, e correggere i propri mancamenti. La seconda è di prendersi a petto la propria Perfezione, ed attendervi incessantemente senza mirare, se vi attendono, o non vi attendono gli altri. Perocché la Perfezione è così propria di ciascheduno, che sebbene molti, che ora vivono insieme con una medesima Religione, Compagnia, Famiglia, o Paese, qui si dice, che fanno un sol corpo ; al Mondo di là però è certo, che ognuno farà parte da sé, ed ognuno parterà a conto suo i propri avanzamenti, ed i propri discapiti. " L'Ab. Pastore.
Di rado esempio veramente fu in questo il V. Bercmans, il quale essendosi fin dal suo primo ingresso nella Religione prefisso per iscopo di farsi Santo, fin d'allora prese di mira, e come per suo unico ed importante affare l'attendere a sé, ed a questo appunto attese per tutto il tempo che visse ; ma con tanto impegno e con sì indefessa sollecitudine, che non gli restava neppur tempo di pensare a fatti altrui, e di mirare i mancamenti degli altri. Ond'è ch'egli non mai si fermava a riflettere perché altri facessero, o dicessero le tali cose ; e se facessero bene, o male ; né mai s'impiegava a difender uno con pericolo di offendere un altro: ma lasciava, che ognuno facesse quietamente i fatti suoi, e pensasse da sé alle cose sue. E quanto a' mancamenti degli altri, pensava sì poco: che ancorché si commettessero in sua presenza, non li avvertiva: tanto che si dice di lui, che non sapea mai dire che difetti gli altri commettessero. Tutto il suo impegno era di correggere i difetti suoi, e di far bene i fatti suoi: e però per mantenere l'Anima sua pura da ogni difetto, le diligenze, che usava, aveano dello straordinario. Poiché oltre al far bene gli esami quotidiani, ed un rigorosissimo ritiramento d'un giorno per ogni mese, pregava di più istantemente e spesso e Superiori, e Compagni a tenergli gli occhi addosso, ed avvisarlo francamente in tutto ciò che lo vedessero mancare. E quando gli era dato alcun avviso di simil sorta, lo ricevea come un benefizio singolare, e facea particolari orazioni per chi glielo dava. Ma non contento di questo, avendo egli un'ardentissima brama di rendersi ogni giorno più grato agli occhi di Dio che gli fosse possibile. ad ogni suo sforzo lo procurava. E però si diede con un'ammirabile diligenza all'osservazione esattissima delle sue regole: ad eseguire prontamente, e fedelmente tutto ciò che gli veniva imposto dall'ubbidienza, a far bene e con particolar divozione gli esercizi spirituali, come quelli, che immediatamente risguardano l'onor di Dio, ed il proprio profitto, e specialmente le Comunioni, nelle quali spendea sempre due ore: e finalmente all'esercizio delle virtù, e massime della carità verso gl'infermi. E sebbene sentiva granve affetto allo studio, facea però, che non fosse mai di pregiudizio a' suoi esercizi spirituali, ed alla carità, ed ubbidienza: non cercando l'anima sua ov'era più gusto, ma ov'era più merito. E tutte queste cose le facea senza punto guardare, se le facevano gli altri pure, o se ne facean di meno. Perché il solo attende tibi era quello, che gli stava fisso altamente nel cuore. Che pregiudizio apporta adesso agli altri Apostoli lo stare l'infelice Giuda penando nell'Inferno ? Tutto il danno si ferma in Giuda. E che Bercmans stia in più in alto nel Cielo di tanti, altri, che gli furono compagni nella Religione, non è egli tutto vantaggio suo ?
19. " Non lasciar passare occasione alcuna di meritare, dalla quale non procuri di cavar qualche guadagno spirituale. come dalla paroletta, che ti disse colui ; dall'ubbidienza, che ti fu ordinata contra la tua volontà ; dall'occasione, che ti porse d'umiliarti, di praticar la carità, la dolcezza, la pazienza. Tutte queste occasioni son tuoi guadagni, e tu stesso dovresti andarle cercando e comprando ; ed in quel giorno, nel quale più te ne saranno pervenute, dovresti andartene a dormire più contento ed allegro, come fu il mercatante in quel giorno, nel quale se gli son presentate più occasioni di guadagnare ; perché in quello le cose del suo mestiere sono andate bene per lui. " S. Ignazio di Loyola.
Questa era una delle principali massime, che si aveva prefisse in mente il V. Bercmans, come si legge nella di lui vita, di sforzarsi di meritare in ogni cosa, e di non lasciarsi scappar di mano veruna occasione quantunque minima, che potesse essergli di profitto. Onde è, ch'egli andava continuamente in cerca di simili occasioni e quante da altri gliene venivano, tutte le abbracciava con coraggio, e con giubilo del suo cuore senza mai mirare alla loro indiscrezione e poca virtù, ma unicamente attendendo alla propria utilità. E però da ogni cosa, che sentiva, o vedea, solea cavar qualche buon frutto per se. Ed in questo modo ottenne di farsi Santo, come appunto desiderava. Venendo S. Metilde visitata dal Signore, accompagnati da molti Santi, uno di essi le disse: O beati voi altri, che vivete tuttavia in Terra, per lo molto, che potete meritare ! Se l'uomo sapesse quanto può meritare ogni giorno, la mattina nell'istesso punto che si alza se gli riempirebbe subito il cuore di giubilo, per essere apparso quel dì, nel quale può vivere al suo Signore, e colla grazia di lui tanto aumentare il suo merito, e l'onore e la gloria di esso. Il che gli darebbe forze e vigor grande per fare e patire ogni cosa con suo grandissimo contento. Di S. Francesco Saverio si legge, che si vergognava, e si piccava in vedere, che prima fossero andati al Giappone i Mercatanti con le loro mercanzie, che esso co' tesori del Vangelo, per dilatar la Fede, ed ampliare il regno de' Cieli.
20. " Datevi davvero all'acquisto delle virtù, altrimenti ve ne resterete sempre vane. Né vi crediate mai d'aver acquistata una virtù ; se non ne avete fatta pruova col suo contrario, e se non la praticate fedelmente nelle occasioni: le quali perciò non si debbono mai fuggire, ma anzi desiderare, cercare ed abbracciare con gusto. " S. Teresa.
S. Vincenzo de Paoli non si contentava, come tanti fanno di conoscere, ed amare le virtù ; ma si applicava di continuo alla pratica di esse: avendo per massima, che la fatica e la pazienza sono i migliori mezzi per acquistarle e ben piantarle ne' nostri cuori ; e che le virtù, acquistate senza fatica e senza pena, si possono facilmente perdere ; laddove quelle, che sono state combattute dalle burrasche delle tentazioni, e praticate tra le difficoltà e ripugnanze della natura, gettano le radici profonde nel cuore. Quindi è, che in tali occorrenze egli invece di attristarsi, anzi si mostrava più allegro. Onde in occasione di non notabile perdita avvenuta alla sua Comunità, avendogli uno detto, che questa avrebbe dato motivo a molti di prendere mal concetto della Congregazione, e di sparlare di lui ; questo è buono, rispose egli, perché con tal mezzo avremo occasione più opportuna di praticare la virtù. Con questo medesimo sentimento animava i suoi penitenti S. Filippo Neri a non affliggersi quanto pativano tentazioni e travagli, dicendo loro, che il Signore è solito quando vuol concedere ad alcuno qualche virtù, di permettere, ch'egli sia prima travagliato col vizio contrario. S. Francesco di Sales spiegò la sodezza della virtù in questa maniera. Se il Mondo mi vorrà turbare, io lo perseguiterò a guisa di una vipera, lo calpesterò sotto i piedi, e non farò nulla di quanto mi saprà suggerire. Se Satanasso arma le sue potenze, non lo temerò punto: Io sono più forte di lui. Iddio è il mio Padre, ed egli mi compatirà, e combatterà per me. Ecco la bella virtù, e come conviene esercitarla.
21. " L'umiltà e la Carità sono le due corde, una la più bassa, e l'altra la più alta, e tutte le altre sono dipendenti da esse. Perciò bisogna sopra tutto mantenersi bene in queste due ; perché per la conservazione di tutto l'edifizio ben sapete, che dipende dal fondamento , e dal tetto. " S. Francesco di Sales.
Sebbene non fu, né poté mai essere alcuno Santo senza il possesso di queste due tanto necessarie virtù ; nondimeno ve ne sono stati alcuni, che almeno agli occhi nostri hanno in esse spiccato in eccellente maniera. Uno di questi fu certamente S. Francesco di Paola, il quale per la sua grande umiltà non contento di tenere se medesimo per lo minimo tra tutti gli uomini, ha di più voluto, che questo medesimo titolo fosse il distintivo della sua Religione da tutte le altre: quanto alla carità, viveva egli tanto infocato d'amore, che accese talvolta le lampane estinte col solo accostarci un dito della sua mano, come se ci avesse accostata una torcia ardente.
22. " I due piedi, co' quali si cammina alla Perfezione, sono la mortificazione, e l'amor di Dio. Questo è il destro, e quello il sinistro. " S. Francesco d'Assisi.
Con questi due stromenti salì ad un'altissima Perfezione il glorioso S. Francesco d'Assisi, il quale menò una vita tanto austera e sì rigida, che in punto di morte ebbe bisogno di chieder perdono al suo corpo, per averlo trattato sì malamente ; e per l'eccellenza del suo amore verso Dio acquistò non solo a se, ma alla sua stessa Religione il bel titolo di Serafico. Quanto S. Francesco di Sales voleva disporre alcuno a vivere cristianamente, ed a lasciar la vita mondana, non solea parlargli dell'esteriore, come de' capelli, delle vesti, e cose simili ; ma parlava solo al cuore, e del cuore: sapendo, che superata questa fortezza, tutto il resto si arrende ; e che quando il vero amore di Dio arriva a possedere un cuore, tutto ciò che non è Dio, gli sembra cosa da niente. L'istesso pure praticava co' suoi penitenti S. Filippo Neri. Non soleva egli troppo esagerare certa vanità nel vestire, ma le dissimolava al meglio per qualche tempo, per poter più facilmente venire all'intento suo. Onde ad una Gentildonna, che gli dimandò se era peccato di portar le scarpe troppo alte, altro non rispose, se non guardati di non cadere: e ad un uomo, che portava il collare colle lattughe assai grandi, dopo qualche tempo che veniva da lui, una volta toccandolo alquanto nel collo, disse: ti farei carezze più spesso, se questo tuo collare non mi facesse male alle mani. E con questo solo si l'uomo, che la Gentildonna si corressero de' loro mancamenti. E ad un Chierico nobile, che vestiva con abito di colore, e molto vanamente, per quindici giorni che continuò ad andare ogni giorno da lui per aiuto dell'Anima sua, non gli fece mai parola circa il vestito, ma solamente procurava di farlo compungere de' suoi peccati. Dopo il qual tempo colui da se stesso vergognandosi di quell'abito, lo depose e fatta una buona Confessione generale, si diede tutto nelle sue mani, e divenne uno de' più intimi, e familiari, ch'egli avesse.
23. " Quando uno cammina bene davvero, sente in sé una brama continua d'avanzarsi ; e quanto più cresce nella Perfezione, tanto più gli cresce la stessa brama. Perocché crescendogli ogni dì di più il lume, gli par sempre di non aver virtù alcuna, e di non fare verun bene: o se pur vede d'avere, o di far qualche bene, gli par sempre molto imperfetto, e ne fa poco conto. Quindi è, ch'egli sta di continuo faticando per l'acquisto della Perfezione senza mai stancarsi. " S. Lor. Giust.
S. Fulgenzio era tanto invaghito della Perfezione, che quanto per essa facea, gli sembrava sempre poco, e sempre desiderava di esser migliore. S. Vincenzo de Paoli ogni dì si conosceva sempre più imperfetto, e però mettea di continuo tutto il suo studio per emendarsi e perfezionarsi. S. Ignazio confrontava continuamente un giorno coll'altro, ed un profitto coll'altro profitto. Con che si avanzava di giorno in giorno, e sempre con brama maggiore di più avanzarsi, per giugnere al colmo della Perfezione, a cui Iddio lo chiamava. S. Giacomo Apostolo vien lodato molto, perché ogni giorno andava crescendo nel divino servizio.
24. " Il gradir le correzioni e riprensioni fa vedere, che uno ama le virtù contrarie a quei mancamenti, de' quali viene corretto e ripreso. E però questo è un buon contrassegno di profittare nella Perfezione. " S. Francesco di Sales.
Essendo venuto un monaco a visitare l'Abate Serapione, questi lo pregò, che prima di tutto facessero orazione insieme ; e quegli dicendosi peccatore, e che non era degno di portare quell'abito, non volle. Dopo l'Abate gli volle lavare i piedi, ed egli ricusò. Postosi dunque a mensa, l'Abate prese a dir così: Fratello mio, se vuoi divenir perfetto, stattene in cella a lavorare, e non discorrer molto, perché l'andare attorno non ti è cosa utile. Alle quali parole il Monaco si turbò non poco. Il che vedendo l'Abate: che è questo, fratello mio ? soggiunse, finora hai detto che eri sì gran peccatore, che non eri degno di vivere ; ed ora perché io ti ho ammonito con carità di quello che ti bisogna, ti sei sdegnato ? Secondo questo, pare che la tua umiltà non sia vera. Se vuoi dunque con verità esser umile, impara a ricevere umilmente le ammonizioni. A questo dire si riconobbe colui, e si diede in colpa, e si partì molto edificato. Leonora Imperatrice avea raccomandato al suo Confessore, ed alle donne di suo servizio più intime, che dove osservassero in lei alcuna cosa da emendarsi o da migliorarsi, l'avvisassero con ogni libertà, che le avrebbero fatta cosa gratissima ; e quando lo faceano, le ringraziava con molta cordialità. S. Pietro ripreso da S. Paolo non si sdegnò, né si inalberò, come Superiore, né disprezzò l'altro, per essere stato persecutore della Chiesa, ma ricevé in buona parte il consiglio. Si legge di S. Ambrogio, che quando alcuno l'avvertiva di qualche difetto, lo ringraziava come di un singolar beneficio: e d'un monaco Cisterciense, che tutto si rallegrava, e diceva un Pater Noster per lo ammonitore. Il V. Bercmans mantenne sempre un gran desiderio che gli fossero detti i suoi difetti in pubblico, e ne fosse ripreso ; il che se mai accadeva, molto se ne consolava. A questo fine egli li scriveva in certe cartucce, che dava a' Superiori, acciç le leggessero, e gliene facessero la riprensione. Né di ciò contento, impetrò dal Superiore quattro de' suoi compagni, che gli tenessero gli occhi addosso, e l'ammonissero. Ed uno di questi attestò, che avendolo una volta avvisato di una leggiera omissione incorsa da lui, per fare in quel tempo un'altra opera di carità ; egli lo ringraziò con allegrezza dell'avviso, e disse per lui tre Corone, promettendogli di far sempre l'istesso per ogni difetto, di cui l'avvisasse.
25. " La maggior sicurezza, che noi possiamo avere in questo Mondo di esser in grazia di Dio, non consiste già ne' sentimenti, che abbiamo del suo amore, ma nel puro, ed irrevocabile abbandonamento di tutto il nostro essere nelle sue mani, e nella risoluzione ferma di non mai consentire, ad alcun peccato né grande, né piccolo. " S. Francesco di Sales.
Si legge d'una Verginella, che si ritrovava tanto afflitta, che le parea di patir le pene dell'Inferno. Ed essendo stata gran tempo in tale stato, un giorno rivolta a Dio gli fece questa orazione: Dolcissimo mio Signore, ricordati che io sono una tua povera creatura, del resto fa pure di me quello che ti piace adesso, nell'eternità ; perché io mi abbandono nelle tue mani, e son pronta a soffrire questi tormenti quanto piacerà a te. Piacque tanto a Dio quest'atto di rassegnazione, ch'ella fece con tutta la sincerità del suo cuore, che appena fu finito, l'unì a sé, e la immerse felicemente nel dolce abisso della sua Divinità. Caterina da Genova diceva: io non son più mia: o che io viva, o che io muoia, sono del mio Salvatore. Io non ho più niente di mio, né delle cose mie. Il mio Dio è tutto, l'essere mio è l'essere io tutta sua. O Mondo, tu sei sempre il medesimo ; ed io fin qui sono stata sempre la medesima, ma da ora innanzi non sarò più tale.
26. " Impariamo da Gesù nel Presepio a far quella stima, che si dee, delle cose del Mondo. " S. Francesco di Sales.
La V. Beatrice di Nazaret vide in una visione tutta la macchina dell'Universo sotto i suoi piedi, e Dio sopra il capo, e nient'altro, di maniera che ella veniva a starsene fra Dio, e il Mondo ; il Mondo sotto, Iddio sopra, ed ella in mezzo. Ed intese, che il sommo della Perfezione è, quando uno non ha sopra la sua testa, se non Dio unicamente, e tutto il rimanente del Mondo l'ha sotto i piedi ; non facendo di esso alcun conto, come se non fosse, e riponendo tutto l'amore, e tutta la stima in Dio, e non in altra cosa, neppure in se stesso, se non per Dio. Santa Edugia Regina di Polonia fattasi Religiosa, non parlava mai, né voleva sentir parlare di cose del secolo, se non riguardavano l'onor di Dio, e la salute delle Anime.
27. " Se vuoi un mezzo breve e compendioso, che contiene in se tutti gli altri mezzi, ed è efficacissimo per superare qualunque tentazione e travaglio, e per acquistar la Perfezione, questo è l'esercizio della Presenza di Dio. " S. Basilio.
Un Sacerdote, familiare del medesimo Santo, patì molte tentazioni brutte, e molte minacce gravi fattegli da Giuliano apostata, e si mantenne sempre intatto. E la ragione l'assegnò egli medesimo, perché, disse, in tutto quel tempo non mi ricordo, che mi fuggisse mai di mente la divina presenza. Giuseppe sollecitato al male: come, disse, potrò far questo sotto gli occhi di Dio ? E Susanna: è meglio che io cada nelle mani vostre senza colpa, che peccare a vista di Dio. S. Efrem invitato al male da una mala femmina si mostrò pronto, purché, disse, lo facciamo in piazza. Il che ricusando quella, per non subire tal confusione. Dunque ripigliò il Santo, tu temi la confusione appresso agli uomini, e non la temi appresso agli Angeli e Dio ? E con questo la convertì. Taide con apprendere, che peccando era veduta da Dio, si convertì, si mantenne tra mille tentazioni, e si fece Santa.
28. " Per poter profittare molto nella Perfezione, conviene attaccarsi ad una cosa sola, ad un sol libro di divozione, ad un solo esercizio spirituale, ad una sola virtù, ad una sola giaculatoria, e simili. Non già, che si debbono rigettare, e trascurare affatto tutte le altre cose ; ma in modo che quella, alla quale uno si appiglia, si prenda per ordinario più in particolare di mira, e come per principale oggetto della sua più frequente applicazione, sicché se occorre applicarsi ad altre, queste siano come accessorie. Il far diversamente, passando da un esercizio ad un altro, è un imitare coloro, che ne' conviti assaggiando qua e là un poco d'ogni pietanza, si guastan lo stomaco ; ed è un sempre studiare, senza mai giugnere alla scienza de' Santi, e così perdere la tranquillità di spirito verso Dio, ch'è quell'unico necessario, che prescelse Maria. Bisogna però qui guardarsi da un vizio, nel quale non pochi incorrono ; che è di attaccarsi troppo alle loro pratiche, e spirituali esercizi. Il che naturalmente fa sentir disgusto di tutte l'altre maniere di operare, che alle sue non si conformano: parendo alla persona di operar appunto quel che conviene, stimando imperfetti quei, che non operano come essa. Chi ha buono spirito, si edifica tutto, e niuna cosa condanna. " S. Francesco di Sales.
Sebbene i Santi d'ogni cosa approfittano, ognuno di loro però ha avuta qualche sua pratica particolare, in cui si esercitava. E così il libro diletto di Sales era lo Scupoli: quello di S. Domenico le Collazioni di Cassiano: la giaculatoria più frequente di S. Francesco era quella, il mio Dio è il mio tutto: quella di S. Vincenzo de Paoli, in nomine Domini: quella di S. Brunone, O Bontà ! Alcuni ebbero per loro esercizio spirituale la presenza di Dio, altri la purità d'intenzione, altri la sommissione al divino volere, altri il rinunziare a sé stessi. E l'istesso in quanto alle virtù. Chi fu più affezionato ad una, chi ad un'altra. Ond'è, che quasi tutti si resero in modo particolare eccellenti in qualche virtù speciale. Santa Caterina da Siena in mirar questi vari affetti delle Anime Buone, non disapprovava né questo, né quello ; ma si rallegrava, che il Signore venisse in tante, e sì diverse maniere servito.
29. " Se tu vuoi arrivar presto al sommo della Perfezione, datti ad amare davvero le confusioni, le ingiurie e le calunnie. " S. Ignazio di Loyola.
Il medesimo Santo meditando un giorno il gran bene, che partoriscono le confusioni e le ingiurie, ne concepì tanta brama, che voleva andar per le piazze di Roma carico di stracci, e di altre cose ignominiose ; e solo se ne astenne, per lo timore di non poter più promuovere così bene la gloria del Signore. Di S. Caterina di Bologna si legge, che quando ricevea qualche ingiuria o disprezzo, ne provava del godimento, e sempre più se gliene accrescea la brama. Con che crebbe tanto nell'amor di Dio, che per ubbidire al voler di Dio, sarebbe stata pronta, conforme una volta se ne protestò, non solo a patir tutti i travagli del Mondo, ma anche le pene dell'Inferno. Dell'Ab. Stefano narra S. Gregorio, aver egli conceputo tanto amore alle ingiurie, ed alle calunnie, e molestie, che quando ne riceveva alcuna, gli parea d'aver fatto un gran guadagno, e rendeva affettuosi ringraziamenti a chi glie l'avea fatta ; e che per questa via giunse a tanta fama di santità, che chiunque gli faceva alcun male, tenea per certo d'averselo fatto amico.
30. " Mettiti sotto la disciplina d'un uomo austero e severo, il quale titratti aspramente e con rigore ; e poi studiati di bere tutte le sue riprensioni e mali trattamenti ; non altrimenti che se bevessi latte e miele, e ti assicuro, che in poco tempo ti troverai sulla cima della Perfezione. " L'Abate Mosè.
L'Ab. Giovanni Tebeo, come si narra nelle Vite de' PP. servì con molta diligenza e con molto affetto per dodici anni uno de' Padri vecchi infermo. E sebbene quel Padre vedea durargli sì lunga e grande fatica, non gli disse però mai una parola dolce ed amorevole, ma lo trattava sempre con asprezza. Quando poi stava moribondo, lo chiamò a sé, e presolo per la mano, gli disse tre volte: Restane con Dio, e poi lo raccomandò a' Padri, dicendo: Questo non è uomo, ma Angelo.
31. " Essendo certissimo, che la dottrina di Cristo non ci può ingannare, per camminare sul sicuro, dobbiamo a questa attaccarci con ogni fiducia, e far professione d'operar sempre secondo essa, e non mai secondo le massime del Mondo, che sono tutte fallaci. E questa è la massima fondamentale di tutta la Perfezione cristiana. " S. Vincenzo de Paoli.
Quest'appunto fu la più cara, e più ordinata base, su cui egli stesso regolò la vita sua, ed in cui trovava tutta la sua confidenza e quiete: tanto che quando trovava d'appoggiarsi a qualche santa massima, allora operava francamente, passando sopra il proprio giudizio, e sopra qualunque rispetto umano e timore, che potesse essere biasimata, o contrastata la sua condotta. S. Francesco di Sales era spesso contrastato da' suoi amici, perché non approvavano la di lui maniera di procedere, dicendogli, che si dovea difendere con più ardore dalle calunnie dei malevoli, e sostenere la sua dignità. A' quali egli rispondea, che la mansuetudine deve essere il carattere de' Vescovi, onde quantunque il Mondo e l'amor proprio avessero stabilite massime d'altra sorta, egli non se ne volea servire, per essere contrarie a quelle di Gesù Cristo, alle quali si avrebbe sempre riputato a gloria di conformarsi.
FEBBRAIO
UMILTA'
Qui se humiliat, exaltabitur. Luc. 14. 11.
1. " L'umiltà è il fondamento di tutte le virtù: e però nell'Anima, ov'essa non è, non vi può essere verun'altra virtù, fuorché di mera apparenza. Similmente ella è la disposizione più propria per tutti i doni celesti. E finalmente è tanto necessaria per la Perfezione, che fra tutte le vie per giungere ad essa, la prima è l'umiltà: la seconda l'umiltà, la terza l'umiltà. E se cento volte io fossi dimandato di questo, altrettante volte risponderei sempre l'istessa cosa. " S. Agostino.
Da questa virtù riconoscea S. Vincenzo de Paoli ogni suo profitto, e quasi tutte le grazie, che avea ricevute: e perciò l'inculcava tanto, e tanto desiderava d'introdurla nella sua Congregazione. S. Luigi Gonzaga, che ben conoscea questa verità, in niuna virtù mettea maggior studio, che nella Umiltà. E per questo ogni dì recitava un'orazione particolare agli Angeli, perché l'aiutassero a caminare per questa via regia, ch'essi prima di tutti batterono, affin di giugnere ad occupare il posto di una di quelle stelle, che caddero dal Cielo per la superbia. Un certo nominato Pascasio dicea, che per venti anni non avea mai dimandato a Dio, che l'umiltà, ed ancora ne avea molta poca. Però non potendo veruno cavare il Demonio da una Ossessa, appena questi entrò in Chiesa, che il Demonio si mise a gridare, dicendo: Quest'io temo, ed incontinente si partì da quel corpo. Fra Masseo compagno di S. Francesco sentendo raccontare in una conferenza sopra l'Umiltà che un gran servo di Dio era spiegato molto in questa virtù, e che per esso Iddio l'avea ricolmato di doni spirituali, prese ad essa tanto amore, che fece voto di non quietarsi mai, finché non vedesse di averla acquistata: e perciò se ne stava continuamente chiuso in cella piangendo, digiunando, affliggendosi ; ed esclamando chiedeva a Dio la vera Umiltà. Un giorno poi se ne andò in un bosco, e mentre sospirando, ed esclamando chiedeva a Dio la vera Umiltà, sentì il Signore, che gli disse: Fra Masseo, che daresti tu per avere l'Umiltà ? ed egli: ne darei i miei occhi ; ed io, soggiunse il Signore, voglio, che tu abbi gli occhi, e la grazia che cerchi. E subito s'intese entrare un gran giubilo nel cuore, ed insieme un bassissimo concetto di sé stesso, per cui si riputava il minimo di tutti gli uomini.
2. " L'Umiltà è la madre di molte virtù. Perché da essa nascono l'ubbidienza, il timore, la riverenza, la pazienza, la modestia, la mansuetudine, e la pace: mentre chi è umile, ubbidiente facilmente a tutti, teme di offender tutti, mantiene la pace con tutti, si mostra affabile verso di tutti, sta soggetto a tutti, non offende, né disgusta alcuno, non sente l'ingiurie, che gli vengono fatte, e vive allegro e contento ; ed in una gran pace. " S. Tom. da Villan.
Ecco perché questo Santo, come pure S. Francesco, S. Domenico, S. Vincenzo de Paoli, e tanti altri si resero eccellenti in tutte le sopraddette virtù, perché furono eccellenti nell'Umiltà. La B. Madre di Canthal avea preso tanto affetto a questa virtù, che stava con somma attenzione sopra di sé per non lasciarsi scappar di mano qualunque minima occasione se le presentasse di praticarla. Ed una volta scrisse così a S. Francesco di Sales: mio carissimo Padre, vi domando per amore di Dio aiuto per umiliarmi.
3. " Chi non è molto umile ; non può mai profittare nella contemplazione: per la quale qualunque piccolo atomo di poca umiltà, ancorché paia nullo è di grandissimo danno. " S. Teresa.
Pregò un giorno la Vergine il suo Santissimo Figliuolo, perché desse de' suoi doni spirituali a S. Brigida ; ed egli diede questa risposta: Chi cerca le cose sublimi, conviene, che si eserciti nelle basse per via dell'Umiltà. Perché la B. Chiara di Montefalco si compiacque vanamente d'una sua operazione, il Signore le sottrasse per quindici anni i suoi lumi e celesti consolazioni ; che poi non poté più riavere per tutto quel tempo, ancorché ce li domandasse istantemente con lagrime, orazioni, e discipline.
4. " L'Umiltà è necessaria non solo per l'acquisto delle virtù, ma ancora per salvarsi. Poiché la porta del Cielo per attestazione di Cristo medesimo, è tanto stretta, che non ammette se non i piccoli. " S. Bernardo.
Il Fariseo era con condizione separato dal rimanente del Popolo: essendo tal professione come una specie di Religione, nella quale orava, digiunava e facea molte altre opere buone: e ciò non ostante egli venne da Dio riprovato. Perché mai questo ? Non per altro, se non perché gli mancò l'Umanità: perché si compiacea molto delle sue buone opere, e se ne gloriava come se le avesse fatte colla sua propria virtù. Riferisce Guglielmo Vescovo di Lione nella sua Cronica d'un Religioso solito a difettar nel parlare, che ammonito spiritualmente dal suo Abate, si emendò, e diventò raccolto, e talmente spirituale, che fu degno ricever da Dio molte rivelazioni. Or occorse, che il P. Abate fu chiamato da un Eremita, che dopo una molto virtuosa vita ridotto all'estremo, ricercava da lui i Sagramenti. Andò l'Abate, e condusse seco il Monaco silenzioso. Per la strada un ladrone sentendo il campanello del Viatico, accompagnò il Santissimo sino alla cella del moribondo ; ma si fermò fuori, stimandosi indegno d'entrare dove stava un Santo ; e dopo che il Romito si fu Confessato, e Comunicato con Umiltà di cuore andava ripetendo alla porta: o Padre, se fossi come voi ! o beato me ! Ciò sentendo il Romito, dicea dentro di se con presunzione e compiacenza: hai ragione di così desiderare, e chi ne dubita ! e frattanto spirò. Allora il buon Religioso si mise a piangere, e si ritirò coll'Abate. Ed il ladrone li seguitò piangendo, e detestando le sue colpe con animo di confessarsi, e di farne penitenza giunti che fossero al Monastero. Ma non vi poté arrivare, perché per la via cadde inaspettatamente a terra, e morì. Ad un tal caso il Religioso si riempì di giubilo, e rise: e dimandato dall'Abate, per ché alla morte del Romito avesse pianto, e riso a quella del ladrone ? perché, rispose, il primo in pena della sua presunzione si è dannato ; ed il secondo salvato per la forte risoluzione ; che avea di far con degna penitenza de' suoi peccati, e per lo dolore che n'ha avuto, il quale è stato sì grande, che gli ha scancellata anche la pena.
5. " L'arma più potente per vincere il Demonio è l'Umiltà. Perché non sapendola egli punto adoperare, né pure sa da essa difendersi. " S. Vincenzo de Paoli.
Ritornando S. Macario un dì alla sua cella, incontrò il Demonio, che con una falce in mano tentò di segarlo per mezzo ; ma non poté farlo, perché quando gli fu vicino, perdé le forze. Onde tutto pieno di rabbia gli disse: Gran violenza patisco io da te, o Macario ; perché desiderando io grandemente di nuocerti, non posso. Gran caso ! Io faccio tutto quello che fai tu, ed anche di più: Tu digiuni alcune volte, ed io non mangio mai: tu dormi poco, ed io non chiudo mai gli occhi: tu sei casto, ed io pure. In una sola cosa mi passi. E quale è questa cosa ? ripigliò Macario. Ed il Demonio: è la tua grande Umiltà. E ciò detto: disparve senza lasciarsi più vedere. Comparve una volta il Demonio ad un Monaco in forma dell'Arcangelo Gabriele, e gli disse, che veniva a lui mandato da Dio. Ed il Monaco rispose: Vedi che non sii mandato ad un altro. Ed il Demonio subito disparve. Scongiurando un vecchio Sacerdote un energumeno, il Demonio disse, che non sarebbe uscito di quel corpo, se prima ei non gli dicea quali fossero i capretti, e quegli gli agnelli: ed il buon Sacerdote rispose subito: i capretti son tutti quelli, che son simili a me. Quali poi siano gli agnelli, lo sa Iddio. Alle quali parole il Demonio disse gridando: e io per la tua umiltà non posso stare più qui, e subito uscì.
6. " Le persone umili, che si tengono basse in se stesse, ed amano di esser tenute da poco e disprezzate dagli altri, piacciono sommamente a Dio: e però egli si abbassa volentieri a loro, versa sopra di esse i tesori delle sue grazie, rivela loro i suoi segreti, e l'invita, e le tira dolcemente a se. Così è. Quanto più uno scende in giù, e si abbassa innanzi agli uomini, tanto più sale in alto e si fa grande nel cospetto di Dio, e tanto più chiaramente vedrà un giorno la Divina Essenza. " A Kem.
S. Geltrude, sentendo un dì sonar la campana per la Comunione, e vedendosi non tanto preparata, quanto desiderava, disse al Signore. Già veggo, che voi venite a me ; ma perché non avete istillati nel mio cuore gli ornamenti di divozione, co' quali io potessi venirvi incontro più decentemente preparata ? Ed il Signore le rispose: Sappi, che alle volte io mi diletto più della virtù dell'umiltà, che della divozione esteriore. Un Religioso non potendo intendere un passo della Scrittura Sagra, degiunò sette settimane, né potendolo tuttavia intendere, risolvé d'andare a domandarne ad un altro Monaco ; ma appena fu uscito di cella, gli apparve un Angelo, mandatogli apposta da Dio, che gli disse: Il tuo digiuno non ti ha reso grazioso a Dio, ma questa tua umiliazione si ; e poi spiegogli il dubbio. Taide, convertita che fu, si tenea tanto bassa negli occhi propri per cagione della sua mala vita passata, che non aveva ardire di profferire il Santo Nome di Dio, neppur per invocarlo, ma solamente dicea: Creator mio, abbi misericordia di me. E per causa di questa sua umiltà arrivò a sì sublime grado di perfezione, che avendo Paolo il Semplice veduto un bellissimo posto voto in Paradiso, che egli credea dover esser per S. Antonio, intese dirsi, che tra quindici giorni sarebbe stato occupato da Taide. S. Bonaventura diceva: Io so cosa fare per placare il Signore. Mi riputerò come sterco, mi renderò intollerabile a me medesimo ; e quando mi vedrò confuso, avvilito, conculcato, e ricolmo d'ignominie, ne goderò e n'esulterò. E perché da me stesso non posso avvilirmi, né detestarmi tanto, quanto debbo ; chiamerò in aiuto tutte le creature, desiderando di esser da loro confuso e punito, giacché ho disprezzato il loro Creatore. Questo sarà il mio caro tesoro, congregare obbrobri e travagli sopra di me, ed amare intimamente tutti quelli, che mi aiuteranno in questo, ed abborrire tutte le consolazioni ed onori della vita presente. E tengo per certo, che se farò così, si aprirà sopra di me miserabile ed indegno il tesoro della Divina Pietà. S. Francesco d'Assisi non solo si riputava un niente, il maggior peccatore del Mondo, e degno dell'inferno ; ma ancora meritevole, che Iddio non volgesse il pensiero sopra di lui: ed un giorno mentre egli stava dicendo tali cose ad un suo compagno, questi vide in ispirito che gli stava preparata in Cielo una sedia tra i Serafini.
7. " E' la maggior grazia del Signore un giorno di umile conoscimento, ancorché ci sia costato molte afflizioni e travagli, che molti di orazione. " S.Teresa.
S. Geltrude pensando una volta ai benefici, che avea ricevuti da Dio, si arrossì talmente, che divenuta esosa a se medesima, si riputava indegna di star avanti a Dio ; ed avrebbe voluto trovare un nascondiglio per nascondere la propria turpitudine, e per poter allontanare dalle narici degli uomini, giacché nol potea da quelle di Dio, il gran fetore, che di lei usciva. Al qual fatto Cristo si abbassò a lei con tanta benevolenza, che tutta la Celeste Corte se ne stupì. La V. M. Serafina di Dio ebbe un giorno un lume chiaro, per mezzo del quale ( come ella dice nella relazione, che ne fece al suo Direttore ) conobbe chiaramente, ch'essendo Iddio per l'esser suo una lucidissima verità, non può vedere in se, se non quel che veramente è, cioè perfezioni infinite, delle quali gode e compiacesi. E però quando egli vuole unire un'Anima a se, comunica a quella una luce di verità, per cui ella vede senza error e senza inganno l'esser suo: cioè che da se stessa non ha fatto mai bene alcuno, né è abile a farne: che non ha in se, se non inclinazione al male, e che quando ha di bene, tutto l'ha da Dio. E questo non ha bisogno di andarlo molto considerando, e sminuzzando, perché con tal luce di verità le apparisce tanto chiaro che il vedere altramente sarebbe oscurità e bugia. Stando poi l'Anima in questa chiara luce, sebbene negli occhi suoi comparisce brutta, deforme, e odiosa a se stessa ; negli occhi però di Dio apparisce bella e molto grata, perché divien simile alla vera e lucidissima natura di lui. Ed in fatti la medesima serva di Dio dopo aver menata una vita innocente e molto perfetta, venne un tempo a conoscere le sue imperfezioni con tal chiarezza, che le sembravano gravissimi ed orrendi peccati, tantoché ne concepì gran rammarico, e non sapea darsi pace: e nel sentirsi riprendere de' mancamenti punto non si scomponea ; ma dicea tra se: questi, che vedete, son niente, se vedresti ogni cosa, oh quanto mi abborrireste, e mi fugireste ! Ma il Signore la consolò con dirle interiormente, che le sue passate imperfezioni in tanto le sembravano così grandi, perché l'Anima sua si ritrovava nello stato di luce chiara, ma che però allora quelle deformità non v'erano più, per averle egli già cancellate col sangue suo.
8. " Abbi te stesso a vile: Gradisci di esser tenuto anche dagli altri per tale: non t'ingrandire per li doni di Dio ; ed allora sarai perfettamente umile. " S. Bonaventura.
Un'Anima di questa fatta era appunto S. M. Maddalena de' Pazzi. Poiché fu scritto di lei ch'era si vile negli occhi propri, che mirava continuamente se stessa come una creatura vilissima, e come la cosa più schifosa, e più abbominevole, che fosse sopra la Terra. Onde essendo stata chiamata un giorno alle grade dalla Duchessa di Pracciano, disse con gran sentimento se la Signora Duchessa sapesse ; che Suor M. Maddalena è l'abbominazione di questo Monastero, si guarderebbe di nominarla, non che di farla chiamare. Ed in questo medesimo aspetto che ella appariva agli occhi propri, desiderò sempre apparire agli occhi degli altri. Onde quando veniva disprezzata, o in qualche maniera avvilita, tanto ne godea, che per lo gran contento, che ne provava, dopo tali umiliazioni era spesso rapita in estasi. Quindi è, che non potea soffrire di vedersi onorata e stimata, e che altre avessero buon concetto di lei: e perciò spesso ed in pubblico, ed in privato, soleva accusarsi d'ogni menomissimo difetto, e sempre con caricatura. Anzi le cose, che non eran difetti, le diceva in modo, che le faceva apparir difetti notabili: come fu un giorno, in cui dovendo spartire un pinocchiato, mangionne due grani, che di quella erano usciti ; e di questo si accusò con dire, ch'era stata golosa, ed avea mangiato fuor di mensa contra le costituzioni. Procurava poi inoltre a tutto suo potere di nascondere le sue virtù e sante operazioni: e non potendolo tal volta fare, le sminuiva quanto più potea, dimostrandole piene di mancamenti ; sicché facea comparire le azioni più perfette, degne di riprensione, o almeno le facea passare per cose naturali, e provenienti dalle sue proprie inclinazioni. E perché non potea né impedire, né coprire i fatti, che le accadeano ; le dispiaceva molto d'esser veduta e sentita parlare su di essi: tanto che un giorno si lamentò col Signore, dicendo: O Gesù mio, perché mi hai conferite tante cose tra te, e me sola, ed ora vuoi, che io le manifesti ? Non mi hai tu promesso, che siccome tu fosti nascosto, così debbo esserlo anch'io ? Ed una volta che il Confessore le ordinò, che riferisse alle compagne ciò che nell'estasi le occorrea, pianse amaramente a questo comando, e piangeva ancora nel riferire tali cose ; tanto che giunse a pregar il Signore a non darle tali intelligenze. Da tutte queste cose poi non solo non traeva alcuna compiacenza e stima per se, ma appena uscita di esse come se avesse commessi difetti, si umiliava a tutte e sino all'ultima novizia e conversa, e si metteva a fare gli esercizi quotidiani con esse, e conversava con loro con tutta umiltà e carità, ch'era cosa ammirabile l'averla veduta e sentita parlare colla Maestà di Dio con tanta altezza di concetti, e poi subito vederla co' prossimi tanto umile, dipendente, e soggetta.
9. " L'umiltà, che Cristo tanto ci ha raccomandata e con le parole, e cogli esempi, dee avere queste tre condizioni. La prima, stimarsi con ogni sincerità degno del vitupero degli uomini: la seconda, godere che gli altri veggano quanto è in noi d'imperfetto, e per cagione di quello ci dispregino: la terza, quando il Signore opera in noi, o per nostro mezzo alcun bene, se è possibile, occultarlo alla vista della propria bassezza ; e quando ciò non si può fare, attribuirlo alla divina Misericordia ed a' meriti degli altri. Chi arriverà ad averla tale, beato lui ! E chi non l'avrà non gli mancheranno mai guai. " S. Vincenzo de' Paoli.
Possederanno molto apertamente la prima condizione S. Chiara, che solea dire alle sue compagne: o sorelle, se voi mi conoscereste bene, mi abborrireste, e mi fuggireste come un'appestata ; perché io non son quella che vi credete, ma una mala femmina. La V. Suor M. Crocifissa, che ti tenea per la più vile creatura, che fosse al Mondo, e lo dicea sovente alle sue compagne, e con sentimenti di tanta sincerità e perfetta umiliazione, che l'eccitava a compunzione: giugnendo sino a domandar licenza di ritirarsi in un Convento di convertite, e dicendo esser questo a proposito per lei, che dovea far vita da penitente. S. Francesco Borgia il quale tanto era sprofondato nel basso concetto di se medesimo, che si stupiva come la gente lo salutasse quando andava per le strade e come non lo caricassero di sassate. Possederono in alto grado la seconda condizione la medesima S. Chiara, la quale con tutto che scoprisse a tutti i Confessori i suoi maggiori mancamenti, affinché prendessero di lei cattivo concetto ; vedendo, che non l'ottenea, li mutava spesso colla speranza di trovarne alcuno, che la tenesse per una cattiva creatura, quale veramente le parea d'essere. S. Caterina di Bologna, la quale per esser vilipesa da tutti non solo dicea tutti i suoi peccati a' Confessori, ma lasciava a bello studio cader in terra la carta, in cui erano scritti, ; S. Giovanni della Croce, il quale essendo Vicario Provinciale, e trovandosi in Granata, ov'era tenuto per Santo, venne là a trovarlo un suo fratello tanto povero, che vivea di limosina: ed egli nel vederlo colla cappa tutta lacera, se ne rallegrò, quanto avrebbe fatto un altro in veder suo fratello in gala. E di più essendo un giorno visitato dal Duca, glie lo fece vedere dicendo, che quello era suo fratello, che lavorava nel Convento per poter vivere. Possederono ottimamente la terza condizione S. M. Maddalena de' Pazzi. La quale quando veniva richiesta, e comandata dalla Superiora a fare il segno della Croce sopra qualche inferma o a fare orazione per qualche bisogno, chiamava sempre alcun'altra in sua compagnia a far quell'azione, o quella orazione: affinché ottenendosi la grazia, si potesse attribuire non a lei, ma alla virtù dell'altra. E così appunto facea, se la grazia ottenevasi, attribuendola sempre all'altrui merito, non al suo. L'istesso si può dire di quell'Abbadessa per nome Sara, di cui vien riferito nelle Vite de' PP. che essendo stata combattuta per tredici anni dal Demonio, e finalmente essendone stata per le sue ferventi orazioni liberata, il Demonio le disse: m'hai vinto, Sara, ed ella: non son io, che ti ho vinto, bensì il mio Signore Gesù Cristo. Ma in modo singolare mostrò di possedere la bella parte di attribuire a Dio quanto di bene faceva il V. M. di Palafox. Perocché mirava egli le sue buone azioni non come suoi, ma come puri effetti della Grazia: e però in vece di credere, come comunemente si suole, di farsi con esse merito appresso Dio, credea, che anzi con farle, se gli accrescessero le obbligazioni col medesimo Dio. E come pensava, così appunto ne parlava ; essendo suo solito di professarsi obligato sommamente al Signore, perché gli avesse comunicata una gran quiete d'animo, un pentimento continuo dei suoi peccati, una gran sofferenza e consolazione nelle contrarietà e nei travagli, un grande amore, e rispetto verso dei poveri, e verso dei suoi persecutori ; per avergli tolto ogni affetto alle ricchezze, agli onori, ai comodi, alla propria stima ; per avergli fatta la grazia di frequentar con avidità le penitenze, gli Ospedali, le divozioni, e data forza e talento per far savi ed utili regolamenti, per fabbricar molte Chiese, e per fare ogni sua azione puramente ed unicamente per l'onore e servizio di S. D. M. e simili. E quel ch'è più ammirabile, si è che da tutte queste buone e sante opere, che anche nelle persone più dabbene sogliono generare un certo buon concetto e stima di se, ed un credersi meritevole di lode presso presso gli uomini, e di premio appresso Dio: altro egli non ne ritraeva, che confusione e timore ; poiché rimirandole come grazie speciali concedutegli dalla divina Bontà, delle quali avrebbe da rendere un giorno strettissimo conto pensava, che in quel giorno estremo alla presenza di tutti gli uomini, sarebbero altrettanti capi di accuse contra di lui, per non aver egli corrisposto a tanti favori divini con una vita migliore e più perfetta. Da tutte e tre queste condizioni era accompagnata l'Umiltà di S. Vincenzo de Paoli: poiché egli avea sì bassa stima di se, che si riputava gran peccatore, un uomo scandaloso, di peso a tutti, ed indegno di stare nella medesima sua Congregazione. Quindi è, che spesso si diceva invecchiato peccatore, peccatore abbominevole, indegno di vivere, e bisognoso in estremo della Misericordia di Dio per l'abbominazione della sua vita. Ed un giorno prostrato avanti a' suoi Missionari, disse con gran sentimento: Se vedreste le mie miserie mi scaccereste di casa, alla quale son di danno, di peso, e di scandalo. Io certamente sono indegno di stare nella Congregazione per gli scandali, che le do. E perché così appunto la sentiva con tutta verità, bramava, che così pure la sentissero gli altri. E perciò aveva gusto, che a tutti fossero palese le sue imperfezioni, ed egli medesimo le scopriva spesso a tutti nelle occasioni, affine di essere tenuto da tutti in poca stima, e dispregiato. Onde spesso dicea di essere figlio di un porcaro, un ignorante, un povero studente di Grammatica. Per questo mostrò a tutti quei di casa, ed a molti Signori esteri un suo nipote povero, ch'era venuto a trovarlo. E perché quando fu avvisato della di lui venuta, sentì un primo moto di ripugnanza a lasciarlo vedere ; di questa poi si accusò più volte avanti de' suoi, come d'un gran mancamento, con esagerar molto la sua superbia. Quindi non poteva egli soffrire di sentirsi lodare, e di vedersi tenere in qualche concetto: e però avendogli un giorno una donna povera, per indurlo più facilmente a farle la limosina, detto in presenza di molte persone riguardevoli, ch'era stata serva della sua signora madre ; il Santo, a cui dispiacque quell'onore, rispose subito: O povera donna, voi vi siete ingannata, mia madre non ha tenuta mai serva, anzi, ella ha servito, ed è stata moglie di un povero contadino. Per questa cagione non fu mai inteso parlare di opere tanto eccellenti da lui fatte, e di tanti rari avvenimenti occorsogli. E basta per testimonio di ciò, che essendogli offerte infinite occasioni di parlare della sua schiavitù in Tunisi, massime nelle esortazioni, che frequentemente faceva a' suoi, ed agli esteri, per moverli a porgere aiuto ai poveri schiavi di Barbaria, non si lasciò mai uscir di bocca una parola né di se, né di quello che avesse detto, o fatto per convertire colui, che lo tenea schiavo, e per fuggirsene con lui dalle mani degl'infedeli, né di qualunque altra cosa accadutagli in que' Paesi: che è un caso raro, per lo godimento, che ognuno naturalmente ha di raccontare i piccoli e accidenti scabrosi ed avversi, da' quali è felicemente uscito ; e specialmente quando il successo fa conoscere in noi qualche virtù, e può ridondare in nostra lode. Che se poi la necessità, ovvero il bene del Prossimo l'astringea talvolta a dire alcuna cosa di ciò che avea operato a gloria di Dio ; se vi era niente di male accaduto, attribuiva a se tutto ciò, che potea recar confusione, quantunque egli non vi avesse data occasione alcuna ; e se vi era stato del bene, lo raccontava con termini molto umili, attribuendo tutto al zelo, ed alla fatica degli altri, e sopprimendo per quanto potea quelle circostanze, che poteano ridondare in propria lode. E sempre d'ogni minimo bene, che facea, nel suo medesimo modo di parlare ne diceva Iddio la prima ed unica causa. Onde non dicea mai: Io ho fatto questo, ho detto, ho pensato questo ; ma Iddio mi inspirò alla mente questo, mi pose in bocca queste parole, mi diede forza di far questo, e simili. L'Umiltà di S. Francesco di Sales era, dice la B. M. di Chantal, Umiltà di cuore. Poiché avea egli per massima, che l'amor della nostra abbiezione non ci dee abbandonare un sol passo ; e perciò si studiava di coprire più che poteva i doni della Grazia, proccurando di comparire uomo di minor condizione, che non era: onde mostravasi tardo e lento nel parlare anche in quelle cose, che ben sapea.
10. " Dobbiamo considerare sempre gli altri come nostri superiori, e soggettarci a loro, ancorché si sieno inferiori ; con prevenirli con ogni sorta di rispetto e servitù. Oh che bella cosa sarebbe questa se piacesse a Dio di stabilirci bene in tal pratica. " S. Vincenzo de Paoli.
Così appunto egli medesimo praticava. Facea stima di tutti, e tutti riputava migliori di se, più prudenti, più perfetti, più capaci, e più atti per qualunque impiego, che non era esso, e per questo poi non sentiva alcuna difficoltà di soggettar ad ognuno i suoi sentimenti. Si legge d'una buona Monaca di casa in Napoli detta suor Rachele Pastore, che avea formato un concetto sì basso di se stessa, che riguardava tutte le persone appunto come sue Superiori, e con questa riflessione così ben fissa nel cuore si avviliva e si umiliava alla presenza di tutti.
11. " Nostro Signore dice, che chi vuol diventare maggiore degli altri è necessario, che si faccia minore di loro. E' questa una verità, che tutti i Cristiani la credono ; e pure come va, che si pochi la praticano ? " S. Vincenzo de' Paoli.
Il medesimo Santo fu uno di questi pochi. Poiché avendo egli sempre avuto sì basso concetto di se, ed avendo tanto procurato di abbassarsi sotto di tutti, Iddio l'esaltò per mezzo di tante opere grandi, che gli commise, per mezzo del concetto grande, in cui era comunemente, e colle copiose benedizioni, che dava a tutte le sue azioni. S. Paola, per attestazione di S. Girolamo, spiccò tanto nell'abbassarsi, che se alcuno non l'avesse mai veduta, e per la gran fama, che di lei correva, avesse bramato di vederla, nel vederla non avrebbe creduto, quella esser lei, ma l'ultima delle sue serve: perocché stando attorniata da Cori di pie Verginelle, e nel vestire, e nel parlare, e nel camminare compariva sempre la minima di tutte.
12. " Non credere d'aver fatto profitto nella Perfezione, se non ti tieni per lo peggiore di tutti, e se non desideri di esser posposto a tutti: perché questo è proprio di quei, che sono grandi negli occhi di Dio, essere piccoli negli occhi propri: e quanto più sono gloriosi innanzi al Signore, tanto più vili appariscono appresso se medesimi. " S. Teresa.
Orando un dì S. Antonio, intese questa voce: Antonio tu non sei ancora giunto alla perfezione di un tal Coriario, ch'è in Alessandria. Andò subito il Santo a trovar colui ; e richiestolo dalla sua vita, quegli rispose: Io non so d'aver mai fatto bene alcuno ; onde alzato che sono la mattina, dico tra me, che tutta la gente di questa Città si salverà per le sue buone opere, ed io solo mi perderò per li miei peccati ; e l'istesso dico pure la sera con tutta sincerità prima d'andare a letto. No, no, ripigliò S. Antonio, tu coll'arte tua t'ha assicurato il Cielo ; ed io, come senza discrezione, non sono arrivato alla tua misura. Nelle vite de' PP. si narra di un certo Monaco, il quale dando conto del suo interno all'Abate Sisois, disse, che portava quasi di continuo dentro di se la memoria di Dio. L'Abate gli rispose. Questa non è gran cosa: la gran cosa sarebbe se tu vedessi sempre te stesso sotto ogni creatura. Essendo stato ricevuto in un Monastero un uomo principale d'Alessandria, l'Abate, che nel suo aspetto, e da altri segni lo prese per uomo aspro, altiero, e gonfio della vanità del secolo, volle guidarlo per la via sicura dell'Umiltà, e però lo mise alla porteria con ordine di gettarsi a' piedi di tutti quelli, ch'entravano ed uscivano, dicendo, che pregassero Dio per lui, ch'era un peccatore. Ubbidì colui esattamente, e dopo d'essere stato sette anni in quell'esercizio, e di aver acquistata una grande Umiltà, stimò bene l'Abate di fargli prendere l'ordine, ed ammetterlo in compagnia degli altri. Ma egli, ciò inteso, tanto lo pregò e lo scongiurò di lasciarlo in quell'impiego per quel poco tempo, che dicea dovergli restar di vita, che finalmente l'ottenne. E fu indovino, perché dieci giorni dopo se ne morì con gran quiete, e sicurezza della sua salute. Il fatto vien riferito da S. Giovanni Climaco, il quale dicea di aver parlato con quest'uomo ; e che avendogli domandato in che si occupasse in tutto quel tempo che stava alla porta ; rispose, che tutto il suo esercizio era di riputarsi indegno di stare in quel Monastero, e di godere la compagnia e vista dei Padri, e di neppur alzar gli occhi per guardarli. Si legge della V. M. Serafina di Dio, che parea non avesse gli occhi, che per guardare ed esagerare i propri difetti, e per ammirare negli altri la loro virtù. Ond'è che quando vedea, che gli altri facessero alcun bene, con gran sentimento dicea: o beati loro ! Tutti attendono a servire Iddio fuorché io. E quando ne vedea a' piedi de' Confessori, stima, che d'altro non parlassero, che di Dio ; e si rammaricava con se medesima, che altro non andava a dire a quelli, che scelleraggini e peccati. E se mai vedea farsi da alcuno qualche difetto, lo sapea facilmente scusare e compatire. Ed in questa maniera ella sapea mantenersi anche in vista degli altrui mancamenti nel concetto, che di se avea di esser peggiore di tutti.
13. " Esser uno molto insegne in virtù, e veramente grande innanzi a Dio, e da esso accarezzato e stimato, e con tutto ciò tenersi per piccolo e vile negli occhi propri, quanto è quella umiltà tanto grata a Dio, e tanto rara fra gli uomini, che si trovò perfettissimamente nella SS. Vergine, la quale al sentirsi eleggere per Madre di Dio, si riconobbe per serva e schiava. " S. Bernardo.
Fu ammirabile in questo S. M. Maddalena de Pazzi, la quale tutto che fosse arrivata ad una eccelsa perfezione e santità, e si vedesse arricchita da Dio di straordinarie grazie e favori, fin della virtù di far miracoli, contuttocciò aveva una stima sì bassa di se, ed un concetto sì vile, che facea stupire quanti la conosceano. Né era questo un concetto di pura immaginazione, e sole parole, ma vero e schietto, come chiaramente lo diede a conoscere in un'estasi, in cui mostrandolo il Signore la forza e virtù, che volea comunicarle contra le gagliarde tentazioni, che avrebbe patite da' Demoni ; proruppe con gran sentimento in queste parole: Confusione mia, che nella più bassa e vile creatura del Mondo, quale io sono, tu vuoi mostrare l'immensità de' tesori della tua liberalità e misericordia ! L'istesso fu di S. Vincenzo de Paoli. Benché le sue virtù fossero conosciute da tutti quei, che lo praticavano, non ostante tutte le industrie usate da lui per nasconderle: con tutto ciò a lui solo erano ignote: perché mettendosi di continuo avanti gli occhi la propria bassezza, questa gliene toglieva la vista: dimodoché quantunque in verità egli fosse ricco, e molto abbondante di virtù e di doni celesti, pure si stimava sempre povero, bisognoso, e nudo di ogni bene spirituale: Onde il titolo, che ordinariamente si dava, era: Questo miserabile. S. Teresa nel pensare a' favori, che ricevea da Dio in tanta abbondanza, si umiliava di vantaggio, con dire, che il Signore in questo Mondo teneva in piedi la sua estrema debolezza, e che questi sostegni la dimostravano più cadente, come più cadente si mostrava una casa, che ha bisogno di puntelli per reggersi.
14. " La vana compiacenza ed il gusto di comparire, e che si parli di noi, che si lodi la nostra condotta, e si dica, che riusciamo bene, e che facciamo maraviglie ; questo è un male, che ci fa scordare di Dio, e che infetta le nostre più sante azioni ; ed è un vizio il più pernicioso, che vi sia per lo progresso nella vita spirituale. Io non so intendere, come possa credere, e tener per verità di Fede, che chi si esalta sarà abbassato, uno che cerca di passar per uomo dabbene, e per persona savia, vigilante, e capace. " S. Vincenzo de' Paoli.
Il famoso Fra Giustino Religioso di S. Francesco, dopo d'aver ricusati gran favori ed uffizi onorevolissimi offertigli dal Re di Ungaria, si fece religioso di S. Francesco ; e vi profittò tanto, che pativa frequenti estasi, e un giorno pranzando a mensa in Convento, fu rapito in aria, ed andò sopra tutt'i Religiosi ad adorare un'immagine della Vergine, ch'era dipinta in alto sul muro. Per lo qual fatto Eugenio IV lo chiamò a se, e non lasciandosi baciar i piedi, l'abbracciò ; e poi fattolo sedere, e tenuto con lui un lungo discorso, gli diede molti regali e indulgenze. E perché egli s'invanì di tal favore, S. Giovanni da Capistrano nel vederlo: Oh, gli disse, andasti Angelo e sei ritornato Demonio ! In fatti da allora in poi crescendo ogni dì nelle insolenze, uccise col coltello un Religioso, e dopo fattane la penitenza in carcere, se ne fuggì nel Regno di Napoli, ove fece tante scelleraggini che morì in prigione. Un Santo Monaco abitando una notte in una casa di Religiose, ove era un figliuolo tormentato continuamente dal Demonio: questi per tutta quella notte stette quieto: per lo che la mattina lo pregarono a portarselo seco nel Monastero, e tenerselo sinché ei fosse guarito affatto. Il che avendo fatto, e vedendo, che al figliuolo non succedea più niente, disse a' suoi Monaci queste parole con qualche compiacenza: Il Demonio burlava con quelle Monache nel tormentar questo fanciullo, ma dappoiché egli è venuto al Monastero de' servi di Dio, non ha avuto più ardire di accostarsegli. E subito detto questo, il figliuolo, in presenza di tutti ricominciò a patire le solite vessazioni: ed il Monaco pianse il suo errore. Essendosi un altro Monaco gloriato di aver fatto due stuore in un giorno avanti S. Pacomio suo Abate ; il Santo lo riprese, e gli ordinò, che portasse le due stuore su le spalle avanti gli altri Monaci, e chiedesse perdono a tutti, perché aveva stimato più quelle stuore, che il Regno de' Cieli, e li pregasse di raccomandarlo a Dio ; ed in oltre per cinque mesi stesse chiuso in cella, senza mai lasciarsi vedere, ed in tutto quel tempo facesse due stuore al giorno. S. Tommaso d'Aquino sin da' suoi primi anni fu sempre nemico degli applausi popolari ; poiché non uscì mai dalla sua bocca una parola di propria stima. Perché poi non intese mai tentazioni di vanità, o di compiacenza, come attestò egli medesimo a Fra Reginaldo, dicendo, che rendea grazie a Dio, per non essere mai stato travagliato dalla superbia. S. Vincenzo de' Paoli per chiudere il passo alle compiacenze, si avea fatto questa risoluzione. Quando sto facendo un'azione pubblica, e posso tirarla innanzi con onore, e non la farò ; ma lascerò che quelle circostanze, che potrebbero darle lustro, e portare a me stima. Di due pensieri, che mi vengono in mente, manifesterò il più infimo per umiliarmi, e riterrò il migliore per farne nel segreto del mio cuore un sacrifizio a Dio ; essendo alle volte più espediente il far meno bene una cosa nell'esterno, che compiacersi d'averla ben fatta ; ed esserne applaudito e stimato: poiché è una verità evangelica, che il Signore in niun'altra cosa tanto si compiace, quanto nell'umiltà di cuore, e nella semplicità del parlare, e dell'operare. In questo è dove risiede il suo spirito, e indarno cercasi altrove. E questa risoluzione l'osservava puntualmente. Onde viaggiando un giorno con tre de' suoi Sacerdoti, raccontò loro per divertimento un caso altre volte occorsogli ; ma nel più bello del discorso percotendosi il petto, troncò il ragionamento, con dire di essere un miserabile, pieno di superbia, e che sempre parlava di se. Ed arrivato a casa, prostratosi avanti di loro, dimandò perdono dello scandalo dato ad essi con parlare di se stesso.
15. " Che è questo, Dio mio, che pensiamo noi di cavare dal comparire avanti le creature, e dal piacere ad esse ? Che importa a noi l'essere da loro incolpati, o tenuti per vili, se avanti di voi siamo grandi, e senza colpa ? Ah, che noi non finiamo mai d'intendere questa verità, e così non arriviamo mai a stare sulla cima della perfezione ? I Santi non aveano maggior gusto, quanto di vivere sconosciuti ed abbietti nel cuor di tutti. " S. Teresa.
Un Santo Vescovo, per vivere sconosciuto, lasciò il Vescovato, e di nascosto andò in Gerusalemme vestito poveramente, e si mise a lavorare. Ma un Conte avendolo trovato più volte in terra dormendo con una colonna di fuoco, che usciva di lui, e s'innalzava sin al Cielo, un giorno ritiratolo da parte, lo richiese chi fosse ; ed egli rispose di esser un povero uomo, che viveva delle sue fatiche, per non avere di che sostentarsi. Non contento di ciò il Conte, lo pregò tanto a dirgli la verità, che egli, facendosi promettere di tenerlo segreto fin che vivesse, gli scoprì chi fosse, e di esser partito di là per fuggir la riputazione e la stima: tenendo per cosa indegna d'un Cristiano, che dee aver sempre a memoria le ingiurie ed obbrobri, che furono fatti al Signore, l'aver gusto di essere onorato e riverito dagli uomini. S. Niccolò di Bari avendo gettato occultamente di notte nella casa di un Gentiluomo scaduto, per due volte una somma di denaro, perché potesse maritar le figlie, tornato a farlo la terza volta, fu scoperto, ed egli fuggì con prestezza. L'Abate Pitiro, uomo celebre in santità, bramava di sapere, se nel Mondo vi fosse qualche Anima più perfetta della sua, per poter da lei apprendere il modo di meglio servire a Dio. Gli apparve pertanto un Angiolo, e gli disse: va nel tal Monastero della Tebaide, ove abitano 400 Monache ; fra le quali ne troverai una per nome Isidora, che porta in capo un diadema ; e sappi, che questa è di gran lunga più perfetta di te. Era questa una buona verginella, la quale si avea posto in cuore d'avvilirsi per Cristo quanto più potea. Perciò portava uno straccio avvolto in capo, andava scalza, stava applicata a' ministeri più vili della cucina, dimorava sempre sola, se non quando dovea trovarsi alle faccende comuni: non mangiava con le altre, ma dopo raccoglieva gli avanzi loro, e di quelli cibavasi, e per bere usava quell'acqua, che era servita per lavare i piatti e le pentole. Sicché tutti l'abborrivano di tal maniera, che per qualsiasi gran cosa niuna avrebbe mangiato con essa ; era finalmente il giuoco e lo scherno di tutte, e da tutto ingiuriata e maltrattata, e tenuta per pazza. Ella però non parlava mai, non facea ingiuria a nessuna, né mai mormorava, o si lamentava per qualunque maltrattamento che le fosse fatto. Si portò dunque Pitiro a questo Monastero ; e pregata l'Abbadessa di far venire alle grade tutte le Monache, riguardandole, in niuna scoprì il segnale datogli dall'Angelo ; e però disse, che non vi eran tutte. Ma no, risposero , non manca alcuna, fuorché una pazza, che sta sempre chiusa in cucina. E bene, fatela venire, soggiunse egli. Ma ella, che in ispirito avea conosciuto ciò che le doveva avvenire, si era nascosta in un luogo secreto per non intervenirvi. Però ritrovata a grande stento, ed istantemente pregata a nome della Superiora, venne: e Pietro appena vedutala, la riconobbe, e subito si gettò a' suoi piedi, e si raccomandò alle sue orazioni. Attonite a tal fatto le monache: Padre gli dissero, voi prendete abbaglio, questa è una pazza: Le pazze siete voi ripiglia l'Abate, sappiate che questa è più santa di me e di voi. Allora prostratesi tutte a' piedi di lei, confessarono la loro iniquità, e le chiesero perdono di tanti strapazzi fattile. Ed essa non potendo soffrir l'onore ricevuto, dopo pochi giorni se ne fuggì di là, e non se n'ebbe più nuova. Leonora Imperatrice avendo penetrato, che il suo Confessore, per molte istanze fattegli da altri, si avea scritte molte delle di lei eroiche azioni e virtù, per divulgarle dopo la di lei morte, venuto questi all'ultima malattia ella fu più volte a visitarlo ; ed un giorno fra gli altri uscì dalla stanza di lui con alcune scritture avvolte in un fascio, e giunta in Corte, le diede immantinente alle fiamme. E fu comune e costante opinione, che fossero appunto le cose, che gli avea scritte di lei, e che a forza di preghiere le avesse da lui ottenute ; poiché dopo la di lui morte tra i suoi scritti nulla di ciò si trovò, che pur si sapea aver egli scritto. Non le riuscì però lo stesso in un'altra cosa, ancorché la tentasse a tutto suo potere. E fu, che stando essa nell'ultima sua infermità, le venne a mente una cesta, in cui tenea riposto il tesoro dei suoi ordigni di penitenza, quali antecedentemente non avea potuto ritirare, ed allora non potea, per aver perduto la favella. Ond'è, che si mostrava in grande affanno, facendo segni colla mano al suo Confessore verso dov'era quel deposito, acciocché lo togliesse di là, e lo portasse via. Ma il Signore, che esalta gli umili, non permise, che quei cenni fossero bastantemente intesi, se non dopo la di lei morte, allorché si scoprì quel tesoro nascosto, che mosse tutti a pianto, mentre si traevan fuori tele macchiate di sangue, vari flagelli altri insanguinati, altri sfilati e logori per lo lungo uso, e molte catenelle con punte acute, i cilici intessuti di setole di cavallo, tutti stromenti, con cui ella macerava le innocenti sue carni.
16. " Quando vedete alcuno, che desidera stima ed onori, e fugge i disprezzi ; e venendo contrariato e dispregiato, si risente, e mostra d'averlo a male: Questo tale, ancorché facesse miracoli, tenete per certo, che è lontano molto dalla perfezione ; perché tutto sarà virtù senza fondamento. " S. Tommaso d'Aquino.
Che questo Angelico Dottore la sentisse veramente così avanti Dio, è chiaro, perché così appunto operava egli stesso. Non solo non desiderava egli onori ed applausi, ma gli abborriva, e li fuggiva a tutto suo potere. Venendogli offerto da Clemente IV, l'Arcivescovato di Napoli nel tempo, che i suoi congiunti, per essere decaduti dalla grazia dell'Imperatore, eran venuti in gran povertà, e perciò e da essi, e da molti altri era stimolato ad accettarlo ; egli nulla però di meno lo rifiutò, ottenendo di più dal medesimo Pontefice la grazia, che non gli fosse nell'avvenire mai più offerta dignità alcuna. Pregò in oltre i suoi Superiori di non stringerlo a prendere il grado di Dottore, per l'affetto che avea più ad esser tale, che a comparirlo ; e se lo prese, fu per pura ubbidienza. I dispregi poi in vece di fuggirli, gli accettava volentieri, e sempre con animo tranquillo e volto sereno. Essendo studente non isdegnò di ricevere per ripetitore un suo condiscepolo, il quale vedendo, che egli parlava poco, ciò attribuiva ad ignoranza, ed a poco talento, e lo chiamava il bue muto. Ma ben presto si disingannò, quando vide, esser lui di tale ingegno, che potea fare a lui stesso non solo da ripetitore, ma da maestro. Leggendo egli una volta in refettorio in tempo del pranzo, venne corretto d'una parola come malamente profferita ; ed ancorché sapesse esser profferita bene, nondimeno la replicò conforme gli fu ordinato. Interrogato poi da' compagni perché avesse ciò fatto: perché, disse, poco importa il pronunciare una sillaba breve, o lunga ; ma importa bensì molto l'esser umile ed ubbidiente. S. Chiara disse un di: se io mi vedessi onorata da tutto il Mondo, non ne concepirei punto di vanità ; e se mi vedessi vilipesa e vituperata da tutto il Mondo, non ne proverei minimo disturbo. S. Filippo Neri per qualunque oltraggio, o dispregio ei ricevesse, non mai si mostrava rattristato, o scontento. E questa era una cosa tanto chiara e nota appresso i suoi, che solean dire: Al P. Filippo se gli può dir qualsivoglia cosa, che non si turba mai. Venendogli un giorno riferito, che alcuni l'avean chiamato barbocchio, egli se ne rise, e ne fece gran festa. S. Antonio sentendo lodar molto un Monaco gli fece un'ingiuria ; e vedendo, che quegli se l'ebbe a male, disse: Costui è simile ad un palazzo ricco e vago nel prospetto, e di dentro spogliato da' ladri.
17. " Io son disprezzato e deriso, e me ne prendo fastidio. Così appunto fanno i pavoni e le scimie. Io son disprezzato e deriso, e ne gioisco. Gli Apostoli così faceano. Questo è il più profondo grado dell'Umiltà, compiacersi nelle umiliazioni e abbiezioni, come gli spiriti vani si compiacciono ne' grandi onori ; e sentir pena nelle cose d'onore, e di stima, come la sentono quelli ne' disprezzi ed affronti. " S. Francesco di Sales.
S. Domenico stava più volentieri nella Diocesi di Carcassona, che in quella di Tolosa, che avea convertiti tanti Eretici. E domandato del perché, rispose: Perché in questa vi sono molti onori, ed in quella solo villanie e strapazzi. S. Felice Cappuccino sentiva grande afflizione nel vedersi onorato e stimato, e più volte fu sentito dire, che avrebbe desiderato d'essere sommamente deforme, acciocché tutti l'abborrissero ; ed altre volte replicò, che gli sarebbe stato più grato l'esser frustrato e strascinato per le strade di Roma, che riverito dalla gente. S. Crescenzio Chierico Ostiario, che serviva ad una Chiesa presso ad Ancona, vivea tanto staccato dal Mondo, ch'era cresciuto in grande opinione di santità ; onde venivano da diversi Paesi a vederlo. Fra gli altri ci venne un contadino: e dimandò di lui, mentre stava su la scala aggiustando le lampane. Ma essendo egli di statura molto piccola e sottile, il contadino nel mirarlo, pentissi d'aver fatto quel viaggio, come gli pareva, allo sproposito ; e facendone in cuor suo le beffe, disse tra di se, parlando forte: mi pensava, che costui fosse un uomo grande ; ma per quel che veggo, egli neppure ha le fattezze d'uomo. Il che udito Crescenzio, lasciò incontanente la lampana, e scese con gran celerità ed allegrezza, corse incontro a colui, ed abbracciatolo strettamente disse: Tu solo fra tutti gli altri hai tenuto gli occhi aperti, ed hai saputo conoscere chi io mi sia. La V. Suor M. Crocifissa non potea ricevere maggior disgusto, che in sentirsi lodare, tanto che quando vedea, che la tenevano in buon concetto, non poteva astenersi dal pianto. Sentiva gran dispiacere, che venissero a notizia d'altri le sue occorrenze soprannaturali. E perciò le Monache per non cagionarle disturbo allorché andava in estasi, appena vedeano qualche segno, che rinvenisse in sé, si partivano tutte fuorché la di lei sorella: la quale però mostrava di aver appressa quella cosa per un deliquio derivato da infermità ; compatendola perciò, edofferendole qualche sollievo. Ma di tutto ciò essa non contenta, tale e tanto era l'abborrimento, che avea alla propria stima, che parendola l'amor di Dio inseparabile dal plausibile concetto di esser tenuta per santa, giunse a fare al Signore questa preghiera: O Signore, io vorrei ubbidirvi, vorrei a' vostri tocchi impennarmi sin al Cielo ; ma che la via vostra patisca questo mostro orribile della umana stima, questa è per me una insoffribile sciagura: poiché niuna vi può amare senza portare buona stima. Vorrei ben far tutto il vostro cammino ; ma solo questo mi è amaro, né vi trovo altra difficoltà, che questo frapposto d'Inferno. Onde io qui mi resto, acciocché o voi uccidiate questo mostro, o mi cambiate sentiero.
18. " Di grazia non facciamo conto di certe coselle, che alcuni chiamano torti ed aggravj ; che par che facciamo coselle di pagliuccole come i bambini con questi punti d'onore. Un vero Umile non crede mai, che gli si possa far torto in cosa alcuna. Veramente ci dobbiamo vergognare di risentirci di cosa, che si dice, o si faccia contra di noi: essendo la maggiore iniquità del Mondo il vedere, che il nostro Creatore sopoorta tante ingiurie dalle sue creature, e che noi ci risentiamo anche d'una paroletta contraria. Avvertano bene, sopra tutto le Anime contemplative, che se non si trovan molto determinate a perdonare qualunque aggravio, o ingiuria, che loro venga fatta, non possono molto fidarsi della loro orazione. Perciocché l'Anima che Dio unisce a se in orazione sì alta, non sente veruna di queste cose, e nonl'importa più l'essere stimata, o no ; né, che si dica bene, o male di lei: anzi le danno più pena gli onori ed il riposo, che i disonori ed i travagli. " S. Teresa.
S. Francesco di Sales se tal volta vedea, che i circostanti mostrassero dispiacere per la malignità di quei che diceano male di lui, soggiungea loro: Vi ho dato mai io quell'autorità di risentirvi in luogo mio. Lasciate che dicano: Questa è una croce di parole, è una tribulazione di vento, la cui memoria perisce col suono. Bisogna che sia ben dilicato chi non può soffrir lo incomodo d'una mosca. Pretenderemo noi forse di essere irreprensibili ? Chi sà, che essi non veggano i miei difetti meglio di me, e non sieno quei che mi amano ? Spesse volte diciamo, che sono maldicenze, quando non sono a nostro gusto. Che torto mai ci vien fatto, quando si ha cattiva opinione di noi, dovendola noi stessi aver tale. La V. Maria Crocifissa mostrava un estremo contento, quando si vedea poco stimata e tenuta per vile. E perciò le Monache per secondare il suo genio, ordinariamente la trattavano con disprezzo, e con segni di farne poco conto, chiamandola inesperta, sciocca, ignorante. Onde quando voleano indurla a ragionamenti spirituali, che la infervoravano molto, le dicevano: O via Suor Maria Crocifissa date di mano a' vostri spropositi, udiamo le vostre sciocchezze. Ed allora credendo ella, che avesse veramente a servir per oggetto di burla, con facilità si mettea a parlare. Ma bisognava in oltre che mostrassero di far poco conto di quello che dicea, con istar poco attente, e con parlare di quando in quando tra di loro, mentre ella stava parlando ; altramente si fermava. E per questa medesima cagione niuna potea raccomandarsi alle di lei orazioni ; perché giudicava, che con questo la stimassero atta ad intercedere qualche cosa appresso Dio. Onde per ottenere le orazioni sue, dicevano, esser ella riconosciuta per tanto miserabile, che obbligava le altre a raccomandarla al Signore ; e che però, per non esser ingrata, conveniva, che ella facesse altrettanto per esse.
19. " Chi è vero umile venendo umiliato, più s'umilia: venendo rigettato, gode dello strapazzo ; venendo posto in officj bassi, e vili, li riconosce per più onorati di quelli che merita, e li fa volentieri, e solo abborrisce e fugge le cariche sublimi ed onorevoli. " Chantal.
Un Cavaliere trasportato da furor giovanile, disse un dì a S. Vincenzo de Paoli, ch'egli era un vecchio matto ; ed il Santo inginocchiatosegli subito a' piedi gli chiese perdono dell'occasione, che forse gli avea data di dirgli tali parole. Ed un Giansenista, che un dì tentava d'insinuare nel medesimo Santo le sue false massime, vedendo, che non gli riusciva, tutto sdegnato lo caricò di villanie, dicendogli tra le altre cose, ch'era un ignorante, e che si stupiva, che la sua Congregazione lo potesse sopportare per Superior Generale. Al che rispose egli: me ne stupisco più io, che sono più ignorante di quello, che possiate voi immaginarvi. Udendo alcuni Monaci la gran fama dell'Abate Agatone, per far prova della di lui virtù, andarono a ritrovarlo, e gli dissero, che molti erano scandalizzati di lui, perché fosse superbo, immondo, mormoratore, e riscoprisse i suoi difetti con buttarli sopra gli altri. Ed egli rispose, che veramente avea tutti quei vizj ; e prostrato a' loro piedi li pregò, che lo raccomandassero a Dio, e gli ottenessero il perdono di tanti mancamenti. E quelli si partirono molto edificati e stupiti. Essendo l'Abate Mosé ordinato Prete, il di lui Vescovo comandò a' suoi Chierici, che mentre egli fosse venuto all'Altare, lo scacciassero con vergogna, ed ascoltassero quello che dicea. Quelli così fecero, dicendogli: fuor mal Saracino. Ed egli umilmente si partì, e dicea tra sé: Ben ti sta, uomo malvagio, che non essendo neppur uomo presumesti di andar fra gli uomini. S. Rosa di Luna per la singolarità della sua vita veniva spesso ingiuriata, e strapazzata in varie guise dalla madre e da' suoi fratelli ; e l'umilissima figliuola credea sempre di meritarsi di peggio e però non solamente non si scusava mai, anzi accresceva ed amplificava le case ; acciò non paresse, che la castigassero a torto, e tutta ne giubilava. S. M. Madd. de' Pazzi si esercitava volentieri in impieghi laboriosi: e quanto erano più bassi e vili, con tanto maggior gusto e prontezza li facea. L'istesso pure facea S. Luigi Gonzaga. Che non fecero poi molti grandi uomini per non essere ammessi alle maggiori dignità, massimamente Ecclesiastiche ? S. Filippo Benzio sentendo, che i Cardinali, essendo accaduta la morte del Papa, voleano elegger lui per successore, si nascose in un Monte, finché fu fatta l'elezione d'un altro. S. Gregorio Magno essendo già stato eletto in Sommo Pontefice, scappò segretamente, e si nascose in una grotta ; ove scoperto per una colonna di fuoco che apparve là sopra, e forzato ad accettar quella dignità, pure supplicò l'Imperator Maurizio di non confermare la sua elezione ; sebbene non l'ottenne. S. Ambrogio eletto miracolosamente Vescovo di Milano per bocca d'un fanciullo non ancor atto a favellare, si diede di notte tempo alla fuga, e fece anche altre cose per esser appreso dal Popolo per mal vivente. S. Gio. Grisostomo, per non essere eletto Vescovo, se ne fuggì nelle solitudini, e tra i deserti. E S. Amonio Eremita, per non esser fatto Sacerdote, giunse fin a recidersi un'orecchio.
20. " I Missionari debbono gradire di esser riputati poveri di talenti, di nascita, di virtù, e la feccia e spazzatura del Mondo. E quando si presenta loro qualche occasione d'abbiezioni e di disprezzo non solo proprio, ma anche della medesima Congregazione, se ne debbono rallegrare. E con questa misura potranno conoscere i progressi, che fanno nell'Umiltà. " S. Vincenzo de' Paoli.
Questo Santo, che ben sapea il gran giovamento, che seco portano le umiliazioni, s'innamorò talmente di esse, che un degno Ecclesiastico il quale lo conosceva a fondo, disse di lui di non aver mai conosciuto alcuno tra gli uomini tanto ambizioso d'innalzarsi, e di farsi stimare ed onorare, quanto era questo umil servo di Dio, bramoso d'abbassarsi, d'abiettarsi, e di ricevere umiliazioni, confusioni, e disprezzi: tanto che parea, che in queste avesse egli costituito il suo tesoro in questa vita: e però mettea ogni studio per prevalersi di tutte le occasioni, che se gli offerivano, e da ogni cosa prendea motivo d'umiliarsi. E con quell'istesso affetto, che lo procurava per sé, col medesimo ancor lo desiderava per la sua Congregazione ; bramando, che fosse disprezzata e tenuta in basso concetto. E quando ciò accadea, ne godea non poco. Avendo la B. M. di Chantal intrapreso un affare di grande importanza, e poi riflettendo, che le avrebbe tirato dietro un gran concetto, subitamente lo lasciò. Ed a quei che si maravigliano come avesse con tanta prestezza troncato e ridotto al niente tutto quel negoziato, disse: subito che mi si offerse agli occhi lo splendore delle sovrane potenze, io rimasi talmente sbagliata e priva di luce, che niente più ho veduto. Eh, ripeté più volte, lo splendore delle Figlie della Visitazione è l'esser senza splendore, e tutta la loro gloria sia nell'umiltà e nell'abbiezione !
21. " Il sopportar gli abbassamenti, e gli obbrobrj è la pietra di paragone dell'Umiltà ed insieme della vera virtù. Perché in questo si è più conforme a Gesù Cristo, ch'è il vero modello d'ogni soda di virtù. " S. Francesco di Sales.
Il B. Serafico laico Cappuccino, essendo Portinajo solea trattenersi ad orare in una Cappelletta del muro incontro alla porteria. Or un giorno passeggiando il guardiano con un Padre forestiere per là, volete, gli disse, vedere un Santo ? ed accostatosi alla Cappella, lo riprese severamente con dire: che fai tu quà, ipocritaccio ? Insegna il Signore, che si faccia orazione in istanza a porte chiuse, e tu la fai in pubblico per essere veduto. Levati di quà, gabbamondo, e vergognati d'ingannare così i poveri forestieri. A tali rimbrotti tutto lieto Fra Serafino baciò la terra, e quindi partissi con volto sì allegro, con cui altri avrebbe ricevuta una nuova di tutto suo gusto e vantaggio. Un altro giorno fu egli richiesto da un suo compagno di un ago, e d'un poco di filo. E rispondendo esso, che l'ago l'avea, ma non il filo ; l'altro con un modo dispettoso gli disse: si vede bene, che sei uno sciocco, e non sei mai stato buono a nulla. Che farà la Religione di un uomo inetto come sei tu ? Levamiti d'avanti, che non ti posso più vedere. Allora egli senza punto scomporsi, né alterarsi ; si allontanò dal suo correttore, e poco dopo se gli restituì colla solita sua serenità di volto, con grande edificazione dell'altro. Nelle vite de' PP. si narra di S. Antonio, esser egli arrivato a tanta perfezione, ch'era divenuto insensibile agli oltraggi, come una pietra ; e che per quanti gliene venissero fatti, non istimava mai, che se gli facesse ingiuria. Nelle medesime vite vien riferito, che l'Abate Giovanni un giorno raccontò a' suoi discepoli il fatto d'un giovane, il quale avendo fatta una grave ingiuria al suo Maestro, fu da esso condannato a stare tre anni in ufizio vile, e riceversi tutte le ingiurie, che gli sarebbero fatte senza mai vendicarsene ; e che dopo il triennio essendo ritornato a lui, questi gli ordinò, che per tre altri anni dovesse pagare chiunque gli avesse fatta qualche ingiuria. Il che avendo fedelmente eseguito, lo mandò in Atene a studiar la Filosofia ; ove giunto entrò in una scuola, nella quale vi era un Maestro vecchio, che avendo per uso d'ingiuriare al primo ingresso i suoi discepoli, ingiuriò ancor costui, il quale se ne rise. E richiesto dal Maestro, perché ridesse: come non volete, ch'io rida, rispose, mentre per molto tempo ho pagato a chiunque mi facea delle ingiurie, ed ora le trovo senza pagar niente ? Figliuoli miei, soggiunse qui il S. Abate, il soffrir le ingiurie è la porta, per la quale son passati i nostri Padri per andare al Signore: il che quantunque a prima vista sembri tanto difficile, vedete come coll'esercizio si rende non solo facile, ma anche giocondo.
22. " Il vero Umile dee con verità desiderare di esser disprezzato, burlato, perseguitato, ed incolpato benché a torto. Se vuole imitar Cristo, dove può farlo meglio, che in questo ? Oh quanto savio si vedrà un giorno essere stato colui, che si rallegrò di esser tenuto per vile e anche per pazzo ! poiché tale fu anche stimata la Sapienza medesima. " S. Teresa.
Narra Cassiano dell'Abate Pafunzio, che essendo questo Superiore d'un Monastero, e vedendosi per la sua venerabile vecchiaja e vita ammirabile molto onorato e stimato da' suoi Monaci, dispiacendogli tanto onore, e desiderando di vedersi umiliato, scordato e disprezzato, una notte se ne uscì segretamente dal Monastero, e vestitosi da Secolare, se ne andò a quello di S. Pacomio, che era molto lontano dal suo, e stette molti giorni alla porta, chiedendo umilmente un abito, prostrato innanzi a tutti quei Monaci, che lo dispregiavano ; rinfacciandogli come dopo di essersi saziato di godere il Mondo, andava a servire Dio, spinto dalla necessità perché gli dessero il vitto ; ma finalmente mossi dalle sue grand'istanze, gli diedero un abito, imponendogli la cura del giardino ; ed assegnandogli uno per Superiore, dal quale dovesse dipendere. Or facendo egli il suo uffizio molto esattamente, e con grande umiltà, non contento di ciò, procurava in oltre di fare ancora tutto quello che gli altri ricusavano, e le cose più moleste e più vili della casa ; e levandosi di notte segretamente, facea molte cose degli ufizj degli altri: del che tutti la mattina si maravigliavano, perché non sapeano chi le avesse fatte. E così di seguito egli a vivere per tre anni molto contento della buona occasione, che avea di faticare, e di essere disprezzato, ch'era quello che tanto avea desiderato. In tanto i suoi Monaci, che sentendo grandemente la perdita di un tal Padre, erano usciti a cercarlo per diverse bande, finalmente lo trovarono che stava stercorando il terreno, se gli gettarono ai piedi. Quei che ciò videro, rimasero stupiti, e molto più ancora, quando intesero, ch'egli era Pafunzio, il cui nome era tanto celebre presso di loro, e gli chiesero perdono. Ma il santo vecchio piangea la sua disavventura di essere stato scoperto per invidia del Demonio, e di aver perduto il tesoro, che pareagli di aver trovato: e benché per forza, venne ricondotto al suo Monastero, onde fu ricevuto con allegrezza indicibile, e con somma diligenza guardato e custodito, acciò non potesse più scappare.
23. " Se considerassimo bene tutto ciò che è in noi d'umano e d'imperfetto, troveremmo pur troppo di che umiliarci innanzi a Dio, e innanzi agli uomini, anche a noi inferiori. " S. Vincenzo de' Paoli.
Avendo una santa donna chiesto lume al Signore, per ben conoscere sé medesima, vide tanta bruttezza e tanta miseria nella sua persona, che non potendo soffrire una simil vista, tornò a pregar Dio, che la liberasse da quell'angustia ; perché, dicea, che se più fosse durata, sarebbe venuta meno. La V. M. Serafina di Dio ebbe una volta un lume superbo molto chiaro, il quale le fece vedere l'Anima sua ripiena di tanti e sì abbominevoli difetti, che sembrava come una sentina piena d'immondezze, e giudicava, che ve ne dovessero essere ancor di più ; perché, dicea, se io avessi più lume, più ne vedrei: ond'é che mi è venuto più volte in cuore di fuggirmene in una grotta, pensando quanto poco mi esercito nella virtù, e particolarmente nell'Umiltà ; mi pare d'esser un Lucifero. E' bella la Religione per chi esercita le virtù: ma non per me, che altro non fo, che innaffiare i vizj. E perciò quando ricevea ingiurie e disprezzi, non si turbava mai, né si lamentava, ma dicea: dicono bene, fanno bene, mi sta bene: né vi fu mai in tutta la vita sua avversità, o travaglio di sorta alcuna, che bastasse a farle mutar sentimento.
24. " A mio parere non acquisteremo mai la vera Umiltà, se non alziamo gli occhi a mirar Dio. Mirando la grandezza di lui vede meglio l'Anima la propria bassezza: mirando la di lui limpidezza, vede più la propria immondezza. Considerando la di lui pazienza, vede quanto sta lontana dall'esser paziente. In somma con fissar essa gli occhi nelle divine perfezioni, scopre in sé tante, e sì grandi imperfezioni, che vorrebbe tornare a serrarli. " S. Teresa.
Questo appunto era uno de' principali fonti, da' quali nascea quel tanto basso concetto, che avea di sé, e quella sì gran brama che avea delle umiliazioni S. Vincenzo de' Paoli ; cioè la gran cognizione, ch'egli avea delle infinite perfezioni di Dio, e dell'estreme miserie e debolezze delle creature: tantoché gli sembrava una manifesta ingiustizia il non umiliarsi sempre, ed in ogni cosa. Onde parlando un giorno coi suoi così disse: in verità, se ciascuno di noi attenderà a conoscer bene sé stesso avanti a Dio, troverà, essere cosa giustissima e ragionevolissima di dispregiarsi ed umiliarsi. Perché se consideriamo seriamente l'inclinazione naturale e continua, che abbiamo al male, la nostra impotenza per ogni bene, l'esperienza, che tutti tenghiamo, che anche quando ci crediamo d'esser riusciti bene in qualche cosa, e d'esser accorti ne' nostri sentimenti, spesso riesce tutto l'opposto, e Iddio permette, che ne siamo dispregiati ; a che finalmente in tutto quel che pensiamo, diciamo, e facciamo, sia nella sostanza, sia nelle circostanze, siamo pieni ed attorniati sempre da motivi di confusione e di disprezzo, come non ci riputeremo degni di essere ributtati e disprezzati nel riflettere a tali cose, ed in vederci sì lontani dalla santità, e dalle altissime perfezioni di Dio, e dalle stupende operazioni della sua grazia, e della vita di Gesù Cristo Signor nostro.
25. " Uno, che voglia divenir veramente santo, toltine alcuni casi, non dee mai scusarsi, ancorché quello, di che viene incolpato, non sia vero. Così fece Gesù Cristo. Sentì rinfacciarsi il male, che non avea fatto, e non disse mai parola, per liberarsi da quella confusione. " S. Filippo Neri.
Leonora Imperatrice fu trattata sempre dalla Madre aspramente, e senza alcuna dimostrazione d'affetto. Per cose minutissime, che da niun altro erano osservate, ad ogni tratto la riprendeva acremente, e di raro ritenea le mani dalle percosse. E la buona fanciulla le stava avanti in silenzio, con gli occhi bassi, senza mai profferire parola benché minima in sua difesa, e molto meno piangere e querelarsi: anzi più volte dopo sfogata la tempesta, inginocchiavasi a baciarle i piedi, con dimandarle perdono e prometterle d'emendarsi. S. Vincenzo de Paoli non si giustificava mai per le mormorazioni e calunnie, che venivano imposte sì s sé, che alla sua Congregazione, per qualunque travaglio, o danno ne venisse a patire. In fatti essendosi adoperato, perché non si conferisse un Vescovado ad un soggetto stimato da lui immeritevole, questi intentò contra di lui un'enorme calunnia: la quale penetrata alle orecchie della Regina, ella veduto un giorno il Santo, gli disse ridendo, che veniva accusato della tal cosa ; ed egli senza punto turbarsi rispose: Madama, io sono un gran peccatore. E replicando S. M., che dovea giustificare la sua innocenza, soggiunse: ne hanno ben dette delle altre contra Cristo nostro Signore, ed egli non si giustificò mai. Accadde un giorno, che un Signore disse in una pubblica sala, che i Missionarj si eran raffreddati nell'esercizio delle Missioni. Il che saputo il Santo, sebbene potea far apparire il contrario, per essersi in quel medesimo anno, e nel precedente fatte Missioni più del solito ; non volle mai aprir bocca in sua difesa. E ad uno, che l'esortava a farlo con dire, che quel Personaggio, per non essere informato della verità, avrebbe seguitato a sparlare della Congregazione, rispose: Lasciamolo dire ; Io per me non mi giustificherò mai, fuorché colle opere. Accadde un altro giorno, che un Prelato avendo chiamato il Santo ad un'assemblea, alla quale erano molti Personaggi, lo riprese pubblicamente d'una cosa, in cui egli non avea alcuna colpa ; ed esso non rispondendo parola di lamento, o di scusa, postosi subito inginocchione, gli chiese perdono, con ammirazione grande degli astanti, a' quali era nota la sua innocenza. Onde uno di loro di molto pietà e dottrina, finita la Congregazione, e partito il Santo, disse che quegli era un uomo di straordinaria virtù, e d'uno spirito soprannaturale e divino. S. Marina Vergine, vestitasi da uomo, e ritiratasi in un Monastero di Monaci, fu incolpata di aver violata una femmina, e perciò scacciata dal Monastero ; ed ella soffrì quella confusione, senza mai giustificarsi, finché dopo la di lei morte si scoprì la verità con sua somma gloria. La V. M. Serafina non si scusava mai né anche co' Confessori, ancorché la riprendessero a torto: né dichiarava come la cosa era andata, se non le veniva comandato per ubbidienza. Una volta fra le altre che fu ripresa aspramente dal suo Direttore, sebben la cosa impostale non era vera, non rispose altro, se non: avete ragione. Ma poi avendole quegli comandato di dirgli la verità ; uditala, sentì dispiacere d'averla tanto maltrattata a torto.
26. " Più innalza e perfeziona tal volta un'Anima il non iscusarsi, ché dieci prediche. Poiché col non iscusarsi uno comincia ad acquistar libertà, ed a non curarsi, che si dica più bene, che male di lui. Anzi con assuefarsi a non rispondere, arriva a segno tale, che sente parlar di sé, e gli pare, che non si parli di lui, ma come se fosse negozio, che spettasse ad altri. " S. Teresa.
Il P. Alvarez, che fu Confessore di S. Teresa essendo stato incolpato falsamente d'un grave fallo in un'assemblea Provinciale, ed ivi gravemente ripreso in pubblico: egli né in pubblico, né in privato disse mai parola in sua difesa. Però gli rimunerò Iddio quell'eroico silenzio con istraordinarj favori. Fra quei Monaci antichi ve n'era uno nominato Eulogio, molto umile e paziente. Perciò i negligenti e dissoluti imponevano a lui tutti i mancamenti loro: ed egli venendone corretto e ripreso, senza negarli, né scusarsi mai, accettava umilmente le penitenze, che per quelli gli erano date, e le facea con gran pazienza. Onde i Padri più vecchi vedendolo ogni giorno con qualche difetto, si mossero contro di lui, e dissero all'Abate, che ci mettesse rimedio, perché non lo poteano più sopportare. L'Abate prese tempo, e postosi in orazione pregò il Signore a volerlo illuminare, ed insegnargli ciò che si dovesse fare di quel Frate. E Iddio gli rivelò l'innocenza e la gran santità di lui. Del che egli stupito soprammodo, congregò tutt'i Monaci, e disse loro: Credetemi, che io vorrei piuttosto i mancamenti di Eulogio insieme colla sua pazienza ed umiltà, che tutte le buone opere e virtù di tanti altri, che sono mormoratori, e par loro di fare molto bene. Ed acciò veggiamo di quanta virtù è questo nostro compagno, porti quà ognun la stuora, sopra la quale dorme: e venute tutte le stuore, fece accender là un buon fuoco, e gittarvele dentro ; le quali in un subito restarono tutte arse, fuorché quella di Fra Eulogio, che rimase illesa. Allora prostrati a terra, chiesero tutti perdono a Dio, e presero gran concetto di lui ; il quale dolendosi di essere scoperto, la notte seguente se ne fuggì nel deserto, ove non fosse conosciuto ; sapendo egli benissimo, che niuno può essere onorato in questo Mondo e nell'altro.
27. " Ecco uno de' migliori mezzi per acquistar l'Umiltà. Fissarsi bene in mente questa massima ; che tanto uno è, quanto è negli occhi di Dio, e non più. " A. Kemp.
S. Francesco diede principio alla sua santità con mettersi sotto i piedi i rispetti umani: perché avea ben penetrata la verità di questa santa massima, la quale perciò egli andava spesso rivolgendo dentro di sé. In questa sola massima si era parimente ben fondato e stabilito S. Francesco di Sales, il quale perciò molto poco aveva a cuore la sua riputazione, nulla curandosi in qualunque modo gli altri sentissero di lui. Onde parlando una volta con una persona, oh, disse, fosse in piacere a Dio, che la mia innocenza non fosse mai riconosciuta, né anche nel giorno dell'universal Giudizio, ma stesse sempre nascosta ed eternamente celata nel gabinetto segreto dell'eterna Sapienza ! Ed un'altra volta: se la grazia di Dio avesse collocata alcun'opera di giustizia in me, o avesse operato qualche bene per mezzo mio, io mi contenterei, che nel giorno del Giudizio, quando si manifesteranno i segreti dei cuori, altri che Dio solo, non sapesse le mie giustizie, e che le mie ingiustizie all'incontro si vedessero da tutte le creature.
28. " Tutti quelli, che ha voluto arrivare davvero al possesso dell'Umiltà, si son dati a tutto potere all'esercizio delle umiliazioni: perché conobbero, che questa è la via più spedita e più corta. " S. Bern.
Il B. Alessandro Sauli, Vescovo d' Aleria, essendo il Religione uomo dotto e stimato, anche quando era superiore, si occupava volentieri in impieghi bassi: come scopare la casa, lavare i piatti, tirar acqua, portar legna in cucina, lavorar nel giardino, servire a' vecchi ed indisposti, portar some pesanti sulle spalle, tener cura della porta, sanar gl'impieghi, ajutare il Sagrestano, e simili. E quando per cagione di prediche, o di altre opere spirituali veniva qualche giorno impedito da tali esercizj a lui quotidiani, il giorno seguente solea supplire al passato con raddoppiare gli atti. Spiccò molto in questo S. Camillo de Lellis, il quale anche quando era Generale della sua Religione si vedea spesso servire alla mensa in refettorio, lavare i piatti nella cucina, portar la Croce, e talvolta anche il cataletto nel trasporto de' morti, e girar per Roma colle bisacce sulle spalle, cercando il pane, quantunque ne venisse ripreso da' Signori principali, e da' Cardinali suoi parziali, che talora l'incontravano per le strade in questa guisa. La V. M. Serafina si esercitava spesso in varj uffizj vili: tra gli altri fu veduta più volte stropicciarsi il volto con scopa vecchia. S. M. Mad. de' Pazzi praticava volentieri cose, che la rendeano dispregevole: come farsi bendare gli occhi, legar le mani di dietro, calpestare, percuotere, farsi dir parole di sua confusione, e simili. Di S. Policronio si legge, che portava un abito vile, usava un cibo vile, e molto scarso, e passava quasi tutta la notte in orazione con un tronco di quercia su le spalle tanto grave, che Teodoreto, scrittore della vita di lui, attesta di averlo veduto, e ch'essendovisi provato, appena poteva alzarlo da terra con tutte e due le mani. S. Rosa di Lima oltre dell'occuparsi giornalmente come una serva negli ufizj più vili, per maggiormente avvilirsi inventò una maniera strana ; e fu, che avendo in casa per serva una donna di condizione rozza ed indiscreta al sommo, con industrie e con preghiere l'indusse a strapazzarla con parole e con fatti. Ritiravasi con essa in qualche parte segreta della casa, e gettatosi per terra, si facea da lei sputar in faccia, calpestar co' piedi, e percuoter co' pugni, co' calci, e con battiture, come si sarebbe fatto con un giumento ; né si alzava da terra finché non avesse ottenuto quanto bramava. S. Giovanni Climaco racconta d'un monaco molto amante dell'Umiltà, il quale per superare i molti pensieri di vanità che il Demonio gli metteva in capo, trovò questa industria. Scrisse nel muro della sua Cella queste memorabili parole. Carità perfetta. Orazione altissima. Mortificazione totale. Dolcezza inalterabile. Pazienza invitta. Castità angelica. Umiltà profondissima. Confidenza filiale. Diligenza squisita. Rassegnazione somma. Quando poi il Demonio veniva a tentarlo di vanità, egli rispondeva tra se: andiamo alla prova di questo, ed accostatosi al muro, leggea tutti quei titoli: Carità perfetta. Carità si, ma come pefetta, se parlo male degli altri ? Umiltà profondissima. Questa io non l'ho, mi contenterei di profonda. Castità angelica. Come tale in me, che do luogo ai pensieri immodesti ? Orazione altissima. No, che mi distraggo in altre cose. Mortificazione totale. No, che vado dietro alle mie soddisfazioni. Dolcezza inalterabile. No, che per ogni minimo incontro vado fuor di me. E così in tutti gli altri. E con questo facea presto sparire il pensiero di vanità.
29. " L'Umiltà per esser vera dee andar sempre accompagnata colla carità: cioè amando, cercando, ed accettando le umiliazioni, per piacere a Dio, e per somigliarsi a Gesù Cristo, altrimenti sarebbe un praticarla all'uso de' Gentili. " S. Franc. di Sales.
S. Vincenzo de' Paoli, non si può dire, che non avesse la vera umiltà. Poiché se tanto facea per nascondersi, abbassarsi, umiliarsi, e rendersi dispregevole quando potea negli occhi del Mondo, non lasciando passare occasione alcuna di sua umiliazione, che non l'accettasse volentieri e con tutta allegrezza: tutto ciò facea, perché tale appunto era il sentimento interno che avea di sé e del suo niente: e per operare ed imitare le umiliazioni del Figliuolo di Dio, il quale, come egli disse un giorno in una conferenza, essendo lo splendore della gloria di suo Padre, e la figura della di lui sostanza, non contento di aver menata una vita, che si potea dire una umiliazione continua ha di più voluto anche dopo la sua morte restarsi continuamente avanti gli occhi in uno stato d'estrema ignomia, qual'è la figura del Crocifisso. Quindi è, che l'Umiltà del servo di Dio era di cuore, e così sincera, che se gli leggeva in fronte, negli occhi, ed in tutto il suo portamento esteriore. Di S. Paolo riferisce S. Girolamo, come sentendo che alcuno avea detto, esser ella impazzita per troppo favore dello spirito, e che sarebbe stato bene farle un buco nel capo, per dar aria al cervello ; essa modestamente rispose con quel detto dell'Apostolo: Non stulti propter Christum, soggiungendo, che l'istesso era avvenuto a Gesù Cristo, che i suoi persecutori cercarono di legar come matto. Dice ancora il medesimo Santo, che avendo ella ricevute più volte villanie, ingiurie, e contumelie, non si lasciò mai scappar di bocca una minima parola di risentimento: ma soleva in quei casi ripeter tra sé quelle parole del Salmo: Ego autem quasi surdus non audiebam, et quasi mutus non aperiens os suum.
MARZO
MORTIFICAZIONE
Qui vult venire post me, abneget semetipsum. Matth. 26.24.
1. " Il primo passo, che ha da fare chi vuole seguir Cristo, secondo il detto di lui medesimo, è quello di rinunziare a sé stesso ; cioè ai proprj sensi, alle proprie passioni, alla propria volontà, al proprio giudizio, ed a tutti i movimenti della natura ; facendo a Dio un sagrifizio di tutte queste cose e di tutti gli atti loro ; che sono certamente sagrifizj molto accetti al Signore. E non bisogna mai stancarsi in questo ; perché se uno avendo per così dire, già un piede nel Cielo, venisse a tralasciar questo esercizio, in quel tempo che ci vorrebbe per mettervi l'altro piede sarebbe in pericolo di perdersi. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo si rese così eccellente in questa virtù, che si può dire, essere ella stata l'arma più universalmente e più costantemente maneggiata in tutta la sua vita sin all'ultimo respiro: con che giunse ad avere un assoluto dominio sopra tutti i movimenti della sua parte inferiore. Ond'è che tenea così ben soggette le sue proprie passioni alla ragione che appena si conoscea, che le avesse. S. Gio. Climaco riferisce, che quegli antichi Padri esercitavano in molte sorte di mortificazioni e dispregi quegli ancora ch'eran molto perfetti: dicendo, che se questi, per essere in opinione di uomini già consumati nelle virtù si lascian di provare, vengon col tempo a scapitare e perdere di quella modestia e pazienza, che avevano: a guisa della terra, che quantunque sia grassa e fruttifera, se viene a mancarne la coltura, diventa selvatica e sterile, e giunge a produrre cardi e spine.
2. "La misura del nostro avanzamento nella vita spirituale si dee prender dal profitto, che facciamo nella virtù della Mortificazione: dovendosi tener per certo, che quando più ci faremo forza in mortificarci, tanto più andrem avanti nella perfezione. " S. Girol.
S. Francesco Borgia quando sentiva dire, che alcuno era Santo, solea rispondere: Sarà tale, se sarà mortificato. Per questo poi egli riuscì tanto Santo perché si esercitò nella Mortificazione, e di tal maniera, che quel solo giorno gli riusciva il più amaro, nel quale non avesse fatta qualche Mortificazione o di corpo o di Spirito. Dimandando un Monaco giovane ad un Santo vecchio, perché tra tanti, che attendono alla perfezione, si trovan sì pochi perfetti. Perché rispose quegli, per esser perfetto, è necessario morire affatto nelle proprie inclinazioni, e pochi sono, che arrivano a questo.
3. " Questo dee essere il nostro principale affare, vincer noi stessi, e di giorno in giorno andar crescendo in fortezza e perfezione. Sopra tutto però bisogna, che ci studiamo di vincere le nostre piccole tentazioni, collere, sospetti, gelosie, invidie, doppiezze, vanità, attaccamenti, pensieri cattivi, e simili. Poiché in questa maniera acquisteremo forza per vincer ancor le grandi. " S. Franc. di Sales.
Un certo Fisionomista nel mirar Socrate lo dichiarò per uomo inclinato alla disonestà, alla ghiottoneria, ubbriachezza, ed a molti altri vizj. Di che sdegnati i di lui discepoli, voleano metter le mani addosso a costui. Ma Socrate, piano, disse: perché costui ha detto il vero ; e tale appunto io sarei stato, se non mi fossi dato alla Mortificazione. Richiesto un Monaco vecchio come potesse sopportare gli schiamazzi di certi pastorelli, che gli stavan vicini: io, a dirvela, rispose, ebbi in animo di dir loro qualche cosa ; ma poi pensando meglio dissi tra me: se non posso soffrir questo poco, come potrò soffrire travagli maggiori, quando mi vengono ? Lo stesso facea nelle occasioni S.Francesco Saverio, dicendo, che non bisogna ingannarci ; perché chi non vince nelle cose piccole, non lo potrà fare nelle grandi.
4. " Chi si lascia regolare e dominare dalla parte inferiore, ed animalesca, merita di esser chiamato piuttosto bestia, che uomo. " S. Vincenzo de Paoli.
Filippo Conte di Namour dopo aver menata una pessima vita ebbe in morte una stupenda contrizione: tanto che pregò il Confessore, che facesse portare il suo corpo nella pubblica piazza, ed ivi lasciarlo, soggiungendo: Son vivuto come un cane, e come un cane è dovere, che io muoja.
5. " Chi fa poco conto delle mortificazioni esteriori, con dire, che le interiori son più perfette, chiaramente dimostra, che non è niente mortificato, né esteriormente, né interiormente. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo fu sempre nemico del suo corpo, e lo trattò con molta austerità, straziandolo con cilizj, catenelle, e cinture di cuojo armate di punte. Ogni mattina nell'alzarsi faceva un'asprissima disciplina, la quale avea cominciata prima di fondar la Congregazione, e non la tralasciava mai né per asprezza di viaggi, né essendo convalescente di qualche infermità ; ed in oltre ne facea di più altre straordinarie per li diversi bisogni, che occorreano. Per tutta la sua vita dormì sempre sopra un semplice pagliariccio, e si alzava sempre all'ora ordinaria della Comunità, benché per lo più si coricasse l'ultimo di tutti, e spesso non potesse per causa delle sue infermità dormire la notte che appena due ore. Onde accadea frequentemente, che il giorno era tormentato gravemente dal sonno, che egli discacciava con stare in piedi, o in altra positura incomoda, o facendosi altre violenze. Pativa poi volontariamente gran freddo nell'Inverno, e gran calori nell'Estate con altri incomodi ; finalmente abbracciava, anzi cercava tutt'i patimenti, che poteva avere, e stato molto attento a non lasciarsi fuggir di mano veruna occasione di mortificarsi. Una santa Donna venendo costretta dal marito d'andar al ballo, si ponea nelle scarpe granelli di ceci ; onde nel saltare veniva a sentire dolori tali, che alle volte svenne, e dovette essere portata dalle donzelle in braccio. S. Edmondo Arcivescovo Cantueriense portò per trenta anni continui una fascia di cilizio alle carni, dormì sempre in terra, senza cuscino, e senza coperta. S. Luigi Re affliggeva continuamente il suo corpo con cilizj, e digiuni, come pure S. Casimiro figlio del Re di Polonia, il quale dormiva di più sulla nuda terra. S. Margherita Regina di Scozia si macerava spesso con discipline: come anche S. Gaetano, che le durava le notti intere. Finalmente non si è trovato alcun Santo, né Santa alcuna tra i Confessori, che non abbia avuto un grande affetto alle mortificazioni esteriori, e non le abbia praticate a tutto suo potere.
6. " La Mortificazione della gola è l' A B C della vita spirituale. Chi non si sa frenare in questo vizio, difficilmente potrà vincere gli altri più malagevoli a superarsi. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo avea colla lunga assuefazione mortificato talmente il gusto, che mai non dava segno di gradir cosa veruna ; ma pigliava indifferentemente tutto quello che se gli dava, per molto insipido e mal acconcio che fosse, e sì poco avvertiva a quel che mangiava, ch'essendogli una volta stato presentato un pajo di uova crude per inavvertenza, le mangiò senza far minima dimostrazione. Parea sempre, che andasse a tavola con dispiacenza, non andandovi mai, che per soddisfare alla necessità, e mangiando sempre con la mira a Dio, e con gran modestia ; né si partiva mai da tavola senza essersi mortificato in qualche cosa, o nella qualità, o nella quantità. Anzi per più anni si servì di una polvere molto amara, per mischiarla colle vivande ; e mangiava per ordinario sì poco, che perciò alle volte gli venivano degli svenimenti. Spiccò molto in questo l'Imperatrice Leonora. Il suo pranzo ordinario era d'erbaggi, legumi d'altri cibi del volgo, e sempre i medesimi, e dello stesso numero ; cioè quattro vivande al pranzo, e tre alla cena, sbandendone ancora alcuna frequentemente, per questo solo che le piacevano. E perché quegli stessi piatti venivano in tavola incoronati di pasticcetti, e d'altre delizie signorili, tali cose ritornavano sempre indietro sane ed intatte. E quando sedeva a mensa coll'Imperatore o ne' conviti solenni, passava tutto il tempo in trinciare ed in ridurre in minuzzoli ciò che le veniva posto innanzi, finché sopravvenendo altra vivanda, mandava indietro la prima senza toccarla, e così di mano in mano. Mangiando la mela cotta sotto la cenere non toglieane mai la scorza, ma le masticava insieme con la stessa cenere. Passava i venerdì con solo pane ed acqua in memoria della passione del Redentore. Tollerava la sete ardentissima ne' giorni più caldi della state, senza concedere alle labbra arse neppure un piccol sorso d'acqua. S. Elisabetta Regina del Portogallo digiunava quasi la metà dell'anno in pane e acqua. S. Francesco Saverio aveva intimato alla sua gola una guerra continua e perpetua. Quindi è, che non prendea mai né cibo, né bevanda per diletto, ma per pura necessità, né mai a sazietà, sicché neppur si saziava di pane. S. Edmondo Cantuariense non mangiva né carne, né pesci, ma solo pane, ed altri cibi vili ; e pativa tanto la sete, che si gli rompeano le labbra. Il B. Errico Susone una volta si astenne dal bere per sei mesi continui ; e per sentire la sete maggiormente, mangiava alle volte cose molto salate, e poi se n'andava al fiume, ed accostava le labbra sopra l'acqua, ma non la toccava. La B. Giovanna di S. Damiano fu tanto austera nel vitto, ch'era pregata dalle altre Monache a moderarsi, ed ella rispondea: Mi dispiace di non poter cibare di paglia questo mio corpo: Io so quanto la libertà gli sia nociva, e ringrazio Iddio, che mi dà questo conoscimento. S. M. Maddalena de' Pazzi essendo gravemente inferma, sommamente indebolita, e con gran nausea di stomaco, quando le veniva in pensiero, se le sarebbe piaciuto alcun cibo, o altra cosa, stimava delitto il chiederla, o dichiararsene desiderosa, e se n'astenea. Il B. Jacopone avendo un giorno brama della carne, ne comprò un pezzo ; ed appesolo nella sua stanza, ve lo lasciò tanto, che inverminì, e puzzava ; allora poi lo fè cuocere, e con indicibile nausea se lo mangiò. S. Anselmo era giunto col continuo e lungo uso dell'astinenza e mortificazione a non sentir più verun sapore ne' cibi. Così pure S. Bernardo, il quale perciò bevè un giorno dell'olio in vece di vino senza punto accorgersene, ed arrivò a tanto, che quando andava a tavola, gli sembrava di andare al tormento. E questa difficoltà di mangiare disse S. Teresa d'averla provata essa ancora simile a quella di S. Bernardo. S. Isidoro pure la provò sì eccessiva, che non poteva andar a mangiare senza pianto: tantoché per indurvelo, vi bisognava il comando del Superiore.
7. " Una delle cose, che ci tiene lontani dalla perfezione, è senza dubbio la nostra lingua. Poiché quando uno è giunto a non far più difetti nel parlare, per testimonio dello stesso Spirito Santo è sicuramente perfetto. E perché il peggior modo di parlare è il parlar troppo ; perciò il vostro parlare sia poco e buono, poco e dolce, poco e semplice, poco e caritativo, ed amabile. " S. Francesco di Sales.
S. Ignazio Loyola moderava così bene la sua lingua, che il suo parlare era semplice, grave ; considerato, e poco. Il V. Bercmans era di poche parole, e tanto considerato nel parlare, che dalla sua bocca non si udì mai una parola oziosa, o contraria alle regole, e che non fosse o necessaria, o utile, o indirizzata a qualche fine onesto. Onde interrogato una volta da un suo condiscepolo, come facesse a non errar mai nel parlare, rispose così: Io non dico mai cosa, che non l'abbia prima pensata, o raccomandata a Dio, per non dir niente, che possa dispiacergli. Anzi non fu mai veduto rompere il silenzio ; e dimandato come si potesse osservare perfettamente questa regola: Io, disse, fo in questo modo, saluto umilmente chi incontro: se alcuno mi richiede qualche cosa, mi mostro prontissimo: se m'interroga, odo ciò che mi dice, e rispondo con poche parole ; e sfuggo di dire anche una parola superflua. S. Vincenzo de' Paoli si rendé talmente padrone della sua lingua, che molto di rado si sentivano uscir dalla bocca sua parole inutili o superflue, né giammai alcuna contraria alla carità, o che avesse sentore di ostentazione, di vanità, d'adulazione, e che fosse inconsiderata. Gli accadde molte volte, che aprendo la bocca per dir qualche cosa di straordinario che allora gli veniva alla mente, si fermava in un subito, soffocando la parola, come raccogliendosi in sé stesso, e considerando avanti a Dio, se era espediente il dirlo ; e poi continuava a parlare, non secondo l'inclinazione, che ne poteva avere, ma secondo che conosceva esser di maggior gusto di Dio. Quando udiva raccontar qualche cosa, che egli già sapea, l'ascoltava con attenzione senza dar segno di saperla: per mortificare l'amor proprio, che sempre vuol dare ad intendere di non ignorare ciò che altri sanno. Quando gli venivano fatti oltraggi, o rimproveri, ovvero danni, non apriva mai bocca per lamentarsi, per giustificarsi, o per ribattere l'ingiuria ricevuta ; ma si raccoglieva in se stesso, e mettea tutta la sua forza nel silenzio e nella pazienza, benedicendo in cuor suo gli oltraggiatori, e pregando per loro. Quando si vedea sopraffatto dalle soverchie occupazioni, non si lamentava ; ma le sue ordinarie parole erano: benedetto sia Dio ; bisogna pigliar in bene tutto ciò ch'ei si degna mandarci. S. Luigi Gonzaga nell'andare alla conversazione dicea con fervore quella orazione: Pone, Domine, custodiam ori meo, etc.. Una certa Vergine una volta osservò perpetuo silenzio dalla festività della Croce di Settembre sino a Natale con tal rigore, che in tutto quel tempo non disse una parola. Il che fu a Dio tanto grato, che, come fu rivelato ad un'Anima santa, con quella Mortificazione aveva ottenuto di non dover passare nel Purgatorio. Fra i belli elogj, che diede S. Girolamo alla sua discepola S. Paola, uno fu questo, che quando era facile nell'ascoltare, altrettanto era ritenuta nel parlare.
8. " E' comune dottrina de' Santi, che uno de' principali mezzi per menare una vita buona ed esemplare, è certamente la modestia e custodia degli occhi. Imperciocché come non vi è cosa tanto atta per conservar la divozione in un'Anima, e per edificare e compungere i prossimi, quanto la modestia ; così non vi è cosa che tanto esponga la persona al rilassamento, ed agli scandali. " Rodrig.
Racconta il Surio nella vita di S. Bernardo, ch'essendo andato Papa Innocenzo II, accompagnato da' Cardinali a visitare il monastero di Chiaravalle, il Santo con tutti i suoi Monaci gli uscirono incontro a riceverlo, ma con tanta modestia e compostezza di corpo, che commosse a compunzione il medesimo Papa ; ed i Cardinali stupiti grandemente in vedere, che in una festa, ed in un'occasione d'allegrezza tanto solenne e tanto nuova tutti tenessero gli occhi bassi e inchiodati in terra senza girarli ad alcuna banda ; e che tenendo tutti gli occhi posti in loro, essi non guardassero mai alcuno. Dell'istesso S. Bernardo poi dico di vantaggio, esser egli stato tanto addetto alla custodia dei suoi occhi, che dopo un anno del suo noviziato ancor non sapea come fosse fatto il solaio della sua cella, se a volta, o di legname ; che erano nella Chiesa tre finestre, ed egli credé sempre, che ve ne fosse una sola: e che avendo camminato un giorno co' suoi compagni sulla riva d'un lago, non se n'era accorto: tanto che parlando essi la sera di quel lago, egli che non se n'era accorto, domandò loro dove l'avessero veduto. Si narra di S. Bernardino da Siena, che era tale la sua modestia, che la sola sua presenza facea stare i suoi compagni composti, tanto che bastava solamente dire: Viene Bernardino ; poiché subitamente tutti si componessero. E di S. Luciano martire racconta nella di lui vita il Surio, che i Gentili per la sua gran compostezza e modestia al solo vederlo si convertivano, e si facevano Cristiani. La B. Chiara di Montefalco quando parlava con alcuno, stava sempre con gli occhi senza mirarlo mai in faccia. E richiesta da un Monaco della cagione di ciò, rispose, essendo che parliamo solamente colla lingua, a che serve mirar il volto della persona, colla quale si parla ? Il V. Bercmans fu ammirabile nella mortificazione degli occhi, i quali non movea mai, volgendosi a mirar le cose anche negli accidenti nuovi ed improvvisi, benché sia cosa molto naturale, quando si sente romore, volgersi verso quella parte. Essendo un giorno intervenuto ad una recita, che si facea, si pose ad una panca a sedere, e stette sempre immobile senza alzar mai gli occhi, e con tanta compostezza, che un Signore, che gli sedeva accanto, stupito di ciò, disse: Bisogna che questo Padre sia un Santo. Quelli poi, che per mancanza della custodia degli occhi son divenuti rilassati e scandalosi, sono innumerabili. Basta per tutti l'esempio di Davide, il quale per un solo sguardo dato per curiosità, di un gran santo ch'era, divenne in poco tempo un gran peccatore, e lo scandalo di tutto il suo Regno.
9. " Credetemi, che la mortificazione de' sensi nel vedere, udire, e parlare, vale assai più, che il portare la catenella, ed il cilizio. " S. Francesco di Sales.
Si sa di S. Cat. da Siena, che mentre i suoi celebravano il carnevale in casa, essa non volle assistervi: protestandosi, che come non avea altro amore, così non voleva altro gusto, che quello del suo Gesù ; il quale le comparve in compagnia della Vergine e di altri santi, e la sposò con tanta chiarezza e certezza, che i Domenicani con speciale indulto Apostolico ne celebrano la Festa l'ultimo giorno di carnevale. Una penitente di S. Francesco Saverio molto spirituale, si confessò una volta d'aver mirato un uomo con alquanto più di tenerezza, che non si conveniva all'onestà ; ed il Santo le disse in fine: voi siete indegna, che Dio vi miri, giacché per mirar un uomo, non vi curate di mettervi a rischio di perder Iddio. E tanto bastò, perché questa non volgesse mai più gli occhi in vita sua verso alcun uomo. L'Imperadrice Leonora tenea quasi sempre gli occhi bassi, e soltanto gli alzava, quando dalle Religiose e da' Religiosi era raccolta nelle loro case ; rendendo distintamente loro il saluto con viso allegro, e con benigno sorriso. Assistendo al teatro, a cui doveva intervenire, era ben di rado, che desse un'occhiata alle splendide comparse de' personaggi, ed alle superbe scene, che andavan succedendosi con vedute di giardini, di foreste, e di regie prospettive. In quel tempo se ne stava ella con la mente in Cielo, contemplando le delizie del Paradiso, e recitando Salmi ; i quali, perché gli altri non se ne avvedessero, li fece legare in un libro delle commedie: tanto che nel tempo stesso sembrava loro tutta attenta alla commedia, mentre intanto di tutt'altri spettacoli ella godeva. S. Vincenzo de' Paoli praticava continuamente la Mortificazione de' sensi, privandoli delle soddisfazioni anche lecite, ed affliggendosi spesso con patimenti volontarj. Quando viaggiava, invece di svagar la vista per le campagne, teneva ordinariamente gli occhi fissi in un Crocifisso. Quando camminava per Città, andava cogli occhi bassi, o chiusi, per non vedere altro che Dio. Entrando in palazzi de' Principi, non guardava gli arazzi, o altre curiosità, ma stava colla vista bassa, e tutto raccolto in se stesso. E l'istesso praticava nelle Chiese, non alzando gli occhi, che per vedere il Sacramento, e non mai per vedere gli apparati, per belli che fossero. Non fu mai veduto coglier fiori per li giardini, o altre cose soavi all'odorato: per lo contrario gustava grandemente di stare in luoghi di mal odore, come negli spedali e nelle case degl'infermi poveri. La sua lingua poi non la impiegava mai in altro, che in lodar la virtù e Dio ; in combattere il vizio ; ed istruire, consolare, ed edificare il prossimo. Le orecchie non le apriva, se non a discorsi, che tendessero al bene ; sentendo pena in udir nuove, curiosità del secolo, sfuggendo a tutto suo potere d'ascoltare tutto ciò che potea dilettar l'udito, e non era di profitto per l'anima sua. Dimandando un penitente alquanto sboccato un cilizio al suo Direttore per mortificare la carne ; questi accostandosi il dito alla bocca: Figlio, gli disse, questo è un ottimo cilizio, guardar bene a tutto quel che esce da questa porta. S. Luigi Gonzaga fu ammirabile nella Mortificazione degli occhi: poiché nella di lui vita si narra, che non fissò mai lo sguardo nel volto d'alcuna donna: di modo che avendo servito per due anni da paggio all'Imperadrice, ed essendosi sparsa voce, ch'ella veniva in Italia, ov'egli allora trovavasi, alcuni si congratularono seco, perché avrebbe riveduta la sua Padrona ; a' quali rispose egli: io non la potrò conoscere fuorché alla voce: perché nel volto non so come sia fatta. Però una sì rara mortificazione gli fu da Dio ben pagata anche di quà: poiché in tutta la vita sua non ebbe mai tentazioni sensuali.
10. " Vi sono alcuni così inclinati a mortificarsi, che procurano di trovare in ogni cosa qualche mortificazione. Che bell'esercizio è questo ; e di quanto profitto ! " Rodrig.
Suora Giovanna Maria della Trinità Carmelitana Scalza avea questa bella pratica di cercare e trovare in ogni cosa da mortificarsi. Perciò si appigliava sempre in tutto al più insipido, quanto al gusto ; al più povero, quanto alle vesti ed alla stanza ; al più faticoso, quanto all'operare ; al più disgustevole, quanto alle inclinazioni. In una parola eleggeva sempre il più scomodo ed il più gravoso per sé, cercando unicamente in tutto, il gusto, l'onore e la gloria di Dio. S. Francesco Borgia ancora avea molto in uso la medesima pratica. Portava delle pietruzze nelle scarpe ; dormiva poco la notte, camminando d'estate al sole andava lentamente, sorbiva adagio le medicine, e stritolava co' denti le pillole, e le tenea molto in bocca.
11. " Dal mortificare l'interiore dipende l'andar bene aggiustato tutto l'esteriore, e l'opere si fanno con più perfezione, e con più soavità, e quiete. " S. Teresa.
S. Filippo Neri, quando alcuno gli domandava che dovea fare per farsi Santo, si mettea la mano sulla fronte, dicendo: Dammi queste quattro dita, e ti fo Santo: volendo dire, che tutta la santità dipende dal negar la propria volontà ed il proprio giudizio. E ad un penitente, che gli chiedea spesso licenza di far discipline, una volta gli rispose: Che colpa ci hanno le spalle, se la testa è dura.
12. " Il profitto non dipende tanto dal mortificarsi, quanto dal sapersi mortificare: cioè dal sapere scegliere le mortificazioni migliori, che sono quelle, che più ripugnano alle nostre naturali inclinazioni. Alcuni saranno inclinati alle discipline ed a' digiuni ; e benché sian cose ardue, l'abbracciano con fervore, e le praticano allegramente e facilmente, per cagion di quella propensione, che vi hanno. Ma poi saranno tanto delicati in materia di riputazione e d'onore, che la menoma burla, maldicenza, o disattenzione, che loro si usi, è capace di metterli in impazienza, in iscompiglio, ed in lamenti tali, da far loro perdere la quiete e la ragione. Queste sono le mortificazioni che dovrebbero abbracciare con maggior ansia, se voglion far profitto. " Sales.
Avea ben intesa questa dottrina il V. Mons di Palafox, il quale dicea di se stesso: la causa del non aver io fatto progresso nella virtù è stata il non aver procurato attentissimamente di fuggire da tutto quello ch'era più conforme alle mie inclinazioni. Perché chi conosce in se alcuna propensione, v. g. al contraddire, al prevalere, al proprio giudizio, se non sta attentissimo per combatterla, e per tenersi lontano da tutto ciò che può a questa tirarlo e soggettarlo, non solo non andrà avanti, ma indietro, e forse andrà tanto indietro, che giungerà a perdersi. Un Religioso Sacerdote venendo eletto per aiutante del cuoco, v'intese delle gravissime ripugnanze e tentazioni ; e per vincersi fece voto innanzi ad un Crocifisso di stare in tal ofizio per tutta la vita, se si contentassero i Superiori. Ei con queste e simili vittorie crebbe in tanta perfezione, che dicea, parergli, che non si sarebbe più presentato verun esercizio quanto si voglia ripugnante a' sensi, che con l'ajuto di Dio non l'avesse fatto con ogni facilità.
13. " Le mortificazioni, che ci vengono per parte di Dio, e degli uomini per sua permissione, sono sempre più preziose di quelle, che son figlie della nostra volontà: dovendosi tener per regola generale, che quanto meno interviene di nostro gusto, e di nostra elezione nelle nostre azioni, altrettanto si trova in esse di bontà, di solidità, di divozione, di godimento di Dio, e di nostro profitto. " Sales.
Adolfo Conte d'Alsazia, fattosi Religioso di S. Francesco, mentre andava limosinando del latte, incontrossi ne' suoi figlioli, e se ne arrossì. Ma poi rientrando subito in se stesso, si voltò sul capo il vaso del latte, dicendo: Tu infelice ti sei vergognato della povertà di Gesù Cristo, fa ora vedere cosa portavi: e da allora in poi non patì più veruna di simili tentazioni. Si racconta nelle vite de' PP. che esaltando alcuni molto la virtù d'un certo Monaco giovane appresso un vecchio solitario, questi, per farne la prova, portossi alla di lui Cella, ed entrato nell'Orto, che trovò ben coltivato ed in molto buon ordine, si mise come per giuoco, a troncar col suo bastone tutte quell'erbe e piante, che vi erano, non lasciandone intatta, fuorché una: indi secondo il costume dei Monaci, prese a recitar con lui de' Salmi i quali terminati, il giovane con volto ilare e modesto richiese al vecchio, se gli piacea, che gli apparecchiasse per la refezione quell'erba, che ci era restata. Attonito il vecchio a tal domanda, gli corse colle mani al collo, dicendo: ora veggo, figlio mio, che tu sei veramente morto alle inclinazioni, come mi era stato riferito.
14. " Quando più uno mortifica le proprie inclinazioni naturali, tanto più si rende capace delle divine ispirazioni, e si approfitta nelle virtù. " Sales.
Il celebre P. Lainez compagno di S. Ignazio per via di questo esercizio arrivò ad una gran purità di mente, e ad una tranquillità d'animo imperturbabile. Questo era l'esercizio, che più usava S. Filippo Neri co' suoi penitenti, e nel tempo stesso con se medesimo: e basti per molti un sol esempio. Un Signore di qualità avea un cane a lui molto caro, chiamato capriccio, che un suo gentiluomo una mattina menò seco a S. Girolamo della Carità, ove abitava il Santo: il quale nel vederlo gli fece carezze. Or tanto bastò, che il cane tanto se gli affezionasse, che in conto alcuno non volle più lasciarlo. Anzi quantunque egli più e più volte lo rimandasse al padrone, e questi lo facesse legare, e ben trattare, appena sciolto subito se ne ritornava alla stanza del Santo ; sicché fu colui costretto a lasciarglielo per sempre. Di questi si servì poi il Santo molto bene per mortificare e se, e molti suoi figli spirituali. Lo facea da essi alle volte lavare, e pettinare, altre volte portare in braccio, ed altre menar dietro per Roma legato con una catenella, andando ancor esso in loro compagnia. E queste, ed altre simili mortificazioni durarono per lo spazio di quindici giorni.
15. " La maggior parte de' Cristiani fanno per ordinario delle incisioni in vece di circoncisioni. Daranno bene un colpo sopra una parte inferma ; ma ad adoprare il coltello della circoncisione, per toglier via dal cuore quanto ci è di superfluo, pochi vi arrivano. " Sales.
Conferma bene questa verità l'esempio della V. Suor Francesca Farnese. Cominciò ella dopo fatta la professione a darsi al rilassamento, nel quale andò tanto innanzi, che mettea tutto il suo studio in adornarsi vanamente ; in amoreggiare, in istarsene tutto il giorno alle grate, e fin a coprir le mura della sua cella con drappi e specchi. Fu più volte avvisata, corretta, ed aspramente ripresa dalla Superiora, da' Confessori, e sopra tutto da una sua zia Monaca. Sentiva ella e capiva la forza delle ammonizioni e correzioni, e più volte concepì de' buoni propositi, e li metteva anche in pratica con togliersi di dosso i vani ornamenti, con abbandonar le grate, e con romper e buttar dalle finestre gli specchi e drappi: ma poco dopo tornava a ripigliar tutto, e a divenir come prima, e durò molto tempo in queste miserabili vicende, perché fondate non più che in semplici incisioni, e così avrebbe continuato per tutta la vita sua. Ma la sua buona sorte fu, che la divina bontà si compiacque di scuoterla bene per mezzo d'una forte inspirazione ; a vista della quale non potendo ella più resistere a' rimproveri della propria coscienza, venne a fare una vera circoncisione, non solo lasciando ogni vano trattenimento, ma formandosi di più una regola più rigorosa, e sì ben ordinata, che la rese fondatrice di un nuovo ordine, nel quale menò il restante di sua vita con grand'esemplarità, e morì in gran concetto di santità, bastantemente comprovata dal di lei sacro corpo, che dopo molti anni ancor si conserva incorrotto. Non fece già così S. Paola, la quale, come riferisce S. Girolamo, fin da' suoi primi anni prese ad adoprar sopra di se una vera circoncisione, e col crescer dell'età andò sempre più caricando la mano, tagliando e recidendo di mano in mano quanto vedea spuntar in se di superfluo, e di eccedente la convenienza del suo stato: quindi finché visse il marito menò una vita sì ben regolata e morigerata, che era di esempio a tutte le matrone di Roma, e niuno ebbe mai ardire d'incolparla di minimo trascorso. Quando poi le fu tolto da Dio il marito, vedendosi liberata dalle leggi del secolo, intraprese una vita austerissima, e non l'intermise mai finché visse. Mai più dormì sui materassi, ma su la nuda terra ricoperta di soli cilizj: dormiva però poco, perché passava quasi tutta la notte in orazione e lagrime: castigava il suo corpo con rigorosi digiuni ed asprissime discipline, e senza pietà e risparmio: nel confessarsi de' suoi leggerissimi mancamenti era tanta la copia delle lagrime, che versava, che chi non l'avesse conosciuta, l'avrebbe creduta rea di gravissime enormità ; ed essendo pregata a non pianger tanto per conservarsi la vista per la lezione, ed a non praticar tante austerità e penitenze per non perdere in tutto la sanità, no, rispondea, con tutta la ragione si dee scontraffar questo volto, che tante volte adornai co' belletti contra il precetto del Signore: si dee ben affliggere questo corpo, che si ha goduto tante delizie: il lungo riso si dee compensar con un continuo pianto: le veste preziose e delicate si debbono mutare in aspri cilizj ; ed io, che posi tanto studio in piacere al secolo, ora desidero di piacere a Dio. Così ella diceva e facea, per iscontare i disordini della sua vita passata, che pure era stata una vita tanto circospetta e pudica.
16. " Chi vuol far progresso nella perfezione dee usare una particolare diligenza per non lasciarsi trasportar dalle proprie passioni, le quali con una mano distruggono l'edifizio spirituale, che si edifica con l'altra. Ma per riuscirvi con frutto, il resistere ad esse si dee intraprendere quando sono ancora tenere ; perchè dopo che son cresciute e ben radicate, non vi è quasi più rimedio. " S. Vinc. de Paoli.
Riferisce S. Doroteo d'un vecchio monaco, il quale trovandosi un giorno col suo discepolo in una selva di cipressi, gli comandò di svellerne alcuni additandogliene prima uno, che appena cominciava a spuntar da terra, e dopo uno, che avea cominciato a gettar le radici, poi un altro, ch'era già cresciuto in un piccolo arboscello, ed in fine uno, ch'era già albero fatto. Si pose adunque il discepolo all'opera, e svelse il primo con una mano, e con tutta facilità ; il secondo con l'istessa mano, ma con qualche difficoltà: per isvellere il terzo gli convenne impiegarvi tutte e due le mani, e tutte le sue forze più volte: venuto poi al quarto, qui incontrò tutta la difficoltà, e per quanto vi si provasse e riprovasse più e più volte con tutto il corpo, e con tutte l'industrie, e sforzi che mai sapeva e poteva, non gli poté riuscire in alcun conto di neppur ismoverlo dal terreno. Allora il santo vecchio: or figlio mio, disse, così appunto succede circa le nostre passioni. Quando sono anche piccole, con un po' di vigilanza e di mortificazione uno facilmente le può reprimere e debellare ; ma se lasciamo che gettino le radici nell'Anima nostra, non v'è più forza umana, che basti a vincerle, vi vuole l'onnipotente mano di Dio. E però, figlio mio, se vuoi acquistar la virtù, invigila su i primi mali dell'Anima tua, e studiati di reprimerli prontamente con atti contrarj sul primo suo nascere. E qui sta il tutto.
17. " E' grandemente da pianger l'ignoranza di alcuni, che si caricano d'indiscrete penitenze, e di molti altri disordinati esercizj di propria volontà, ponendo in essi tutta la confidenza, e credendo di divenir Santi per mezzo di essi. Se ponessero la metà di quel travaglio in mortificare gli appetiti e le passioni loro, profitterebbero più con questo in un mese, che in molti anni con tutti gli esercizj. " S. Gio. della Croce.
Di S. Ignazio si legge, che a forza d'una continua mortificazione era giunto a tal segno, che parea un uomo senza passioni ; e se talvolta gli occorreva adoprarle, comparivano come tante serve modeste, che non ardivano moversi né prima, né più di quello che la ragione come assoluta padrona gliene dava l'ordine. Una Dama Genovese, per aver vinto il desiderio, che avea di ascoltare il trattato, che si facea da suo Padre per il suo sposalizio, lasciò il Mondo, e si fece Monaca e Santa. A questo sopra ogni altra cosa cercava d'avvezzare le sue novizie, quando era maestra loro, S. M. Madd. de Pazzi. Onde se vedeva una troppo inclinata all'orazione, la mandava a dormire, o a qualche altro esercizio laborioso. Ad un'altra inclinata ad esercizj interni, imponea l'orazione, o altri esercizj esterni. A chi volea far molte penitenze e mortificazioni un Pater ed Ave. A chi vi sentiva repugnanza, mortificazioni pesanti ed umiliazioni. Ad una fra le altre le fece gettare nel fuoco un libricciuolo di esercizj spirituali, che s'avea scritto di sua mano, e vi mostrava attaccamento. E così andava assuefacendole a rompere le loro inclinazioni, ed insieme il loro giudizio e volontà.
18. " La principal cosa, nella quale abbiamo da metter gli occhi per mortificarla e sradicarla da noi, è la passione predominante, cioè quell'effetto, quell'inclinazione, quel vizio, o cattivo costume, che più regna in noi, che ci tira dietro a se, e che ci mette in maggiori pericoli, e più frequentemente ci fa cadere in maggiori errori. Perché, preso il Re, è vinta la battaglia. E finché, non faremo questo, non faremo grande avanzamento nella perfezione. " Rodriquez.
Così appunto accadde nella guerra, che fece il Re di Siria contro il Re d'Israele, nella quale, come dice la santa scrittura, comandò il Re a tutt'i suoi Capitani, che non combattessero contra veruno del nemico esercito, fuorché contra il Re, saviamente giudicando, che vinto che fosse il Re, rimarrebbe soggiogato tutto l'esercito: come di fatto avvenne ; poiché essendo stato ferito il Re Acab, fu terminata la battaglia. Avendo S.Ignazio in giovine in Religione d'un naturale veemente, gli dicea spesso: Figlio, vinci questo naturale, che avrai in Cielo una corona più risplendente, che tanti altri di natura più dolce. Ed avendogli un giorno il P. Ministro accusato questo giovine, come intrattabile: adagio, soggiunse il Santo, perché io stimo, che abbia fatto più profitto questo in pochi mesi, che il tale, ch'è di natura dolce, in un anno. L'istesso Santo era di natura biliosa e ardente. Or egli si prese tanto a petto questa sua passione dominante, e tanto si vinse, e si mutò colla grazia del Signore, che poi da tutti, anche da' medici era stimato flemmatico. S. Francesco di Sales confessava di se, che le passioni dominanti, ch'ebbe difficoltà di domare, furono l'amore e la collera ; e che avea superato la prima con astuzia, e la seconda a viva forza: cioè che l'amore l'avea superato, divertendo la mente, e proponendosi un altro oggetto d'amore ; perché, dicea, non potendo l'Anima stare senza qualche amore, tutta l'arte consiste in concederle solo il buono, il puro, il santo. La collera poi, che l'avea vinta, impugnandola a fronte, e non cedendole mai. Onde avvenne a lui, ch'essendo di natura iraconda, era stimato di natura mansueta.
19. " Ogni volta che uno si sente spinto con veemenza d'affetto a qualche opera, ancorché santa e importante, dee rimetterla ad altro tempo, e non ripigliarla fin a tanto che il proprio cuore non abbia ricuperata una perfetta tranquillità ed indifferenza: acciò l'amor proprio non venga insensibilmente a macchiare la purità della propria intenzione. " S. Vinc. de P.
Il medesimo santo praticava ciò fedelmente ; ond'è, che venendogli un dì proposto un negozio molto importante per la congregazione, ed essendo stimolato da' suoi a prestarvi il consenso, rispose così: Non credo, che dobbiam dare orecchio a questo trattato per ora, sì per rintuzzar l'inclinazione naturale, che ci porta ad eseguir prontamente le cose di nostro vantaggio, come anche per metterci nella pratica della santa indifferenza, e dar campo a Dio di manifestarci la sua volontà, mentre noi gli staremo offerendo le nostre preghiere per raccomandargli quell'affare. Ed un'altra volta che uno l'importunava per un altro simile affare, la sua risposta fu questa: sempre più desidero di mantenermi nella pratica di non risolvere, né intraprendere cosa alcuna, mentre mi trovo agitato da speranza e desiderio di cose grandi. Ma più ammirabile è il fatto seguente. Vedendo egli, per esperienza il grand'utile delle Missioni, le abbracciò con gran fervore ed applicazione. Ma poi accortosi, che i suoi pensieri e desiderj ardenti a poco a poco gli andavan togliendo la pace dell'Anima, che prima godeva, entrò in sospetto, che la natura vi potesse aver qualche parte ; e perciò stimò necessario d'interrompere quest'esercizio per qualche tempo. E per meglio conoscere i movimenti del suo cuore, si ritirò per alcuni giorni negli esercizj spirituali: ed avendo in essi conosciuto, che quella grande allegrezza, e troppa sollecitudine era in qualche parte causata dall'amor proprio, ne chiese perdono a Dio con molte lagrime, pregandolo, che gli cambiasse il cuore, e lo purgasse da qualsivoglia affetto non ordinato alla maggior gloria di S. D. M. e da allora in poi si trovò affatto libero da ogni ansietà e soverchia sollecitudine, né ebbe mai la mira ad altro, che al divino amore: tantoché poté dire in un'occasione, che ringraziava Dio, perché da trent'anni egli non sapea d'aver fatto deliberatamente alcuna cosa, la quale non fosse stata indirizzata alla maggior gloria di Dio. S. Francesco di Sales una volta essendo di passaggio andò a visitare la B. M. di Chantal, che stava aspettandolo con gran desiderio per conferire con lui delle cose dell'Anima sua, essendo già scorsi tre anni e mezzo, che non ci avea potuto parlare per le grandi occupazioni, che, egli in tutto quel tempo aveva avute. Al primo vederla il S. Prelato le disse: Madre mia, abbiamo alcune ore libere, chi comincerà di noi due a parlare ? Io, rispose ella subito con qualche poco d'ardore, perché certo l'Anima mia ha gran bisogno di esser da voi riveduta: Al che il Santo, volendo correggere quell'ansietà, ch'ella mostrò di parlargli, con seria, ma insieme dolce gravità, replicò: e che, o Madre, tuttavia nutrite desiderj ? ancor avete elezioni ? Io credea di trovarvi tutta angelica ; differiremo dunque di parlare di voi in ainsì, e per adesso discorriamo degli affari della nostra Congregazione. E la buona e santa Madre senza neppur soggiungere una parola, riposte le materie appartenenti a sé, che teneva in mano scritte in una carta, conferì con esso in tutta tranquillità per lo spazio di quattr'ore continue sopra gli affari dell'istituto, e poi si licenziarono. S. Dositeo essendo infermo, ed avendo inteso, che per lo suo male erano utili le uova da bere, dopo qualche tempo lo disse al suo Maestro ; ma nel tempo stesso il pregò a non dargliele perché quel pensiero lo molestava.
20. " Non ti stancare indarno, per ché non arriverai a possedere i veri gusti e soavità di spirito, se prima non annegherai tutto ciò che appetisci. " S. Gio. della Croce.
L'Abate Ellem, come si narra nelle vite dei Padri, dopo il digiuno di tre settimane desiderando di gustare un po' di miele, di cui vedeva pendere un favo da una rupe, ed alcuni frutti caduti da un albero, se ne astenne: e postosi a dormire, fu svegliato da un Angelo, e si trovò presso una fonte, circondato da freschissime erbe, e di quelle cibandosi, disse di non aver mai mangiata cosa sì delicata. Di S. Macario Alessandrino riferisce Eriberto Rosveido, che per vincere il sonno, che molto lo molestava, per venti giorni e venti notti continue non entrò mai nella sua cella ; e per molto tempo quando vi era tirato dalla necessità, lo prendeva col capo appoggiato al muro: che essendo grandemente travagliato da moltissime tentazioni di senso se ne stette per sei mesi nudo sopra una palude, esposto alle punture delle zanzare, che in quel luogo sono grandi come le vespe ; e però ne uscì sì maltrattato, che sembrava un lebbroso: che come egli stesso riferì in certa occasione, non si era mai saziato di pane né d'acqua ; ma sempre avea, preso il pane a peso, e l'acqua a misura: e che col mortificare in questa guisa i suoi appetiti, tante grazie si meritò appresso Dio, tanto s'avanzò nella cognizione ed amicizia di lui, che sole passare i giorni e le notti intere in continua e dolcissima contemplazione.
21. " Alcuni pospongono il cammino della perfezione, ch'è quello dell'annegazione delle proprie voglie e dei proprj gusti per amor di Dio, al sapore e gusto proprio ; tantoché se anche per ubbidienza fanno qualche esercizio, benché di loro genio, perdono subito la voglia di farlo, ad ogni divozione: perché il gusto solo loro è di far quello, a che li muove la propria volontà: Il che sarebbe per ordinario meglio non farlo. I Santi non faceano così. " S. Gio. della Croce.
Il B. Serafino laico Cappuccino disse ad un suo confidente, che sarebbe stato volentieri nella Casa di Loreto, ovvero in Roma, per servire tutte le Messe, che avesse potuto: e dicendogli colui, che potea chiedere a' Superiori tal grazia, che facilmente gliel'avrebbero accordata: Oh questo no, rispose. Un desiderio, ancorché santo, non dee essere profanato dalla propria volontà, e qualunque buona intenzione dee essere soggetta all'ubbidienza, vera ed unica direttrice di ogni più santo pensiero. S. Felice Cappuccino, quantunque il suo uffizio di cercatore gli porgesse occasione di qualche libertà, egli però non facea mai niente senza il consenso e volontà espressa de' suoi Superiori. E perché questi ben consapevoli della di lui integrità e virtù soleano rimettere ogni cosa alla libera disposizione di lui, egli in vece di trarre da ciò soddisfazione, ne traeva piuttosto motivo di tristezza e rammarico ; per vedersi così impedita quell'intera soggezione e dipendenza, che tanto bramava, e costretto a far la propria volontà, che sommamente abborriva.
22. " Se non si va con grande attenzione in mortificare la propria volontà, vi sono molte cose, che ci posson togliere la santa libertà di spirito, ch'è quella che andiamo cercando, per poter volare scioltamente al nostro Creatore, senza andar sempre carichi di terra e piombo. Oltre di che in un'Anima proprietaria di se stessa, ed attaccata alla propria volontà, non vi può mai essere virtù soda. " S. Ter.
S. M. Madd. de Pazzi disse un giorno, che non bramava altro dal Signore, se non che le togliesse la la propria volontà ; poiché conoscea, che per la vivezza dell'ingegno non si avanzava quanto desiderava in quelle virtù, che rendono grata un'Anima al Signore. E ciò detto, rivolti gli occhi al Cielo, fu rapita in estasi, nella quale le fu mostrato da Dio che gran nocumento apporti alle Anime specialmente Religiose, l'esser guidate dalla propria volontà, che una volta consacrarono a Dio con voto. E stando così estatica, prese per la mano la Superiora, e la menò nell'Oratorio ; ove inginocchiatasi, pregò la Vergine, che l'illuminasse a non far mai la volontà propria, e poi la Superiora, che anch'essa per amor del Signore si affaticasse a spogliarla del proprio volere: e dopo prostratasi tre volte in terra, si riscosse da ratto. E fu tanto attenta in questo, che una volta disse di non aver mai né di nascosto, né in palese procurato di tirare la volontà della Superiora alla sua.
23. " Affaticati in mortificare e conculcare affatto la tua volontà in guisa tale, che se sia possibile, non la soddisfacci mai in cosa alcuna. Avvezzati perciò a desiderare e godere, che ti venga spesso interrotta. Quando vedrai, che alcuno la contraddice, sia in cose temporali, sia nelle spirituali, siegui sempre piuttosto la volontà altrui, che la tua, purché quella sia buona, ancorché la tua apparisca migliore. Perocché sarà sempre maggiore il danno, che riceverai in diminuir l'umiltà, la tranquillità, e la pace, contendendo coll'altro, che l'utilità, che ti può portare qualsivoglia esercizio di virtù fatto per propria volontà contra il volere altrui. " S. Vinc. Ferr.
S. Cater. da Genova così operava. Ella godea di sottomettere in tutto il proprio all'altrui sentimento: anzi bastava che le venisse voglia di qualche cosa, perché facesse tutto l'opposto. Il P. Tommaso Sanchez qualor si portava dai Superiori per chiedere alcuna cosa, pregava prima Dio, che se era di suo piacimento, li muovesse a non concedergliela.
24. " Non hai da lasciar passare giorno, nel quale non calpesti la tua volontà. E se alcuno ne passerai senza di questo, dì pure, che in quel giorno non sei stato religioso. " S. Gio. Clim.
S. M. Madd. de Pazzi era soprammodo amante di non far la propria volontà, e poneva in questo ogni suo studio ; tantocché teneva appunto per perduto quel giorno, in cui non l'avesse in qualche modo negata e rotta.
25. " Il supremo grado dell'annegazione della propria volontà sapete in che consiste ? Il lasciarsi impiegare nelle cose, che altri vogliono, senza farci mai resistenza. " Sales.
Visitando S. Basilio i Monasterj della sua Diocesi, domandò ad un Abate se avea nessun monaco, che mostrasse più di tutti di essere del numero de' predestinati ; e l'Abate gliene presentò uno molto semplice. Al quale il Santo ordinò che portasse ivi dell'acqua da lavare i piedi, ed avendogli egli incontanente portata, gli comandò, che sedesse sopra una sedia, e gli lavasse i piedi ; il che colui fece subito senza mostrarvi minima difficoltà. Il giorno seguente mentre egli entrava in Sagrestia gli fece intendere, che si accostasse all'Altare, che lo voleva ordinar Sacerdote: ed esso prese il Sacerdozio senz'alcuna resistenza. Per le quali cose il Santo lo giudicò morto alla propria volontà ed al proprio giudizio, e però degno di esser tenuto per uno de' predestinati. Passato qualche tempo gli abitanti di un altro luogo entrati di notte nella sua cella, lo presero, e senz'alcuna sua contraddizione lo menarono nella loro Terra, ed ivi lo chiusero in una casuccia ; ov'egli se ne stava quietamente senza mai parlar con veruno. Ma pochi giorni dopo gli abitanti di un'altra Terra lo cavarono di là di notte tempo, senza ch'egli dicesse niente, e lo trasportarono tra loro: ed egli qui pure se ne vivea contento, come uno morto al Mondo.
26. " Il maggior dono, che si possa da Dio ricevere in questo Mondo, è il sapere, il volere, e poter vincere l'uomo se stesso, negando la propria volontà. " S. Franc. d'Ass.
L'Abate Pastore facea tutto il conto di questo esercizio: e solea dire, che la nostra volontà è un muro di ferro, che ci disgiunge e separa da Dio. La B. Coletta Francescana dicea, che stimava più il negare il proprio sapere, e la propria volontà, che lasciare tutte le ricchezze del Mondo: e però si studiava di praticarlo a tutto suo potere. S. Bernardo pure era di questo medesimo sentimento, e dicea, che tutti i mali nascono da una sola radice, ch'è la propria volontà.
27. " Avverti di non nutrire il proprio giudizio: perché senza dubbio ti ubbriacherà: non essendovi differenza tra un ubbriaco, e colui ch'è pieno di proprio parere ; mentre l'uno non è più capace di ragionare, che l'altro. " Sales.
Il B. Alessandro Sauli Vescovo in Corsica negli affari della Diocesi cercava sempre l'altrui consiglio, non fidandosi del proprio parere, e riputandosi ignorante, e del tutto inabile a quell'ufizio, tutto che fosse stato insigne maestro di Teologia e Direttore di S. Carlo, e di poi fosse appellato l'idea de' Vescovi. S. Francesco di Paola quantunque fosse dotato del dono della profezia, ne' casi dubbj si consigliava sempre anche nelle cose minime fin coi suoi stessi sudditi.
28. " Delle proprie opinioni ognuno ne ha, né questo si oppone alla virtù. Il solo amore ed attaccamento, che abbiamo alle nostre opinioni, e la stima, che ne facciamo, è quello ch'è infinitamente contrario alla nostra perfezione. Questa è l'ultima cosa, che si lascia, ed è la ragione, perché vi sieno sì pochi perfetti. " Sales.
Il medesimo Santo era arrivato a lasciar quest'ultima cosa. Onde una volta poté scrivere ad un suo amico, ch'egli non avea tanto di male a chi non lo seguiva ; e che non pretendea, che i suoi sentimenti dovessero servir di regola a veruno. Il V. P. Giovanni Leonardi Fondatore dei Chierici Regolari della Madre di Dio, tuttocché fosse dotato d'una somma prudenza, ed avesse terminati felicemente molti affari di gran rilievo, nulladimeno in tutte le sue deliberazioni dipendea talmente dal consiglio de' suoi medesimi sudditi, anche giovani, ed inesperti, che non facea mai cosa di qualche momento senza prima sentire il loro parere, ed averne il loro beneplacito ; e bene spesso seguiva il sentimento di quelli, e lasciava il proprio. Il P. Suarez ancorché fosse di eccellente ingegno e sapere, dava spesso a rivedere i suoi libri fin a' suoi stessi discepoli, e se alcuno di loro ne disapprovava qualche cosa, con molta facilità la mutava. L'istesso pure solea praticare S. Vincenzo Ferreri per lo poco concetto, che avea delle sue proprie opinioni, dando volentieri non solo da studente, ma da lettor ancora a rivedere i suoi scritti a' suoi compagni, anche inferiori a lui di sapere.
29. " Il vero ed unico rimedio per guarire da questo male si è far poco conto di quanto ci viene in capo. Venendo richiesti del nostro parere, darlo francamente, ma con indifferenza sopra l'essere ricevuto o non essere ricevuto ed approvato: ed avvezzarsi a seguir piuttosto l'altrui parere, che il proprio in tutto quello che lecitamente si può. " Sales.
Si narra nelle vite de' PP. dell'Abate Giovanni molto celebre in santità, che mentre stava per morire fu pregato da' suoi discepoli di lasciar loro qualche buon ricordo per poter acquistare la perfezione, a' quali rispose: quel che io vi posso dire, si è, che io non hom operato mai secondo il parere mio, ma secondo il parere altrui ; né ho insegnata mai ad altri cosa alcuna, che prima non l'avessi fatta io stesso. La B. M. di Chantal ancorché fosse di una mente sublima e pronta, che subito giungeva al punto di ciò che se le domandava ; con tutto ciò quando veniva richiesta di consiglio per affari importanti, non fidandosi delle sole cognizioni, che aveva acquistate con la lunga esperienza, oltre del ricorrere a Dio per mezzo dell'orazione, volea di più consultarsi co' Padri spirituali, e con persone ben pratiche di quelle materie. Dopo poi diceva il suo particolar sentimento con queste parole: Ecco il mio parere ; ma prendete anche il consiglio di qualche persona più intelligente e giudiziosa. S. Vincenzo Ferreri nelle cose concernenti alla direzione e governo di quella compagnia, di cui era egli il capo, avea per uso di seguitar ordinariamente piuttosto il parere e volere de' compagni, che il proprio.
30. " Come l'esser santo non è, che volere quello che vuole Iddio ; così l'esser savio altro non è, che giudicare le cose, come le giudica Dio. Or chi sa, se quel tuo sentimento si conformi sempre con quello di Dio ? Quante volte tu medesimo hai trovato di esserti ingannato ne' tuoi giudizi e determinazioni ? " S. Vinc. de Paoli.
Eccellente mostrossi sempre in questa mortificazione del proprio giudizio S. Vincenzo de Paoli. Era egli dotato di tanta prudenza, che passava per uno de' più prudenti uomini del suo tempo ; e nondimeno diffidava sempre di se, ed in tutt'i suoi negozj ricorrea non solo a Dio, ma ancora agli uomini, dimandando il parere loro, e seguendo piuttosto quello che il suo, per quanto la giustizia, e la carità il permettevano: e questo ancorché quelli fossero di talento mediocre, o anche suoi inferiori. Quando poi veniva richiesto di consiglio ; dopo di aver alzata per un poco la mente a Dio, lodava, non determinando risolutamente le cose, ma esponendo con modestia il suo sentimento, e lasciando alla persona il determinarsi da se medesimo. Il suo modo di parlare era: pare, che si potrebbe far così: Vi sarebbe questa ragione, la quale pare, che inviti a pigliare questa risoluzione. E se veniva stimolato a risolvere assolutamente: Parmi, che sarebbe bene, o che sarebbe espediente di fare la tal cosa, di portarsi in tal modo. In oltre aveva sempre a caro, ed egli stesso lo suggeriva, che si chiedesse anche il parere d'altri, e gradiva che fosse seguito piuttosto che il suo ; non già, perché non conoscesse d'ordinario i negozj meglio degli altri, a cagione della sua lunga esperienza e del gran lume, che ricevea da Dio, ma puramente per amore della sommessione, e mortificazione, e per cagione della sua grande umiltà, che gli facea stimar ogni altro più di se stesso. Il che avendo osservato una Matrona in occasione di certa pia adunanza delle Dame di Carità, da lui istituita per promuovere molti beni spirituali, questa avvertì con bel modo il Servo di Dio, dicendogli, ch'egli non sapea sostenere i suoi sentimenti, ch'eran degni d'esser preferiti ad ogni altro ; alla quale ei rispose: Non sia mai, che il mio povero e debole parere abbia a prevalere a quello degli altri. Io per me gederò sempre, che Iddio operi quel che gli piace senza di me misero peccatore. Era poi tanto persuaso, che le risoluzioni prese con maturo consiglio e coll'altrui parere fossero grate al Signore, che rigettava come tentazioni tutto ciò che gli veniva in contrario nella mente: solendo dire, che quando si è raccomandato a Dio, e consultato con altri un negozio, bisogno star saldo in ciò che si è intrapreso: e credere, che Iddio non ce lo attribuirà a colpa, potendo noi dire con legittima scusa: Signore io vi raccomandai l'affare, e presi ancora il parere altrui, ch'è quanto far potea per conoscere la vostra volontà.
31. " La vita della nostra carne è il diletto della sensualità: dunque la sua morte è il torle ogni diletto sensibile. La vita del nostro giudizio o della nostra volontà è il disporre di se e delle cose sue, secondo il parere e desiderio proprio ; dunque la morte loro è il sottomettersi in ogni cosa al parere e volere degli altri. La vita dell'appetito alla propria stima e riputazione è lo stare in buon concetto appresso di tutti dunque la sua morte è l'occultarsi, per non essere conosciuto, per via di atti continui d'umiltà e di proprio disprezzo. Sinché uno non arriva a morire di questa maniera, non sarà mai servo di Dio, né Iddio viverà mai perfettamente in lui. " S. Maria Madd. de' Pazzi.
Con gran franchezza diceva agli altri questa bell'Anima un sì bel sentimento, perché sapea per propria sperienza, esser ella appunto per questa via giunta a conseguire con tanto suo vantaggio la morte della propria carne, del proprio giudizio e volontà, e della propria riputazione: della propria carne, che mai lasciò di trattare con somma asprezza e rigore ; del proprio giudizio e volontà che volle tener sempre soggetti e dipendenti da altri ; e della propria riputazione, con abborrire, e fuggir continuamente ogni occasione di essere onorata e stimata. Un grand'esemplare in questo fu ancora il glorioso S. Filippo Neri: il quale afflisse molto il suo corpo con cilizj e discipline, cibandosi per molti anni della sua gioventù quasi sempre con poco pane ed acqua ; e fatto Sacerdote appena aggiungendovi un poco di vino, e talvolta qualche erba, o qualche frutto, o al più qualche uovo ; quasi mai però altri latticini, né carne, o pesci, o minestra, se non per causa d'infermità, o che dovesse mangiare con forestieri. Quanto poi al proprio giudizio e volontà mostrò sempre tutto l'impegno di togliere e ad all'uno ed all'altra ogni pabolo, e di calpestarli continuamente a tutto suo potere. Ma sopra tutto si rese ammirabile nel combattere ed annientare l'affetto alla propria stima, ch'è quel nemico tanto infesto alla corrotta umanità, dalle cui molestie neppur le anime più sante ne vanno esenti. Per soggiogare questo comune avversario, si pose egli a petto di farsi riputare da tutti per un uomo vile ed abbietto: e però procurava da ogni occasione di prender motivo di apparir tale nel cospetto degli uomini. Ond'è, che tanto fuor di casa, quanto in casa faceva e diceva delle cose, che pareano leggerezze e pazzie. E per venire a' casi particolari, una volta si mise a saltare, e ballare nella piazza d'una Chiesa, ov'era gran concorso di popolo a cagione della festa, che vi facea ; e fu sentito uno dire: guardo quel vecchio matto ! un'altra volta scontrato un acquarolo in una pubblica strada molto frequentata, gli chiese per grazia di lasciarlo bere ad uno di quei barilozzi ; ed ottenutala, vi attaccò la bocca, e bevve saporitissimamente ; maravigliandosi colui, che un uomo di quella qualità non si vergognasse di bere in quella maniera in presenza di tanta gente. E l'istesso fece un'altra volta alla fiasca di S. Felice Cappuccino in presenza di molti. Invitato un giorno a pranzo dal Cardinal Alessandrino menò seco un suo penitente, facendogli portare sotto la veste una pignatta di lenticchie cotte ; e seduti che furono a tavola, la fece porre in mezzo, per così farsi stimare incivile. Ma non gli riuscì, perché il Cardinale, che conosceva la sua virtù, in vece di aver ciò a male, e di disprezzarlo, ne volle anch'egli mangiare insieme con tutti gli altri commensali. Il Cardinal Gesualdo, che l'amava teneramente, credendo, che per la sua età avanzata e per la sua continua assistenza al Confessionario gli potesse giovare una pelliccia di martura, gliela diede, con farsi da lui promettere di portarla. Ubbidì egli ; ma si servì dell'occasione per farsi burlare, portandola in pubblico per un mese continuo, camminando con passo grave, e vagheggiandosi intorno di tanto in tanto. Per lo medesimo fine andò molte volte per Roma accompagnato da' suoi penitenti con un gran mazzo di fiori in mano. Ed una volta fattosi radere la barba da una sola banda, uscì in pubblico saltando e facendo festa, come uno, che avesse avuto una gran vittoria. In casa poi ne facea il continuo. Se ne stava spesso con un pajo di pianelle bianche nei piedi, con una berretta piccola in testa, con una camiciuola rossa, che gli passava le ginocchia, sopra la veste lunga ; e con questo abito ricevea chiunque da lui veniva, ancorché fossero uomini di qualità, e gran Personaggi. Teneva in camera libri di favole, di facezie, e di altre simili materie ; e quando venivan da lui persone massimamente di qualità, se ne facea leggere alcuno, mostrando molta attenzione e gusto in sentirlo. Così appunto egli fece una volta che il Papa Clemente VIII mandò da lui certi Personaggi Polacchi, perché si edificassero e s'infervorassero per mezzo de' suoi discorsi. Avendo egli avuto l'avviso della loro venuta, disse subito ad uno de' suoi, che prendesse a leggerli uno di quei libri, e non cessasse finché egli non gliel dicesse. Arrivati dunque que' Signori, egli senza punto muoversi, disse loro: aspettino di grazia, che si finisca questo bel fatto: e mentre si leggeva, mostrava una grande attenzione, e piacere, come se ascoltasse cosa di gran vantaggio e premura. Poi facendo cessare: vedete, disse, rivolto a coloro, se ancor io tengo de' bei libri, e mi fo leggere cose di considerazione ? e così proseguì senza neppur profferire una parola si spirito. Onde coloro dopo essere stati alquanto guardandosi l'un l'altro, se n'andarono assai maravigliati, ed annojati. Ed egli, partiti che furono, fece riporre il libro, dicendo: abbiam fatto quello che bisognava. Perché questo appunto era quello ch'ei desiderava, di esser tenuto in poco concetto da que' personaggi.
APRILE
PAZIENZA
Qui non accipit crucem suam, et sequitur me ; non est me dignus. Matth. 10.38.
1. " La Croce è la porta reale per entrare nel Tempio della Santità, e per altra via non è possibile il ritrovarla. Perciò dobbiamo più di una volta immolare il nostro cuore all'amore di Gesù sopra l'istesso Altare della Croce, su cui si sacrificò egli il suo per amor nostro. "
Il P. Alvarez fece questa risoluzione: ogni aridità, inquietudine, e travaglio, che mi occorrerà nell'orazione, lo riputerò un martirio, e come tale lo sosterrò costantemente. E l'eseguì fedelmente per sedici anni: dopo i quali ebbe tante consolazioni e celesti illustrazioni, che gli vennero abbondantemente rimunerati tutt'i patimenti sin allora sofferti. S. Teresa sostenne per anni diciotto continui grandissime aridità, e poi quanto fu innalzata ! S. Bernardo dicea di se: Tutte le cose, che ama il Mondo, come i diletti, gli onori, le lodi, le ricchezze, mi servono di croci ; e tutte le cose, che il Mondo reputa croci, a quelle io mi accosto, e le abbraccio con grande affetto.
2. " Se ti pare, che non hai ancora patite tribolazioni ; tieni per certo, che non hai cominciato ad essere vero servo di Dio ; perché l'Apostolo dice chiaramente, che tutti quelli, che vogliono vivere piamente in Cristo, patiranno persecuzioni. " S. Agost.
S. Attanasio, S. Basilio, S. Giovanni Grisostomo, S. Girolamo, S. Cirillo, ed altri molti furono imputati di mille scelleraggini, e perciò molto travagliati. S. Romoaldo fu infamato da un suo Monaco d'aver commesso con lui peccato nefando ; e perciò condannato in pubblico Capitolo, come meritevole di esser appiccato ed abbruciato: e fu per questo sospeso dal dir Messa. Egli però, benché centenario, soffrì tutto con gran pace. S. Francesco Saverio stando in Lisbona, e vedendo, che tutte le cose gli andavano bene, se ne afflisse ; e se durava lungamente in questa bonaccia, avrebbe creduto di non servire bene Dio.
3. " Con avere il figliuolo di Dio operato la nostra salute per mezzo de' patimenti, ci ha voluto insegnare, non esservi cosa tra noi tanto atta a glorificar Dio, e santificar le anime nostre, quanto questa del patire. Si, si, patire per amore del Signore è il cammino della verità. E però chi può patire, più patisca, che sarà il più avventurato: e chi non si risolve a questo non farà mai molto profitto. " S. Ter.
S. M. Madd. de Pazzi era tanto innamorata di patire, che diceva: Io non desidero di morir presto, perché in Cielo non vi è da patire ; ma desidero di viver molto, perché bramo di patir lungamente per amor del mio sposo: né solo un breve martirio, ma un cumulo di mali, calunnie, infortunj, e tutte le avversità, delle quali sono capace. E di fatti dopo avere ella sofferta una lunga e penosa infermità, questa non solo non estinse in lei quella gran sete di patire ; ma avendolo in tal guisa gustato, vie più se ne invogliò ; poiché procurando la Superiora di sminuirle il patire per la conservazione della sua sanità, ella nel tempo medesimo cercava ogni via, ed inventava nuovi modi di patire, senza che nessuna se ne avvedesse. Le accadde un dì nell'ultima sua infermità, che avendo ricevuta un'ingiuria notabile, non solo la soffrì intrepidamente ; ma diede anche segni di particolare amicizia all'offensore. Di che stupitasi una sua discepola, essa le disse, che godea di non essere morta prima, per non perdere quella bella occasione di sofferenza.
4. " La strada è stretta: Chi la vuol camminare con più faciltà, vada scarico d'ogni cosa, ed appoggiato al bastone della Croce, cioè risoluto davvero di voler patire per amor di Dio in tutte le cose. " S. Gio. della Croce.
Riferisce il Taulero d'aver conosciuto un gran servo di Dio, il quale avea molte visioni e rivelazioni, l'intelligenza della Scrittura, ed il segreto de' cuori: quindi temendo, che le consolazioni di quà non gli avessero da impedire i favori di là, e però di non essere molto amato dal Signore ; lo pregò istantemente a compiacersi di levargli ogni consolazione ; e fu esaudito. Poiché per cinque anni continui non ebbe mai un minimo contento spirituale, né veruna celeste inspirazione ed illustrazione ; ma menò sempre una vita piena d'afflizioni, di tentazioni, e d'aridità di spirito ; talmente che il Signore stesso si mosse a pietà di tanto patire, ed un giorno gl'inviò due Angeli, acciò lo consolassero un poco. Ma colui contento del suo patire, ricusò quella consolazione, e rivolto a Dio ; Signore, gli disse: Io non desidero verun gusto in questo Mondo ; e nel mio cuore non voglio che v'entri altri che Voi, amor mio, avendo io abbastanza di consolazione in queste, che si faccia in me vostra santissima volontà. Piacque tanto a Dio questo bell'atto di spogliamento, che l'Eterno Padre lo dichiarò per suo figliuolo diletto con queste parole: Tu es filius meus, in quo mihi complacui.
5. " A chi, Signore, vi fa alcun servizio voi lo pagate con qualche travaglio. Oh, che prezzo inestimabile è questo per quei che davvero vi amano, se loro fosse dato a conoscere il suo valore ! " S. Ter.
Il V. Mons. di Palafox, quando vedea, che dopo aver egli fatta qualche buona opera gliene veniva alcuna tribolazione, obbrobrio, o calunnia, ciò ricevea come una grazia speciale del Signore: perché, dicea, non ricevendone io alcun premio nel Mondo, è segno, che Iddio vuol rimunerarmi pienamente in Cielo. Apparve una volta il Signore alla B. Chiara di Moltefalco, e le offerse in dono una Croce, che portava al collo. Ricevé il dono la Santa con sua gran consolazione, ed allora le fu impressa nel cuore l'immagine del Crocifisso della grandezza di un dito: del che stava ella sì ben intesa, che nell'ultima sua agonia cercando una Monaca la croce nel letto, essa le disse: Prendi il mio cuore, che vi troverai il Crocifisso: in fatti vi si trovò dopo la di lei morte.
6. " O Anime, che volete andar tanto sicure e consolate, se sapreste quanto sia grato a Dio il patire, e quanto giovi per arrivare agli alti beni, non cerchereste mai consolazione in cosa alcuna ; ma piuttosto avreste a gran felicità il portar la Croce appresso al Signore. " S. Gio. della Croce.
Il B. Guglielmo Abate d'un Monastero della Dania, vide una notte in sogno alcuni Anginti, che stavano tessendo una corona di maravigliosa ricchezza e vaghezza: e chiedendo loro per chi si lavorava ; udì rispondersi che per lui ; e che allora sarebbe terminata, quando egli avrebbe abbastanza patito. S. Geltrude pregò una volta il Signore nel tempo del carnevale ad insegnarle qualche maniera particolare di potergli prestare alcun servizio, che gli fosse grato per quei tre giorni, ne' quali se gli fanno da' mondani tante ingiurie ; ed il Signore le diede questa risposta: Figlia, tu non mi potrai far mai in alcun tempo maggior servizio, che sopportare pazientemente e in memoria della mia passione qualsivoglia tribolazione, che ti occorrerà o sia interna, o sia esterna ; sforzandoti d'operar sempre tutte queste quelle cose, che sono più contrarie a' tuoi desiderj. Apparve un giorno il Signore a S. Teresa, e le disse così: Sappi, che quelle sono le Anime più gradite al mio celeste Padre, che son travagliate da più e più grandi afflizioni, e patimenti. E da quel tempo concepì la Santa tanto affetto al patire, che non trovava altra consolazione, che i patimenti ; e quando stava senza qualche patimento, vivea scontenta, e confessava, che non avrebbe cambiati i suoi travagli con tutt'i tesori del Mondo. Ond'è, che avea spesso in bocca quelle parole: o patire, o morire. Ed essendo apparsa dopo morta ad una sua divota, le confessò, che per niun'altra cosa godeva in Cielo tanto premio, quanto per le molestie, che avea sofferte in vita, e che se per alcun motivo avesse desiderato di tornare al Mondo, l'unico sarebbe stato, per potere patire qualche cosa.
7. " Vale più un'oncia di Croce, che non vale un milione di libbre di orazione. Vale più una giornata crocifissa, che non valgono cento anni di tutti gli altri esercizj. Vale più starsi un momento in croce, che non vale gustare le delizie del Paradiso. " La V. Suor M. Vittoria Angelini.
S. Brigida in un certo tempo ricevé e soffrì con pazienza molte afflizioni da varie persone. Una delle quali le disse una parola ingiuriosa: un'altra davanti la lodava, e di dietro la mermorava: un'altra le impose un'infamia: un'altra sparlò in sua presenza d'un servo di Dio con molto dispiacere di lei: una le fece un grave strapazzo, ed essa la benedisse: una le fece un danno, ed essa pregò per lei: e la settima le diede un avviso falso della morte del di lei figlio, che fu ricevuto da essa con pace e rassegnazione. Dopo tutto questo le apparve S. Agnese Martire con una vaghissima corona in mano, adorna di sette pietre preziose, dicendole, che vi erano state poste da quelle sette persone ; e poi gliela pose in capo, e disparve. Vedi, se avrebbe potuto guadagnar tanto con verun altro esercizio ! La B. Angiola di Foligno richiesta come potesse ricevere e soffrir con tant'allegrezza i patimenti, rispose: Credetemi, che la nobiltà ed il valore de' patimenti non è da noi conosciuto. Perché se lo conoscessimo bene, ci si renderebbero oggetti di rapina, ed ognuno andrebbe in cerca di rapire dagli altri le occasioni di patire.
8. " Vale più con Grazie a Dio, un Sia benedetto Dio nelle avversità, che mille ringraziamenti nelle prosperità. " Il P. M. d'Avila.
Patendo S. Francesco in una sua malattia molti dolori corporali, un suo Religioso gli disse, che pregasse Dio a dargli qualche sollievo ; ed il Santo lo riprese, e chinando il capo a terra dicea: Signore ti rendo grazie di questo dolore, che patisco, e ti prego a compiacerti di accrescermelo. E qual cosa mi può, e mi dee esser più grata di questa, che tu mi affligga senza pietà: mentre questo è quello, che sopra ogni altra cosa io desidero.
9. " Se il Signore ti desse la potestà di resuscitare i morti, ti darebbe assai meno, che quando ti dona il patire. Perocché per li miracoli tu resteressi debitore, a lui, e per lo patire rendi lui debitore a te. E poi quando i patimenti non avessero altra mercede, che quella di poter soffrire qualche cosa per quel Dio, che mi ama ; non è questa una gran mercede, e sufficiente remunerazione ? Chi ama, intende quello che dico. " S. Gio. Grisost.
Questo Santo facea sì grande stima del patire, e che giunse a dire: io non istimo tanto Paolo per lo rapimento al terzo Cielo, quanto per la prigionia, che patì. Onde se mi venisse detto: vuoi esser collocato in Cielo tra gli angioli, o stare in carcere con Paolo ? io eleggerei piuttosto questo, che quello. E se fosse posto in mia elezione ; o di esser Pietro in catene, o l'Angelo, che lo sciolse, io certamente eleggerei più volentieri esser il primo, che il secondo. Il Re S. Luigi discorrendo col Re d'Inghilterra della sua schiavitù in Turchia, nella quale soffrì molti travagli, disse così: io ringrazio molto Dio della mala riuscita di questa guerra ; o godo più della pazienza che il Signore mi ha conceduta in questo tempo, che se avessi soggiocato tutto il Mondo. Comparve una volta il Signore alla B. Battista Verrani, e le disse: credi, figlia, che io ti ho mostrato maggior amore quando ti ho mandato delle afflizioni, che quando ti tenea stretta nelle mie braccia. In che te lo potea mostrar più, che in volere per te quello che elessi per me ? Sappi, che non peccare è un gran bene, maggiori il far delle opere buone, ma il massimo di tutto è il patire.
10. " Si dee riputare gran disgrazie non solo per le persone particolari, ma anche per le case, e per le congregazioni l'aver ogni cosa conforme al suo desiderio, passarsela quietamente, e niente patire per l'amor di Dio. Sì tenete per certo, che una persona, o congregazione, che non patisce ed a cui tutto il Mondo applaudisce, è vicina alla caduta. " S. Vinc. de Paoli.
Quanto fosse questo Santo persuaso di tal verità, lo diede ben a conoscere nel dar avviso ai suoi di un danno notabile accaduto alla sua casa: Stando io, disse, da qualche tempo considerando: come le cose della congregazione camminavano felicemente, e che tutte le riusciva bene, cominciai fortemente a temere di questa calma, sapendo che Iddio è solito di provare i suoi servi. Ma sia pur benedetta la divina Bontà, per essersi ora degnata di visitarci con una perdita molto considerabile. Un Santo vecchio solito di stare per lo più ammalato, in un anno che si vide libero da ogni male, se ne afflisse molto, dicendo, che Iddio lo doveva aver abbandonato, mentre non lo visitava più. Così pure pensavano i Santi Francesco ed Andrea Avellino, che in quel giorno, nel quale non aveano patita qualche cosa per amor del loro Dio, stimavano, ch'egli si fosse dimenticato di loro, e li avesse abbandonati. Trovandosi una notte il P. M. Avila infermo, ed essendosi addormentati i ministri, e smorzata la candela, se gli aggravarono soprammodo i dolori ; non volle con tutto ciò per un pezzo svegliarli. Ma finalmente vinto dall'acerbità de' patimenti, pregò il Signore a voloerlo liberare da tanto penare, e poco dopo preso sonno, nello svegliarsi si trovò affatto libero: ed allora disse ad un suo discepolo: Oh, che grande schiaffo mi ha dato il Signore questa notte ! Volendo dire, che con averlo esaudito, gli avea tolta l'occasione di patire e di meritare.
11. " Noi non abbiamo mai tanto motivo di consolarci, che quando ci troviamo oppressi da patimenti e travagli: poiché questi ci rendono simili a Cristo nostro Signore ; e questa somiglianza è il vero contrassegno della nostra predestinazione. " S. Vinc. de Paoli.
Niuno intese sì bene questa gran verità, come S. Andrea Apostolo. Al primo veder la Croce, su cui doveva essere conficcato, incontanente riempissi di giubilo, e proruppe in quella esclamazione: O Croce tanto desiderata, tanto amata, e tanto da me ricercata, ecco che a te me ne vengo pieno di sicurezza e di gaudio: separami tu dagli uomi, e rendimi al mio Maestro: sicché per mezzo tuo mi riceva, chi per mezzo tuo mi ricomprò. Il Signore disse una volta a S. Geltrude: quanto più tu sarai travagliata, e la vita tua sarà disapprovata senza tua colpa, tanto più mi sarai cara per la maggior somiglianza, che verrai ad avere con me, che vissi in continui patimenti e fui contraddetto in tutte le mie operazioni, siccome suol esser molto caro al Re uno, che molto si rassomiglia a lui. Essendo S. Metilde afflitta da una grave infermità, se le accostò Gesù Cristo, e le disse: quando io vedo una persona gravemente afflitta e tormentata, l'abbraccio col mio braccio sinistro, per congiungere più da vicino il suo cuore al mio.
12. " Non si trova segno più evidente da poter arguire, se uno sia santo e del numero degli eletti, quanto il vederlo di buona vita, ed esercitato nel tempo stesso con desolazioni, patimenti, e travagli. " S. Luigi Gonz.
Poiché S. Ignazio Loyola era perfetto e caro a Dio, gli andavano appresso le persecuzioni di tal maniera, che spesso accadea, ch'essendo egli lontano i suoi compagni vivevano in una gran quiete, e tornando lui, veniva subito a quella casa qualche travaglio. S. Teresa avendo ricevute delle limosine da un mercante, che si raccomandava alle sue orazioni, gli rispose così: Vi ho raccomandato e mi è stato rivelato, che il vostro nome sta scritto nel libro della Vita, e per segno della verità, da qui innanzi non vi succederà niente di prospero. E così appunto avvenne ; poiché poco dopo essendosi affondate tutte le sue navi, restò fallito. Il che saputosi da' suoi amici gli rimisero in piedi una nave, la quale pure poco dopo fece naufragio ; ond'egli spontaneamente si mise in carcere. Nondimeno i suoi creditori conoscendo la di lui bontà, non vollero molestarlo, e lo liberarono. In tal guisa divenuto povero, contento del solo Iddio, finì santamente la vita.
13. " Se Dio ti farà patir molto, è segno che ha de' gran disegni sopra la tua persona, e che sicuramente ti vuol fare santo. E se tu desideri di divenire un gran Santo, pregalo da te stesso, che ti dia molta materia di patire. Perocché non v'è legno più atto a produrre il fuoco del sacro amore, che il legno della santa Croce, del quale Cristo si servì per quel suo gran sacrificio d'immensa carità. " S. Ignazio Loyola.
Grandi afflizioni e travagli soffrì Giuseppe dai suoi fratelli: e questa appunto era la via per la quale il Signore lo conduceva alla sua grand'esaltazione. S. Teresa, ch'era creata per cose sì alte, soffrì travagli incredibili da ogni genere di persone, anche dalle buone e molte spirituali. Molti la tennero per illusa dal Demonio. Molti schernivano le sue orazioni e rilevazioni. Alcuni la volevano esorcizzare, come ossessa. Altri l'accusavano al S. Officio. Ed inoltre patì ella per le nuove fondazioni de' Monasteri molte contrarietà ed afflizioni da' suoi superiori.
14. " Non vi è miglior pruova, per distinguere la paglia dal grano nella Chiesa di Dio, quanto il soffrir delle contraddizioni, e de' patimenti, e disprezzi. Chi a questi sta forte, è grano. Chi si solleva, è paglia ; e tanto più leggiera, quanto va più in alto, cioè quanto più si commuove, e più superbamente risponde. " S. Agost.
Si presentò una persona di rango per domandare a S. Francesco di Sales un benefizio per uno ecclesiastico da lui protetto: ed il Santo gli rispose, che si era, quanto al conferir benefizj, volontariamente legate le mani con averli messi tutti al concorso: ma che però avrebbe avuto tutto il riguardo alla sua raccomandazione, se quegli si presentava al concorso cogli altri. Quel Signore, ch'era di natura aspra, credendo questo un pretesto, lo tacciò di doppiezza e d'ipocrisia, minacciandolo ancora. E vedendo il Santo, che le parole dolci non lo mitigavano, lo pregò a contentarsi, che l'esaminasse egli solo: ma perché colui non si capacitava: dunque, soggiunse, volete che io gli consegni la cura, di cui sono incaricato, ad occhi chiusi ? Considerate se questa è cosa giusta. A questo l'altro si pose a gridare più forte, ed a vomitar contra il Santo Vescovo gravissime ingiurie, ed egli tacque. Or trovandosi ivi presente un suo conoscente, gli disse come avesse potuto sopportare tante indegnità, senza mostrarne minimo risentimento: Non vi stupite di questo, rispose il Santo: perché non era egli che parlava, ma la passione: fuori di questa egli è uno dei miei più cari amici, e vedrete col tempo, che il silenzio sarà cagione, ch'entrerò ancor più nella sua buona grazia. Ma siete stato voi del tutto senza risentimento ? ripigliò l'altro ; ed egli: io ho adoperata una diversione, ponendomi a considerare le buone qualità di quella persona, di cui altre volte io aveva goduta l'amicizia con tanto piacere. Il Gentiluomo poi venne a domandargli scusa con lagrime, e d'indi in poi gli fu più amico di prima. Andando un giorno S. Felice Cappuccino per Roma con una fiasca di vino su le spalle, incontrò un Gentiluomo sopra un cavallo feroce, che spintosi avanti con furia calpestò gravemente un piede al servo di Dio, il quale cadde in terra ; ed essendosi rotta la fiasca, scorreva il vino per terra mischiato col sangue, che usciva dalla ferita in gran copia. Tutti gli astanti atterriti a tal caso mandarono voci compassionevoli verso il Santo: solo egli se ne rimase colla sua solita serenità di volto ; e mirando il Gentiluomo con occhio piacevole, gli chiese umilmente perdono, perché per la sua imprudenza e temerità gli fosse stato d'impedimento a poter passare liberamente per quel luogo ; ma colui anzi che gradir quel bell'atto, lo prese a sdegno e con un riso altero senza dir parola, spronò il cavallo, e proseguì fastosamente il cammino ; e Fra Felice coll'ajuto di molti ivi concorsi sollevato da terra s'inviò al meglio che poté al Convento. E perché per lo piede offeso non potea stendere il passo liberamente, diceva a se stesso: cammina avanti asino bestiale, di che ti lamenti ? Sei tanto pigro e poltrone, che ben ti meritavi questa bastonata, indi rivolto al Signore prorompeva in divoti ringraziamenti verso la sua immensa bontà. Il Cavaliere poi rientrato in se, riflettendo al suo mancamento, per aver disprezzato sì superbamente il perdono chiestogli da quell'innocente e Santo Religioso, si portò il seguente giorno al monastero, e prostratosi avanti di lui colle ginocchia per terra, umilmente lo supplicò a volergli perdonare quel superbo e crudele maltrattamento, che usato gli aveva e fu egli ricevuto dal servo di Dio con tanta cordialità e cortesia, che si determinò di mutar vita e costumi. Sino a' filosofi era nota questa bella verità. Di Socrate riferisce S. Basilio che essendo un giorno schiaffeggiato nella pubblica piazza da un uomo plebeo, non solo non si accese di sdegno per un tale insulto, ma con animo tranquillo e volto sereno si fermò immobile finché colui gli ebbe illividita la faccia. E più singolare è l'atto, che praticò Epitetto. Un giorno che il suo Padrone, ch'era un uomo molto violento, gli diede un gran colpo sopra una gamba: gli disse freddamente, che guardasse di non gliela rompere ; ed avendo il Padrone replicati i colpi di tal maniera, che appunto gli ruppe l'osso, Epitetto senza punto commoversi , non te l'aveva io detto, soggiunse, che correvi il rischio di rompermela ?
15. " Il vero spirito è certo, che inclina più alle afflizioni, aridità, disgusti, e travagli, che a certe comunicazioni dolci e gustose ; perché sa, che quello è il seguir Cristo, e negar se medesimo, tanto inculcatoci dal Signore. " S. Giovanni della Croce.
Apparso il Signore a S. Caterina da Siena con due corone in mano, una d'oro, e l'altra di spine, le disse, ch'eleggesse quella che le piaceva. Elesse ella la seconda. E da quel tempo prese tanto amore alle afflizioni e travagli, che dicea: Non vi è cosa, che tanto mi consoli, e mi dia sollievo, quanto le afflizioni e le Croci ; tanto che, io non avessi di quando in quando queste conforto, mi parrebbe di vivere una vita la più modesta del Mondo, e se Dio mettesse in mia elezione d'andarmene ora in Paradiso, o di restar un poco più qui per partire, eleggerei questo, e non quello ; perché so quanto si accresce la gloria per via de' patimenti. La B. Maria d'Ognes giaceva, tenendo per letto la terra, per capezzaie una pietra, e per coperta un cilizio. Ed essendo un giorno travagliata oltre modo dai dolori di parilisia, mandando dal cuore affannosi sospiri, un sant'uomo pregò il Signore per lei, ed ella restò sollevata dal male. Dal che accortasi, mandò a pregare colui a non intercedere più per lei ; dicendo, che stimava assai più le malattie, che lo star sano.
16. " Quelli che sono giunti alla perfezione e soprattutto i veri contemplativi non chieggono mai al Signore, che li liberi da' travagli o dalle tentazioni ; ma anzi le desiderano e le apprezzano ; come apprezzano i mondani l'oro e le gioje: perché conoscono, che queste li hanno da far ricchi. " S. Ter.
S. Cat. da Genova stando tra acerbissimi tormenti ed esterni dolori: dicea Signore sono trentasei anni da che m'illuminaste, e da allora in quà non ho desiderato mai altro, che patimenti interni ed esterni. La V. Anna Maria di S. Giuseppe Carmelitana Scalza persona di pietà non ordinaria, si esercitava continuamente in austerità, e penitenze acerbissime: e procurando le altre di distorla da queste, rispondea: no, non cesserò mai, sinché il Signore non mi sazii de' suoi travagli ed obbrobrj. Soleva anche dire, che non vorrebbe né reliquia, né rosario, né cella, né altro, ma solo una croce, in cui crocifiggersi. S. Francesco Saverio, quando avea qualche croce, solea fare quest'orazione ; Signore non me la levare, se non me ne dai un'altra maggiore.
17. " Baciate sovente, e di cuore le croci, che il Signore vi manda senza guardare di qual sorta sieno ; perché quanto sono più vili ed ingrate, tanto più si meritano questo nome. Imperocché il merito delle croci non sta nel peso di esse, ma nella maniera, con cui si portano ; essendo talora maggior virtù il portare una croce di paglia, che un'altra molto forte e pesante ; perché le leggieri sono anche il più nascose ed abbiette ; e però meno confermi alla nostra inclinazione, che cerca sempre cose apparenti. " Sales.
Questo Santo in molti lunghi e disastrosi viaggi, che fece, non fu mai udito lagnarsi né di freddi, né di venti, né di sole, né della qualità delle stanze, o delle vivande, ma ricevea tutto in pace dalla mano di Dio, e maggiormente godea ne' trattamenti più villani e più scomodi: anzi quando potea, sceglieva sempre il peggio per se. Si racconta nelle cronache di S. Domenico d'un novizio della medesima Religione, il quale morì nel Convento di Argentina, che mentre i Religiosi gli raccomandaron l'Anima, inaspettatamente aprì gli occhi, e disse: Sentite, fratelli carissimi, a me accade ora, come ad uno che va al mercato, e con poche monete compra molte merci. Ecco che ricevo il Regno dei Cieli per pochi travagli, e non conosco in me merito alcuno. E ciò detto, si riposò nel Signore. Racconta S. Gio. Climaco d'aver trovato un monaco giovane in un Monastero, che per piccoli difetti ricea da' Superiori delle grandi mortificazioni, e spesso da quasi tutti gli altri dei tratti superbi e scortesi. Mostrò il Santo di compatirlo, e volle consolarlo: ma il buon giovane ; Padre, disse, non vi mettete in pena. Questi mi trattano in cotesta forma non per mal cuore, e poca carità che abbiano ; ma il Signore così permette per esercitarmi nella pazienza, ch'è necessaria per provare il vero servizio di Dio ; e con tutta giustizia, poiché senza la pruova non si perfeziona l'oro. Passati due anni, soggiugne il S. Abbate, passò questo giovine a miglior vita dicendo a' suoi Religiosi avanti di spirare: Rendo grazie a G. C. ed a voi PP., ed attesto, che per essere stato da voi tentato per bene, ed esercizio mio, son vivuto libero dagl'inganni del Demonio: e me ne vado in pace. Nelle vite dei PP. si narra che un Santo monaco faceva ogni notte una esortazione al suo discepolo, e dopo lo mandava a dormire. Or una sera nel farla, il vecchio si addormentò ed il buon discepolo aspettando che si svegliasse, fu tentato d'impazienza, e d'andarsene a dormire: con tutto ciò si vinse per sette volte con gran resistenza, e fervore. Svegliatosi dopo mezza notte il vecchio, lo licenziò. Postosi poi in orazione, fu rapito a vedere un Angiolo, che gli mostrò una bellissima sedia con sette corone sopra. E dimandato da lui, rispose, ch'erano per lo suo discepolo, che se le aveva guadagnate quella notte colla vittoria di sette tentazioni. Ed avendo la mattina saputo il tutto dal discepolo, restò ammirato, come Iddio paghi sì largamente ogni buon atto.
18. " Se conoscessimo il prezioso tesoro, che si racchiude nelle infermità, le rieveremmo con quel medesimo giubilo con cui si ricevono i maggiori benefizj, e le sopporteremmo senza lamenti, e senza mai mostrarcene annojati. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo fu quasi sempre travagliato da varie, lunghe, e penosissime infermità, che spesso lo riducevano a non potersi muovere, ed a non poter riposare né giorno, né notte: e pure le sopportava con una pace inalterabile, conservando sempre la medesima affabilità e serenità di volto, che avea quando era sano. Non gli uscì mai di bocca una parola di lamento ma continuamente lodava e ringraziava Dio, che gliele mandava, e le tenea per favori singolari. Il più che facesse, quando i dolori erano più intensi, era di rivoltarsi al Signore Crocifisso, e con divote aspirazioni interne animar se stesso alla pazienza. Se mai gli accadea di parlar de' suoi mali, ne parlava come di cosa da non farne alcun conte ; dicendo di patir poco in comparazione del molto, che meritava, e di quel tanto che avea patito Cristo per nostro amore. Un giorno medicandosegli le gambe, ch'egli tenne inferme per quarant'anni, uno de' suoi vedendole sì gonfie, ed ulcerate, mossene a compassione: O Signore, disse, quanto molesti sono i vostri dolori ! Ed egli subito rispose: Come chiamate voi molesta l'opera di Dio, e la sua divina disposizione in far patire un misero peccatore ? Iddio vi perdoni quello che avete detto. Non si dee parlare in questa forma nella scuola di Cristo. Non è forse giusto, che il reo patisca, e sia castigato ? E non può far il Signore di noi quello che più gli piace ? Scrivendo una volta de' suoi patimenti ad un suo confidente, disse così: Non ho voluto sin ora palesarvi il mio male, temendo di contrastarvi. Ma Dio buono ! Fin a quando saremo noi così terreni, che non abbiamo ardire di scoprirci scambievolmente le grazie ed i favori, che Iddio ci fa nel visitarci colle malattie ? Piaccia alla sua divina bontà di darci un poco più di animo per far, che troviamo il nostro gusto nel suo. In tutto il tempo poi delle sue infermità non cessava mai di dar seste agli affari di casa e di tutta la Congregazione. Riceveva ogni sorta di persone sì interne, come esterne, che venivano da lui per negozj, o per altre occorrenze, sempre con volto ridente, e rispondea a tutti con tanta amorevolezza, e tranquillità di animo ; che se non fossero stati per altra parte informati del suo male, l'avrebbero riputato sano. Né mutò mai per queste sì gravi infermità il suo consueto modo di vivere, continuando sino alla morte a dormire sulla paglia, ed a prender cibi comuni. E sebbene il medico, ed alcuni Personaggi autorevoli s'ingegnarono di persuadergli, che prendesse pollastri e gelatine, ed egli per compiacerli, per una o due volte lo fece ; ritornò nondimeno all'uso di prima col pretesto che il suo stomaco non potea sopportare tal sorta di cibi. S. Felice Cappuccino richiesto dal medico mentre era fieramente travagliato da' dolori colici, come se la passasse, rispose: l'asino corpaccio vorrebbe fuggir la sferza: ma suo mal grado ho da star sotto le bastonate. Animollo colui di ricorrere al divino ajuto con invocare il S. Nome di Gesù, che sperava l'avrebbe ajutato: Che dite ? ripigliò il Santo: Così mi consigliate ? E volete che io invochi Gesù, perché mi liberi da questi dolori, co' quali egli stesso mi visita ? Non sia mai. Questi non sono dolori, ma fiori celesti, che il Paradiso produce, ed il Signore comparte a' suoi figliuoli. E quindi prese a ringraziare e benedire la divina bontà, che così lo trattava.
19. " Vi sono certi ammalati, che si affliggono e si lamentano non tanto de' loro patimenti, quanto di quelli, che apportono a' loro domestici, e di non poter attendere alle opere buone, e specialmente all'orazione, come faceano quando eran sani. Nel che s'ingannano grandemente ; perocché quanto a' patimenti degli altri, chi è vero paziente, vuole tutto quello che vuole Iddio, insieme con tutti gl'incomodi e maniere, ch'egli vuole: quanto all'operare, un giorno di patimento sofferto con rassegnazione, vale più che un mese di grandi fatiche: e quanto all'Orazione, che cosa è meglio, star sulla Croce con Cristo, o trattenersi a piè di essa a contemplare i di lui patimenti ? Oltre di che l'offerir al Signore la sua medesima infermità, a ricordarsi per chi patisce, e conformarsi al santo volere di lui, è certo un'orazione molto eccellente. " Sales.
Il medesimo Santo non solo sopportava le afflizioni ed i travagli, che gli occorreano, ma anche le conseguenze loro: come gl'incomodi, che portavano le malattie a quei che l'assistevano ; o con lui coabitavano. E così in tutte le altre cose. Il P. Alvarez vide, rapito in estasi, la gloria grande, che Iddio aveva apparecchiata ad una monaca, che stava travagliata da una gravissima infermità da lei sofferta con tutta pazienza ; e disse, che avea meritato più essa in otto mesi d'infermità, che alcune altre sane e divote in più anni. S. Aldegonda essendo stata avvisata del giorno della sua morte, pregò il Signore a visitarla prima con qualche grave infermità, acciò da quella purgata, se ne volasse più agile al Cielo ; e fu esaudita: perché le venne una gagliarda febbre dolori acutissimi: nel quale stato ella godea, stimando refrigerio la febbre, consolazione i dolori, ed i sudori un soavissimo bagno, dal quale essendo ben mondata, se ne volerebbe al Cielo. Patendo S. Francesco gravissimi dolori negli occhi, ne rendea continuamente grazie al Signore, e lo pregava a volerlo mantenere nel suo servizio, ed il Signore gli disse un dì: Sta allegro Francesco, che per te si conserva il tesoro della vita eterna, di cui è caparra questa tua infermità. S. Vincenzo de Paoli, quando stava gravemente infermo, praticava un modo d'orare facile e soave non meno, che profittevole. Ed era, di starsene dolcemente alla presenza di Dio, senz'applicare violentemente l'intelletto alle considerazioni, ma solo eccitando la volontà ad atti frequenti di rassegnazione al volere di Dio, di confidenza, di amore, di rendimento di grazie, e simili.
20. " Avvertite, che avanti S. D. M. si acquista più in un sol giorno con i travagli che ci vengono dati da Dio, e dal prossimo, che in dieci anni con i patimenti ed altri esercizj, che ci pigliamo da noi. " S. Teresa.
S. Liduina dopo d'aver patito per trentotto anni acerbissimi dolori, desiderava di più patire, e soffrire anche il martirio ; e mentre stava ardendo in tal desiderio, fu sollevata in estasi, e vide una bellissima corona non ancor finita, e le fu detto, che si preparava per lei. Bramosa di perfezionarla pregò il Signore ad accrescerle tormenti ; ed il Signore le inviò alcuni Soldati, che con ingiurie e battiture la travagliarono molto. Dopo di questo le apparve un Angelo colla corona in mano già finita, dicendole, che quegli ultimi travagli vi avevano poste le gioje, che vi mancavano. Apparso un giorno un Angelo al B. Enrico Susone, gli offerse uno scudo, un'asta, e gli stivaletti, dicendogli sinora hai militato tra l'infanteria, ed ora dei passare tra la cavalleria, poiché finora ti sei mortificato a modo tuo, e da ora avanti sarai mortificato col flagello delle male lingue: sinora ha succhiato il latte alle mammelle di Cristo, e da qui avanti sarai abbeverato col suo fiele ; sinora sei stato grato agli uomini, ed ora si sollevarono contro di te. Il giorno seguente standosene il servo di Dio ruminando tra se questa visione, si sentì invitato ad affacciarsi alla finestra, ed affacciatosi, vide nel cortile un cane, il quale teneva uno straccio in bocca, e l'andava strascinando e lacerando ; ed udì una voce, che disse: così hai tu da essere lacerato dalle bocche degli altri. Ed egli scese a prendersi quello straccio, e se lo conservava come una preziosa tessera della croce.
21. " Non ha la vera pazienza, chi non vuole patire, se non quanto gli piace, e da chi gli piace. Il vero paziente non guarda la lunghezza e qualità de' suoi patimenti, e né pure la persona che lo fa patire, se sia superiore, o eguale, o inferiore, se uomo santo, o malvagio, ed indegno, ma l'unica sua mira è di patire. " A. Kempis.
Si narra nelle vite de' PP. di un Monaco giovane, che dimorava con un altro Monaco vecchio, il quale ogni mattina andava alla città a vendere il lavoro fatto da ambedue nel giorno antecedente, e spendea tutto il prezzo in vino per se, portando la sera non più, che un semplice tozzo di pane al giovane. Questi sopportò con pazienza per tre anni un tal modo di vivere: ma finalmente vedendosi nudo, e morto di fame, non sapendo come rimediare a' suoi urgenti bisogni, cominciò a pensare se sarebbe stato bene di lasciar qualche compagno, ed andarsene altrove. Allora gli apparve un Angelo, che gli disse: abbi pazienza ancor per oggi, che domani sarai meco in Paradiso. La qual visione egli raccontò al vecchio, che non la credé: ma il giorno seguente, mentre essi stavano discorrendo di questo, quegli placidamente spirò: ed il vecchio piangendo la sua mala vita, si convertì.
22. " Il Signore ci manda la tribolazione, per darci il modo di pagare gl'immensi debiti, che abbiam contratti con lui. E perciò quelli, che han giudizio, le ricevono con giubilo ; perché pensano più al bene, che ne ritraggono, che alla pena, che ne provano. " S. Vinc. Fer.
Spiegò bene il Santo questo suo sentimento in un sermone, che fece con un'amena parabola in questa guisa. Vi fu un Re, il quale teneva in carcere due debitori di grosse somme, e vedendoli incapaci di soddisfarle, perché non possedean niente, gittò con impeto sopra ciascun di loro una borsa piena di denari, sicché ambidue ne sentiron la pena. Però uno adirato per la percorsa, proruppe in impazienza senza far conto della borsa ; e l'altro non badando tanto al suo dolore, riconobbe il favore fattogli ; e presa la borsa, rese grazie al Re, e con quel denaro soddisfece il suo debito. Or il simile accade appunto a noi: soggiunge qui il Santo: Tutti noi abbiamo de' grossi debiti con Dio, e per tanti benefizj da lui ricevuti, e per tanti peccati da noi commessi contro di lui ; né da noi abbiam modo di soddisfarli. Per lo che mosso di noi a pietà, ci manda l'oro della pazienza nella borsa delle tribolazioni. Chi prende la tribolazione con pazienza, viene con quest'oro prezioso a soddisfare i suoi debiti con Dio ; e con quell'istesso cresce nella grazia di lui. Chi no, altro non fa che accrescersi i debiti, e rendersi sempre più esoso al medesimo Dio. L'esempio dei due Ladri crocefissi con Cristo conferma molto bene la cosa. Uno con la sua pazienza si levò i debiti, e si guadagnò il Paradiso: e l'altro con la sua impazienza si rese maggiormente debitore, e si acquistò l'Inferno. Riferisce Cesario d'un Monaco Cisterciense, il quale la notte appresso alla sua morte apparve tutto risplendente all'Abate, e gli disse : sappiate padre, che gli acerbi dolori e tormenti della mia infermità hanno supplito anticipatamente al Purgatorio ; e però io me ne volai dalla Terra a dirittura in Cielo.
23. " Non vi date fastidio delle contrarietà, che sentite nel conversare ; poiché queste vi servono d'esercizio per praticare le più care ed amabili virtù, che il nostro Signore ci ha raccomandate. Credetemi, che la vera virtù non più si nutrisce dentro il riposo esteriore, che i buoni pesci dentro l'acqua stagnante delle paludi. In che vogliamo noi dimostrar l'amor nostro a Dio, che tanto ha patito per noi, se nol facciamo tra le ripugnanze e contraddizioni ? " Sales.
Il B. Serafino Cappuccino venendo accompagnato da' Superiori con un giovane secolare, questi vedendolo così semplice, umile, ed imperturbabile, prese tanta padronanza, e tanto ardire sopra di lui, che lo scherniva, e l'ingiuriava, e lo schiaffeggiava ancora. E Fra Serafino immobile a tutti quegli strapazzi, altro non dicea, se non tutto amorevolezza ; ah santino, santino ! ( così soleva egli chiamare i suoi oltraggiatori ) facciamo del bene in servizio di Dio. Uno di que' PP. del deserto nelle sue tribolazioni si figurava, che Gesù Cristo gli stesse accanto dicendogli: sei mio fratello, e non ti vergogni di mostrar difficoltà a soffrir questo poco, mentre sai che io ho sofferto tanto per te ?
24. " Se si trovasse qualche casa, ove non fosse alcun Monaco fastidioso e di cattiva natura, bisognerebbe cercarne alcuno, e pagarlo a peso di oro per lo gran bene, che risulta da questo male, quando vien maneggiato giudiziosamente. " S. Bern.
Abitando S. Filippo Neri in S. Girolamo della Carità, avea gran concorso di penitenti ; del che infastiditi i Sagrestani di quella Chiesa, presero ad abborrirlo grandemente, ed a fargli molti dispetti. Alle volte quando egli andava per dir la Messa, gli serravano la porta in faccia: altre volte non gli volean dare i paramenti sacri, o glieli davano brutti e laceri coll'aggiunta di molti rimprotti e parole ingiuriose: talvolta gli toglieano di mano il Calice, ed il Messale ; ovvero glieli nascondevano: or lo faceano spogliare, dopo che si era già vestito ; ora partire da un Altare, salito che vi era, ed andare ad un altro ; e spesso ancora ritornare in Sacrestia, per sempre più irritarlo ed indurlo a partirsi da quel luogo. Or il Santo uomo a tanti mali trattamenti, che ricevea senza mai lamentarsi, né dar alcun segno di disgusto, altro non facea, che andar dissimulando, e pregar per que' tali, trattandoli sempre con carità e rispetto ; e facendo loro de' servizj quanto più poteva. E con tutto che fosse più volte esortato da' suoi amici di andar ad abitare altrove, non vi si poté mai indurre, perché dicea, non voglio fuggir la croce, che Iddio mi manda ; e durò così per più anni. Finalmente vedendo, che con la sua carità ed umiltà non facea niente, e che coloro in vece di mitigarsi, anzi più cresceano nella loro pertinacia, ricorse a Dio per trovare qualche sollievo ; ed un giorno fra gli altri fissando gli occhi in un Crocifisso: o mio buon Gesù, perché non mi ascoltate voi ? Per sì lungo tempo e con tante istanze vi ho dimandata la pazienza, perché non mi avete esaudito ? Allora sentì una voce nel suo interno, che gli disse: non mi domandi tu la pazienza ? Io te la darò ; ma voglio, che l'acquisti con questo mezzo. Onde da indi in poi li sopportò con maggiore allegrezza e con somma sua contentezza ; e venne a tanto, che non solo non sentiva più qualinque ingiuria gli facessero ; ma la bramava grandemente. E quando o da quelli, o dal alcun altro si vedea maltrattato, non ne faceva alcun conto, non ne parlava, né potea soffrir, che se ne parlasse da altri, e se mai sentiva parlare male di coloro, che l'avevano offeso, prontamente li scusava, li lodava, e nelle occasioni li visitava e li proteggea. Per questa cagione pure si affezionò tanto a quel luogo, che per trent'anni non volle mai lasciarlo. Anzi avendo fabbricato il nuovo Oratorio della Chiesa nova, ov'eran già passati ad abitare i suoi figli, per quanto si studiassero di mostrargli la convenienza e l'obbligo, che avea di andar a coabitare con essi, come loro istitutore e capo, e per quante istanze e preghiere gliene facessero, non si poté mai indurre ad abbandonare il suo amato luogo di sofferenza, finché non vi s'interpose l'autorità del Papa.
25. " In questa vita non vi è Purgatorio, ma o Paradiso, o Inferno. Poiché chi sopporta le tribolazioni con pazienza, ha il Paradiso, e chi no, l'Inferno. " S. Fil. Neri.
Stando nel Messico un uomo sul palco per esser giustiziato, chiamò ivi un Padre Gesuita: e gli disse: sappiate, Padre, che anche io sono stato della vostra Religione: e per qualche tempo che mi diedi all'osservanza delle regole, vissi contento, e faceva ogni cosa con facilità e gusto. Ma poi cominciai a poco a poco a rilassarmi, finché giunsi a sentire in ogni piccola cosa tanto di difficoltà e di pena, che mi convenne lasciar la Religione ; e finalmente voi vedete ove mi han condotto i miei peccati. Vi ho detto questo affinché il mio esempio possa giovare ad altri. Quando S. Francesco di Sales stava infermo, era cosa di grand'edificazione il vedere come raccontava il suo male semplicemente e senza esagerazione e lamenti ; e come lo tollerava pazientemente, e senz'alcuna inquietudine, e ricevea senza replica tutt'i rimedj. E benché talvolta patisse nella parte inferiore dolori atrocissimi, nulladimeno conservava sempre una inalterabile serenità nella fronte e negli occhi, come se nulla patisse. Così egli veniva a godere il Paradiso, anche patendo, a differenza di tanti altri, che ad ogni piccolo male si mostrano insofferenti ed inconsolabili.
26. " Sappiate, Sorelle, soffrir qualche cosa per amor del Signore, senza che niuno lo sappia. " S. Teresa.
Il V. P. Duponte in un Venerdì Santo chiese a Dio grazia, che gli facesse parte delle sue pene ; e Iddio l'esaudì con mandargli atroci dolori per tutta la vita ; i quali esso ricevé con tanto giubilo, che ne desiderava di più. E richiesto da un altro come stesse, rispose: o come Dio castiga bene questo peccatore ! Sappiate, che fuor della testa io non ho membro alcuno, che non abbia il suo male particolare. Ma poco dopo pentito d'aver ciò detto, fece voto di non manifestare a verun altro mai le sue pene, quando lo potesse fare senza disgusto del Signore. S. Filippo Neri nelle sue infermità, ch'erano lunghe, gravi, e frequenti, fu sempre veduto colla faccia allegra e colla fronte serena, né mai diede alcun segno di dolore, per grande che fosse, néparlava del suo male, se non co' medici. S. Chiara per lo spazio di ventotto anni patì gravissime infermità, ed in tutto quel tempo non fu mai sentita lamentarsi de' suoi patimenti, anzi spesso ne ringraziava il Signore. Nelle vite de' PP., si narra dell'Abate Stefano, ch'essendo egli infermo, il suo compagno volle fargli una frittatella, e per errore la fece con olio di lino, ch'è molto amaro: del che accortosi il Santo Abate nel gustarla, ne mangiò un poco, e poi tacque ; e facendogliene quegli un'altra simile, l'Abate gustandone un poco la lasciò senza dir niente. E così avrebbe seguitato a fare altre volte, se non fosse stato, che il compagno avendola voluta provare egli stesso per animarlo a mangiare, gustandone l'amarezza non sen fosse accorto, ed afflitto non poco. Ma conosciutasi dall'Abate la sua afflizione, gli disse: Non ti turbare ; figliuolo: perché se Iddio avesse voluto, che tu non errassi in pigliare un olio per l'altro, non l'avresti fatto. S. M. Maddalena de Pazzi, inventò una grande segreta mortificazione, che poi praticò per tutta la vita: e fu, che accortasi qualmente le sue Superiori per riguardo della sua salute cercavano di soddisfarla ; ella mostrava di gradire ciò ch'era nojoso e ripugnante al suo naturale ; e dispiacerle e recarle nausea quelle cose, che la natura appetiva. Quindi fu, che spesso le venivano date cose ripugnanti, e vietate quelle, che le sarebbero state conformi al genio. Del che n'ebbe in ricompensa un animo imperturbabile, ed una continua presenza in Dio.
27. " Chi aspira alla perfezione, si ha da guardar bene dal dire: ebbi ragione, mi fecero ciò senza ragione. Se tu non vuoi portar altra croce, se non quella che sta appoggiata alla ragione, la perfezione non fa per te. " S. Ter.
Fra Egidio di Taranto laico Francescano, quando riceveva ingiurie da' Superiori, o dai Compagni, che lo chiamavano servo inutile e da poco, non mai si scolpava, ma dicea col riso in bocca: date pure a frate asino, che assai peggio si merita. E perché a cagione di molti miracoli, che faceva in Taranto, concorreva a lui molta gente con non leggiero disturbo degli altri Frati, fu scacciato di là, e mandato nel Convento di Bari: però appena là giunto, ivi pure cominciò subito ad entrar nel Monastero la gente a folla per vederlo, e per ricevere grazie per mezzo di lui, che tanto i Frati tosto se ne inquietarono, a lui attribuendo il disordine. Per lo che il Guardiano, dopo averlo ripreso nel Capitolo gravemente, dicendogli, ch'era un ubbriaco, un pazzo, un uomo inquieto ed ozioso, e che volea far miracoli per essere tenuto per santo, essendo un ipocrita ed ambizioso, in fine lo penitenziò colla disciplina in pubblico ; ed egli non se ne risentì per niente, ma senza punto turbarsi dicea tra se: già son tale, scellerato ed indegno: Voi dite il vero, P. Guardiano, che non son io, che fo i miracoli, ma la Madonna. Avendo un Prelato ordinato a S. Vincenzo de Paoli di ricevere in Casa un Religioso zelante, e d'ajutarlo nel disegno, che aveva ; egli lo fece, e gli diede i consigli opportuni: ma alcuni, a' quali dispiacea la riforma, si lamentarono del Santo col medesimo Prelato. E questi non ricordandosi, che tutto era seguito per ordine suo, lo chiamò, ed in presenza di que' medesimi gli fece una buona riprensione, che il Santo ricevé allegramente senz'aprir mai bocca per giustificarsi. Iddio però rimise a mente al Prelato l'ordine, che gli avea dato ; ed incontratolo un altro giorno, gli fece la debita scusa, e formò di lui gran concetto. S. Pietro Martire essendo stato visitato un dì da tre Sante Vergini, fu quindi accusato di avere ammesse donne nella sua camera, e però condannato in pubblico Capitolo, e rilegato in un Monastero rimoto. Egli intanto sopportò tutta quella ignominia senz'aprir mai bocca.
28. " Se mirassimo le tribolazioni con occhio cristiano ; e se venissero interamente sgombrate dal nostro spirito certe nebbie di massime mondane, che opponendosi ai raggi della Fede, non ci lascia penetrare sin al fondo dell'Anima ; quanto fortunati ci riputeremmo in esser calunniati e tenuti non solo per uomini oziosi ed inetti, ma anche per tristi e viziosi. E non è forse gran sorte l'esser perseguitati, facendo del bene, mentre Cristo ha chiamati beati que' che patiscono per la giustizia. " S. Vinc. de Paoli.
Per questo gli Apostoli se n'andavano allegri e contenti, allorché si vedeano travagliati e perseguitati da' Principi della Sinagoga. E S. Paolo dice di se, che in tali casi si sentiva riempire il cuore di consolazione e di gaudio: perché conosceva col lume della Fede di quanto pregio e vantaggio sieno le tribolazioni ed i travagli. Venendo un dì Fra Giunipero ingiuriato da uno con male parole, egli prese in mano la falda della sua tonaca, e stendendola: orsù, disse, getta pur quà, ed empi questo grembiule di gioje, senz'alcun timore. Il P. Alvarez essendo avvisato d'una grave calunnia appostagli, diede segni di molta allegrezza, dicendo a colui che l'avvisò, il quale rimase stupito di lui: ora veggo, che Iddio mi vuol bene ; poiché mi conduce per la via dei suoi più cari. Della V. M. Serafina attesta un suo Direttore, al quale aveva ella data una piena notizia di tutta la vita sua, che in tutte le ingiurie e derisioni, che avea patite, e nelle male interpretazioni, che altri davano alle di lei buone opere, ed in ogni qualunque altro suo travaglio non facea mai atti d'impazienza, né dava alcun segno di disgusto ; ma tutto si soffriva con somma pace e tranquillità interna ed esterna, lodando e benedicendo sempre Dio per l'occasione, che le dava di esercitar la pazienza. E di fatti avendo una volta ricevuti alle grade molti rimproveri e minacce da lei sofferte per altro con somma tranquillità di cuore e serenità di volto, una sua Religiosa, che aveva ciò inteso e veduto con sua gran maraviglia, le dimandò come stesse ; ed ella rispose con grande ilarità: sia benedetto Iddio ; sto piena di fiori e di gioje, sia benedetto Iddio. Ond'è, che questa sua maniera era divenuta sì nota a tutto il Monastero, che quando la vedeano ritornare dalle grade con ilarità di volto lodando e benedicendo Dio, soleano dire: la nostra madre dee aver buscata qualche cosa di buono: volendo significare, che avesse ricevuta qualche avversità. E già coll'informarsi dopo di quello che l'era accaduto, trovavano, che così appunto era. Anzi ciò avevano anche notato i suoi domestici fin quando stava nella casa paterna ; e però qualora le sopraggiungeva alcuna infermità, o qualche travaglio, le dicevano: ora è venuto il contento tuo, il tempo della tua festa.
29. " Se guardate la verga di Mosè per terra, è uno spaventevole serpente: se la guardate in mano di Mosè è una bacchetta di maraviglie. Così appunto sono le tribolazioni. Considerate in se stesse sono orrende, ma considerate nella volontà di Dio sono amori e delizie. " Sales.
S. M. Madd. de Pazzi solea dire, che non pensava trovarsi al Mondo patimento sì acerbo, avversità sì dura, e travaglio sì penoso, ch'ella non sopportasse con allegrezza, col solo persuadersi, che ciò fosse la volontà di Dio. Ed in effetto in que' gran patimenti, ch'ebbe nella prova del quinquienno, e nella sua ultima infermità, quando alcuna le ricordava, esser volontà di Dio, ch'ella patisse quegli acerbissimi travagli, subito si rasserenava, e le cessava ogni rammarico. Si narra nella vita di S. Lupo, come sentendo egli, che il furibondo Attila veniva per depradare la Città di Troja, di cui egli era Vescovo, a principio si atterrì non poco ; ma poi animato dallo spirito di Dio, gli uscì incontro vestito degli abiti Pontificali con isperanza di raffrenare la di lui audacia: e giunto alla sua presenza, gli dimandò chi fosse ? ed avendo quegli risposto, ch'era il flagello di Dio, a queste parole soggiunse il Santo: e io che sono il devastatore della greggia di Dio, ben merito d'esser da lui flagellato ; ed incontamente gli fece aprire le porte. Però entrati dentro i nemici passarano dirittamente la Città senza farvi alcun male, come se non vi avessero veduto veruno: volendo con ciò Iddio dimostrare quanto avesse gradita questa umiltà del santo uomo in sottomettersi con tanta prontezza al flagello che gli mandava, ed in riputarsene meritevole.
30. " Quando ci occorrerà di patire dolori, travagli, o mali trattamenti, ponghiamo gli occhi in quelli, che soffrì il nostro Salvatore ; che questi ci renderà subito dolci e sopportabili i nostri ; i quali per duri che sieno, non ci sembreranno più, che fiori in paragone delle sue spine. " Sales.
Il Conte Elzeario ricevea moltissime ingiurie per fin da suoi medesimi sudditi, e tutte le soffriva con gran pace. E richiesto dalla consorte come potesse ciò fare, rispose: quando io ricevo ingiurie da chicchesia, mi rivolgo tosto a considerare i grandi affronti, che il Figlio di Dio ha sofferti dalle sue creature, e dico a me stesso: ancorché ti strappassero la barba, e ti schiaffeggiassero, che sarebbe questo in confronto di quello che ha sofferto il tuo Signore con tanta pazienza ? E sappi di più, che alle volte in questi casi sento de' movimenti di sdegno non leggieri: ma io fisso subito il pensiero in alcuna simile ingiuria dal Signore sofferta, e non lo ritiro più finché il movimento non sia cessato. Stando in letto una buona Signora, travagliata da molti mali, una sua famigliare le pose in mano un Crocifisso: dicendole, che lo pregasse a liberarla da tanti travagli ; ed ella rispose: come volete, che io cerchi di scendere dalla croce, mentre tengo nelle mani un Crocifisso ? Dio me ne guardi. Piuttosto patirò volentieri per colui, che volentierissimamente ha patito per me dolori senza comparazione tanto maggiori de' miei. Apparso il Signore a S. Teresa tutto piagato, mentre ella stava molto travagliata, le disse: mira figlia, l'acerbità de' miei tormenti, e considera se i tuoi si possono paragonare co' miei. Restò a questo la Santa talmente commossa, che le sembrava di non aver più alcun male ; e solea poi dire: quanto io penso in quante maniere il Signore patì, e che per niuna colpa lo meritava, non so dove io m'abbia il cervello mentre mi lamento de' miei patimenti, o mi scuso. Ritrovandosi un Servo di Dio molto afflitto per gravi persecuzioni, calunnie, e disprezzi, che pativa, rivolto al Signore gli disse: Oh Signore, sin a quando ho da essere così travagliato senza mia colpa, come voi sapete ? Ed il Signore gli apparve tutto piagato, rispondendogli: ed io che colpa ebbi di esser così trattato ? Alla qual vista s'intenerì talmente colui, e si riempì di tanto giubilo, che niente più sentiva le sue afflizioni, e dicea, che non avrebbe cambiato il suo stato con qualsiasi Monarca del Mondo. S. Liduina per trentotto anni patì continuamente ogni sorta d'infermità: podagra, chiragra, schimanzia, dolor di denti, febbri, e quanto altro v'è di penoso: e pure si mantenea sempre gioviale e allegra, perché tenea continuamente presenti i patimenti di G. Cristo. Racconta Dionisio Cartusiano di un certo novizio, che si era intiepidito nel divino servizio. Questi laddove a principio ogni cosa gli riusciva facile, dopo provava gran difficoltà nel fare gli uffizj umili, ed in tutti gli esercizj di mortificazione, e fra le altre cose avea molto a schifo un certo abito vile, che si solea portar da' novizj. Or una notte mentre ei dormiva, gli apparve Gesù Cristo con una Croce molto lunga e molto pesante sulle spalle: che con suo grande stento saliva per una scala ; ed egli mossone a compassione se gli offerse in ajuto. Ma il Signore mirandolo con faccia severa: come, disse, presumi di portar una croce sì pesante tu, che per amor mio non puoi portar un abito, che pesa sì poco ? Alla qual riprensione svegliatosi il Novizio, restò tanto confuso e tanto inanimato nel tempo stesso, che da lì avanti portava l'abito con suo gran gusto e contento ; ed ogni qualunque volta se gli offeriva qualche travaglio, al solo ricordarsi de' gran patimenti, che soffrì Gesù Cristo, subito gli spariva ogni difficoltà, e tutto gli parea dolce ed aggradevole.
MAGGIO
DOLCEZZA
Beati mites, quoniam ipsi possidebunt terram. Matt. 5.4.
1. " La dolcezza e soavità di cuore è una virtù più rara della castità. E pure ella è senza dubbio assai più eccellente e di questa, e di tutte le altre virtù: essendo ella il fine della carità, la quale, al dir di S. Bernardo, allora sta nella sua perfezione, quanto non sola è paziente, ma ancora benigna. Bisogna per tanto fare una stima grande di questa virtù, e porre ogni studio per acuistarla. " Sales.
Grandissima fu in vero la stima, ch'esso Santo facea di questa virtù. Poiché ne parlava sì frequentemente, e con tale sapore, che dava chiaramente a vedere, esser ella tra tutte la sua prediletta. Onde sebbene egli fu eeccellente in tutte le virtù, in questa però si rese singolare e raro. Portava continuamente la fronte serena: avea nella bocca una grazia singolare, che per ordinario si vedea sorridente: la faccia spirava una dolcezza tale, che incantava tutti. E quantunque mostrasse per lo più quanto tenesse sempre raccolto il suo spirito ; se pure gli accadea talora di prendere più di proposito sembiante di amorevolezza, consolava col suo incontro, e si guadagnava il cuore, e l'affetto di chiunque lo rimirava. Le sue parole poi, i gesti, e tutte le sue azioni non andavano mai disgiunte da una gran soavità e dolcezza: tantoché parea, che questa virtù avesse presa il lui la forma d'uomo ; e ch'egli fosse piuttosto l'istessa Dolcezza, che un uomo dotato di tal virtù. Quindi e, che si meritò giustamente l'elogio, dato dallo Spirito Santo a Mosè, di un uomo il più mansueto, che fosse a' suoi tempi sopra la Terra. Onde la B. Madre di Chantal ebbe a dire, che non si vide mai un cuore sì dolce, sì soave, sì benigno, e sì grazioso ed affabile al pare del suo ; e S. Vincenzo de Paoli: ch'egli era l'uomo più benigno, che avesse mai conosciuto ; e che la prima volta, in cui lo vide, notò tosto nella serenità del suo volto, e nel suo modo di conversare un'immagine espressa della dolcezza di Cristo Signor nostro, che gli rapì il cuore. Possiamo dire lo stesso do S. Vincenzo de Paoli. Era egli di un naturale bilioso, e di spirito vivace, e conseguentemente molto soggetto alla collera, com'egli stesso confessò ad un suo confidente ; dicendo, che mentre stava nella casa di Condì, si lasciava più di una volta alquanto predominare dal suo temperamento collerico e malinconico. Or avendo veduto, che Iddio lo chiamava a vivere in comunità, e che in tale stato avrebbe dovuto a trattare con ogni genere di persone di differente genio e complessione, ricorse a Dio, pregandolo istantemente a volergli mutar quell'umore secco e difficile in un altro tutto dolce e benigno ; e poi si diede di proposito a reprimere quei bollimenti della natura: e così mediante l'orazione e l'esercizio, giunse a tal cambiamento, che parea, che più non sentisse i moti del vizio contrario, e che avesse mutato affatto natura. Onde derivò il lui tale bontà di animo, serenità di volto, e soavità di costumi, che gli conciliavano l'affetto di quanti lo praticavano. Preveniva egli sempre per ordinario tutti quelli che andavano da lui, con parole piacevoli, e pieno di rispetto e di riverenza ; colle quali mostrava la stima, che di loro faceva, e l'allegrezza, che avea di vederli ; e questo praticava con tutti, tanto co' poveri, quanto co' più civili, accomodandosi sempre alle qualità di ciascuno.
2. " La Dolcezza è una virtù, nella quale sta riposta la nobiltà dell'Anima. E per questo gli amatori del Mondo mancano spesso di Dolcezza ; perché non si trova in essi questa nobiltà, se non scarsa ed imperfetta: mentre se pur non sono i primi ad usar termini aspri e scortesi ; ricevendone però da altri, se non risentono rigidamente, e gliene rendono duplicati, mostrando con la vendetta d'aver un cuore ignobile e rusticano. Laddove i servi di Dio, benché provocati con parole, e con fatti, mantenendosi sempre tranquilli e pacifici, mostrano una perfetta nobiltà d'animo superiore ad ogni rusticità. " S. Tommaso d'Aqu.
Il medesimo S. Dottore confermò co' fatti questo suo bel sentimento. Mentre a qualunque cimento venisse posto, non diede mai minimo segno di risentimento ; ma in tutt'i tempi ed in tutte le occasioni a tutto si mostrava insensibile con una gran quiete d'animo. Lo comprovò ancora con più fatti l'Imperatore Costantino ; e particolarmente in un'occasione, in cui avendo ricevuto da alcuni suoi sudditi un notabile affronto, così portato dalla sua consueta benignità, punto non si commosse. E perché que' della Corte lo stimolavano a prendere la dovuta vendetta, con dirgli non esser dovere, che portasse lungamente nel volto un sì grave sfregio ; egli passandosi dolcemente la mano sul viso, sorridendo rispose: Io non vi trovo alcun sfregio. L'istesso scrivono del glorioso S. Vincenzo Ferreri, che non fu mai veduto adirarsi, per qualunque ingiuria o maltrattamento gli venisse fatto.
3. " Nun v'è cosa, ch'edifichi tanto i prossimi, quanto la caritatevole benignità, in cui, come nell'olio della lampana, si mantiene la fiamma del loro esempio. " Sales.
Di S. Francesco Saverio si legge, che i suoi Gesuiti andavano spesso a visitarlo, non per altro, che per godere della sua ammirabile dolcezza. Passando un dì S. Ignazio col suo compagno vicino a' mietitori, questi si misero a burlarli, e dire al solito loro degl'improperj. Ed il Santo, per non privarli di quel sollievo, si fermò ivi con volto tranquillo fin a tanto che finissero, e dopo li benedisse, e si partì. Della qual cosa quellii rimasti stupiti, lo predicavano per Santo.
4. " Bisogna trattar con tutti soavemente, e con quelle maniere, che sogliono derivare da un cuor tenero e pieno di carità cristiana ; come sono l'affabilità, l'amore, l'umiltà: le quali virtù servono mirabilmente, per guadagnarsi i cuori degli uomini, per animarli ad abbracciar le cose anche più ripugnanti alla natura. " S. Vinc. de Paoli.
S. Fr. di Sales procedea con tutti con tanta dolcezza, che senza violenza alcuna riducea ogni cosa al suo proprio volere, e facea tutto ciò, che voleva: e lo faceva in guisa sì soave, e nel tempo stesso sì forte, che niuno potea resistere alle sue persuasive ; e colpiva ovunque mirava, senza che alcuno se ne accorgesse. Egli trattava con rispetto tutti, accoglieva amorosamente tutti, ed a tutti soddisfaceva con gran soavità e cordialità. Il che gli faceva avere un vantaggio tale ed una tal'efficacia sopra i cuori, che tutti a lui cedevano. E siccome egli cercava di accomodarsi a tutti, e di rendersi tutto a tutti ; così tutti adempivano volentieri i desiderj suoi, che altro non miravano, che di vederli occupati nel divino servizio, e posti nella via della salute. S. Francesco Saverio pure procedea con tutti con tanta mansuetudine e benignità, che tirava a se e piccioli e grandi, e si guadagnava i cuori di tutti, e tutti induceva a fare quanto volea. Venendo un dì l'Abate Servio maltrattato con molta inciviltà da un Villano, non solo lo tollerò con gran pazienza, ma anche gli rispose con molta dolcezza. Del che ammirato colui e compunto insieme, si gettò a' suoi piedi, e gli chiese perdono, e poi si rese suo Monaco.
5. " Alle volte una sola parola bastava a placare una persona tutta accesa di sdegno, e per lo contrario una sola parola è capace di desolare un'Anima, e cagionarle un'amarezza, che può essere nocevolissima. " S. Vinc. de Paoli.
Andando un dì S. Macario col suo Discepolo in Nitria ; questi, che camminava un poco avanti, incontrato un Sacerdote degl'Idoli, che veniva correndo con un gran legno sulle spalle, gli disse: Dove vai Demonio ? E quegli, riposto il legno, gli andò addosso, e gli diede tanti colpi, che lo lasciò per morto ; e ripigliato il legno, proseguì il suo cammino correndo. Ma S. Macario nel vederlo, lo salutò, con dire: Dio ti salvi, lavoratore. Hai fatto bene: rispose quegli, a salutarmi amichevolmente ; ed il Santo: t'ho veduto affaticato, e correre incosideratamente ; e perciò ti ho salutato, acciò fermandoti, ricevessi un po' di riposo. E quegli: da questo conosco, che tu sei vero Servo di Dio ; indi gettatosegli a' piedi, disse di non abbandonarlo finché non lo vestisse del suo abito. Facendo viaggio tre Monaci, sbagliarono la strada, e però dovettero passare per un campo di grano, e calpestarlo molto. Il che vedendo il contadino, prese a sgridarli, chiamandoli falsi Monaci. Allora il più vecchio disse a' Compagni, che nessuno gli rispondesse, e giunto vicino a colui, gli disse: Figliuol mio, tu hai detto bene. E proseguendo quegli ad ingiuriarli: dici la verità Figliuolo, perché se fossimo veri Monaci non ti avremmo fatto questo danno, ora perdonaci per amor di Dio, perché conosciamo d'aver fatto male. Alle quali parole ammirato colui di tanta dolcezza, si gettò ai suoi piedi, loro chiese perdono, e poi l'abito ; e se ne andò con essi. S. Francesco di Sales parlava sempre con soavità e dolcezza tale, che talvolta con sole due, o tre parole metteva in tranquillità i cuori più angustiati.
6. " Non essendo possibile in questo nostro pellegrinaggio di non incontrarsi ed imbarazzarsi gli uni cogli altri, è necessario d'aver un gran fondo di dolcezza da opporre agl'improvvisi movimenti della collera, per conservare la pace del cuore. " Sales.
Filippo Secondo Re di Spagna avea spese più ore della notte in iscrivere una lunga lettera al Papa, e finitala la diede al Segretario, acciò la piegasse, e la sigillasse. Costui stando mezzo addormentato, in cambio dell'arena vi buttò sopra dell'inchiostro ; ed accorgendosi del fatto, restò mezzo morto. Allora il Re, senza punto turbarsi, non disse altro, se non: quà un altro foglio di carta, e tornò a scriverla con gran pace. Un altro giorno dovendo uscire a caccia, si assettò sulla sedia, per farsi mettere gli stivaletti ; e vestitone uno, non si trovò l'altro per lungo spazio ; ed egli aspettò tutto quel tempo senza mai dar segno alcuno d'impazienza, e senza dir minima parola. Nel giorno della sua incoronazione volendo un soldato con una pertica tener addietro la moltitudine del Popolo, ruppe tre lampadari di cristallo, che stavano sopra il trono ; ond'è che cadde dell'olio sopra i vestiti preziosi del Re e della Regina. Allora egli con sereno volto: Questo, disse, è un augurio, che sotto il mio regno vi sarà l'unione della pace e dell'abbondanza. S. Remigio prevedendo una gran carestia, avea raccolta gran quantità di grano ; ed avvisato un dì, che alcuni malevoli vi avevano attaccato il fuoco, egli montando tosto a cavallo, vi corse per rimediarvi. Ma avendo trovato che andava tutto in fiamma senza speranza di rimedio, trovandosi con un gran freddo addosso, scese da cavallo, e con una gran tranquillità di volto e d'animo prese a scaldarsi, dicendo: il fuoco è sempre buono. Il V. Cardinal d'Arezzo facendo una mattina l'ordinazione, e non trovandosi un ordinando, mandò a cercarlo, fermandosi frattanto con animo tranquillo ad aspettarlo ; ed alla di lui venuta nulla risentendosi, proseguì quietamente la funzione.
7. " Vi sono certi naturali, che pajono molto mansueti finattanto che tutto succeda a modo loro, ma appena toccati con qualche avversità, o contraddizione, subito si accendono, e cominciano a fumare come il Vesuvio. Questi si possono dire carboni ardenti, nascosti sotto la cenere. Non è questa la Dolcezza, che pretese insegnarci il Signore, per renderci simili a lui. Dobbiamo essere come i gigli tra le spine: i quali per quanto vengono da quelle punti, non lasciano di essere sempre egualmente soavi e trattabili. " S. Bern.
Di quà si vede, come la dolcezza di S. Fr. di Sales era della vera: poiché scrivono di lui, che quante più veniva maltrattato, tanto più si vedea tranquillo. Onde si può dire, che trovasse la pace nella guerra, e le rose tra le spine, e la dolcezza tra le più grandi amarezze: tanto che un giorno egli medesimo ebbe a dire: da qualche tempo in quà le tante opposizioni, e segrete contraddizioni, che mi son venute, mi recano una pace sì dolce, e si soave, che non ha pari ; e mi presagiscono il prossimo stabilimento dell'Anima mia nel su Dio, che con tutta verità è l'unica ambizione e l'unico desiderio dell'Anima e del cuor mio. In niuna cosa più risplendé l'ammirabile pace e tranquillità di lui, che nelle persecuzioni da lui sofferte per cagione dell'ordine della Visitazione, opera delle sue mani e della sua mente, che costandogli orazioni, viaggi, e fatiche oltre numero, gli era certamente cara, come la pupilla degli occhi. Or furono tante le sollevazioni contra sì degno Istituto che lo vide più volte sul punto d'estinguersi, né perciò perdette egli mai la sua imperturbabile pace: anzi arrivò a scrivere ad alcuno, ch'egli lodava Dio, perché la sua piccola Congregazione veniva calunniata, per essere questo uno de' più evidenti contrassegni dell'approvazione del Cielo. Predicando il Santo un giorno in Anisi, due Avvocati, per intorbidargli il sermone, gli fecero presentare una carta piena d'ingiurie. La prese egli, pensando che contenesse alcun avviso da darsi al popolo ; ed ebbe la pazienza di leggerla sotto voce, e poi continuò il sermone con tutta pace. Terminato il quale, e preso un poco di riposo, informatosi dal Chierico da chi avesse avuto quel biglietto, andò subito a ritrovar quei due Avvocati l'uno dopo l'altro ; e senza parlar del biglietto, li pregò a dirgli in qual cosa avesse loro dato disgusto: ed intesane la cagione, assicurandoli che non era mai stata sua intenzione di farlo, chiese loro perdono inginocchioni. Restarono quelli confusi molto per un tal atto ; e domandandogli essi pure perdono, dopo vissero in buona intelligenza venerando una virtù sì eroica e cristiana. Spiccò anche in questo la B. M. di Chantal. Poiché essendo ella in varie occasioni stata maltrattata da molti, non diede mai minimo segno di risentimento, o dispiacenza alcuna ; ma rendeva in contracambio a chi doni, a chi grazie ottenute loro o da Dio, o da' Principi e verso di niuno punto diminuiva dell'amor suo. Un certo giovane fortemente sdegnato, perché una fanciulla da lui cercata in isposa aveva abbracciato lo stato religioso nel di lei Monastero, andò a trovarla, e le disse molte parole oltraggiose al sommo, che furono da lei ascoltate con una gran serenità di volto e con tanto giubilo del suo cuore, che uscendo dal parlatorio disse alla compagna, ch'era stata presente: non ho mai udito panegirico, che mi sia stato più grato di quello che ha fatto ora questo buon giovine. Indi mossa dalla compassione di vederlo nel peccato: preghiamo, soggiunse, il Signore d'illuminarlo. E ben furono esaudite le di lei orazioni ; poiché pentito colui del suo errore, venne un'altra volta a chiedere perdono, e poi andò a farsi Religioso, e riuscì un insigne predicatore, ed un buon servo di Dio.
8. " Quando dovrete trattar aggiustamenti, compor litigj, e persuadere alcuna cosa ; procurate sempre di esser più dolce che sia possibile. Farete più, e vincerete sempre meglio col cedere e coll'umiliarvi, che coll'austerità, e col contrasto: chi non sa, che si prendono più mosche con un'oncia di miele, che con cento barili di aceto ? " Sales.
Si rese in questo eccellente il V. Card. d'Arezzo, il quale non solamente seppe tener sempre in pace tutt'i suoi domestici troncando ogni loro differenza, quando fu Vescovo e Cardinale, ma sin dal tempo ch'era Religioso, era stimato per un uomo attissimo a terminar liti, a sedar discordie, ed a pacificar gli animi più adirati. Il che gli riusciva benissimo non solo per la sua molto prudenza e destrezza nel trattare, ma ancora per la sua grande affabilità e dolcezza, con cui vestendosi degli affetti di ciascuno avea gran forza per ammollire i cuori più ostinati. Il V. Bercmans sin da quando era piccolo, qualora tra figliuoli accadea qualche contesa, aveva una gran faciltà di tosto pacificarli. E la ragione era, perché li prendea colle maniere dolci e colle preghiere.
9. " Se volete attender con frutto alla conversione delle Anime, vi conviene gittar il balsamo della soavità sul vino del vostro zelo ; affinché questo non sia troppo ardente, ma benigno, pacifico, sofferente e pieno di compassione. Poiché lo spirito umano è d'una tempra tale, che col rigore diventa più crudo: laddove la soavità l'ammollisce interamente. E poi dobbiam ricordarci, che Gesù Cristo è venuto per benedire le buone volontà, e se gliele lasceremo governare, a poco a poco le renderà fruttuose. " Sales.
Egli stesso così procedeva anche co' più perversi peccatori, sforzandosi di ridurli a vera penitenza con le maniere più soavi, che gli fossero possibili ; regolandosi con questa gran massima, che lo spirito di dolcezza è lo spirito di Dio ; siccome lo spirito di mortificazione è quello del Crocifisso. Confessandosi da lui un penitente carico di enormissimi peccati, quali narrava con disinvoltura, e senz'alcuno spirito di penitenza, egli dopo averlo sofferto per un pezzo, si mise a piangere ; e richiesto da colui, se gli fosse accaduto qualche male, tirate avanti rispose. Proseguendo quegli intanto a contare colla medesima franchezza altri delitti anche maggiori ; tornò per due altre volte a piangere: tanto che colui gli dimandò perché piangesse. Allora il Santo con una voce compassionevole: piango, disse, perché non piangete voi. Le quali parole talmente compunsero quello scellerato, che divenne un vero penitente. Questa sua soavità comparve principalmente nella maniera con cui consigliava, poiché nel tempo stesso animava le Anime a perfezionarsi. Quando le trovava immerse nelle colpe, ed in occasioni pericolose, gridava bensì: Tagliate, troncate, rompete, dicendo che non bisogna fermarsi a scucire, o snodare certi legami, ma convien lacerarli, e romperli ; però in altre occasioni non pericolose esortava d'andar a passo a passo, ritagliando a poco a poco la superfluità, e cose di Mondo della nostra vita. Non vedete voi, scrisse ad una Dama, che non si potano le viti con grossi colpi d'ascia, ma bensì con una falcetta a bell'agio, un tralcio dopo l'altro. Io ho vedute alcune scolture, che l'artefice ha maneggiate dieci anni prima che fossero perfette, non cessando di togliere con scalpelli a poco a poco quel tanto, che impediva la giusta proporzione. No certamente, non è possibile arrivare in un giorno dove aspirate. Bisogna guadagnare oggi un punto, dimani un altro ; e passo passo andar procurando di renderci padroni di noi medesimi: il che non sarà piccola conquista. S. Vincenzo de Paoli anche nel predicare stesso era solito di parlar con soavità e dolcezza: tantoché cagionava negli animi degli uditori, e massime de contadini, una tal confidenza verso di lui, ed una tal prontezza in abbracciare i suoi ammaestramenti, che spesse volte dopo la predica gli correano dietro, e colle lagrime agli occhi in mezzo alla folla lo pregavano a voler sentire le loro confessioni: nelle quali gli scoprivano con gran franchezza le piaghe più nascose delle Anime loro, per riceverne da lui il rimedio. Una volta consegnò ad uno de' suoi un gran peccatore, acciò procurasse di ridurlo a penitenza: ma quegli, per molto che gli dicesse, conobbe, che le sue parole non avean forza in quel cuore ostinato ; e però pregò il Santo a dirgli esso qualche cosa. Lo fece, ma con tanta efficacia, che lo convertì: e perché fosse una conversione stabile, l'indusse a far gli esercizi spirituali. Quegli poi dopo confessò, che la singolar dolcezza e carità del Santo, erano state quelle, che gli avean guadagnato il cuore, e che non avea mai sentita persona alcuna, che parlasse di Dio nel modo, che ne parlava egli. Quindi è poi, ch'egli non potea soffrire, che i suoi Missionarj trattassero i penitenti con rigidezza ed asprezza: dicea loro che bisogna far animo a' peccatori ; e che lo spirito infernale si serve ordinariamente del rigore e dell'amarezza d'alcuni ; per maggiormente conturbare le Anime. La stessa maniera usava per la conversione degli Eretici: onde gli riuscì di convertirne molti, i quali dopo confessarono d'essere stati guadagnati a Dio dalla di lui gran pazienza e cordialità. Davane poi la ragione il Santo, con dire: Vedete, quando uno si mette ad argomentare con un altro, questi facilmente si persuade, che quegli pretende di vincerlo, e però sta più preparato a resistere, che ad abbracciare la verità ; di modo che la contesa invece di disporre il suo spirito alla conversione, piuttosto gli serra il cuore, il quale per l'opposto resta aperto alla dolcezza od affabilità. Abbiamo di ciò, soggiungeva un bell'esempio in Monsignor di Sales, il quale benché versatissimo nelle controversie, convertiva nondimeno gli Eretici più colla soavità, che colla dottrina: onde solea dire il Cardinale di Peron, che gli bastava l'animo di convincere gli Eretici ; ma che per convertirli ci volea Monsignor di Sales. Predicando S. Francesco Saverio in Macao ad una gran moltitudine di gente, i fanciulli e la plebe presero a tirargli de' sassi in quantità, ed egli non diede mai segno perciò di animo turbato: e più con questo, che colla sua predica fece delle conversioni. S. Liduina convertì colla sua gran dolcezza un peccatore, che niun Predicatore, né Confessore avea mai potuto ridurre a penitenza. S. Filippo Neri si affaticava molto nella conversione delle Anime, quali tirava con tanta destrezza al Signore, che faceva stupire gli stessi penitenti, inescandoli di tal maniera, che quanti a lui venivano una volta, parea, che non se ne potessero più staccare. Era egli attentissimo in accomodarsi alla natura di ciascuno. Se a lui capitavano de' gran peccatori e mal abituati, nel principio ordinava loro, che si astenessero da' peccati mortali, e poi a poco a poco li conducea con un'arte ammirabile a quel segno, che pretendea. Gli capitò a piedi un penitente tanto immerso in un peccato, che quasi ogni giorno vi cadeva: al quale non diede egli altra penitenza, se non che quando avesse commesso quel peccato, subito senza più prolungare tornasse a lui a confessarsi, e non aspettasse a cadervi la seconda volta. Ubbidì il penitente, ed egli sempre l'assolvea, non dandogli altra penitenza, che quella. E con questo solo gli riuscì di liberarlo in pochi mesi non solo da quello, ma da ogni altro peccato ; anzi di condurlo ad un'alta perfezione. Con un giovine molto dissoluto altro non fece, che pregarlo a dire ogni giorno sette Salve Regina, e poi baciar la terra dicendo queste parole, domani potrei esser morto. Il che facendo il giovine, in breve si ridusse ad una buona vita, e dopo quattordici anni morì santamente. In questo modo ridusse il Santo un gran numero di peccatori nella via del Signore ; molti de' quali, venuti alla morte diceano: sia benedetto il giorno e l'ora che io conobbi il P. Filippo. E tutti gli restavano così affezionati, che non sarebbe stata cosa, che per lui non avessero fatta più che volentieri.
10. " Chi ha governo d'Anime si ha da portar con esse a guisa di Dio, e degli Angeli, con insinuazioni, ammonizioni, e preghiere, e con ogni pazienza e dottrina. Deve battere alla porta de' cuori, come lo sposo, e tentar dolcemente d'aprirla ; e se ciò accade, introdurvi la salute con allegrezza ; se poi viene fatto il rifiuto, sopportarlo pazientemente. Così appunto fa il Signore. Ancorché sia padrone di tutt'i cuori, soffre tante nostre resistenze contra i suoi lumi, e tante ribellioni contra le sue inspirazioni: e benché sia forzato di ritirarsi da coloro, che non vogliono incamminarsi per le sue vie ; ciò non ostante, non lascia di rinnovar le inspirazioni e gl'inviti. E gli Angeli nostri Custodi imitano appuntino in questo la condotta di lui. Poiché avvisano, reggono, ed ajutano quanto possono coloro, che Iddio ha commessi alla loro custodia: e quando veggono, che questi se ne rimangono ostinati, non però li abbandonano, né se ne prendono afflizione o molestia, né perdono punto della loro beatitudine. Or che migliori esemplari di questi vogliamo noi per la nostra condotta ? " Sales.
Questi appunto erano gli esemplari, che il Santo si proponea. Cogli spirti deboli in particolare, quali sono i principianti, o poco avanzati nella via dello spirito dicea doversi fare: come Giacobbe, che accomodava i suoi passi a quelli de' suoi figliuoli, e per fin de' teneri agnellini. S. Vincenzo de Paoli pure si portava con una gran soavità e pazienza con tutti quelli che dirigeva, e specialmente colle persone scrupolose, sopportando le loro debolezze, ed ascoltando con una sofferenza inalterabile. Lo stesso ancora praticava con gli spiriti difficili e delicati, i quali dicea doversi ajutare con special soavità, essendo le loro infermità di spirito degne di compassione, più che non sono le infermità corporali. Così pure procedea nel suo governo la B. M. di Chantal ; onde così scrisse ad una Superiora del suo Ordine ; quanto più mi avanzo nell'età, tanto più conosco esser necessaria la dolcezza per entrare e mantenersi ne' cuori ; acciò corrispondano al debito, che hanno con Dio. E se mi sono studiata di far qualche cosa a beneficio di quelle persone, che a me sono ricorse per l'indirizzo delle Anime loro, tutto ho operato col mezzo d'una dolce ed umile carità, e senz'altra autorità ; che quella d'una cordiale preghiera.
11. " Come senza Fede è impossibile di piacere a Dio ; così senza la dolcezza è impossibile di piacere agli uomini, e poterli ben governare. " S. Bern.
Il medesimo Santo l'ha comprovato col suo esempio. Poiché essendo stato fatto Abate, nel principio procedea con molt'austerità e severità: e sebbene era tenuto da' suoi Monaci in gran concetto, nondimeno non vi si potevano accomodare. Onde il Signore l'avvisò a procedere con più soavità e dolcezza: il che avendo esso eseguito, si guadagnò l'affetto di tutti, ed una esattissima ubbidienza. Narra Cassiodoro di Teobaldo, che fatto Re solea dire: Col mutare dignità abbiam mutato proposito, e se prima procedevamo col rigore, adesso usiamo da per tutto la clemenza. Riferisce Niceta ne' suoi annali d'un certo Imperadore, che venuto alla morte, e convocati i Principi dell'Impero, disse loro: Questi due miei figliuoli, come vedete, sono ambidue buoni, però io stimo, che il più atto per governare l'Impero sia il minore ; poiché oltre le altre sue virtù è inclinato alla clemenza e docilità: cadendo in qualche difetto, prende gli altrui consigli, e siegue l'impero della ragione. Laddove l'altro è molto facile all'ira ; e nel fervore della bile non può moderarsi. La qual cosa è nimicissima del consiglio, e la rovina de' savj.
12. " Mi sono volta e rivolta in ogni canto, che mi ho potuto immaginare. Ho considerato tutte le maniere di governo, ed anche l'ho sperimentate ; e dopo ho veduto, che quella, ch'è piacevole, umile, sincera, e sofferente, è la migliore ". La B. Maria di Chant.
Infatti così appunto ella portavasi colle sue suddite ; con maniere dolci ed umili ; e così ottenea da tutte quanto bramava. Esigendo da loro cose indifferenti, procedea con tanta sommissione, che rimanean confuse della di lei umiltà, e richiedendo cose necessarie, lo facea con tanta dolcezza, che sarebbe stato d'uopo non aver cuore, per non ubbidire prontamente a' suoi ordini. S. Vincenzo de Paoli scrisse così ad un Superiore, che si era con lui lagnato d'un soggetto. Il Sacerdote, di cui mi scrivete, è uomo dabbene, che attende alla virtù, e prima d'entrar tra noi era in grande stima appresso il Mondo. Che se adesso è un poco inquieto, s'imbarazza in affari temporali, tiene pensiero de' parenti, ed è finalmente fastidioso a' compagni, convien sopportarlo con dolcezza: se non avesse questi difetti, ne avrebbe degli altri: e se V. S. non avesse che soffrire, la di lei carità non avrebbe gran materia d'esercitarsi, né il di lei governo e condotta avrebbe gran somiglianza con quella di Cristo Signor nostro, il quale volle avere discepoli grossolani, e soggetti a varj mancamenti, per aver occasione, col praticare egli l'affabilità e la pazienza d'insegnarci come debbano portarsi coloro, che si trovano in uffizj di Superiori. La prego a regolarsi secondo questo santo modello, da cui imparerà non solo a sopportare i suoi confratelli, ma ad ajutarli ancora a liberarsi dalle loro imperfezioni. Scrivendo ad un altro nelle Missioni, che soffriva mal volentieri la partenza d'un soggetto, che con lui faticava, disse: Non dubito che la separazione da quel caro compagno, e fedele amico non sia per essere a lei sensibile: ma si ricordi che nostro Signore si separò dalla sua propria Madre ; e che i suoi Discepoli, che lo Spirito Santo avea si perfettamente uniti, si separarono gli uni dagli altri per servizio del loro divino Maestro. Narra Plutarco di Pericle, che ogni qual volta si vestiva la clamide militare, per mantenersi affabile e rispettoso con tutti, solea dire a se stesso: attento, Pericle che vai a comandare a' liberi, a' Greci, a' Cittadini, d'Atene.
13. " Chiunque sta in carica, non dee lasciar di resistere, e di correggere i vizj di quelli, che da lui dipendono, ed anche opporsi a' sentimenti degli altri, quando il bisogno lo richiede: sempre però con dolcezza e con pace, specialmente quando si han da dire certe verità difficili ad accettarsi. Allora è necessario di farle prima conoscere da un ardente fuoco di carità, che levi loro ogni asprezza ; altrimenti saran frutti acerbi atti a convertirsi più in escrementi, che in nutrimento. Non vi è cosa più amara della scorza della noce, quando è verde: e pure se si confetta diventa molto dolce, e più confacevole allo stomaco di qualunque altra cosa. Così la riprensione, ch'è tanto aspra di sua natura, riscaldata al fuoco della carità, e condita colla dolcezza, anch'ella diventa amabile e deliziosa. E quando la verità, profferita dalla lingua, non porta seco questo condimento, è segno evidente, che la carità del cuore non è della vera ". Sales.
Il P. Lamberto della Congregazione della Missione, se tal volta gli conveniva di far correzioni a' suoi inferiori, l'accompagnava con una gran dolcezza, e non esagerava mai i mancamenti ; anzi per quanto potea, li dissimulava, benché fossero stati commessi in sua presenza. Nello stesso modo pure procedeva il V. Card. Bellar. S. Francesco Borgia non lasciava mai passare alcun mancamento de' suoi sudditi senza correggerlo. Nondimeno quando eran mancamenti leggieri, non usava mai asprezza, ma solea dire: Ah che Dio te la perdoni ! Che ti possa vedere Santo ! O fratello, come avete voi detto, o fatto questo ? Se poi il mancamento era grave, chiamato a se il colpevole, lo correggeva dolcemente ; e vedutane l'emenda, si scordava affatto di tutto. S. Vincenzo de Paoli, quando era obbligato a correggere i suoi, lo facea sempre con tal moderazione, e con maniere si soavi insieme, e sì efficaci, che i cuori anche più duri si ammollivano, e non potevan resistere alla forza della sua dolcezza. E disse in una occasione, che in tutto il tempo di sua vita non avea fatta mai alcuna correzione con parole aspre, fuorché tre volte, nelle quali credé d'aver ragione di così fare, ma che poi dopo se n'era sempre pentito, poiché gli era riuscito male ; e che per lo contrario colla mansuetudine avea sempre ottenuto quello che desiderava. Le cautele, che usava, per rendere la correzione fruttuosa e grata la sua amarezza, erano le seguenti. Primo non la facea mai per ordinario nell'atto che uno mancava, fuorché in cose di grande necessità ; ma pigliava qualche tempo per considerare avanti Dio la maniera di dar avviso, massime quando il mancamento era grande, e la persona poco disposta a riceverne la correzione: e giunto il tempo opportuno domandava a quella con molta confidenza e cordialità se gradiva di esser avvisata, aggiungendo, ch'egli si riconoscea più d'ogni altro imperfetto e colpevole. Secondo solea mostrarle affetto, lodarla, se scorgeva in essa materia di lode: con che si apriva la strada a scoprirlo con destrezza il suo difetto, e farnele vedere la gravezza ed i mali effetti. Lo scusava però, e lo diminuiva quanto poteva, e poi gliene suggeriva il rimedio: e per animarla a valersene, dicea per sua umiltà, d'averne anch'esso bisogno. Terzo terminava la correzione con farle animo, dicendo, che Iddio avea permesso quel mancamento per umiliarla, e per darle occasione d'attendere con maggior fervore all'acquisto delle virtù. Sovente dissimulava i mancamenti, facendo mostra di averli solamente come traveduti. Era suo sentimento, che si debbono ammonire i colpevoli in tempo opportuno ; la prima volta con gran benignità e dolcezza ; la seconda con un poco di severità e gravità, accompagnata però dall'affabilità, e servendosi di rimedi soavi e caritativi ; la terza poi con zelo e fermezza, significando alla persona l'ultimo rimedio, che necessariamente bisognerebbe prendere. S. M. Madd. de Pazzi non fu mai sentita contrastare, né soprastare a veruna. Anzi quando era maestra delle novizie, se alcuna di loro ripresa da lei, le rispondea con durezza e superbia, ella non replicava niente: ma guardandola con occhio amorevole, si quietava, aspettando a correggerla in altro tempo. La B. M. di Chantal, quando dovea far qualche correzione, e dar qualche penitenza, usava una special attenzione nel parlare, acciò non le uscisse di bocca alcuna parola di rimprovero, o di disprezzo, che mostrar potesse la minima ombra di risentimento, ma tutte fossero accompagnate da una cordial compassione e tenerezza tale, che nel tempo stesso servissero a biasimar la colpa, ed a sollevar la persona colpevole. Tutto il suo studio era di far conoscere alla delinquente il suo errore, e di farla rientrar in se stessa con maniere sì soavi, e con termini così insinuanti, ch'era quasi impossibile il non rimanerne commossa a pentimento, ed il non ricever con profitto l'ammonizione. Che se scorgeva in alcuna qualche spirito di libertà, che preghiere, che carezze, che stratagemmi amorevoli non le suggeriva la sua caritatevole prudenza, per ridurla nel retto sentiero ? Il V. Card. d'Arezzo uomo zelantissimo della gloria di Dio e della salute delle Anime mostrava fra le altre cose gran premura, che si facessero a perfezione e con tutto il decoro le funzioni ecclesiastiche, e pure quando vedea commettersi da' suoi sudditi alcun difetto circa di esse, benché nell'interno si sentisse altamente commuovere ; nel correggerli però lo facea con tanta dolcezza, che tutti ne restavano sorpresi. Quando poi sentiva, che alcuna delle sue pecorelle, e massimamente se era persona ecclesiastica, stava immersa in qualche vizio, o fosse caduta in qualche mancamento notabile, ne sentiva tal'afflizione e dolore, che spesso lo facea prorompere in pianti, e dopo d'aver con ferventi ed affettuose orazioni supplicata S.D.M. a compatire le miserie e le fragilità umane, si dava tutto e col pensiero, e coll'opera a porvi rimedio. E prima di tutto soleva in tali occasioni promulgare di nuovo i decreti, ed ordini sinodali colle pene in essi comminate, affinché ricordandosi il pericolo, a cui soggiacevono, facessero almen per timore quel che non volean fare per virtù. Quindi se bisognava, veniva agli avvisi in particolare, ma con destrezza mirabile, e con dimostrare anzi verso di que' tali maggior confidenza e dimestichezza: cosa che sebbene a prima vista sembra strana, e contra ogni regola di buon governo, ad ogni modo non si può credere quanto riuscisse profittevole al Santo Pastore. Si chiamava alle volte de' Preti, ed anche de' secolari, massime di que' che teneano male pratiche, e l'invitava a pranzo con se, e dopo ritirargli in camera, cominciava ad ammonirli con grandissima carità, detestando il grave loro peccato e l'offesa di Dio in modo tale, e con tale zelo ed affetto, che piangeva egli direttamente, e movea quelli pure a piangere, e convertirsi. Ed in questa guisa faceva egli grandissimo profitto, e si vedevano ammirabili mutazioni di vita non senza straordinaria edificazione de' popoli.
14. " L'unico fine del Superiore dee essere l'amore di Dio, e la santificazione delle Anime alla sua cura commesse. E questo non si può meglio conseguire, che coll'umiltà, colla piacevolezza, e col buon esempio ". S. Vinc. de Paoli.
Per tal fine il medesimo Santo raccomandava a' Superiori di procurare, che riuscisse soave ai sudditi il giogo dell'ubbidienza, e che perciò non usassero maniere imperiose ed aspre, ma sempre rispettose ed amorevoli. Onde ad uno, che mandava per Superiore ad una Casa, diede questo ricordo: Non vi appassionate per comparir Superiore e Padrone. Io non son già del sentimento d'una persona, la quale giorni sono mi dicea, che per ben governare, e mantenere la sua autorità, dee uno farsi conoscere per Superiore. O Dio mio ! Non ha già detto così Gesù Cristo: anzi ci ha insegnato il contrario e cogli esempj, e colle parole, dicendo di non essere egli venuto al Mondo per esser servito, ma per servire ; e che chi vuol essere Superiore dee farsi servo di tutti. Conformatevi dunque a questa santa massima, portandovi verso coloro, alla cura de' quali siete inviato, quasi unus ex illis ; e dicendo loro, giunto che sarete, di esser venuta, non per dominare, ma per servire. Se praticherete questo ricordo dentro e fuori di Casa, ve ne troverete contento. Scrivendo ad un altro, che pure mandava per Superiore ad un'altra Casa disse così: Quello che dovete fare, è di darvi a Dio, per non esser d'aggravio a veruno, e trattare tutti con affabilità e rispetto, servendovi sempre di parole piacevoli e dolci, e non mai aspre ed imperiose: non essendovi cosa più atta per guadagnare i cuori, che questo modo d'operare umile e soave ; siccome altre neppure ve n'è più proprio per farci conseguir il nostro fine, il quale è, che Iddio sia servito, e le Anime santificate. Scrivendo al Direttore d'una Missione, che avea seco un compagno alquanto difettoso, gli disse: Se ella vuol essere accompagnata dalle benedizioni di Dio, ponga tutto il suo studio in sopportar con mansuetudine questo suo compagno ; dica ogni cosa in modo, che deponendo nel suo interno la superiorità, si accomodi a lui con ispirito di carità. Questo è il mezzo, con cui Gesù Cristo ha guadagnati e perfezionati i suoi Discepoli, ed è altresì il mezzo solo, con cui si guadagnerà cotesto buon Sacerdote. Ciò supposto dia un po' di tempo al di lei umore, non lo contraddica mai nel punto medesimo in cui crede, ch'esso gliene dia motivo ; ma solamente quando bisogna, l'ammonisca dopo qualche tempo, però con umiltà e cordialità. E così appunto praticava egli stesso. Poiché sebbene per se fosse rigorosissimo, e molto esatto anche nelle minime cose, verso gli altri però era pieno di carità, e di dolcezza ; procurando di contentar tutti in tutto quello che ragionevolmente potea. Nel comandare usava sempre maniere sì modeste, e parole sì rispettose, che piuttosto sembrava pregasse, che comandasse. Quando disegnava d'appoggiare ad alcuno qualche impiego o negozio malagevole, ve l'andava disponendo a poco a poco, e con molta destrezza appianava le difficoltà, che avrebbero potuto cagionarvi qualche sgomento. Ed in tutto procede con tanta affabilità, e cordialità, che veniva a guadagnarsi il cuore di tutti, e ad essere ubbidito puntualmente anche nelle cose più difficili. E molti han confessato, che dopo Dio, avean tutta l'obbligazione della loro perseveranza alla carità, dolcezza e sofferenza loro usata da lui. S. Francesco Borgia era rigidissimo per se, ma verso i sudditi molto compassionevole e benigno: tantoché sebbene a se non perdonava un minimo difetto, agli altri però li perdonava tutti. E nel comandare non usava mai niuna asprezza, ma con gran dolcezza dicea: La prego di far questo per amor del Signore: avreste difficoltà d'andar nel tal luogo ? Vi sarebbe comodo di far tal cosa ? Avrei in pensiero d'imporvi questo impiego, ma vorrei sapere se vi piace di farlo. S. Gio. Can. Regolare essendo Priore, fu un dì maltrattato per un pezzo con parole da un suo Religioso: e perché egli non rispose mai, un altro, che vi era presente, potevi, disse, reprimere tanta petulanza con una parola, ordinandogli che andasse in camera: nò, rispose egli. Quando il fuoco abbrucia una casa, sarebbe bene che vi si aggiungesse legna ? Questo buon Frate ora arde di furore ; se lo riprendessi, gli accrescerei il furore: quando sarà smorzato questo gran fuoco, allora vi si potrà applicare il rimedio. Essendo S. Franc. di Sales stato costretto ad imprigionare un suo Ecclesiastico scandaloso, questi dopo alcuni giorni mostrò gran pentimento, e pregò di essere presentato al Santo, dal quale gli erano stati perdonati altri delitti. Il che non voleano fare i ministri, sapendo, che l'uomo di Dio in vederlo se ne sarebbe subito mosso a compassione, quantunque i di lui misfatti meritassero un gastigo esemplare ; ma pure dopo molti scongiuri lo consolarono. Giunto dunque questi alla presenza del Santo, se gli prostrò avanti, chiedendogli misericordia, con promettergli sicuramente l'emenda. Allora il S. Vescovo tutto intenerito, prorompendo in un dirottissimo pianto: vi scongiuro, disse, per l'amore e per la misericordia di Dio, in cui tutti speriamo, di aver pietà di me, della Diocesi, della Chiesa, e di tutta la Religione da voi tanto disonorata colla vita scandalosa, che avete menata sin'ora, la quale dà materia a' vostri avversarj di bestemmiare la nostra S. Fede. Vi prego di aver pietà di voi stesso e dell'Anima vostra, che mandate in perdizione per una eternità ; e vi esorto da parte di Gesù Cristo a riconciliarvi con Dio per mezzo d'una vera penitenza, e ve lo prego per tutto quello, che ci è di sacro e di santo nella Terra, e nel Cielo ; per lo sangue di Gesù Cristo, che voi calpestate ; per la bontà del Salvatore, che voi nuovamente crocifiggete ; e per quello spirito di grazia, che voi oltraggiate. Queste dolcissime espressioni furono talmente efficaci, che colui non solo non ricadde più ne' suoi falli, ma divenne un esemplare di virtù. Venendo il Santo richiesto dalla Chantal come dovesse portarsi con una novizia, la quale importunatamente chiedeva di venir ammessa alla professione ; ( il che in quella Religione si considera come mancamento, dandosi la professione a suo tempo senz'altra richiesta a chi è esatta nell'osservanza ) egli benignamente rispose, dover abbondar la carità, dove manca l'altrui umiltà. Di S. Paola riferisce S. Girolamo, che reggendo ella un Monastero di Vergini da lei edificato, non mai mancava a veruna delle sue obbligazioni, né mai richiedea cosa alcuna dalle sue figlie, che prima non l'avesse praticata essa col suo esempio: e tutta la superiorità, che avea sù esse, la mostrava loro con la sollecitudine di provvederle di tutto ciò che l'era necessario, di servirle ne' loro bisogni e di tirarle all'esercizio delle virtù. Nell'intervenire al Coro essa era sempre delle prime, e mai non vi mancava. nel lavoro comune essa era la più attenta, e la più faticatrice. Quanto poi agli altrui difetti, se alcuna mancava agli esercizj di pietà, se alcuna si mostrava pigra negli esrcizj corporali, se alcuna era trascurata nel proprio impiego, ella tutte rimetteva in dovere, prendendole in diverse maniere, secondo i diversi naturali: le iraconde, colle carezze ; le pazienti colla correzione. Se nascea discoria tra due, le univa con parole dolci. Se ne vedeva alcuna star sulla lindura degli abiti, o del portamento, o che fosse loquace, ardita, o rissosa, l'avvisava con destrezza più volte: e non emendandosi, la mettea nell'ultimo luogo tra le altre, o ad orare alla porta del Refettorio, o mangiar separata: acciocché facesse il rossore ciò che non avea fatto la riprensione. Colle inferme si mostrava tutta carità, cordialità, liberalità, non perdonando a qualunque spesa, o travaglio. Ma se era tutta clemenza con le altre, verso di se poi, quando era inferma, era tutta austerità e durezza, non ammettendo alcuna particolarità sì nel cibo, che negli altri trattamenti: tanto che essendo uscita nel mese di Luglio da un'ardentissima febbre, non volle indursi a prendere un poco di neve, che i medici le consigliavano, per confortare lo stomaco troppo illanguidito.
15. " Nelle Religioni l'unione e la pace si debbono anteporre ad ogni altro bene. E queste dipendono dal sopportarsi, piegarsi, e trattarsi reciprocamente con dolcezza, ch'è una sorgente di pace, ed un vincolo di perfezione, che unisce i cuori ". S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo quando dovea avvisare alcune di qualche difetto usava ogni attenzione per non manifestare la pesona, da cui aveva avuta la notizia del difetto. Anzi se temea di poter dare occasione di sospetti, o di avversione verso di alcuno, per non turbar la pace comune, piuttosto si astenea dal far la correzione. Il V. Bercmans avendo nel noviziato l'uffizio di ammonitore, disse di non aver mai riferita cosa alcuna al Superiore, che prima non l'avesse consultata con Dio avanti il Sagramento ; sì per non turbare l'altrui pace, e sì ancora per non essere ingannato dal giudizio, ed affetto proprio.
16. " E' cosa di grande importanza il procurare di rendere la sua conversazione aggradevole. Per farlo bisogna mostrarsi umile, paziente, rispettoso, cordiale, piacevole, e condiscendente con tutti in tutto quello, che lecitamente si può. Sopra tutto convien guardarsi di mai contraddire a' sentimenti di chicchessia, quando non ve ne sia necessità evidente: ed in questo caso poi si dee fare con tutta la dolcezza e destrezza particolare, senza violentare lo spirito altrui: affine di schivar le contese, le quali altro non producono, che amarezza, e per ordinario provengono più dall'attaccamento a' nostri sentimenti, che dall'amore della verità. Credetemi, che siccome non vi sono spiriti più nimici della società umana di coloro, che sono soliti di contraddire agli altri ; così non vi è chi si rende a tutti più amabile di colui, che non contraddice mai a nessuno ". Sales.
Il P. Lamberto Cousteaux della Congregazione della Missione mostrava verso tutti un grande ossequio e rispetto, che sempre accompagnava con una singolar dolcezza e cordialità, benché di sua natura fosse inclinato al rigore. Era egli sempre gioviale in volto, e parlava cortesamente con tutti, senza mai offendere alcuno. E con questo dolce modo di conversare rapiva talmente gli animi altrui, che quanti con lui trattavano, ne partivano sempre appagati e contenti: rimanendo grandemente consolati delle affabili maniere, con cui riceveva tutti, e della cristiana condiscendenza, con cui si sottometteva a' loro sentimenti e pareri. S. Vincenzo de Paoli non fu mai udito contendere sopra cose indifferenti, e disputarvi ; ma con tutta faciltà cedeva a tutti, e si accomodava al parere altrui. Del B. Bercmans pure si legge, che non si udì mai contrastar con veruno. Per la qual cosa tutt'i compagni suoi non solo l'amavano teneramente, ma si lasciavano anche ammonire e reggere da esso, come se avesse avuto autorità sopra di loro.
17. " Sforziamoci di essere amorevoli, dolci, ed umili con tutti, ma in modo particolare con quei, che ci vengono assegnati da Dio per compagni, quali sono i nostri domestici. E non vogliamo essere di quelli, che sembrano Angeli fuor di casa, ed in casa Demonj ". Sales.
Questo benedetto Santo trattava con gran dolcezza con tutt'i suoi di casa, fin'anche co' servitori, co' quali non usava mai cattivi trattamenti né in parole, né in fatti. Non li comandava mai, se non pregando: rendea sempre loro cortesemente il saluto: non si lamentava mai per qualunque mancamento facessero in servirlo o in camera, o in tavola: era discretissimo nell'istesso comandarli, risparmiando loro gl'incomodi più che poteva. Quando non poteva a meno di riprenderli, lo faceva ; ma con tanta benignità e riguardo, che restando confusi, venivan sicuramente ad emendarsi: poiché la dolcezza ha questo incantesimo, di far, che ad essa ognun si arrenda. Per esempio di questo può servire quello che gli accadde una sera, nella quale essendosi lungamente trattenuto a discorrere con un Marchese d'affari importanti, fattasi notte, i servitori fidandosi uno dell'altro, non solo lo lasciarono solo, ma senza lume: onde dovendo quel Signore ritirarsi, fu il Santo costretto a prenderlo per la mano, e condurlo per la galleria, e per la sala sino alla porta, ove trovò i servitori, che si divertivano con quei del Marchese ; il quale licenziato, nel ritirarsi disse al suo cameriere con tutta pace: Amico mio, con due quattrini di candela ci avremmo fatto onore questa sera. Tali erano le correzioni, che sapeva fare il mansueto Prelato, del quale attesta Monsignor di Belleì, che non vi fu mai padrone, che trattasse meglio di lui chi lo serviva ; né alcuno fu mai più teneramente di lui amato da' suoi servi. S. Vincenzo de Paoli praticò sempre una dolcezza ammirabile verso tutti quelli della Congregazione: quali accogliea con faccia allegra e serena usando sempre con tutti tratti d'amorevolezza, e cordialità paterne, e particolarmente quando mandava alcuni in missione, o in qualche viaggio lontano. E quando ritornavano, parlava loro con tant'affabilità, e gli abbracciava con tanta cordialità, che rapiva loro il cuore. Onde uno ebbe a dire: quando doveva mettermi in viaggio, o che me ne ritornava, mi trovava tutto imbalsamato dagli abbracciamenti e dalle cordiali accoglienze ch'egli mi facea. Le sue parole erano sì piene d'una certa unzione spirituale, e sì soavi, ed insieme sì efficaci, che senza sforzare, facea fare tutto quello che voleva. Il medesimo ancora facea, quando ricorrevano a lui per qualche loro bisogno, ascoltandoli con tant'affabilità e pazienza, e non dando loro mai minimo segno di rincrescimento, contuttoché avesse per le mani varie occupazioni importanti ed urgenti. Ma questa s' grande affabilità l'usava maggiormente verso i fratelli coadjutori. Onde essendo andato da lui uno di questi per dolersi d'un trattamento severo ricevuto da un ufiziale di casa ; l'accolse egli con tanta cordialità, invitandolo a ricorrere a lui ogni volta che avesse avuto qualche disgusto, che gli tolse dal cuore ogni amarezza, e lo rimandò consolato ed edificato di sì buon Padre. Andò pure un dì a trovarlo uno de' suoi Sacerdoti tutto conturbato, e risoluto d'abbandonare la sua vocazione, e ritornarsene alla patria ; ed il Santo dopo averlo inteso, disse. e bene, Signore, quando partirete, volete voi fare il viaggio a piedi, o a cavallo ? Con che l'altro edificato di tal mansuetudine e benignità, restò affatto libero della tentazione, e lo predicava per Santo. Così pure procedea Leonora Imperadrice. Le maniere, che usava nel comandare, erano sì mansuete e sì umili, che la sua famiglia non potea desiderar padrona, che mostrasse minor padronanza e minor Imperio. Le formole sue solite erano come di chi prega a far questo, o quest'altro ufizio. Il che riusciva di tal confusione alle donne di servizio, che più volte la supplicarono ad usar con esse termini di padrona, come a lei conveniva ; ed ella rispondea: approvo e lodo questi vostri sentimenti ; ma io mi conosco per tutt'altra da quella, che a voi sembro ; e mi stimo assai più degna di servire, che di comandare. Mentre con esse attendeva a lavorare ; se a caso fosse caduta alcuna cosa, ella era la prima a chiamarsi e levarla da terra. Per questi mancamenti, e per quanti errori commettessero quelli che la servivano, ella per tutti avea sempre pronte le scuse e le ragioni per ricoprirli. Usava ancora tutta l'attenzione per non disgustar veruno, e per non dar luogo alle ombre e gelosie tra di loro. Onde dimenticatasi una volta di commettere una certa cosa alla maggiordoma maggiore, avendone in vece avvisata la cameriera maggiore, una distrazione, ch'ebbe nell'orazione, le fece sovvenire del fallo ; ed alzatosi incontamente, si portò a farne la scusa a quella Dama ; acciò non entrasse in sospetto di essere proposta, e ciò si attristasse. Il medesimo si legge della B. M. di Chantal, che fin da quando stava nel secolo, si mostrava affabile, e tutta viscere di carità verso i suoi domestici e servidori. Non gli sgridava come tanti fanno, né li rimproverava mai per qualunque difetto facessero, ma li sopportava con gran pazienza ed umiltà senza mai stancarsi di ajutarli per l'emendazione, fintantoché Iddio le dava la consolazione di vederli emendati. E ne fa buona testimonianza il non averne ella mai scacciato alcuno di casa sua fuorché due, ch'erano affatto incorrigibili ; e tutti gli altri vi restarono finché piacque loro, sempre ben veduti, ben trattati, e ben provvisionati. Onde essendosi una volta il Barone suo sposo fortemente adirato contro un servo, mentre ella procurava di raddolcire la di lui collera, le disse: è vero, che io son troppo subitaneo, ma voi siete troppo buona.
18. " Resistete fedelmente alle vostre impazienze, praticando non solo con ragione, ma contra ragione ancora la santa cortesia e dolcezza con tutti e particolarmente con quelli, che vi recano maggior tedio ". Sales.
Il medesimo Santo fu eccellente in questo. Si legge nella sua vita, che andando spesso da lui un Avvocato povero per piccole coselle, egli l'ascoltava sempre con grande affabilità, e senz'alcun segno di tedio: tanto che molti si stupivano, come potesse un Prelato, che avea tante importanti occupazioni, ascoltar con quiete bagattelle di colui, le quali erano bastanti anche a tediare un ozioso. Così parimente operava S. Vincenzo de Paoli: poiché spesso gli accadde, che alcuni gli facevan replicare più volte le medesime cose o perché non le capivano, o perché se ne dimenticavano, ed egli sempre eguale a se stesso, non mai ne mostrava sdegno, né fastidio, né mai gli scacciava da se, ma per non disanimarli, o rattristarli, li accoglieva ogni volta con faccia serena, e con grande affabilità ; e quando si trovava in compagnia di altri di qualunque condizione si fossero, subito che li vedea venire, s'alzava ; ed andava a parlare ad essi in disparte, ripetendo loro sempre, e con soavità l'istessa cosa. Uno fra gli altri attestò, che avendogli fatto ripeter la medesima cosa fin a cinque volte in fila in tempo che stava occupato con personaggi grandi, non diede egli mai minimo segno d'impazienza, ripetendola l'ultima volta colla medesima piacevolezza e tranquillità d'animo, come la prima, e mostrando colla serenità del volto d'averci piuttosto piacere, che fastidio.
19. " Il supremo grado della Dolcezza consiste in vedere, servire, onorare, e trattenersi amorosamente nelle occorrenze con quelli, che non ci vanno a grado, e ci mostrano contrarj, ingrati, o molesti ". Sales.
Egli medesimo attendendo alla conversione di una donna eretica attempata, la quale per lungo tempo veniva ogni giorno più volte da lui con nuovi dubbj, l'ascoltò sempre con grande amorevolezza, e senza mai mostrar alcun tedio, ancorché vedesse, che nulla guadagnava: né la donna si stancava di seguitar a battere la di lui porta tre e quattro volte il dì, perché tirata dal suo dolcissimo tratto, tanto che finalmente gli disse di non aver più altra difficoltà, fuorché sopra il celibato degli ecclesiastici: al che il Santo rispose, esser questo loro necessario, affinché disimpegnati dalla cura della famiglia, potessero servire il popolo: e che di fatti non sarebbe stato a lui facile d'udirla tante volte, se fosse stato costretto a mantenere femmina e figliuoli. Questa ragione la convinse più, che non avrebbero fatto tutti gli argomenti de' Teologi, e si convertì. La B. M. di Chantal stando in casa del suocero, per guadagnare una serva insolente, che vi era, e facea da padrona, trattava con essa con maniere obbliganti e gentili, cercando di compiacerla in tutto ciò che conosceva esser di sua soddisfazione, fin ad istruire, vestire, pettinare, e servire ne' bisogni più bassi i di lei figliuoli egualmente che i suoi, correggendo anche i servitori ; se accadea, che li disprezzassero, e durò in questo modo per sette anni continui, con tutto che la serva si facesse sempre più altera e baldanzosa. E poiché alcuno le disse, che perdeva il tempo col pretendere di guadagnar una tal femmina con quelle civili e dolci maniere: questo, rispose, sarebbe vero, se non avessi altri in vista fuorché lei. Ma nostro Signore non ha detto, che tutto quello che faremo in favore de' poveri, tanto da lui raccomandatici, egli lo terrà per fatto a lui stesso ? Con Dio nulla si perde ; e quanto meno noi saremo riconosciuti dagli uomini, tanto più Iddio terrà conto di quello che ad essi facciamo a suo riguardo. Ad un altro, che le disse, che morto il suocero, quella serva avrebbe meritato di esser subitamente buttata in un fosso: nò, rispose ella, che io mi armerei in sua difesa. Se Iddio si serve di lei, per caricarmi di una croce, perché le ho io da voler male ? Ed a chi pretendea di mostrarle l'improprietà del governo posto in mano di una serva, rispondea così ordina Iddio per mio vantaggio, affinché io abbia tutto il tempo per attendere alle opere di pietà. Al suocero poi, che permettea questo, usava ella contuttociò ogni servitù e rispetto particolare: e quando lasciò il secolo, lo raccomandò caldamente ad un Religioso, perché l'assistesse, massime alla morte. Fu anche ammirabile in questo il P. Giovanni Leonardi: poiché avendo per lo spazio di quarant'anni patite moltissime persecuzioni e travagli da ogni genere di persone, non si lasciò mai scappar di bocca una parola, che dimostrasse risentimento, sdegno, avversione, o minima alterazione contra di loro ; anzi procurò sempre di fare a tutti coloro del bene, e di giovarli e colle parole, e co' fatti. Pregava continuamente per loro, gli scusava, li difendeva, e trattava con ciascuno di essi non altrimenti, che se gli fosse uno de' suoi amici più cari. Sapendo, che alcuni monaci di un cert'ordine, del quale era stato fatto Visitatore per commissione della Sede Apostolica, impazienti della disciplina regolare da lui rimessa gli macchinavano insidie, e scrivevano alla Sacra Congregazione contra di lui, ei non fece mai alcun risentimento, o dimostrazione ; anzi con quei medesimi trattava con tanta carità e cortesia, come se fossero i suoi più affezionati e confidenti. E venendo talora da alcuni di quegli abiti maltrattati e con parole, e con fatti, se la passava sempre con essi con piacevolezza e disinvoltura, correggendoli dolcemente, e dando loro talvolta qualche moderata penitenza, quando conveniva, per soddisfare, com'egli diceva, alla propria coscienza. Non però mai nelle lettere, che scriveva alla Sacra Congregazione, né ne' capitoli generali, né in verun'altra occasione che se gli presentasse, fece alcuna menzione di cose, che fossero state dette, o fatte contra la persona sua. Camminando un giorno per Lucca s'incontrò con uno di questi, il quale dopo d'averlo caricato di parole aspre ed ingiuriose, senza ch'egli facesse alcun motto, gli scaricò in volto una forte guanciata ; ed il servo di Dio senza punto turbarsi gli porse prontamente l'altra guancia, come per ricevere la seconda: di che confuso quell'insolente gli voltò le spalle, e seguitò il suo cammino. Allora Giovanni tutto lieto, per vedersi fatto degno di patir qualche affronto per amor del suo Dio, se ne tornò a casa, e per molti giorni fece orazione per colui, come per un suo parzialissimo benefattore.
20. " Guarda di non turbarti mai, né impazientirti per gli difetti altrui ; poiché sarebbe stoltezza, se per vedere uno caduto in un fosso, tu volessi buttarti in un altro senza utilità alcuna ". S. Bonav.
Il Cardinal Cesarini uomo mansuetissimo, avvisato, che si era smarrita la mula, che solea cavalcare, per negligenza del servo, chiamatolo a se, e richiesto del fatto, quegli rispose con molta arroganza. Tacque il Cardinale per molto tempo ; ma finalmente non cessando il servo dalle impertinenze, rivolto a' circostanti disse: non vi maravigliate del mio silenzio: perché ho stimato bene di sopprimer l'ira, e dar tempo alla ragione fin tanto che si renda padrona della passione ; affin di non cadere io in errore, per voler correggere l'errore altrui. Fu condotto a S. Fr. di Sales un giovane sfrenato, acciò gli facesse una severa correzione ; ed egli in vece del rigore, gli usò una somma dolcezza, e vedendo l'ostinazione di lui, versò amare lagrime, dicendo che avrebbe fatto cattiva fine, come accadde ; essendo poi quello stato ucciso in duello. Per lo che venendo il Santo ripreso della troppa dolcezza usata in quella occasione, rispose: che volete, ch'io faccia ? Ho procurato quanto ho potuto, d'armarmi di una collera, che non fosse peccaminosa: e perciò ho preso il mio cuore con tutte e due le mani, ma non ho avuto forza di scagliarglielo in faccia. E poi a dire il vero, ho temuto di dissipare in un quarto d'ora quel poco di mansuetudine, che con tanta fatica mi sono sforzato di raccogliere nello spazio di ventidue anni ; come una rugiada nel vaso del mio cuore. Quel miele, che un uomo ingoia in un sorso, le api stanno molti anni a raccoglierlo. E poi, a che proposito favellare a chi non ascolta ? Quell'insensato giovine non era capace di correzione, mentre non era più padrone del suo giudizio: onde io non avrei giovato a lui ; e forse avrei fatto torto a me stesso, ad imitazione di coloro, che si affogano con quelli ; che pretendono di salvare dal naufragio. La carità dev'essere giudiziosa, e prudente.
21. " Nel vedere le vostre proprie imperfezioni, ne dovete avere dispiacere: ma però un dispiacere umile, tranquillo, pacifico, e non mai turbolento e sdegnoso, che suol far più male, che bene ". Sales.
Così praticava egli medesimo con se stesso. Onde disse un giorno: Quanto a me ; se io avessi, per esempio, grande affetto a non cadere nel vizio della vanità, e con tutto ciò vi fossi caduto non leggiermente ; io non vorrei riprendere il mio cuore in questo modo: Non sei tu un miserabile, un abbominevole, che dopo tanti proponimenti ti lasci vincere da questo vizio ? Moriti di vergogna, non alzar più gli occhi al Cielo, sfacciato, traditore, e sleale al tuo Dio, e cose simili. Ma vorrei correggerlo piacevolmente, e per via di compassione, dicendo: Orsù povero mio cuore, eccoci caduti nella fossa, la quale avevamo tante volte risoluto di scampare. Ah, alziamoci su, e lasciamola una volta per sempre: ricorriamo alla misericordia di Dio, ed in essa speriamo, che ci ajuterà ad esser più costanti per l'avvenire, ed intanto rimettiamoci nel cammino dell'umiltà: coraggio, stiamo da ora innanzi sopra di noi, che Dio ci ajuterà, e faremo profitto. E sopra questa riprensione vorrei fabbricare una soda e ferma risoluzione di non ricader nell'errore, pigliando i rimedj convenienti. S. Vincenzo de Paoli non si contristava, né si inaspriva mai contra di se per causa de' suoi difetti ; e dicea, che si dee odiare il vizio, ed amar la virtù contraria, non perché quello ci dispiace, e questa ci piace, ma unicamente per amore di Dio, a cui dispiace il vizio, e piace la virtù ; che così il dolore, che si concepisce per lo difetto è dolce, e tranquillo. S. Luigi Gonzaga quando commettea difetti, non s'attristava ; ma solamente si riconcentrava in se stesso, e dicea: Terra dedit fructum suum.
22. " Né di aridità, né d'inquietudini, né di distrazioni, né di pensieri si prenda veruna afflizione, se vuoi acquistare libertà di spirito, e non andar sempre tribolato ". S. Ter.
Così essa medesima praticava. Quante contrarietà e quanti travagli interni ed esterni, e dai suoi Religiosi, e da altri, o dello stesso Demonio ebbe a soffrire in vita sua ? E pure in tante e sì varie avversità si manteneva alla sempre soda ed immobile, come uno scoglio battuto dalle onde del mare, senza prendersi fastidio di cosa alcuna. E per questa via giunse a godere una libertà di spirito poco men che angelica. L'istesso si legge di S. Fr. di Sales, che di quante cose gli avvenivano, per avverse che fossero, di niuna prendeasi fastidio. Onde ad una Dama, che gli chiese consiglio circa di questo, così scrisse: Voi amereste meglio di vedervi senza mancamenti, e senza disturbi, che tra le imperfezioni ed afflizioni. Lo vorrei anch'io: e così saremmo in Paradiso. Ma questa inquietudine, che avete, per non poter arrivare a tal segno di perfezione in questa vita, vi fa dubitare che l'odio che n'avete, non sia buono. No certamente, non è puro, poiché inquieta odiate adunque le vostre imperfezioni, poiché sono imperfezioni, ma amatele, perché vi fanno conoscere il vostro nulla, e danno soggetto a voi d'esercitarvi nelle virtù, ed a Dio di usarvi delle sue misericordie.
23. " Siate molto dolce, e molto grazioso in mezzo alle faccende, che avete: che tutto il Mondo aspetta questo buon esempio da voi ". Sales.
Di lui medesimo si dice che tra le sue azioni se ne stava sempre con un aspetto dolce, tranquillo, e pacifico ; e che non fu mai veduto perder un minimo che della sua ilarità, e serenità di qualunque affare si trovasse. L'istesso si dice di S. Vincenzo de Paoli, che tra le occupazioni, benché molte e scabrose, non mai perdea la tranquillità dello spirito. Ed era una maraviglia il vedere, come ricevei tutti colla medesima serenità di volto, ed a tutti soddisfacea di qualunque condizione si fossero, con grande affabilità, e senza mai dar segno di fastidio, o tedio per qualunque importunità gli venisse fatta. Dell'Abate David si narra, che per lo spazio d'anni quarantacinque, che visse nel Monistero, non fu mai veduto andar in collera, né dar mai alcun segno d'animo perturbato ; ma che in ogni sua azione mostrava continuamente nel volto una serenità e tranquillità imperturbabile, come se fosse un Angelo tra gli uomini ; con tutto che avesse dovuto averne le mille occasioni, essendo stato Superiore di centocinquanta Monaci ; non potendo tra tanti non esservene più d'uno di naturale nojoso e difficile, e di non aver avuti de' negozj ardui da trattare. Il fatto vien riferito da Teodoreto, il quale dice di aver ciò non solo udito da altri, ma d'averlo veduto co' proprj occhi, per aver conversato con lui una settimana. Di S. Tommaso d'Aquino si legge ne' processi di canonizzazione, che non mai fu veduto adirato, e neppur turbato, ma che in tutt'i tempi, ed in tutte le occupazioni se ne stava sempre con la fronte lieta e serena, di tal maniera che quei che con lui conversavano, in solo mirarlo provavano consolazione, ed un certo gaudio spirituale. Di S. Antonio scrive S. Attanasio, che si vedea sempre allegro, di modo che per lui ogni dì pareva il giorno di Pasqua, e che se qualche straniero venuto per vederlo, lo trovava per caso tra una moltitudine di Monaci, senza che gli fosse insegnato, lo conoscea subito all'allegrezza e benignità, che gli compariva nel volto. E quella tanta allegrezza poi, soggiunse il medesimo, che gli era cagionata dalla grande speranza, che avea del Paradiso: poiché stava sempre colla mente nelle cose eterne di lassù, alle quali non potea pensare senza giubilare.
24. " Sappiate, e tenete per certo, che tutti quei pensieri, che ci danno inquietudine ed agitazione di spirito, non sono in alcun modo da Dio, ch'è Principe di pace ; ma provengono sempre o dal Demonio, o dall'amor proprio e dalla stima, che facciamo di noi medesimi, che sono i tre fonti onde nascono tutti i nostri disturbi. E però quando ci vengono pensieri di tal natura, bisogna ributtarli subito, e non farne conto ". Sales.
Ecco il perché questo Santo non si vide mai turbato, né inquieto ; perché delle tentazioni del Demonio se ne burlava, e fu sempre nemico giurato dell'amor proprio, ed umile di cuore. Dimandato l'Abate Isacco da un altro Monaco, perché i Demonj lo temessero tanto, rispose così: da che mi feci Monaco, mi proposi di non uscir mai in atti d'impazienza, né in parole di sdegno: e per grazia del Signore non vi ho mancato mai. E pure Iddio sa quante volte ne sarò stato tentato, e quante occasioni ne avrò avute.
25. " L'umil Dolcezza è la virtù delle virtù ; che il Signore ci ha tanto raccomandata: e però bisogna praticarla da per tutto, e sempre. Si ha da fuggire il male, ma però pacificamente. Si ha da fare il bene, ma sempre con soavità. Prendete per voi questa regola. Ciò che vedrete potersi fare coll'amore, fatelo ; e quello che non può farsi senza contrasto, lasciatelo stare. In somma la pace e la tranquillità del cuore debbono star sempre al di sopra in ogni nostra azione, come l'odio dell'uliva sta al di sopra di tutti i liquori ". Sales.
Del medesimo Santo si legge, che godeva una pace di cuore imperturbabile. Onde egli stesso disse un giorno: cosa vi può mai essere, che possa disturbar la nostra pace ? Quando tutto il Mondo si rivoltasse sottosopra, io non mi inquieterei punto. Imperciocché cosa vale il Mondo tutto in paragone della pace del cuore ? E di fatti così appunto facea nelle occasioni, che gli occorreano. Benché avesse molto a cuore la riforma de' Monasterj, non volle però mai usar della sua autorità per effettuarla: ben sapendo, che le cose fatte con violenza non son durevoli. Ond'è, che amava meglio di non riuscire ne' suoi disegni, ch'effettuarli colla forza: aspettando che il tempo, anzi Iddio operasse quelle mutazioni ne' cuori, che sono sopra il potere delle creature. S. Vincenzo de Paoli avea per massima, che quantunque fosse necessario di star saldo per lo fine, che uno già si propone nelle buone imprese, fosse nulladimeno altresì espediente usar tutta la piacevolezza e dolcezza ne' mezzi a tal fine ordinati ; ad imitazione della Divina Sapienza, la quale, contuttoché ottenga fortemente i suoi fini, dispone però soavemente i mezzi, che a quelli conducono.
26. " Se vi sarà possibile, non vi mettete mai in collera né ammettete mai qualunque siesi pretesto per aprir ad essa la porta del vostro cuore: perché una volta che vi sia entrata, non è più in vostra mano il discacciarla, quanto vorrete, né il moderarla. Se vedrete, che per vostra debolezza ella abbia posto il piede nel vostro spirito ; in questo caso raccogliete subito che potrete tutte le vostre forze, e procurate di rimetterlo in tranquillità e pace. Bisogna però farlo soavemente, e non mai violentemente: essendo quì cosa di molta importanza il guardarsi di non inasprir la piaga ". Sales.
Così appunto faceva egli medesimo per frenar in se stesso la collera, come lo dichiarò in una congiuntura con queste parole: Ho io fatta, per esempio, risoluzione d'acquistar la Dolcezza. Or bene, o che la collera rinversi il mio cuore sossopra, o che la testa fumi da ogni parte, o che il mio sangue bolla a guisa d'una pentola, che sta al fuoco ; io nulla stimo tutto ciò ; e per tanto in tutto quello che si può, non lascerò di essere grazioso: e tutte le ragioni, che la natura mi presenterà per giustificarsi, io le affogherò, e non ne ascolterò alcuna. In fatti essendo una volta accaduto, che un Gentiluomo parente suo, credendosi da lui offeso, andò a trovarlo a casa, e lo caricò d'ingiurie e di minacce: il Santo, ch'era del tutto innocente, cercò di disingannarlo, e procurò di placarlo con gran dolcezza e civiltà. Ma sopraffatto colui dallo sdegno, ed a nulla arrendendosi, seguitò a maltrattarlo ed oltraggiarlo, finché finalmente partissi tutto rabuffato, e pieno di mal talento contra di lui. Allora rivolto egli ad un Religioso, che stava ivi presente, ed era grandemente stupito di quella sì grande pazienza: Padre mio, disse, non bisognava inasprir di vantaggio questo buon uomo, né fargli conoscere la sua temerità: ben la conoscerà un giorno, e ne sarà pentito ; come fu, perché colui pochi giorni dopo venne a chiedergli perdono. Si dice poi di lui, che non si vide mai vacillare la sua pazienza, ed alterare il suo spirito contra di chi che fosse. Dal che chiaramente apparisce, che questa santa virtù, che in lui spiccò tanto, non procedeva, come molti credono, dall'aver egli sortito un naturale tutto impastato di dolcezza, ma dalle grandi, e continue violenze, che avea fatte a se stesso. Poiché anzi era egli, d'un temperamento bilioso, e da se medesimo confessò, che si avea preso a petto di superarlo a viva forza ; e che ci avea travagliato per ventidue anni, combattendolo sempre con gran costanza e coraggio. Il che si vide molto chiaro dopo la di lui morte, allorché essendosi aperto il suo cadavere, nella vessica del fiele altro non vi si trovò che trecento pietruzze, indizio manifesto delle innumerevoli violenze, che fatte aveasi per frenare i moti dell'ira. Così pure dovean fare tanti altri Santi, nelle cui vite si narra, che non furono mai veduti andare in collera ; ma che anche nelle occasioni più violente si mostravan sempre colla medesima serenità di volto, e tranquillità d'animo: come furono S. Antonio, S. Efrem, S. Tommaso d'Aquino, S. Vincenzo de Paoli, ed altri, ed in particolare il glorioso S. Filippo Neri, del quale si dice, che se talvolta per umiltà de' suoi figliuoli spirituali mostrava il volto severo, e subito che quelli si erano partiti da lui, si rivoltava ad alcuno degli astanti, dicendo: Non ti pare, ch'io sia andato in collera ? Ed incontanente ripigliava il suo aspetto sereno, come era prima.
27. " I rimedj contra l'ira sono: 1. Prevenirne i movimenti quando si può, o almeno rigettarli con prestezza, divertendo il pensiero in altre cose. 2. Ad imitazione degli Apostoli allorché videro il mare in tempesta, ricorrere a Dio, al quale appartiene di mettere il cuore in pace. 3. Durante il bollore, non parlare, né operar cosa alcuna, intorno al punto, di cui si tratta. 4. Sforzarsi di praticar atti di Dolcezza e di umiltà verso la persona, contra la quale uno si sente adirato, massimamente se gli avesse fatto alcun atto di risentimento. ". Sales.
Questo buon Santo fu più volte molestato a torto da alcuni con parole ingiuriose, ne' quali casi per non dar luogo all'ira, alle volte si metteva a pensare a qualche buona loro qualità, affin di eccitarsi all'amore di essi, altre volte dopo aver loro usate maniere dolci e cortesi, vedendo che non si placavano, li lasciava dire, e taceva. E ad un signore, che in una simile occasione si mostrava stupito di quella eroica pazienza, partito che fu l'altro: vedete, disse, io ho fatto un patto colla mia lingua: che quando si dirà alcuna cosa contra di me, che mi possa portare alla collera, ella si guardi bene dal parlare. S. Vincenzo de Paoli, se talvolta si sentiva mosso dall'ira, allora si asteneva dal parlare, ed anche dall'operare, e sopra tutto non risolvea nulla, finché non vedea sedati i moti di quella passione, solendo dire che le azioni fatte in tal'agitazione, non essendo pienamente dirette dalla ragione, che allora si trova turbata ed oscurata, ancorché per altro pajono buone, non possono però essere mai perfette: e che in questi casi, a dispetto di tutt'i bollori della collera, e con tutt'i pretesti di zelo, che uno si immagini d'avere, non bisogna dire se non parole dolci ed affabili, a fine di guadagnar a Dio il nostro prossimo. E però durante in lui tal turbazione, si facea tutta la forza per impedire che non se ne vedesse alcun contrassegno nel volto: e se talvolta scappavagli qualche parola, o qualche gesto, che desse segno d'impazienza, o d'asprezza, ( il che succedea molto di raro ) ne domandava presto scusa. Per lo che avendo un giorno parlato con qualche risoluzione ad un fratello laico, che si scusava con varj pretesti, di dar l'alloggio ad un forestiero ; quantunque l'avesse fatto a buon fine, ed acciò quegli riconoscesse il suo errore, tuttavia stimolato dalla sua umiltà, l'istessa sera andò ad umiliarsegli, e gli volle baciare i piedi. Un'altra volta dubitando di aver contristato un altro fratello laico, per avergli detto, che avesse pazienza, ed aspettasse un poco per la risoluzione di certi dubbj, che gli avea proposti, non volle dir la Messa, sinché non glie n'ebbe chiesto perdono. Il V. Mr. di Palafox quando talvolta nel riprendere alcuno sentiva spuntare in se movimenti d'ira, e di eccessivo zelo, alzava subito il cuore a Dio, dicendogli: Signore, tieni saldo in questa burrasca il timone della ragione, acciò non trapassi in cosa alcuna il vostro santo volere. A Cesare Augusto fu data da un gran savio questo consiglio: quando sentirai nell'animo tuo movimenti di collera, allora non dire, né far cosa alcuna, finché non abbi corse almeno colla mente le ventiquattro lettere dell'alfabeto. Narra Plutarco di Coti Re di Tracia, ch'era molto facile ad andar in collera, ed a punir crudelmente i mancamenti de' suoi servi, che venendogli donati da un amico alcuni vasi fragili, ma eccellentemente lavorati, diede un bel regalo all'amico, e dopo infranse tutti quei vasi. Ed a chi mirò con stupore il fatto, disse: io gli ho rotti, per non avere da usare delle mie solite crudeltà, se mai alcuno li rompesse.
28. " Assuefatevi ad avere un cuore docile, maneggevole, sottomesso, e facile a condiscendere a tutti in tutte le cose lecite per amore del vostro dolcissimo Dio, per assomigliarvi alla colomba, la quale riceve tutt'i colori, che le dà il sole. A questo effetto mettete ogni mattina il vostro spirito in positura d'umiltà, di tranquillità, e di Dolcezza ; e poi tra 'l giorno osservate di tanto, in tanto, se mai si fosse impegnato coll'effetto in alcuna cosa, e però non fosse del tutto disinvolto e tranquillo: e mettetelo in riposo. ". Sales.
Il medesimo Santo si rendé tanto insigne in questo d'accomodarsi al genio di tutti, che Alessandro VII nell'Orazione, che gli fece non seppe dargli un distintivo più proprio, che quello d'averlo Iddio voluto fatto tutto a tutti. Tra le innumerabili testimonianze di ciò basti quella, che praticò colla B. Chantal. Questa temendo di perderlo per le sue soperchie applicazioni, e per lo poco ristoro, che dava al proprio corpo, lo pregò ad aversi un poco di cura, ed egli altrettanto umile, che arrendevole, mi conservo quanto sarà possibile, le rispose, e più, perché voi me lo dite, che per inclinazione, che io abbia a questa sorta d'attenzione. M'immagino però, volere Iddio, che io voglia qualche cosa per amore di voi: or faccia egli di me secondo il suo beneplacito. Ed in altre occasioni l'assicurò che lo faceva. S. Vincenzo de Paoli avea quest'uso quasi ridotto in natura, che nelle cose indifferenti si mostrava sempre molto facile e piacevole al volere d'ognuno. L'Abate Agatone si gloriava di non esser mai andato a letto, senz'aver prima sopito ogni moto di sdegno, anche contro di se stesso ; e questo a fine d'adempire quel precetto: Diverte a malo, et fac bonum ; inquire pacem, et persequere eam.
29. " Un mezzo importantissimo per acquistar la dolcezza di cuore, è quello d'assuefarsi a fare tutte le sue operazioni, e a dire tutte le sue parole sì piccole, che grandi, dolcemente e adagio. Moltiplicate quanto più potete questi atti nel tempo della tranquillità e così avvezzerete il vostro cuore alla Dolcezza ". Sales.
Il medesimo Santo praticava eccellentemente questo ricordo: poiché non fu mai veduto darsi fretta in cosa alcuna. Onde ad una persona, che lo richiese di ciò, rispose: Voi mi domandate, come ho fatto, vedendo ognuno affrettarsi, e non affrettarmi, né mettermi mai in pena. Che volete, che io vi risponda ? Io non son venuto al Mondo per portarvi intrighi. Non ve ne sono forse abbastanza ?
30. " Per mantenere continuamente l'anima sua in un aspetto grazioso, basta prendere a fare tutte le sue azioni alla presenza di Dio, e come se egli stesso ordinasse di farle ". Sales.
Questa era la causa, perché il V. Beremans facea tanto aggiustamente tutte le sue azioni, ed in tutte le occasioni si mostrava sempre del medesimo tenore senza mai alterarsi, o turbarsi ; perché godea continuamente della divina presenza ; e prima di mettersi a fare qualche cosa, la consultava con Dio, e nel farla stava sempre in vista di lui. Dimandato uno di quei Padri dell'Eremo come facesse a menar una vita sì ben composta, e sempre eguale: Io, rispose, rimiro spesso il mio Angelo Custode, che mi sta sempre accanto assistendomi in ogni mio bisogno, ed insegnandomi in ogni occorrenza ciò che ho da dire, e da fare, notando minutamente ogni mia azione. Quindi nasce in me un tal timore e rispetto verso di lui, che mi far star sempre attento per non dire, o fare cosa alcuna, che possa dispiacergli.
31. " Un gran mezzo per conservarsi in una pace e tranquillità di cuore continua, è il ricevere dalle mani di Dio tutte le cose grandi, e piccole che sieno, ed in qualsivoglia maniera, che vengano ". S. Doroteo.
S. Caterina da Siena dimandò una volta al Signore, quale sia il modo di ottenere la vera pace del cuore: ed egli rispose: Il credere, che tutto quello che avviene nel Mondo, avviene sempre per ordine e disposizione di Dio, a ch'egli non fa mai avvenire a veruno cosa alcuna, che non sia il meglio per lui. Di S. Macario si narra, che non fu mai veduto adirato, né malinconico, ma che si mostrava sempre allegro, e con una giovialità celeste. E la causa di ciò era, perché tutto quello, che gli accadea, lo ricevea, come cosa venutagli dalle mani di Dio. L'istesso dice di San Martino Severo Sulpizio, che conversò con lui molto tempo. Volendo i servi di David vendicarlo contra Semei: no, disse egli, perché Iddio è che gli ha ordinato, che mi maledicesse: e chi ardirà di chiedergli perché ciò fai ? S. Francesco di Sales essendo stato maltrattato a torto da un certo Signore in presenza di un Religioso, questi stupito della di lui sofferenza, dopo partito colui, gli dimandò, come avesse potuto sopportar tante ingiurie con tanta tranquillità ; al quale ei rispose: Non vedete, che Iddio da tutta l'eternità ha previsto la grazia, che mi avrebbe conceduta di sopportar volentieri quest'obbrobrio ? E non volete voi, che io bevessi questo calice, che mi è stato preparato dalle mani di un sì buon Padre ? Io, disse un'Anima illuminata, non avea mai intesa bene questa verità, spesso detta e ridetta, che non cade mai un capello dal nostro capo, senza essere ordinato dal nostro Padre Celeste. L'intendere ciò chiaramente e perfettamente, rende beata l'anima in terra, e la croce, che a quella era un Inferno, diventa un Paradiso. Perocché allora ella gusta il maraviglioso sapore, che a pro delle Anime pure è riserbato nell'ordine di Dio. E basta che vi sia l'ordine di Dio, per far, che ella trovi in ogni cosa la quiete e la felicità. Della V. M. Serafina si legge, che in qualunque travaglio, o disgrazia, che le avvenisse, ella altro non facea, che lodare e benedire Dio ; e che solea dire: Dio è nostro Padre, e quanto fa, tutto è per utile nostro: se questa cosa non fosse per nostro bene, non l'avrebbe fatta. Ebbe una volta avviso, che si era naufragata una feluca, carica di vettovaglie comperate in Salerno per lo suo Monastero: ed ella menò subito seco le sue figlie avanti il Sacramento a lodare e ringraziare il Signore, che così avea disposto ; e disse, che quello era a lei tanto caro, come se l'avesse fatto essa colle proprie mani, e per proprio gusto ; anzi molto anche più, per essere stato fatto dalle mani di Dio.
GIUGNO
UBBIDIENZA
Omnia quaecumque dixerim vobis, servate et facite. Matth. 33.3.
1. " Tutti abbiamo una inclinazione naturale al comandare, e molt'avversione all'ubbidire: e pure è certo, che ci torna più a conto l'ubbidire, che il comandare: e perciò le Anime perfette hanno tanto affetto all'ubbidienza, e trovano in essa tutto il loro gusto " Sales.
In fatti egli si esercitava molto in questa virtù, contuttoché fosse Vescovo e Superiore di tanta gente, Poiché ubbidiva al suo cameriere nell'andar a letto, e nel levarsi, nel vestirsi e nello spogliarsi, come se esso fosse il servo, e quegli il padrone. S. Teresa diceva: Una delle maggiori grazie, per cui mi sento obbligata al Signore, è di darmi S. D. M. desiderio d'esser ubbidiente: poiché in questa virtù vi sperimento maggior consolazione e contento, come quella che più d'ogni altra c'incaricò nostro Signore ; e perciò io desidero di possederla più di qualunque altra cosa del Mondo. S. M. Maddalena de' Pazzi avea tanto affetto all'ubbidienza, che per qualsivoglia cosa anche più ardua, che le venisse comandata, quando anche si trovava molto affaticata, non mai si mostrò ritrosa, né diede minimo segno di dispiacimento, ma tutto accettava, con volto lieto, come se le venisse detta una cosa di suo grandissimo gusto: tanto che entrò in dubbio di non meritare nell'ubbidire, per cagione di questo gran gusto e facilità che ci provava. Ma non contentandosi di star soggetta alla Superiora, si soggettava anche da se alle compagne, ed eziandio alle sue inferiori. Perciò se n'aveva eletta una in particolare, a cui chiedea licenza di tutte le cose più minute, che doveva o voleva fare ; e l'ubbidiva in tutto e per tutto. E quando non la poteva avere, dimandava licenza ad alcun'altra: ed avendo alcuna per compagna in qualche impiego, stava così sottomessa e rassegnata a quella, come se fosse Superiora.
2. " L'Ubbidienza è senza dubbio più meritoria di qualunque austerità. E qual maggiore austerità può darsi, che quella di tenere la sua volontà continuamente soggetta ed ubbidiente ? " S. Caterina di Bol.
S. M. Maddalena de' Pazzi, quando era inferma, se le veniva offerto qualche cibo delicato, qualche medicamento prezioso, era solita di ricusarlo ; però venendo soggiunto, che lo pigliasse per ubbidienza, subito senz'altra replica dicea: Benedictus Deus, e lo prendeva. S. Dositeo non potendo esercitare l'austerità, e neppure gli esercizj comuni della Religione, per cagione della sua infermità, si diede tutto all'esercizio dell'Ubbidienza: e con questo in soli cinque anni, che visse, fu rivelato, che aveva ricevuto in Cielo una corona simile a quella di S. Antonio. Di che attristandosi alcuni de' più ferventi nelle penitenze, ed in tutti gli altri esercizj, fu loro risposto dal Signore, che non conoscevano il merito dell'ubbidienza.
3. " L'Ubbidienza è una penitenza della ragione, e però un sacrifizio più accettato, che tutti quegli altri delle penitenze corporali. Ond'è, che Iddio ama più in te un minimo grado d'Ubbidienza, che tutti gli altri ossequj, che pensi di fargli " S. Giovanni della Croce.
L'istesso Santo, finiti i suoi studj, e rimesso alla vita conventuale, siccome per la molta sua dottrina mostrava d'aver concetto di se, il Direttore gli diede il libro della Dottrina Cristiana con ordine: che lasciasse tutti gli altri libri, e leggesse solo quello, rilevando le sillabe come i fanciulli. Il che egli eseguì per molto tempo, e con molta applicazione ; e dopo confessò d'aver con quell'esercizio acquistata non solo una grande ubbidienza, ma insieme molte altre virtù. Nella vita de' PP. si trova che vennero un giorno quattro Monaci all'Abate Pambo ; e separatamente gli raccontarono le virtù, l'uno dell'altro. Uno digiunava molto, l'altro non possedea cos'alcuna terrena, il terzo aveva un fervore di carità, il quarto era stato sotto l'ubbidienza per ventidue anni. Udite ch'ebbe separatamente l'Abate queste cose, disse: la virtù di quest'ultimo è maggior delle vostre ; poiché voi altri seguite la propria volontà, e questo si è fatto servo della volontà altrui.
4. " Una gocciola di semplice Ubbidienza vale un milion di volte di più, che un vaso intero della più fina contemplazione. " S. M. Maddalena de' Pazzi.
Si legge di una santa Monaca, che un dì mentre si stava deliziando nella sua camera con Gesù Bambino, fu chiamata dalla Superiora ; ed ella pregato Gesù ad aspettarla, andò dov'era chiamata, e ritornata, lo ritrovò non più bambino, ma come un giovine di ventiquattro anni. Con che volle significarle quanto per causa di quella pronta ubbidienza in sì breve spazio Ei fosse cresciuto spiritualmente nel suo cuore. S. Francesca Romana un giorno, mentre stava dicendo l'Uffizio della B. Vergine, le occorse d'interrompere quattro volte un'istessa antifona, per accorrere prontamente alle voci del marito, che la chiamava: e ritornando l'ultima volta a ripigliar quell'antifona, la trovò scritta a lettere d'oro.
5. " L'alzare una paglia da terra per ubbidienza è di maggior merito, che il fare una predica, un digiuno, una disciplina a sangue, ed una lunga orazione di sua propria volontà " Rodrig.
Avendo un Monaco Cisterciense sulla fine della mensa raccolti alquanto tardi i minuzzoli del pane per mangiarseli, fu dato il segno del finire, dopo il quale v'era proibizione di più mangiare ; ed egli strettoli nella mano, dopo il rendimento di grazie genuflesso avanti il Superiore ne disse sua colpa: ed essendogli ordinato di mostrarli li trovò convertiti in gioje.
6. " Tutto il bene delle creature consiste nell'adempimento della divina volontà. E questa non si eseguisce mai meglio, che colla pratica dell'Ubbidienza, nella quale si trova l'annichilazione dell'amor proprio, e la vera libertà de' figli di Dio. E questa è la cagione, perché le Anime buone trovano tanta felicità e tanto gusto nell'Ubbidienza. " S. Vincenzo de Paoli.
Il medesimo Santo per la gran sommissione, che aveva al divino volere, ubbidiva prontamente a tutti coloro, che avean superiorità sopra di lui, come il Papa, i Vescovi, i Parrochi, e tutti anche i Superiori temporali, portando ad ognuno singolar rispetto e venerazione. E' notabile ciò che fece col suo Direttore ; mentre essendosi con intelligenza di lui partito dalla Casa di Gondì per fuggire la stima grande, in cui si vedeva tenuto, fu pregato da varj personaggi di ritornare, né mai si piegò. E poi al solo ricevere una lettera del Direttore, che semplicemente l'avvisava del gran desiderio, che quei signori mostravano del suo ritorno, senza però ordinarglielo, subitamente entrò in dubbio di ciò che far dovesse ; né si quietò sinché non venne a parlar con lui: e mostrando questi d'inclinare più al ritorno, incontanente lo fece. S. M. Madd. de' Pazzi aveva tanto effetto e divozione all'Ubbidienza, come quella, che l'esimeva dal pericolo di far la propria volontà, che se talvolta si trovava afflitta per qualche grave tentazione, o per alcun travaglio, in sentirsi comandare alcuna cosa rischiarava subito il volto, e si consolava.
7. " Chi non ha la virtù dell'ubbidienza, non si può dir Religioso. E però chi sta per voto sotto l'Ubbidienza, e vi manca, non mirando con ogni studio come adempire colla maggior perfezione in questo voto, io non so perché stia nella Religione. " S. Ter.
S. Margherita d'Ungaria Domenicana avea per uso, che quando si comandava qualche cosa in comune alle Religiose, ella faceva conto, che fosse imposto a se sola, e che toccasse tutta a lei. La B. M. di Chantal diede licenza ad una Monaca di servirsi in un suo urgente bisogno certi denari, dati da S. Fr. di Sales con ordine di spenderli solamente per gl'infermi, avendole quella promesso, che gli avrebbe rimessi da una limosina, che l'era stata offerta. Nondimeno venuta dopo la B. in scrupolo d'aver mancato all'Ubbidienza, ne scrisse al Santo, il quale venne la mattina al Monastero, ed ella se gli buttò subito a' piedi accusando con lagrime il suo mancamento ; ed appresso, come ella medesima attestò, non vi potea mai pensare senza lagrime.
8. " Vuoi sapere quali sieno i veri Monaci ? Quei che per mezzo della mortificazione han ridotta a tal segno la loro volontà, che nient'altro san più volere, fuorché eseguire i precetti e consigli del proprio Superiore " S. Fulgenzio.
Il B. Egidio ebbe una volta da S. Francesco un'intera libertà d'eleggersi in qual Convento e Provincia più gli piacesse di stare ; ed avendo appena per quattro giorni goduta tal libertà, fu sorpreso da una grande inquietudine d'animo. Onde tornandosene al Santo lo pregò istantemente a determinargli esso il luogo, ove sarebbe vissuto sino alla morte, altrimenti conoscea, che il godere di quella libertà gli avrebbe tolta affatto la pace.
9. " Ogni Sorella nell'entrar in Religione dovrebbe lasciar la propria volontà fuori della porta per non aver altra volontà, che quella di Dio. " Sales.
S. Dositeo questo appunto attestava di se, che dal suo primo ingresso nella Religione si spogliò affatto della propria volontà, sottoponendola a quella del superiore, al quale poi scopriva ogni tentazione ed ogni suo desiderio. E con questo dicea d'aver conseguita tanta pace di cuore e tranquillità di mente, che niuna cosa lo poté mai disturbare.
10. " Molti Religiosi, ed altri sono stati Santi senza l'orazione, ma senza l'Ubbidienza nessuno. " Sales.
Stando gravemente un frate converso di S. Bernardo, il Santo lo visitò, e l'animava a star allegro ; perché sarebbe presto passato dalla fatica all'eterno riposo. Si, rispose quegli, io confido nella divina misericordia, e tengo per certo d'andar in breve a godere Dio. Ma il Santo temendo, che quella non fosse presunzione, lo riprese in questa maniera: Che dici fratello ? Essendo tu tanto miserabile, che non avevi onde vivere, Iddio t'ha collocato in questo luogo, ove sei vissuto così bene: e tu invece di riconoscere il benefizio, ora pretendi di più il suo Regno, come cosa ereditaria ? Padre mio, rispose quegli, quello che dite, è vero: ma non avete voi predicato, che il Regno di Dio non s'acquista colle ricchezze e colla nobiltà, ma colla virtù dell'Ubbidienza ? Or io mi sono attaccato a questa sentenza, e non ho mai mancato d'ubbidire a chiunque mi ha comandato, come vi potete informare da tutto il Monastero: perché dunque non ho da sperare quello che mi avete promesso ? Piacque ciò molto al Santo, e dopo la di lui morte lo disse a tutti.
11. " L'ubbidienza è il compendio della perfezione e di tutta la vita spirituale ; è la via men laboriosa, men pericolosa, e la più sicura e più breve, che vi sia per arricchirsi di tutte le virtù, e per arrivare al fine d'ogni nostro desiderio, ch'è la vita eterna. " Il P. Alvarez.
S. Teresa era ben persuasa di questa verità: onde dicea, che se tutti gli Angeli insieme le avessero detta una cosa, ed il Superiore le avesse comandato il contrario, ella avrebbe preferito sempre l'ordine del Superiore. Perché soggiungeva, l'Ubbidienza a' Superiori è comandata da Dio nella Sacra Scrittura, e conseguentemente è di fede, e non vi può essere inganno ; ma le rivelazioni son soggette alle illusioni. E di fatto le accadde molte volte di scoprire al Direttore alcune cose rivelate da Dio ; e perché questi le disapprovò, subito le lasciò. S. Francesca Romana avendo più volte ordine da Dio di far certe cose, non le fece mai senz'averne avuto prima il consenso dal Confessore. Il che al Signore piacque assai. S. M. Maddalena de' Pazzi in punto di morte disse, che non trovava cosa, che più la quietasse circa quanto l'era succeduto in tutta la sua vita, che l'esser certa di non essersi mai guidata in cosa alcuna colla propria volontà e giudizio, ma sempre colla volontà e giudizio dei suoi Superiori e Direttori. S. Paolo cognominato il semplice in poco tempo che servì a Dio in perfetta Ubbidienza, ebbe la grazia di far miracoli.
12. " Vedendo il Demonio, non esservi strada, che conduce più presto alla sommità della perfezione, quanto quella dell'Ubbidienza, vi frappone molti disgusti e difficoltà sotto colore di bene. " S. Ter.
Stando S. Brigida molto affezionata alle penitenze, il P. Spirituale le ne levò una parte e sebbene ella ubbidì v'intese però qualche difficoltà, per timore di non divenire immortificata. Ma apparendole la Vergine, le disse: Vedi figlia, se due desiderano un giorno di digiunare, ed uno di essi, che sta in sua libertà, digiuna ; e l'altro, che sta sotto l'Ubbidienza, non digiuna ; il primo riceve una paga, e l'altro due, una per lo desiderio e l'altra per l'Ubbidienza. E con ciò restò istruita, e consolata.
13. " Quanto più si vede, che uno si soggetta in qualche cosa all'Ubbidienza, tanto più chiaro apparisce, ch'è tentazione. Perché quando Iddio manda ispirazioni in un cuore, la prima, che vi sparge, è quello dell'Ubbidienza. " S. Teresa.
S. Fr. di Sales ad una Monaca, la quale gli scrisse, che facea mal volentieri alcune cose della regola e dell'Ubbidienza, rispose così: voler vivere secondo la propria volontà, per far meglio quella di Dio, che chimera è mai questa ? Che' un'inclinazione, o piuttosto una fantasia malinconica, varia, dispettosa, dura, amara, pertinace possa essere un'ispirazione, che contraddizione è mai questa ? Del B. Giordano Generale dell'Ordine di S. Domenico racconta il Surio, come essendosi ammalato di febbre acuta in una Città del Piemonte, ove non v'era Convento del suo Ordine, il Vescovo l'accolse, e lo collocò in un letto nobile con coltrice e cortine preziose. Non volea l'umil servo di Dio coricarsi in tante morbidezze, ma vi fu indotto da un Priore dell'Ordine, a cui come esperto nella medicina, e però deputato alla cura di lui, doveva allora ubbidire. Il Demonio per tanto preso il buon punto, gli comparve la prima notte in figura d'Angelo luminoso, e rimirandolo con sopracciglio d'ammirazione lo sgridò, dicendogli, che non sapeva intendere com'egli potesse prendere riposo in tanto lusso, e come avesse lasciato sì presto le sue solite mortificazioni senza pensare al grave scandalo, che con ciò dava alla sua Religione ; e che perciò dovea piuttosto penare su la nuda terra. E ciò detto disparve. Ed il Santo uomo incontanente calato dal letto, si distese sul pavimento. Ma venuto la mattina il Priore, e stupito di quella novità, trovandolo tutto tremante di freddo, gli disse, ch'egli voleva esser micidiale di se stesso e lo costrinse a lasciarsi rimettere sul medesimo letto. Non si perdé però d'animo il Demonio, e la notte seguente comparsegli di nuovo sotto la forma d'Angelo di luce: oh, disse, io credeva che bastasse un avviso del Cielo per ridurvi all'osservanza regolare, ma veggo, che in coi prevale l'amor proprio. Così dunque siete voi ribelle a' lumi del Cielo ? Ubbidite una volta alla voce di Dio, che vi vuol fuori di queste morbidezze. Chi 'l crederebbe ? Il buon uomo si lasciò nuovamente trarre fuori dal letto, e stendersi sul nudo suolo. Ma ritornato a visitarlo il Priore, e ritrovatolo indirizzito e mezzo svenuto, prese a querelarsi con dirgli: che stranezza ? che spirito di rigore è mai questo ? Ma l'interruppe il Santo, dicendo che non giacea così per suo capriccio, ma per avviso dell'Angelo del Signore, che espressamente gli avea fatto intendere, esser volere di Dio, che non stesse in quel letto sì morbido: No, Padre mio, soggiunse il buon Priore, non può esser Angelo del Signore quegli che v'ha insegnato di contravvenir all'ubbidienza. Questo è lo spirito maligno, che tenta di torvi la vita, o almeno di prolungarvi il male, per impedir le vostre imprese a gloria di Dio ; e però se ritornerà, dategli pure il mal venuto. E con questa ed altre parole lo persuase a rimettersi in letto, e lasciarsi curare. Ritornato poi il Demonio la terza notte, egli lo sgridò sì forte, che vedendosi scoperto, svanì in un baleno pieno di scorno e di rabbia, e l'infermo cominciò a ricuperar la salute, e dopo proseguì le sue apostoliche fatiche, colle quali operò tante maraviglie, che il suo nome divenne terribile all'Inferno, e molto glorioso nel Mondo.
14. " Per aver un'Ubbidienza intera, bisogna mostrarla in tre cose: nell'esecuzione, nella volontà, e nel giudizio. Nell'esecuzione, con eseguir prontamente, allegramente, e puntualmente quello che ordina il Superiore. Nella volontà, che non voler altro, che quello che vuole il Superiore. Nel giudizio, con essere dello stesso sentimento del Superiore. " S. Ign. Loy.
S. M. Madd. de' Pazzi, qualinque cosa le veniva ordinata, l'accettava sempre con volto allegro, e l'eseguiva con tutta prontezza ed esattezza. E quel ch'è più ubbidiva alla cieca, senza star ad investigare il fine o la ragione del comando, e se fosse meglio quella, o quell'altra cosa: perché, come dicea, non le parea d'ubbidire, benché eseguisse il comando, se prima non soggettava il suo giudizio al giudizio del Superiore. Onde quando l'era ordinata alcuna cosa, primieramente si piegava a giudicare e sentire, come giudicava e sentiva la Superiora, e poi inclinava la sua volontà a volere ciò che quella voleva: e perciò non trovava difficoltà in eseguire qualunque cosa se le comandava. Quando le fu ordinato dal Signore, che si cibasse di solo pane ed acqua, e che andasse scalza, e vestisse una sola tonaca rattoppata e vile, non avendo acconsentito a questo il Superiore, ella si mise tosto le calze, e scarpe, e la tonaca, e si pose a mangiar de' cibi comuni ; benché con gran travaglio del suo stomaco, finché Iddio con evidente miracolo non mutò la volontà de' Superiori. Con che mostrò di fidar più del Giudizio de' Superiori, che del suo, e delle medesime rivelazioni. L'Abate Silvano amava con singolar affetto un suo Monaco chiamato Marco. Or essendo avvisato da uno, che gli altri molto si offendevano di ciò, menò colui alle Celle de' Monaci ; e chiamandoli uno per uno per nome, tutti furono lenti a venire, eccettuato Marco, che incontanente uscì fuori. Ed essendo entrato nella di lui cella l'Abate coll'altro Monaco, trovarono, che egli allora stava scrivendo, e che alla voce del Superiore, per non tardare, avea lasciata la terra imperfetta. Con che tutti videro, ch'egli avea ragione di esser amato più degli altri. Io, dicea S. Francesco di Sales, ammiro il piccolo Bambino di Betlemme, il quale sapeva tanto, potea tanto, e si lasciava maneggiare senza dir una parola.
15. " L'Ubbidienza non consiste solo in fare attualmente ciò, che viene ordinato, ma anche in una continua disposizione di fare tutto ciò, che ci può esser imposto in qualunque occasione. " S. Vinc. de Paoli.
S. Francesco Saverio era così disposto per ogni ubbidienza, che sebbene operava nelle Indie con tanto frutto delle Anime, e con tanta sua soddisfazione, dicea, che se avendo principiata una fruttuosa Missione, avesse ricevuto l'ordine da S. Ignazio suo Superiore di ritornar prestamente in Italia, avrebbe subito interrotta l'opera per partire. Spiccò molto in questo S. Felice Cappuccino, il quale ad ogni minimo cenno de' suoi Superiori si mostrava sempre pronto e facile ad eseguir tutte quelle cose, che gli venivano da loro ordinate, per quanto difficili, e varie che fossero, senza eccettuarne veruna: tanto che quegli stavano ben attenti a non mai manifestare neppur per ischerzo, senza preciso bisogno, la loro volontà alla presenza del santo uomo: perché immantinente era da lui ricevuto quel semplice detto come un rigoroso precetto, e subitamente eseguito.
16. " L'Ubbidienza vera si conosce in eseguire allegramente, e senza ripugnanza alcuna le cose di contraggenio, e di proprio vantaggio. " Rodr.
S. Teresa racconta di se, che avendole la Priora ordinato di lasciar affatto una certa fondazione, che avea intrapresa per ordine di Dio, e per la quale avea faticato molto, subito la lasciò, restandone contenta: perché parendole d'aver fatto tutto quello che avea potuto, giudicava di non esser tenuta a più. E l'istesso Confessore non finiva di crederlo, pensando, che se ne stesse afflitta e confusa. La V. Suor Maria Crocifissa, essendosi introdotto il costume nel Monastero, che le Monache, parlando cogli uomini, tenessero un velo su la faccia, ricevé ordine, che con alcuni trattasse senza velo, e lo facea volentieri, sebbene vi provasse estrema ripugnanza. Il V. Bercmans fu assegnato a servire una lunga Messa, ed in un'ora molto incomoda per li suoi studj, e l'accettò allegramente ; servendola per più mesi senza mai dir una parola di lamento, né cercar d'esserne sgravato. Si legge di S. Felice Cappuccino, ch'era sempre pronto a rimuoversi dal proprio sentimento, e dall'esercizio di alcune azioni meritorie, le quali dalle persone virtuose non sogliono tralasciarsi sotto pretesti di carità, di mortificazione, e simili, quando accadea che non fossero approvate dai suoi Superiori, o Direttori. E così al semplice divieto, che gli veniva fatto da loro, di qualche austerità, o altro spirituale esercizio, immantinente lo lasciava non solo senza ripugnanza, ma anche con somma quiete dell'animo suo. In fatti essendo andato per molto tempo scalzo col consenso del Superiore, perché nella sua vecchiaia il Cardinal Protettore, a richiesta di un compagno di lui gli ordinò, che ripigliasse i sandali, subitamente ubbidì senza lamentarsi, né cercare chi ciò avesse suggerito al Cardinale, e senza fare alcun conto di perdere di stima presso de' Secolari, che l'avrebbero giudicato come rallentato nella virtù.
17. " Un vero ubbidiente non discerne una cosa dall'altra, né desidera più un impiego, che un altro. Perché egli non bada ad altro, ad eseguir fedelmente quel che gli viene ordinato. " S. Bern.
Scrive S. Girolamo, che visitando i Monaci dell'Eremo, ne trovò uno, che per otto anni continui avea portata su le spalle due volte il giorno una grossa pietra per lo spazio di tre miglia, per ordine del Superiore ; e chiedendogli esso, come facesse volentieri quell'ubbidienza, rispose, che l'aveva fatta sempre con tanta contentezza d'animo, come se fosse stata la cosa più sublime e più importante del Mondo. Questi conchiude il Santo, son quelli, che fan profitto e crescono in perfezione ; perché si nutriscono sempre di fior di farina, cioè col far la volontà di Dio: ed attesta di se, di esser talmente stato mosso da una tale risposta, che da quell'ora cominciò a vivere da Monaco.
18. " L'eccellenza dell'Ubbidienza non sta in seguir la volontà d'un Superiore dolce e piacevole, che comanda piuttosto con preghiere, che coll'autorità ; ma in istar sottoposto al giogo di quello ch'è imperioso, rigoroso, severo, di cattivo umore, e mai non si mostra soddisfatto. Questo è un prendere l'acqua chiara da un fonte, che scaturisce dalla gola d'un Leone di bronzo. " Sales.
La V. M. di Chantal solea dire, che avrebbe avuta maggior soddisfazione di ubbidire alla minima sorella, la quale non facesse altro che contrariarla, e comandarle con maniera dura e aspra, che alla più abile ed esperimentata di tutto l'ordine: perché, dicea, dove meno si trova della creatura, là più v'è del Creatore. Riferisce S. Attanasio degli antichi Monaci, che cercavano Superiori aspri e disgustevoli, i quali non gradissero quello che essi facevano, e li riprendessero, come appunto faceva S. Pacomio col suo discepolo Teodosio per purificarlo ; e che quanto più difficili e dispiacevoli quegli erano, tanto più essi eran loro ubbidienti. S. Caterina di Bologna bramava, che la sua Superiora la trattasse sempre con asprezza, e le imponesse le cose più gravi. Perché, dicea d'aver provato colla propria esperienza, che l'ubbidire nelle cose buone e lecite è molto utile, ma l'ubbidire quando la Superiora impone cose ardue, e comanda con ciera brusca, in poco tempo riempe l'Anima di virtù e l'unisce con Dio.
19. " Se non farai forza a te stesso, e non arriverai a tanto, che per quello che tocca al tuo interesse, poco t'importi che quello, o quell'altro sia Superiore ; non ti persuadere mai di poter divenire uomo spirituale, e fedele osservatore de' tuoi voti. " S. Giov. della Croce.
S. Francesco d'Assisi dicea, che fra le altre grazie, che avea ricevute dal Signore, una era, che avrebbe ubbidito con tanta prontezza ad un novizio d'un'ora, che qualunque anziano dei più benemeriti. S. Francesco Borgia prestava una singolar venerazione a tutt'i Superiori, non solo quando erano nell'uffizio ; ma ancora quando l'avean lasciato. Ed avendogli S. Ignazio assegnato un fratello Laico, perché avesse cura della di lui sanità, usava a quell'istessa ubbidienza, che avrebbe usata al Santo.
20. " Ricordati, che ti è dato il Superiore per amor del Signore, e per conseguire il Regno de' Cieli, e per conseguenza non sei più tuo, ma di colui, a cui ti donasti. Onde non ti è più lecito di fare cosa alcuna da te stesso, e senza il di lui volere: perché egli, e non tu, è il padrone della tua volontà. " S. Giov. della Croce.
S. M. Madd. de' Pazzi per quanto poteva non faceva cosa alcuna senza cercare l'ubbidienza, o la licenza della Superiora, o della Maestra. La V. Pudenziana Terziaria Francescana disse al suo Confessore prima di morire: padre, da che mi rinunziai nelle vostre mani, non ho mai col divino ajuto neppur gettato un sospiro senza il placet dell'ubbidienza. Restami ora l'ultimo fiato il quale nemmen voglio, ch'esca di me senza l'istesso merito, e però ve ne chiedo la licenza. Restò attonito per un poco il padre a sì strana proposta, e poi disse: io, figlia, non voglio che tu parta per ora. Chinò ella il capo, e rivolta al Crocifisso, Signore, disse, ecco che son trattenuta, non mi violentate, che non posso acconsentire. Alquanto dopo fece al padre l'istessa istanza, e n'ebbe l'istessa risposta. Ma poi mosso quegli a compassione: O via, disse, vattene, Anima benedetta, all'eterno riposo ; ed ella soggiunse subito: Benedicite Pater ; e ricevuta la solita benedizione, girò gli occhi come salutando gli astanti, e poi strettosi tra le braccia il Crocifisso, e baciatolo, e sorridendo, disse: io me ne vado, e spirò.
21. " Avverti di non mirare mai alle qualità, arti, e maniere d'operare del tuo Superiore ; altrimenti cambierai l'ubbidienza divina per l'umana ; movendoti ad ubbidire per li modi, che sensibilmente vedi in esso, e non per Dio insensibilmente rappresentato nella sua persona. O la grande starge, che fa il Demonio del cuore dei Religiosi, quando arriva a farli avvertire alle maniere del Superiore. " S. Giov. della Croce.
Il P. Pietro Fabro non guardava mai i difetti de' suoi Superiori, ma le virtù, per poterli onorare con verità. E se avesse veduto un Superiore pieno di difetti, e privo d'ogni virtù, pure si sforzava d'onorarlo e d'ubbidirlo con molta fedeltà per l'amore e timore di Dio, e perfezionare se stesso. Il V. Bercmans guardava Dio ne' suoi superiori, e non le loro qualità ; e per questo trattavali sempre con molta venerazione, e dicea di non aver mai sentita minima avversione verso di qualunque di loro, né mai avuto alcun pensiero contra le persone, o ordini, o sentimenti loro.
22. " Quando il Superiore ordina qualche cosa, avverti, che non è esso allora, che parla, ma Iddio, ed il superiore non è in quel punto altro, che una tromba, per cui passa la voce di Dio. E questa è la vera chiave dell'Ubbidienza, e la cagione, perché i perfetti ubbidiscono in ogni cosa sì prontamente, e non fan differenza da uno all'altro superiore ; ma nel medesimo modo ubbidiscono agl'infimi ufiziali, che a' primi ; e così agl'imperfetti, che a' perfetti: perocché non guardano né alle persone, né alle qualità de' Superiori, ma unicamente a Dio, il quale da per tutto è per sempre il medesimo, e di eguale merito, e di eguale autorità. " Rodrig.
S. Luigi Gonzaga dicea, che non si ricordava d'aver mai trasgredito un minimo ordine de' superiori. Quindi è, che portava tanta sommissione e riverenza al bidello, quanta n'avrebbe prestata all'istessa persona del Generale. La B. Solomea eseguiva con tanta esattezza gli ordini de' Superiori, come se glieli avesse dati Dio medesimo ; per questo punto che li guardava come usciti da Dio, e solo promulgati dalla voce del Superiore. La V. M. Serafina ebbe talvolta de' Confessori men savj, e pure ubbidiva a quelli con la medesima esattezza, che agli altri. E solea dire, che quando quelli non comandano cose peccaminose, si dee sempre loro ubbidire senza mai cercar ragione di quello che ordinano.
23. " Sai d'onde procede che molti, stando tanto tempo in Religione, e praticando tanti atti d'ubbidienza ogni giorno, ad ogni modo mai non arrivano ad acquistare l'abito di questa virtù ? Perché non sempre che ubbidiscono, lo fanno per essere quella la volontà di Dio ( ch'è la ragion formale dell'ubbidienza ), ma ora ubbidiscono per un riguardo, ora per un altro, e così non essendo quegli atti simili tra di loro, non possono giunger mai a produrre l'abito di questa virtù. " Rodrig.
S. M. Madd. de' Pazzi non riguardava mai la persona, che l'era Superiora, e che la comandava, qualunque ella fosse, ma riconosceva in quella la persona di Dio: né mai ubbidiva per altri rispetti, se non perché riputava, quella esser la volontà di Dio, e tutto ciò che la superiora le imponea, teneva per esserle imposto con autorità divina. E perciò poi tanto volentieri ubbidiva alla priora, quanto alla cuciniera ; e nell'ubbidienza provava tanta felicità e tanto gusto. Così pure si narra de' Monaci d'Egitto, che qualsiasi cosa venisse loro imposta, la faceano prontamente senz'alcuna discussione e difficoltà, come se loro fosse stata ordinata dallo istesso Dio, la di cui volontà si erano assuefatti a riconoscere in quella del superiore.
24. " Se mai ti venissero movimenti, pensieri, o giudizj contra l'ubbidienza, ancorché ti paressero buoni e santi, non gli ammettere in conto alcuno, ma rigettali prontamente, come fareste coi pensieri contra la castità, o contra la fede. " S. Giov. Clim.
Il V. Bercmans mentre stava per le difese della filosofia ; e però avea bisogno di studiare, essendo richiesto da uno per uscire, intese interiormente un poco di ripugnanza ; però subito senza darne alcun segno si represse con divertire il pensiero in altro oggetto. Ma tornato a casa, si mise di proposito a far riflessione sopra quell'interno movimento, che intese nell'animo, e alcuni giorni v'applicò l'esame particolare, e vi fece sopra alcune mature considerazioni: e poi andò dal Superiore a riferirgli, che per la grazia di Dio avea ottenuto vittoria di se stesso, e non vi sentiva più alcuna ripugnanza. La V. M. Serafina tenea licenza dal suo Direttore, che stava in Napoli, di comunicarsi ogni giorno: questi però per evitar l'ammirazione, l'avea consigliata di chiederne ogni volta la permissione al Confessore ordinario di Capri, il quale glie la negò più volte ; ed ella benché con sua gran pena sempre ubbidiva. Una di queste volte ascoltando essa la Messa, dopo la consegrazione le apparve il Signore, e le parea, che la invitasse alla Comunione, che le accese un veementissimo desiderio, e pure non volle fare, persuasa, che nella visione vi potea esser dell'inganno, non già nel comando del Confessore.
25. " Gurada di non fermarti mai ad esaminare e giudicare gli ordini de' Superiori, perché abbiano comandata quella cosa, o se sarebbe stato meglio di farla in quell'altro modo, perché questo non è uffizio del suddito, ma del Superiore. " S. Girol.
Essendo un giorno il V. Bercmans uscito tre o quattro volte in tempo d'estate tra i maggiori caldi, per accompagnare alcuni, che l'aveano richiesto al Superiore, il compagno di camera mosso a compassione di lui gli disse, che di grazia avesse un poco di discrezione e prudenza ; se no, si sarebbe ammalato con tanto uscire per que' caldi: ed egli con molta piacevolezza rispose: Fratello mio, la prudenza la debbo lasciare a chi comanda. Io non son tenuto ad altro, che ad ubbidire. Dovendo il Vescovo di Capri celebrar una mattina la Messa nel Monastero della V. M. Serafina, ed amministrar la Comunione alle Monache, mandò a dire, che non volea farla al comunicatorio consueto, ma all'Altare ; e che però si portassero tutte nella Chiesa. Stava allora la serva di Dio nella sua cella, ed all'udire un tal avviso fermossi ad esaminare quella irregolarità importuna, ma incontanente si prostrò inginocchioni avanti il suo Crocifisso, e baciò il suolo ; ed alzatosi, baciò i piedi del Signore, dicendo affettuosamente: Factus est obediens usque ad mortem, e poi senza dimora uscì di cella, ed andò a sollecitare le altre ad ubbidir all'ordine del prelato. Ricevuta poi ch'ebbero la comunione, si portarono tutte nel coro per fare il rendimento di grazie. Ed ivi fu ella rapita in estasi, nella quale il Signore le manifestò quanto avesse gradito quell'atto di ubbidienza, conforme diede essa a conoscere alle compagne del tempo che stavano tutte insieme nella solita ricreazione: ove alcune andavan raccontando la ripugnanza, che avean sentita in quell'azione ; ed ella: a me, disse, ha dato il Signore un gran premio questa mattina per l'ubbidienza cieca, che ho fatta: e sebbene par che la cosa non sarebbe stata buona, però è stata l'ubbidienza.
26. " Per esser vero ubbidiente, non basta far quel che l'ubbidienza comanda ; ma bisogna che si faccia senza discorso, e si tenga per certo, che ciò, che viene comandato è la migliore, è la più perfetta cosa, che si possa fare, ancorché paja, o sia veramente il contrario. " S. Filippo Neri.
Il P. Alvarez si solea soggettare volentieri all'ubbidienza in ogni cosa. Perché dicea d'aver veduto per esperienza, che se ben parea, che si dovesse fare il contrario di quel che l'ubbidienza ingiungea ; però con ubbidire succedea sempre il meglio. Il Signore, per guarire il cieco, che fece ? unse a lui gli occhi col loto, e gli ordinò, che andasse a lavarsi nella piscina di Sileo. Vedete voi ? Potea colui dire: questa è una medicina più atta a toglier la vista, che a renderla ; e però potea francarsi quel viaggio: ma perché ubbidì senza discorso, guarì. S. Colombano Abate avendo quasi tutt'i suoi Monaci ammalati, ordinò, che andassero tutti all'aja a tritolare il grano. Parve cosa ben dura ed indiscreta l'obbligar ad un esercizio, sì laborioso, ed esporre a' raggi del sole cocente tanti, che per la malattia non si potean reggere in piedi: e pure tanti subitamente si portarono ad eseguire il comando ; a riserva di alcuni pochi, che come più prudenti e più cauti, stimarono meglio di restarsene in letto. Ma che ne succedette ? Quei, che ciecamente ubbidirono, in un tratto tutti guarirono, e gli altri, che diedero luogo al discorso, si restarono con la lor febbre nel letto per un anno intero. Apparsa la Vergine ad una Monaca, le disse che per mezzo dell'ubbidienza si vengono ad eseguire gli ordini della divina sapienza, la quale spesso per vie sublime, e non penetrate dall'umana prudenza, conduce le cose a' fini, che pretende, senz'alcun impedimento.
27. " Chi vuol essere buon Religioso, ha da far conto d'esser il giumento della casa. Questo non si elegge da se il carico, che ha da portare, né va per la strada che vuole né si riposa quando vuole, né fa quel che vuole ; ma s'accomoda a tutto ciò che da lui si vuole. Cammina, si ferma, torna, ritorna, soffre, e travaglia di giorno, di notte, in ogni tempo, e porta quel peso, che si gli mette addosso senza dire né perché, né a che fare, è troppo, e poco, né altra cosa. " L'Ab. Nesterone.
Questo S. Abate, come si narra nelle vite dei PP. fece appunto nell'entrar in Religione questa bella risoluzione, dicendo tra se: ego et asinus unum sumus: Farò conto d'esser l'asino del Monistero. E così riuscì un ottimo Religioso. Il V. Bercmans era pure uno di questi. Poiché qualunque cosa gli venisse ordinata, egli non la ricusava mai, né mai si scusava, o dava alcun segno di averci dispiacere, o difficoltà ; ma tutto accettava allegramente, e l'eseguiva prontamente e fedelmente. E però quando i superiori aveano qualche occupazione difficile, e non sapeano chi dare ad alcuno per compagno per andar fuori, egli era il loro refugio. Onde alle volte accadea, che appena era tornato a casa con uno, gli conveniva di ritornar fuori con un altro, sino ad uscire tre e quattro volte il giorno. E coi compagni poi andava, tornava, girava, e si fermava dove, e quanto voleano essi, senza mai opporsi o lamentarsi di perdita di tempo, o dell'essere strapazzato più degli altri, perché ad altro non mirava che ad ubbidire e servire gli altri. Ma meglio forse di tutti si vestì di tal sentimento S. Felice Cappuccino, il quale non solamente si tenea per tale nel proprio concetto ; ma lo dicea pubblicamente per esser tenuto da tutti appunto per tale, e sommamente pregiavasi di questo titolo. E però quando andava carico di pane, o di vino per luoghi ove fosse calca di gente, solea liberamente dire con voce alta per esser inteso da tutti, lasciate passar l'asino. E se alcuno dicea di non veder quest'asino, rispondea: e non sapete voi, che io son l'asino dei Cappuccini ? Camminando un dì per la Città con la tasca in spalla, cadde inavvedutamente nel fango ; e non potendosi rialzare disse al compagno: non vedi che l'asino è caduto: perché dunque non adopri il bastone, acciò si alzi ? e quando alcun Religioso lo chiamava col nome suo, solea subito rispondere: avete sbagliato, padre mio: io mi chiamo frat'asino, e per tale appunto mostravasi in pratica. Poiché come se appunto fosse stato un giumento, il Superiore in ogni tempo, ed in ogni luogo potea piegarlo dove voleva, ed ordinargli indifferentemente ciocché gli era a grado, che egli tutto prontamente eseguiva senza mai scusarsi, o dar segno di minima renitenza, per qualunque cosa gli fosse imposta.
28. " Chi vive sotto l'ubbidienza, s'ha da lasciar reggere dalla divina Provvidenza per mezzo del Superiore, come un morto. Il segno di essere un morto è il non vedere, non sentire, non rispondere, non lamentarsi, e non mostrar di voler più una cosa, che un'altra ; ma lasciarsi portare e maneggiare ovunque si sia, e comunque si voglia. Vedi, che cosa manca di questo alla tua ubbidienza. " S. Ign. Loy.
Uno di questi fu Paolo il semplice Discepolo di S. Antonio. Dimandò egli una volta al suo maestro, se Cristo fosse prima de' Profeti: per lo che il Santo gli comandò, che non parlasse, perché non era capace di dir altro che spropositi, ed egli per tre anni continui osservò un perpetuo silenzio. Dopo de' quali S. Antonio per più sperimentare la di lui ubbidienza, gli andava comandando molte cose assurde e superflue: come tirar acqua dal pozzo, e poi buttarla, scucir vesti, e poi ricucirle, e simili. E queste cose eran stimate tutte da lui necessarie: e benché fossero frivole e da nulla, pure perché comandate, l'eseguiva prontamente ed allegramente ; e le facea con tutta la diligenza possibile senza una minima riflessione sul comando. Un altro simile fu un certo Discepolo dell'Ab. Martino, il quale avendo in mano una verga secca, la ficcò in terra, e poi comandò al Discepolo, che l'inaffiasse con l'acqua fintantoché fiorisse. Il che questi eseguì prontamente per tre anni continui, andando ogni giorno a prender l'acqua al Nilo, ch'era distante due miglia, ed adacquandola senza mai lamentarsi, mostrarsi attediato dal veder, che per tanto tempo avea faticato indarno. Però il Signore volle mostrare quanto avesse gradita la sua fatica: perché finalmente la verga cominciò a rinverdirsi, e fiorì. Il fatto vien riferito da Severo Sulpizio, il quale dice d'averla veduta egli stesso, che sin al suo tempo si conservava per memoria nell'atrio del Monastero. S. M. Madd. de' Pazzi l'istesso giorno della vestizione si prostrò in atto umile, e con affetto sincero a' piedi della maestra, e si rassegnò totalmente alla di lei volontà dicendo, che si dava nelle sue mani per morta, e che però facesse di lei tutto ciò che le piacea, che sarebbe stata sempre pronta ad ubbidirla in ogni cosa: e la pregò a non portarle rispetto nell'umiliarla e mortificarla: e questo medesimo atto fece pure coll'altra maestra che succedette. Ed effettivamente poi così sempre visse tutta rassegnata alla loro volontà, obbedendole prontamente in ogni cosa, e lasciandosi da loro impiegare in tutto quel che voleano senza mai contraddire, o dar segno di non approvare ciò che dicevano. In questo modo venne ella a spropriarsi talmente del proprio giudizio, e volontà, che parea non gli avesse più, e che fossero in lei morti.
29. " La perfezione del Religioso stà nell'esatta ubbidienza alle sue regole: e chi più sarà fedele nell'osservanza di esse, quegli senz'altro sarà il più perfetto. " Rodriguez.
S. Vincenzo de Paoli era esattissimo nell'attuale osservanza di tutte le regole della Congregazione a segno tale, che si facea scrupolo di trasgredire anche le minime ; come di non inginocchiarsi nell'entrare e nell'uscir dalle camere domestiche, benché negli ultimi anni per indisposizione delle gambe ciò gli riuscisse molto penoso: così pure era per ordinario sempre il primo ad intervenire a tutti gli esercizj comuni, e specialmente alla meditazione. Il P. Joli Superior generale della Congregazione della Missione era attentissimo, quanto a se nell'osservanza delle regole, ed inflessibile quanto agli altri, non arrendendosi mai né a ragioni né a prieghi in permettere una minima inosservanza. Onde avendogli una superiora scritto per una certa licenza, gli diede questa risposta. La nostra regola è ad essa contraria: bisogna, che stiamo a questa attaccati e forti. Ecco la migliore di tutte le ragioni. E discorrendo un giorno alla sua Comunità disse così: Dobbiamo tener conto, ed avere per nostro principal affare le regole e sante pratiche della Congregazione, lasciando per osservar queste tutte le nostre particolari divozioni: facendo più conto per esempio, di non parlar senza licenza a persone nostre conoscenti, che incontriamo per casa, che di far venti discipline di nostra propria volontà. La B. M. di Chantal aveva tanto a cuore l'osservanza delle regole, e stava tanto sopra di se in ogni tempo, ed in ogni luogo, per non trasgredirne veruna anche delle più piccole, eziandio quand'era superiora, e di età molto avanzata, che il suo operare serviva di viva efficacissima regola per eccitare e promuovere tutte le altre ad una perfettissima osservanza. Accadde in specie, che ritornando ella dal Parlatorio alla ricreazione alquanto abbattuta per cagion dell'età, fu pregata dalle compagne di riposarsi per quel poco di tempo che rimaneva per terminare la ricreazione ; ma sorridendo ella rispose: e che faremo della regola, che ordina il lavoro nelle ricreazioni ? S. Luigi Gonzaga non fu mai veduto trasgredire una minima regola dell'Istituto. Era in questo tanto esatto, che non sapeva indursi a dare ai suoi compagni un mezzo foglio di carta, o ricever un'immagine da loro offertagli, se prima non ne ottenea la licenza dal Superiore, secondo il prescritto della regola. Una notte si mise il Demonio a tormentare un religioso laico Domenicano nel Convento di Bologna, ma con tanta crudeltà, che i colpi ed il romore destarono i Religiosi. Ed avendo S. Domenico, che ivi era, richiesto il Demonio del perché, rispose, essere perché la sera antecedente quegli avea bevuto senza licenza, e senza far prima la benedizione, secondo ingiunge la regola. S. Gregorio riferisce d'una Monaca, che l'entrò addosso un Demonio, e l'afflisse molto, perché avea mangiata una lattuga senza far prima la benedizione, conforme al prescritto della regola.
30. " La predestinazione de' Religiosi sta attaccata all'amor della propria regola, ed a far puntualmente ciò che debbono in virtù della loro vocazione. " Sales.
S. Bonaventura si avea scritte in un libretto queste parole: Non son venuto nella Religione per vivere come vivono gli altri, ma per vivere come da tutti si deve vivere secondo la mente dell'Istituto, ed in una piena osservanza della regola. Perciocché nell'entrare mi furono date a leggere le regole, e non le vite degli altri ; le regole furono allora accettate da me volentieri, e per mia norma di vivere: e però debbo osservarle tutte esattamente, ancorché vedessi, che niun altro le osservi. S. Francesco di Sales lodava estremamente un certo Generale de' Certosini per la gran puntualità nell'osservanza delle sue regole, poiché, dice ch'era tanto esatto anche nelle cose meno importanti, che non la cedeva al miglior novizio. Il V. Bercmans si attaccò tanto all'osservanza delle regole, che in tutto il tempo che visse in religione, da niuno mai fu veduto trasgredirne veruna. Però nel morire domandò il librettino delle regole: e stringendosele nelle mani disse: con questo muojo volentieri.
LUGLIO
SEMPLICITA'
Estote simplices sicut Columbae. Matt. 10. 26.
1. " Fra quelli, che fanno professione di seguir le massime di Cristo, dev'essere in grande stima la semplicità ; perché appresso i savj del Mondo non v'è cosa più dispregevole, e più vilipesa di questa. E pure ella è una virtù soprammodo amabile: perché è quella, che ci conduce per la via diretta al Regno di Dio, e nel tempo stesso ci guadagna ancora l'affetto degli uomini: poiché uno che sia tenuto per retto, sincero, e nemico de' rigiri e delle frodi, è amato da tutti anche da quegli stessi, che dalla mattina alla sera non cercano altro che di fingere ed ingannare. " S. Vinc. de Paoli.
Una grande stima in vero facea questo Santo di tale virtù, e l'amava molto. Perciò non solamente si guardava egli da ogni mancamento contra di essa ; ma non potea neppure soffrire, che ne commettessero i suoi. E se talvolta ne commettevano alcuno, non si potea trattenere di farne loro, sebbene con tutta dolcezza, la correzione. S. Francesco di Sales ancora stimava molto, ed era molto affezionato alla Semplicità, come se ne dichiarò un giorno con una sua confidente in questa guisa. Io non so che cosa m'abbia fatto questa povera virtù della prudenza ; perché ho gran difficoltà d'amarla. E se l'amo, è solo per necessità, in quanto è il condimento ed il lume che ci guida in questa vita. Ma la bellezza della semplicità mi fa del tutto invaghire. E' vero, che il Vangelo ci raccomanda e la Semplicità della Colomba, e la Prudenza del Serpente: ma io darei cento serpenti per una colomba. Sò bene che sono utili amendue, quando vanno unite insieme ; mi pare però, che si debba fare come nella composizione della Teriaca, nella quale si mette poco della vipera, ma molto più d'altre salutevoli droghe. Si sdegni pure il Mondo, ferma la prudenza del Mondo, e si disperi la carne ; ch'è sempre meglio esser buono e semplice, che accorto e malizioso. Fu certamente ammirabile nella Semplicità, secondo che vien riferito dal Surio, S. Foca martire. Coltivava egli un certo orticello, non tanto per alimentar se stesso, quanto per sollevar cogli erbaggi e frutti di quello i viandanti e i pellegrini, che consapevoli della sua libertà facean capo alla sua casa ; e niuno batteva alla sua porta, che non vi fosse accolto con gran carità e cortesia. Or fu questo santo uomo denunziato come ospite e fomentare de' Cristiani al Presidente della Provincia, il quale risoluto di volerlo morto, inviò segretamente alquanti soldati in traccia di lui, con ordine che l'uccidessero. Arrivati dunque costoro una sera a quella casa senza saper che fosse la sua entrarono dentro, e con libertà propria della soldatesca dimandarono da mangiare, ed egli ben volentieri secondo il suo costume gli accolse benignamente, e diede loro quel poco, che potea, servendoli a tavola con termini di tal carità e cortesia, che quelli ne rimasero sorpresi, e sommamente affezionati dicendo tra di loro di non aver mai conosciuto uomo di sì buon cuore come lui. Onde allettati dalla sua gran semplicità e schiettezza, l'interrogarono con confidenza, se avesse cognizione di un certo Foca, che albergava e manteneva i Cristiani, del quale essi andavano in cerca per ordine del Prefetto Imperiale, che lo volea morto. Rispose il Santo, che lo conosceva benissimo, e che ben volentieri loro l'additerebbe: che però andassero senz'altra inquisizione a riposar quietamente, che la mattina vegnente mostrerebbe loro un modo facile d'averlo nelle mani. Spese poi egli tutta quella notte in divotissime orazioni, e venuta la mattina, eccolo a visitar i soldati, e con la sua solita cordialità dar loro il buon giorno. La risposta, ch'essi gli diedero, fu che osservasse le promesse di manifestar loro il cercato Foca. Non dubitate soggiunse egli, che ve lo scoprirò. Immaginatevi d'averlo già nelle mani. Andiamo dunque a trovarlo, replicaron quelli. Ed egli, non occorre d'andare, ch'è qui presente: io son desso. Fate di me ciocché vi aggrada. A questo dire rimasero attoniti e confusi i soldati, sì per la somma carità con cui li aveva accolti, come per l'ingenua sincerità, con cui scoprivasi a' suoi persecutori ; avendo tanto agevolmente potuto scampar la morte con prendere in quella notte la fuga. Miravasi per tanto l'un l'altro con istupore ; e niuno ardiva di metter le mani addosso a tanto benefattore, anzi inclinavano a donargli la vita, ed a riferir al Prefetto, che Foca, dopo d'averlo cercato lungamente, non si era ritrovato. Ma no, disse il Santo, è ben minor male la morte mia, che far voi questa finzione, o dir questa menzogna: eseguite pur l'ordine, che avete avuto. Ed in così dire nudò il collo, e lo porse a' soldati, che con un fendente troncandolo, gli misero in capo la gloriosa corona del martirio. E questa sincerissima fede del S. Martire fu tanto gradita da Dio, che subito cominciò, e tutto di seguita ad illustrarlo con segnalati miracoli: specialmente a favore de' pellegrini, e de' marinari, verso de' quali ha proseguito morto, come costumava vivo, da esser liberalissimo di benefizj e sussidj miracolosi. Ond'è, che in segno di ricognizione s'indusse usanza tra' viandanti per mare, quando metteano tavola, di serbare ogni giorno per lui una parte della prima vivanda, che chiamavasi la porzione di S. Foca. E questa era ogni dì comperata or dall'uno, or dall'altro navigante, che ne portava il prezzo in mano del nocchiero ; e quando giungevano al porto, si distribuiva quel denaro a' poveri, acciocché rendessero grazie al loro Avvocato per la felice navigazione.
2. " La semplicità non è altro, che un atto di carità puro e semplice, il quale non ha che un solo fine, ch'è d'acquistare l'amor di Dio. E l'Anima nostra allora è veramente semplice, quando non abbiamo punto altra pretensione, che questa in tutto quello che facciamo. " Sales.
S. M. Madd. de Pazzi disse una volta così: se con dire una parola anche indifferente per altro fine, che per l'amore di Dio, credessi di poter divenire un Serafino, non la direi certo. Il Demonio invidiando un Monaco giovine, che camminava molto bene, comparve al di lui Maestro sotto forma d'Angiolo buono, avvisandolo che il suo discepolo era già prescito, e che quando facea di bene, nulla gli giovava per la vita eterna. Del che il Maestro molto s'attristò ; ed ogni volta che vedeva il discepolo, non poteva trattener le lagrime ; tantoché questi un dì gliene richiese il perché, ed esso glielo scoprì. Allora il discepolo gli disse: Padre non v'attristate per questo: perché se mi ho da dannare, mi dannerò ; se mi ho da salvare, mi salverò ; io però non servo Dio per lo Regno de' Cieli, ma per la sua Bontà, e per la Carità, ch'Egli ha verso di me, e per la sua Passione, che per me ha sofferta. Se poi Egli mi vorrà dare il suo Paradiso, lo può fare ; e se mi vorrà dare l'Inferno pure lo può fare: ed io mi contento, che faccia quello che piace a Lui. La notte seguente apparve al Maestro un Angelo vero e gli disse, che il primo era stato il Demonio, e che il suo Discepolo avea meritato più con quell'atto solo, che col resto della buona vita menata sin allora.
3. " L'ufizio della Semplicità è di farci andar diritti a Dio, senza mira né a' rispetti umani, né a' proprj interessi: di farci dire le cose schiettamente e nella maniera che l'abbiamo nel cuore: di farci operar semplicemente e senza mescolanza di ipocrisia e d'artifizj ; e di tenerci finalmente lontani da ogni sorta di fallacie e doppiezze. " S. Vin. de Paoli.
Questo Santo era sommamente attaccato a tener sempre la mira a Dio in ogni sua operazione ; e però non potea soffrire, che né anche i suoi se ne distogliessero un tantino. Onde essendosi uno di essi una volta accusato pubblicamente d'aver fatta una cosa per rispetto umano, lo riprese severamente dicendo, ch'era meglio esser gittato nel fuoco con piedi e mani legate, che operar per piacer agli uomini. E rispondendo alla lettera di uno de' suoi così gli diceva: Ella mi scrive, che quando nelle sue lettere dirà bene d'alcuno, io procuri di far che lo sappiano gli amici di lui, acciò ancor esso venga a saperlo. Oh Dio, che pensieri sono mai i vostri ! Dov'è la semplicità d'un Missionario, il quale dee sempre andar diritto a Dio ? Se ella non iscorge il bene in tali persone, non lo dica: ma se vel ritrova, ne parli per onorar in esse Dio ; mentre da lui procede ogni bene. Nostro Signore riprese uno, che lo chiamava buono, perché nol chiamava tale con buona intenzione. Con quanta maggiore ragione potrebbe riprender lei, se loda gli uomini peccatori, per piacer ad essi, e per guadagnarsi la loro grazia, o per alcun altro fine grossolano ed imperfetto ? Si ricordi, che la doppiezza non piace a Dio ; e che per essere veramente semplice non dobbiamo aver la mira ad altro, che a lui. Quanto poi al suo parlare, era così schietto e semplice, e tanto lontano da ogni tergiversazione e fallacia, che niuno potea mai temere di essere da lui ingannato. Schivava ancora i complimenti cortigianeschi, i quali essendo per lo più congiunti con la simulazione, non si confanno colle regole della cristiana semplicità. Perché trattava con tutti semplicemente e cordialmente troncando tutte le dimostrazioni inutili. E così pure volea, che procedessero i suoi. La V. Suor M. Crocifissa aveva una schiettezza ed una sincerità singolarissima, per cui mostrava d'aver in odio qualunque simulazione e doppiezza. Onde dalla bocca di lei non s'udì mai uscire una né anche legerissima bugia o per officiosità, o per ischerzo: sebbene nelle ricreazioni soleva usare certe piccole ironie, ed altre belle figure, con cui condiva allegramente la conversazione. S. Carlo Borromeo diede ben a conoscere quanto fosse pieno di questa santa virtù in più occasioni, specialmente nell'elezione di Pio V in Sommo Pontefice. Perocché essendo stato questi poco gradito da Pio IV, suo Zio, e molto ache più perché era creatura di Paolo IV, che il Mondo sa, secondo il discorso umano v'era molta probabilità di credere, che egli dovesse averlo contrario, o almeno poco amorevole ; e che perciò sarebbe stato tacciato di poca prudenza, per aversi tirato addosso la rovina da se medesimo. E pure, perché avea sempre avanti gli occhi la pura gloria di Dio, ed il maggior bene di S. Chiesa, nulla badando a' suoi privati interessi, fece cader l'elezione sopra il medesimo Soggetto. Iddio però si prese cura di lui, e fece, ch'egli fosse dal medesimo Pio V molto stimato e favorito. Era poi egli schiettissimo nel suo parlare, e nemicissimo di ogni artifizio e doppiezza ; e tali anche volea, che fossero i suoi domestici, conforme se ne dichiarò una volta con un suo Ministro, il quale trattando con esso d'un certo affare, si lasciò scappar di bocca queste parole: Io le dirò sinceramente quello che sento circa di questo ; ed il Santo l'interruppe subito dicendo: dunque voi non parlate sinceramente ? or assicuratevi, che non può essere amico mio, chi non parla sempre con sincerità, e non dice colla bocca come sente nel cuore.
4. " Iddio ama i semplici, e tratta con essi volentieri, e comunica loro l'intelligenza delle sue verità: perché di questi ne dispone a suo piacere. Non fa così cogli spiriti grandi ed accorti. " Sales.
Di questo medesimo sentimento era ancor S. Vincenzo de Paoli, il quale dicea che l'esperienza ne conferma giornalmente la verità ; mentre pur troppo si vede, che lo spirito di Religione non tanto si trova d'ordinario fra i saggi e prudenti del secolo, quanto tra i poveri e semplici, i quali vengono da Dio arricchiti di una fede viva e pratica, che fa lor credere e gustar le parole di vita eterna. Onde si veggono comunemente soffrir le loro malattie, le loro miserie, e tutt'i loro travagli con più pazienza e con più rassegnazione, che non fanno gli altri. S. Ambrogio nell'orazione funebre, che fece al suo fratello S. Satiro, esalta molto tra le altre sue virtù la puerile semplicità, che, com'ei dice, luceva in lui come in uno specchio ; e che però non poteva egli non essere a Dio molto caro ; il quale per essere semplicissimo, ama le cose semplici, e odia e perseguita ogni adulterata misura. Si narra di S. Geltrude, che apparendo il Signore ad una Sant'Anima, le disse: Sappi, che presentemente non vi è Anima al Mondo, che per semplicità sia a me più vicina, e più congiunta di quella di Geltrude: e però io ancora a niun'altra mi sento tanto inclinato, quanto all'Anima di lei.
5. " La vera semplicità è come quella de' fanciulli, i quali pensano, parlando, ed operano schiettamente e senza malizia. Credono quanto loro si dice: non hanno alcuna cura, o pensiero di se stessi, massime quando stanno alla presenza dei genitori loro tenendosi attaccati ad essi, senza volgersi a mirare le loro soddisfazioni e consolazioni, le quali si prendono con buona fede, e si godono con semplicità, senza alcuna curiosità di considerarne le cagioni e gli affetti. " Sales.
S. M. Maddalena de Pazzi era nella sua conversazione, come una semplice fanciulla, procedendo senza malizia, e con una grande schiettezza e semplicità di cuore: accompagnata però sempre con prudenza e gravità tale che la rendeva amabile e rispettevole a tutte. Ebbe in vero del singolare in questo la V. Suor M. Crocifissa, la quale tuttoché fosse tanto illuminata, pareva appunto una semplice fanciullina senza malizia. Profferiva ella le cose sue candidamente, e come le tenea nel cuore ; e così pure pensava che facessero gli altri ; non potendosi dar a credere, che un Cristiano fosse capace di dir bugia. I fatti metteranno la cosa più in chiaro. Per lo concetto di santità, in cui era comunemente tenuta, le veniva da molte parti gran quantità di lettere ; ed ella credea, che ciò fosse per lo credito del Monastero ; e che però molte ancora ne venissero egualmente alle altre sue compagne: ma poi si stupiva non poco, per non vederle tanto affacendate come lei nel rispondere. Onde per meglio certificarsi andava attorno dimamdando loro, se ricevevano assai lettere, e rispondendole quelle con una graziosa esagerazione, per secondare la di lei semplicità, ne vengono tante ! E come dunque non scrivete ? replicava ella: vi porterò io il calamajo e la penna, e lo dava loro. E vedendo che quelle non potendo più contenersi, se ne rideano ; non sapea capire che significasse quella burla, e ne restava maggiormente ammirata. Avendo dal Cardinal Tommasi suo fratello, che le scrivea spesso, ricevuta una lettera, nella quale vi si sottoscrisse col titolo di tristo, ella cessò di più rispondere, non solo a quella, ma a molte altre, che dopo le scrisse: e richiesta del perché, rispose, che non volea tener comunicazione co' tristi: e non vi volle poco a ridurvela. Ma in un altro fatto alquanto grazioso volle il Signore dimostrare quanto si compiacesse di questa sua semplicità. Le fu donato un cardellino, a cui pose nome fiorico. L'amava ella molto, non tanto per la bella voce che avea, quanto per le virtù, che com'ella dicea, si potevano interpetrare ne' di lui atti. Or accadde una volta, che volendo ella cavargli due penne, per fare un piccolo pennello da delineare un certo disegno per la prossima festa d'un Santo, le parve, che il cardellino mostrasse qualche difficoltà in dargliele, e rimase mal edificata di lui in genere di divozione. Poco dopo di questo essendo un piccolo canario col suo primo volo venuto a posarsi sulla gabbia del cardellino, avvertì che questo l'aveva afferrato col becco per un piede, e spennacchiandolo coll'unghie lo maltrattava, e però accorse a levarglielo di bocca, e lo fece scappare, dicendo: Ah fiorico, noi andiamo alla peggio ? così si osserva la dilezione del prossimo ? Indi rivoltandosi all'immagine della Vergine, colla sua solita confidenza e semplicità protestolle, che in quell'uccellino essa non amava altro che Dio ; ma che però in quello giorno esso avea fatto del gran male, e ne volea condegna penitenza. Dopo le quali parole, il cardellino quasi presago del futuro gastigo si ammutolì, per tutta quella giornata se ne stette ritirato in un angolo della gabbia colle penne arricciate, in divisa malinconico. Venuta poi la sera, ecco udire uno strepito attorno l'istessa gabbia, ed il povero fiorico miseramente dibattersi tra meste grida: ed accorsavi la serva di Dio, vide che il Demonio in figura d'un deforme corbaccio lo stava straziando ; e subito gridò: Santa Maria, e lo fece fuggire ; ma intanto trovò, che il cardellino era rimasto privo d'un ala, che gli era stata troncata a forza con tutto l'osso, ed in presenza di lei cadde in terra ; onde l'uccello così mal concio stava mandando gli ultimi aneliti. Inteneritasi ella a tal vista, si mise a pregar il Signore dicendogli, che come Ei non volea la morte del peccatore, ma la conversione e la vita ; si degnasse far sì, che restasse bensì punito, ma non morto il suo fiorico. Né la preghiera fu invano: perché avendo ella preso in mano l'uccello, ed accarezzatolo alquanto, ripigliò esso in un momento il solito suo vigore, e comparve con un'ala nuova, vestita perfettamente di pelle, di carne, e d'osso in nulla più differente dalla prima, se non che avea le penne più risplendenti.
6. " L'astuzia altro non è, che una massa d'artifizj d'invenzioni, co' quali ci studiamo d'ingannare lo spirito di coloro, che con noi trattano, e di far loro capire, che non abbiamo altro sentimento e conoscimento sopra il proposito, di cui si tratta, fuor di quello che coloro manifestiamo colle nostre parole. Cosa, ch'è totalmente contraria alla semplicità, la quale richiede, che abbiamo l'interiore in tutto conforme all'esteriore. " Sales.
Il buon Santo, avendogli un suo amico detto, ch'egli sarebbe riuscito ne' maneggi politici: no, rispose, la sola parola di prudenza e di politica mi spaventa e poco, o nulla l'intendo. Io non so né mentire, né fingere, né dissimulare con disinvoltura ; nelle quali cose consiste tutto il negozio della politica. Quello che ho nel cuore, ho nella lingua e odio la doppiezza quanto la morte ; sapendo quanto ella sia abbominata da Dio. S. Vincenzo de Paoli pure era nimicissimo della mondana politica: e però fuggiva con ogni studio, nel trattare con altri, qualunque sorta di rigiri e d'artifizj. L'ombra sola della menzogna l'atterriva ; aveva in orrore per fin l'equivocazioni, che con risposte di doppio senso deludono le dimande.
7. " Un'Anima semplice, quando ha da operare, guarda solamente se sia espediente di fare, o dire la cosa ; e poi si mette subito ad operare, senza perdere il tempo in considerare quello che gli altri diranno, o faranno. E dopo che ha fatto quello che giudicò doversi fare, non vi pensa più e se gli viene in pensiero quello che altri potrà dire, o pensare, toglie subito queste riflessioni. Perocché essa non ha altro riguardo, che di contentare Dio, e non altrimenti le creature, se non in quanto l'amor di Dio lo richiede: e però non può patire di esser divertita dalla pretensione, che ha di star attenta al suo Dio, per accrescere in se stessa il suo amore. " Sales.
Essendo il S. Vescovo andato una sera alla Certosa di Grenobile, il Generale di quella Religione, ch'era uomo di gran dottrina e pietà, lo ricevé con molta cortesia ; e dopo trattenutosi in camera con lui per qualche tempo in discorsi spirituali, si congedò, scusandosi di non potergli fare più lunga compagnia ; perché doveva andare a mattutino la notte, ch'era festa d'un Santo dell'Ordine. Ma mentre si ritirava nella sua cella, s'incontrò col Procuratore, il quale ciò inteso, disse, che aveva fatto male a lasciare il Vescovo per questo, a cui non poteva dare miglior trattamento, che egli ; e che de' mattutini n'avrebbe potuto dir quanti ne volea, ma che non ogni giorno aveano Prelati di tanto merito in quel deserto. Credo, che voi abbiate ragione, rispose il Generale, ed incontanente tornò dal Santo, e gli riferì con grande ingenuità quello che gli era stato detto per via, chiedendogli scusa del fallo commesso, come dicea, senza pensarci. Il Santo rimase attonito di quella sì grande schiettezza e semplicità, e dicea d'essersi più stupito di questo, che se gli avesse veduto fare un miracolo.
8. " Non consiste il fatto in guardarsi dagli uomini, ma solo il guardarsi di non dispiacere alla Maestà di Dio. " S. Teresa.
Essa medesima disse una volta, che tutto il suo studio era in procurar di fare ogni sua operazione in modo, che non disgustasse colui, che chiaramente vedea starle continuamente sopra. S. Vincenzo de Paoli disse un dì, che dal tempo, che si era dato a servire Dio, non avea fatto mai solo alcuna cosa, la quale non avesse potuto fare in piazza: perché tutto operava con una viva memoria della presenza di Dio, quale temea più che gli uomini.
9. " Quando uno crede d'aver operato quel tanto, che Iddio richiede da lui, per lo buon riuscimento di qualche negozio, qualunque esito ne sortisca o buono, o male che sia, se ne dee sempre restar in pace, e con gran tranquillità d'animo, contentandosi del testimonio della propria coscienza. " S. Vincenzo de Paoli.
S. Ignazio, quando avea fatto quello che potea, per indurre qualche traviato al bene, se non gli riusciva, non si perdea d'animo, né s'affliggea, quasi avesse perduto il tempo: ma contento di aver adoperati tutt'i suoi sforzi, si acquietava nell'altro consiglio della Divina Provvidenza.
10. " Se vi accaderà di dire, o fare alcuna cosa, che non sia ben ricevuta da tutti: non dovete per questo mettervi a fare delle riflessioni ed esami sopra tutte le vostre azioni e parole: perciocché è senza dubbio l'amor proprio, che ci fa cercare, se ciò che abbiamo fatto o detto, sia approvato, o no. La Semplicità non corre dietro alle sue azioni, ma ne lascia l'evento alla santa Provvidenza, a cui sovranamente s'appiglia, non rivoltandosi né a diritta, né a sinistra, ma seguitando semplicemente il suo cammino. " Sales.
Così appunto procedea il medesimo Santo: il quale non cercava mai di sapere, se le cose che diceva, o faceva, fossero dagli altri gradite, o no. E perché alcune volte gli fu riferito, che qualunque sua azione veniva da alcuni disapprovata, egli senza punto scomporsi, rispose: Non bisogna maravigliarsi di questo, perché neppur le opere di Cristo nostro Signore furono approvate da tutti, e presentemente ancora vi sono molti, che le biasimano.
11. " Non filosofate punto sopra le vostre afflizioni e contraddizioni, ma ricevetele con dolcezza e pazienza ; bastandovi di sapere, che vengono dalle mani di Dio. " Sales.
Si narra nella vita di una serva di Dio in Napoli, detta Suor Maria Santiago, che un dì mentre stava facendo delle riflessioni sopra una contrarietà, che pativa, sentì dirsi nell'interno: dici, che ti fidi di me, e poi tanto discorri su di questo ? dal che compresa, che dovea ricevere il travaglio con semplice rassegnazione senza riflettere ad altro. E ravvedutasi, così, fece, e così seguitò sempre a fare per l'avvenire con suo gran profitto e contento. Per quanti travagli ed avversità ricevesse S. Vincenzo de Paoli, non s'inquietava mai, né mostrava, o concepiva mai sdegno contra d'alcuno: perché senza tanti discorsi tutto pigliava dalle mani di Dio.
12. " Queste continue riflessioni sopra di se, e sulle sue azioni ad altro non giovano, che a consumar molto tempo, il quale sarebbe meglio impiegato in operare, che in tanto osservare quel che si fa. Perocché a forza di quell'osservare, se facciamo bene, spesso accade, che si fanno male le cose. E quegl'ingegni, che fanno tante riflessioni sopra cose da niente, fanno appunto come i vermi da seta, che s'imprigionano, e s'imbarazzano nelle loro proprie fatiche. " Sales.
Il medesimo Santo ad una Monaca, che gli avea mandata una relazione del suo interno, così rispose. La vostra strada è buonissima, né vi ha altro, che dire, se non che voi andate troppo considerando i vostri passi per timor di cadere. Voi fate troppe riflessioni su i movimenti del vostro amor proprio, i quali senza dubbio son frequenti, ma non saranno mai pericolosi, se tranquillamente senza infastidirvi della loro importunità, e senza spaventarvi della loro moltitudine, direte: no. Camminate semplicemente, non desiderate tanto la quiete del vostro spirito. Se non ne avete molta, perché v'infastidite voi tanto ? Iddio è buono. Egli vede chi voi siete. Le vostre inclinazioni non vi possono nuocere per cattive che sieno: perché non vi son lasciate, se non per esercitare la vostra volontà a fare una più vantaggiosa unione con quella di Dio. Sollevate in alto il vostro spirito con una perfetta confidenza nella bontà del Signore: Non v'angustiate per lui: perché Egli disse a Marta che nol volea, o almeno, che approvava più, che essa non avesse angustia alcuna né anche nel ben operare. Non esaminate tanto l'Anima vostra ne' suoi progressi. Non vogliate esser troppo perfetta, ma andate alla buona. Fate la vostra vita ne' vostri ordinarj esercizj e nelle azioni, che di mano in mano vi occorrono. Non vi pigliate pensiero del giorno di domani. Quanto al vostro cammino, Iddio, che vi ha guidato sinora, vi guiderà sino alla fine. State totalmente quieta su la santa ed amorosa confidenza, che dovete avere nella dolcezza della Provvidenza celeste. Un Religioso giovane molto desideroso della propria perfezione, si mise in cuore di voler purgare l'Anima sua da ogni mancamento ; e perciò stava continuamente con gli occhi aperti sopra tutte le sue azioni e mirandole e rimirandole e prima e dopo, e nell'atto di farle, per farle bene, e per vedere, se erano ben fatte. Però quanto più cercava di schivare i difetti, tanto più ne commetteva ; e per guardarsi da' mancamenti leggieri, cadea ne' gravi. Con che altro non facea, che riempirsi l'Anima di timori e d'inquietudini con suo molto poco profitto. Finalmente andò a consigliarsi con un Religioso vecchio e di molto spirito, il quale non fece altro che insinuargli dolcemente quei due avvisi dello Spirito Santo: Fili in mansuetudine serva Animam tuam, in mansuetudine perfice opera tua : Abbiate un cuore più dolce verso Dio, ed operate più alla buona, e senza tante riflessioni, che otterrete meglio l'intento vostro. Prese il consiglio: e si mise ad eseguirlo. E con questo nuovo modo di procedere riacquistò presto la pace, ed in poco tempo si avanzò molto nella perfezione.
13. " Chi attende a piacere amorosamente al suo Dio, essendo che il suo spirito sta sempre indirizzato a quella parte, verso cui l'amore lo spinge, non ha né cuore, né comodo di riflettere sopra se stesso, e di vedere cosa egli faccia, o se sia soddisfatto. Perché simili riflessioni non piacciono agli occhi di Dio, ma solo servono a contentar questo nostro misero cuore, e questa gran cura che abbiamo di noi medesimi. Questo amor proprio, bisogna dirlo, è un gran faccendone, che tutto abbraccia, e tutto stringe. " Sales.
Apparisce ciò molto chiaro da quello che racconta di se S. Cater. da Genova. Appena, dice, l'amore s'impossessò dell'Anima mia, io lo pregai a volerla purgare da ogni sua esterna ed interna imperfezione. Prese egli subito a farlo ; ma con tal'esattezza, e tanto a minuto, che mi facea vedere con mio grande stupore per ingiuste, ed imperfette anche quelle cose, che ognuno avrebbe stimate perfette e giuste. O Dio ! da per tutto trovava difetto, ed in ogni mia azione avea che riprendere. Se io parlava de' moti interni, che pativa dentro di me, mi dicea: Questo parlare cerca la sua consolazione. Se io taceva, e solo andava ansiando e lamentandomi internamente. Ah queste ansie e questi lamenti non servono, che a darti qualche refrigerio. Se io mirava col pensiero come andassero le cose: Tutte queste riflessioni ad altro non servono, che a contentar l'amor proprio. Se me ne stava come una cosa insensibile, e solamente, apriva le orecchie quando si parlava di cose simili a quelle, che io sentiva nella mente mia: E questa voglia d'udire non è ella una ricerca della tua propria soddisfazione ? Quando poi la mia parte inferiore si vide scoperta, e che non potea negar queste imperfezioni, si diede finalmente per vinta. Ed allora la parte superiore cominciò a provare una quiete indicibile, per vedere, che l'inferiore stava posta al basso, e non le potea più nuocere, e che però avrebbe tirato a se tutto il guadagno. Ma qui ancora il santo amore trovò che riprendere, e dicea: Che credi tu di fare ? Io voglio tutto per me. Non pensar, che io ti lasci un minimo bene né del corpo, né dell'Anima, né che mi riposi mai finché non abbia annichilate in te tutte quelle parti, che non possono stare alla divina presenza, e che non le abbia rese nude affatto, e sotto di me in tutto e per tutto. Onde non sapendo io più che fare, né che dire, in vedere il lui tante sottigliezze, mi diedi totalmente nelle sue mani, acciò mi spogliasse di tutto ciò che non gradiva agli occhi suoi acutissimi. E vidi, che l'amor puro vuol essere solo dov'egli sta e non può soffrire compagnia, e però quando vuol tirar un'Anima alla perfezione, e tutte quelle cose, che le vede amare, le nota per sue nemiche, e delibera consumarle, senza aver compassione né a lei, nè al corpo: e chi lasciasse far a lui, tutte le toglierebbe in un punto. Ma vedendo la debolezza dell'uomo, che non potrebbe sopportar tanta e sì presta operazione, le taglia a poco a poco: con che vien l'anima a conoscer sempre più l'operazione di Dio, ed ogni dì più si va accendendo nell'amore di lui ; e questo fuoco va insensibilmente consumando i desiderj ed imperfetti amori, sin a restar nudo d'ogni altro amore col puro amore di Dio.
14. " Per non lasciarsi ingannare dall'amor proprio nel deliberare circa le cose proprie bisogna rimirarle come cose d'altri, e come toccasse a noi di darne il giudizio ; non per interesse, ma per la verità e così ancora si hanno da guardar le cose d'altri come proprie. " S. Ignazio Loy.
Di una tal regola servissi Seleuco Re de' Locressi, allorché avendo il di lui figlio commesso un delitto, che per leggi del Regno portava seco la pena d'esser privo d'ambidue gli occhi, a quella incontanente lo condannò, come se fosse un semplice suddito. Né può questo aversi per un atto d'inconsiderazione, o di crudeltà, quasi fossesi allora Seleuco spogliato affatto dell'amore paterno, poiché mostrò egli bene quanto sentisse il danno del figlio, col contentarsi di spartire con lui la pena, volendo che si cavasse un occhio a lui, e l'altro a se. Nelle vite de' PP. si racconta, che una persona dimandò ad un Santo Abate come si dovea regolare allorché trattandosi della condotta, o affari d'altri, stava in dubbio, se potea dire, o fare certe cose a ciò concernenti. Al che rispose il Santo: Avanti di dire, o far tali cose, rifletti qual sarebbe il sentimento del tuo cuore, se altri le dicessero, o le facessero a te. E trovando, che ne avresti dispiacere e rammarico, usa quella moderazione e carità, che vorresti che si praticasse verso di te. In simili casi così soglio io regolarmi. Questa era la regola ordinaria di S. Vincenzo de Paoli ; di guardar le cose sue, come se fossero d'altri, e le cose degli altri, come se fossero sue: conforme si vide in varj fatti sparsi nella di lui vita. E basti accennarne due. Venendo alcuni suoi parenti accusati in un Tribunale supremo di un delitto assai grave, ricorsero a lui per lettere, acciò li ajutasse ; ed egli per zelo della giustizia, non volle mettervi mano, finatantoché non n'ebbe riconosciuta l'innocenza. Anzi volendo certi suoi amici aiutarli appresso i Giudici, stando egli nel primo sentimento, li pregò a non esporsi a pericolo d'impedire il corso della giustizia. Nelle consulte poi, che facea co' suoi della Congregazione, quanto gli occorrea trattare di qualche negozio spettante al prossimo, era solito dire: Abbiamo l'occhio all'interesse altrui, come al nostro proprio, ed avvertiamo bene di procedere rettamente e lealmente con tutti. Ed ecco un uomo che non si lasciava trasportare dalle inclinazioni naturali tanto per le cose proprie, quanto per le altrui.
15. " Il disgusto, che per lo più si sente, quando gran parte del giorno non siamo stati ritirati, ed assorti in Dio, benché siamo stati impiegati in cose d'ubbidienza, o di carità, procede da un amor proprio molto sottile, che qui si mescola, e non si lascia scoprire: ch'é un voler noi dar più gusto a noi stessi, che a Dio. " S. Teresa.
Erano tante, e tanto gravi le occupazioni di S. Vincenzo de Paoli e per l'uffizio, che avea di Superior Generale della sua Congregazione ; e per l'impiego di Consigliere, che fu astretto di esercitar nella Corte, e per le continue opere di carità, che volontariamente imprendeva, e per lo frequente ricorso, che tanti a lui faceano per averne chi consiglio, chi direzione, e chi ajuto o sollievo ; che ben doveva egli star in esse, e per esse continuamente assorto, e poco men che oppresso ; tanto che sembra non potesse aver tempo di pensare a se stesso ; e non si sa intendere come potesse trovarlo, come ben lo trovava, per fare i suoi ordinarj esercizi di pietà. E pure non si legge di lui che si lamentasse mai di non potersene star ritirato, ed assorto in Dio, conforme egli ancora come tanti altri, ne dovea ben avere tutto il desiderio. Né altra ragione si può di questo assegnare, se non perché tutta la sua premura era di dar gusto a Dio, e non a se. Il P. Alvarez trovandosi una volta oppresso dalla moltitudine delle occupazioni, si lamentò dolcemente con Dio, per non aver tempo di trattenersi con lui da solo a solo ; e s'intese rispondere nell'interno: Ti basti, ch'io mi serva dell'opera tua, benché non ti abbia meco. E ne restò lieto e contento.
16. " Che gran bene sarebbe per noi, se Iddio piantasse ne' nostri cuori una sant'avversione alle proprie soddisfazioni, alle quali la natura ci porta con tanto impegno: come volete, che gli altri si accomodino a noi, e che tutto ci riesca bene ? Preghiamolo, che c'insegni a metter tutto il nostro piacere in lui, e ad amare tutto ciò che ama egli, e null'altro gradire fuorché quanto gradisce egli. " S. Vincenzo de Paoli.
S. Doroteo, tutto che fosse uomo di gran dottrina e prudenza, confessò di se, che volentieri si accomodava in tutte le cose non male al parere altrui, quantunque più di una volta non gli paresse molto a proposito ; e che non mai discutea col proprio intendimento le cose che gli accadeano, ma dopo che avea fatte le parti suo, ne rimetteva a Dio l'evento, e si contentava d'ogni qualunque successo. Perocché non bramava, che succedessero secondo il suo desiderio, ma le volea come gli avvenivano, e non altrimenti. Un Monaco giovane dimandò ad un altro Monaco vecchio, perché allora la carità non fosse così perfetta, com'era prima: perché, rispose colui, gli antichi miravano in alto, e si tiravano seco i loro cuori, ed ora tutti stanno inchinati alla Terra, e cercano unicamente i proprj vantaggi.
17. " Appresso coloro, che son perfetti, e camminano con semplicità, non vi è niente di picciolo, o vile, purché sia cosa, che piaccia a Dio: perché il piacer a Dio è la cosa, in cui mettono unicamente l'occhio, e quella sola ch'è la ragione, la misura, ed il prezzo di tutte le occupazioni, azioni, e cose loro. Onde ovunque trovano questa, quella è per loro una cosa grande ed importante. " Rodrig.
Per questo appunto erano osservantissimi d'ogni minima regola, e tanto esatti in far bene ogn'impiego quantunque minimo ed esattissimi in tutte le loro ordinarie operazioni S. Luigi Gonzaga, il V. Bercmans, S. M. Madd. de Pazzi, e tanti altri. Del celebre P. Ribera si narra, che durò per tutto il tempo di sua vita in quella medesima osservanza ed esattezza, che usata avea nel noviziato.
18. " Chi ha da eleggere stato di vita, e vuol sapere quello che ha da fare per interesse dell'Anima sua, prima si spogli d'ogni propria inclinazione, e si metta generosamente nelle mani di Dio, pronto del pari a qualunque cosa egli lo chiama, e poi con alcune verità del Vangelo misuri il si, ed il no del suo negozio, cavandone le conseguenze proprie, e riferendole al fine ultimo, per cui Dio ci ha creati. E se rimane dubbioso, rimettasi al punto della Morte, o al Giudizio universale, che gl'insegneranno a fare quel che allora vorrebbe aver fatto. " S. Ignazio Loyola.
S. Vincenzo de Paoli in occasione di dover mandare un Console in Tunisi per una incombenza datagli, pose l'occhio sopra un avvocato di ottime qualità, e con una lettera glielo significò: proponendogli il pro e contra, e lasciando alla sua libertà il risolvere. Per lo che l'Avvocato venne da lui a proporgli le sue difficoltà, pregandolo a manifestargli la volontà di Dio, ma il Santo desiderava che si determinasse per consiglio d'altri: Nulladimeno perché quegli insisteva di non voler risolvere, se non col parere di lui, prese tempo, ed un giorno dopo gli rispose così: Ho offerto a Dio nella Messa le vostre pene ; ed io stesso dopo la consegrazione mi sono gettato a' suoi piedi, pregandolo ad illuminarmi. Il che fatto, ed attentamente considerato che cosa vorrei avergli consigliato nel punto della mia morte: mi è paruto, che se allora avessi dovuto morire, sarei stato consolato d'avergli detto di andare, ed avrei avuto rammarico d'avernelo dissuaso. Ecco con sincerità il mio pensiero: V. S. può con tutto ciò andare, e non andare. Restò molto edificato l'Avvocato di questo distaccamento. Una pia Matrona richiesta da un povero di qualche cosa per coprirsi, ordinò alla sua serva, che le portasse una camicia. E portandone colei una stracciata e grossolana, comandò che ne prendesse una migliore, dicendo, che le sarebbe stato di gran rossore, se Cristo nel giorno del Giudizio avesse mostrata quella camicia a tutto il Mondo.
19. " V'è una specie di Semplicità, la quale fa, che la persona chiuda gli occhi a tutt'i sentimenti della natura ed alle ragioni umane, e li fissi interamente nelle sante massime della Fede, per regolarsi sempre ed in qualunque sua operazione per mezzo di esse ; in modo tale che in tutte le sue azioni, parole, pensieri, affari, ed incontri, in ogni tempo ed in ogni luogo, ricorra sempre ad esse, e nulla faccia, se non per esse e secondo esse. Questa è una Semplicità ammirabile. " S. Vincenzo de Paoli.
Qui il Santo ci ha descritto al vivo senz'avvedersene la sua medesima semplicità, che si può anche dire la sua speciale caratteristica.
20. " Nella vita umana è ancor necessaria la Prudenza per esser circospetto nell'operare, e per sapersi accomodare alle disposizioni di ciascheduno. " S. Vincenzo de Paoli.
Con questa virtù regolava egli così bene le sue azioni, che riusciva in ogni sua impresa, e però crebbe in sì alta stima di prudenza, che era comunemente tenuto per uno de' più savj uomini del suo tempo. Ond'è che tutte le persone d'ogni condizione, d'ogni stato, finanche i Personaggi più cospicui in dignità, o in dottrina, in tutti gli affari di qualche rilievo a lui ricorreano, come ad un oracolo, per riceverne indirizzo e consiglio. Anche la B. M. di Chantal si rese eccellente in questa virtù ; tanto che molto insigni Vescovi e chiarissimi Personaggi regolavano le loro Diocesi, e molti ancora la propria coscienza co' di lei savj consigli. Anzi l'istesso S. Francesco di Sales suo sì caro P. Spirituale, e S. Vincenzo de Paoli, che dopo di lui fu suo Direttore, consultarono molte volte con essa i più gravi affari, che loro occorrevano e molto dipendeano da' di lei giusti pareri.
21. " La prudenza è di due sorte, cioè umana e cristiana. La prudenza umana, che dicesi anche della carne, e del secolo ; è quella che non ha altro scopo, che il temporale ; né pensa ad altro che ad arrivare al suo fine: e non si serve, che di mezzi e sentimenti umani ed incerti. La prudenza cristiana sta in giudicare, parlare, ed operare in quel modo, nel quale l'eterna Sapienza vestita della nostra spoglia mortale ha giudicato, parlato, ed operato, ed in regolarsi in tutte le occorrenze secondo le massime della Fede, e non mai secondo i fallaci sentimenti del Mondo, o secondo il debol lume del proprio intelletto. " S. Vincenzo de Paoli.
S. Francesco di Sales era nemico giurato della Prudenza umana, com'egli stesso se ne dichiarò con una sua penitente, scrivendole in questi termini: se io tornassi a nascere, co' sentimenti che presentemente ho, non credo, che niuno potesse mai farmi titubare nella certezza che ho, che tutta la prudenza della carne e de' figli del secolo non è, che chimera vera, ed una certissima stoltezza. S. Vinc. de Paoli non usava altra Prudenza, che la cristiana. E per questo poi non è maraviglia, se riuscì di una tanto soda e rara prudenza. Ancorché fosse d'intelletto assai perspicace e chiaro, che penetrava le cose a fondo e con tutte le loro circostanze ; non si fidava però mai del suo lume, finché non l'avesse confrontato e trovato conforme alle massime insegnateci dal nostro Salvatore, che sono l'unica regola per formare un certo e sicuro giudizio. Ond'è, ch'egli non si mettea mai a far cose di qualche rilievo, o dare ad altri risposte e consigli, se prima non fissava lo sguardo in Gesù Cristo, per trovare alcun detto, o fatto di lui ; su cui potesse appogiar con sicurezza la determinazione, che prender dovesse. Avendo eretta una radunanza di Sacerdoti esterni ( detti gli Ecclesiastici della Conferenza ), i quali sotto la sua direzione soleano far anch'essi le Missioni nelle campagne e fu richiesto di farne far ad essi una in un Borgo di Parigi ; al che il Santo non mostrò difficoltà: ma ve la mostrarono ben essi, adducendo per iscusa che in tal luogo si dovea far una Missione asai diversa da quelle, che si fanno nelle campagne: Poiché i soliti loro discorsi semplici e famigliari che in quelle riuscivano tanto bene, ivi per esser la gente più colta, avrebbero piuttosto somministrata materia da ridere. Or egli, che sì poco soleva appoggiarsi a' mezzi puramente naturali, rispose di esser persuaso, che dovessero servirsi del medesimo metodo usato altrove ; e che lo spirito del Mondo, che tanto trionfava in quel quartiere di Parigi, non si sarebbe meglio superato, che con attaccarlo collo spirito di Gesù Cristo, ch'è uno spirito di Semplicità: soggiungendo in oltre, che per entrar poi ne' sentimenti di questo divin Salvatore, non doveano cercare la propria gloria, ma quella dell'Eterno Padre, e doveano ad imitazione del Redentore esser pronti a soffrire il disprezzo, e tollerar, se tale fosse la volontà di Dio, anche le contraddizioni e persecuzioni ; che parlando, come avea parlato il Figliuolo di Dio, sarebbero almeno sicuri, che Gesù Cristo parlerebbe per mezzo loro ; e che una disposizione sì giusta e sì santa li porrebbe in istato di servir di istrumento a quella misericordia, che penetra i cuori più induriti, e converte gli spiriti più ribelli. Furono questi avvisi ricevuti da coloro come avvisi d'un Angelo: e poste da parte tutte le ragioni umane, secondo essi fecero la loro Missione, che riuscì ferventissima e fruttuosissima.
22. " Guardiamoci bene da' sentimenti umani: perché spesso sotto pretesto di zelo, e della gloria di Dio, ci fanno intraprendere de' disegni, che né provengono, né son prosperati da S. D. M. S. " S. Vincenzo de Paoli.
Avendo scritto al medesimo Santo uno de' suoi, che sarebbe stato bene cominciar le le Missioni dalle Terre di Personaggi ragguardevoli, gli diede questa risposta: Il vostro disegno mi pare umano e contrario alla cristiana Semplicità. Iddio ci guardi dal far cosa alcuna per fini così bassi. La divina Bontà richiede da noi, che non operiamo mai il bene, per farci stimare: ma che tutte le nostre azioni sieno indirizzate a Dio solo. Ed al Superiore di una sua Casa, recentemente stabilita, che avrebbe gradito d'incominciar gli esercizj con una Missione, che avesse fatto dello strepito, rispose così: A tutti sembra una cosa fastidiosa il dover incominciar sì poveramente: imperocché per farci concetto converrebbe, a quel che pare, comparir alquanto sul principio con una splendida Missione, che mostrasse quello che può far la Congregazione. Iddio vi guardi, Signore, dall'entrare in questi desiderj. Quello che conviene alla nostra povertà ed allo spirito del cristianesimo, si è, di fuggire tali ostentazioni per nasconderci, e di cercar il disprezzo e la confusione, come ha fatto Gesu Cristo. Avendo questa somiglianza con esso lui, l'avremo per compagno delle nostre fatiche.
23. " Ah che noi ci amiamo, e procediamo con troppa Prudenza umana, per non perdere un punto delle nostre ragioni. Ed oh che grande inganno è questo ! I Santi non hanno fatto così. " S. Teresa.
Il P. Martino del Rio, che nel secolo era passato per gradi molto insigni in grandezza ed in lettere, fatto Religioso e Sacerdote, spesso accompagnava l'Economo per Città con una veste lacera, e portando al Collegio a vista di tutti le cose da quello comprate. S. Francesco Saverio andando nelle Indie col titolo di Legato Apostolico, su la nave si lavava da se i suoi panni lini: e dicendogli alcuno, che con questo avviliva il suo grado, rispondea, ch'esso non istimava cosa alcuna vile ed indegna d'un Cristiano, fuor che il peccato.
24. " Quando occorre di dover trattar con persone astute, ed accorte, il mezzo migliore per guadagnarle a Dio, è portarsi verso di loro con molta schiettezza e semplicità. Perché questo è lo spirito di N. S., e chi è destinato per glorificarlo, dee operare secondo il di lui spirito. " S. Vinc. de Paoli.
Egli stesso mandando uno de' suoi in un luogo, gli disse così: Voi andando in un Paese, in cui si dice esser la gente molto accorta. Se questo è, il miglior modo di guadagnarla a Dio sarà trattar con gran semplicità ; attesoché le massime del Vangelo sono totalmente opposte a quelle del Mondo: ed andando voi per servizio di nostro Signore, dovete portarvi secondo lo spirito di lui, ch'è pieno di rettitudine e sincerità. E per questo stesso motivo essendosi di lì a qualche tempo fondata una Casa della Congregazione in quella Provincia, scelse a bello studio uno per Superiore, in cui risplendevano una singolare schiettezza ed ingenuità. E questi erano i più affettuosamente amati da lui nella Congregazione.
25. " Iddio ci preservi dal lodare vanamente, adulare, o fare verun'altra cosa per tirarci la benevolenza, o protezione d'alcuno. Questi sono motivi molto bassi, e lontani dallo spirito di G. C., al cui amore dobbiamo principalmente indirizzare tutto ciò che facciamo. Sieno queste le nostre massime: fare molto per amore di Dio, e non curarci punto della stima degli uomini: operare per la loro salute, senza badare alle loro parole. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo, benché usasse termini di molta cortesia con tutti, non adulava però mai alcuno: dicendo, non esservi cosa sì vile, e sì indegna d'un cuore cristiano, né cosa più abborrita dalle persone spirituali, quanto l'adulazione. Anzi si guardava anche dal lodare le persone in loro presenza, se non era che lo giudicasse necessario per animarle a proseguire il bene incominciato, e per rincorare i pusillanimi. Non facea, né soffriva, che facessero i suoi cosa alcuna per acquistarsi l'altrui benevolenza e protezione: e però rispondendo per lettera ad uno di essi così gli dicea: lodo, che abbiate acquistata l'amicizia di quelle persone, che mi scrivete ; ma non già il fine, per cui dite d'averlo fatto, cioè perché ci proteggano e difendano nelle occorrenze. Ah, il vostro motivo è molto basso e lontano dallo spirito di Gesù Cristo, al cui amore dobbiamo indirizzare tutto ciò che facciamo. Or voi al acontrario pensando a' vostri interessi, volete impiegare l'amicizia e benevolenza di costoro per conservare la vostra riputazione, la quale se non è fondata sulla verità è cosa veramente vana ; e se sopra di essa si fonda di che temete voi ? Ricordatevi, che la dubbiezza non piace a Dio, e che per essere veramente semplici, non dobbiamo aver altro fine, che di piacere a lui solo.
26. " Accadendo, che uno si dimentichi di qualche cosa, che doveva fare, dee dir sinceramente il suo errore ; e venendo richiesto di qualche cosa, che non sa, e non ha, dee confessare apertamente la sua ignoranza, o povertà, lasciando i rigiri a' prudenti del secolo. " S. Vinc. de Paoli.
Così sempre procedeva egli stesso. Gli occorse qualche volta di scordarsi di fare alcuna cosa, che avea promesso di fare, e schiettamente confessava il suo mancamento. Fu più volte richiesto di qualche favore, anche da persone di riguardo: e perché non lo giudicava giusto, con egual sincerità e rispetto rispondea loro di non potersene incaricare. Venne anche talvolta ringraziato da alcuno, che falsamente credea di aver ricevuto da lui certo benefizio ; ed egli candidamente protestossi di non averci avuta alcuna parte. Era poi nemico de' rigiri, e delle dissimulazioni, e dicea d'essersi trovato sempre bene nel dir le cose tali quali erano ; perché così Iddio le benedice. Parimente S. Carlo Borromeo non pasceva mai le persone con quelle parole all'uso de' cortigiani: ma venendo richiesto di parere, di consiglio, o di qualche grazia, dicea semplicemente l'animo suo e la sua intenzione: né mai prometteva alcuna cosa, quando non giudicava bene il farla ; ma lo dicea apertamente, portando insieme la ragione, che lo movea a non farla, per dar soddisfazione a colui, che lo supplicava. E così portavasi con ogni genere di persone, con che si aveva comunemente più credito alle parole sue, che alle scritture autentiche ; e volentieri consultavano con esso anche le persone grandi i loro negozj gravi e difficili. Essendo stato proibito in Roma da Papa Innocenzo XII certo libro di Monsignor Salignac Fenelon Arcivescovo di Cambray, appena questo buon Prelato n'ebbe in mano il Breve condannatorio, che immantinenti per atto di singolar sommissione al Sommo Pontefice, salito sulla Cattedra Archiepiscopale, non solo pubblicamente lo lesse, ma egli stesso condannò, e riprovò le sue proposizioni, e proibì al suo popolo ( che teneramente lo amava, e che in quell'occasione dirottamente piangeva ) di leggere più nell'avvenire, o ritenere presso di se quel libro.
27. " La colomba ha questo di proprio che fa ogni cosa pel suo colombo: talmente che quando cova, lascia a lui tutta la cura di se, e di quanto l'è necessario ; non pensando ad altro, che a covare e fomentare i suoi colombini, per piacere al suo colombo, dargli nuova prole. Oh che legge gustosa è questa di non far mai cosa alcuna se non per Dio, e per piacere a lui, ed a lui lasciar tutta la cura di noi. " Sales.
Tale appunto era S. Vincenzo de Paoli, il quale se ne stava continuamente occupato in promovere la gloria di Dio, ed in provvedere a' bisogni del prossimo per amore di lui, senza pensare a' bisogni proprj o della sua Congregazione, ch'egli interamente lasciava nelle mani del Signore. Tale era ancora la B. M. di Chantal, della quale S. Francesco di Sales disse in una occasione, ch'era a guisa di quelle innamorate colombe, che si lavano, si specchiano sulle rive de' ruscelli abbellendosi non tanto per esser belle, quanto per piacere agli occhi de' loro amati colombi. Poiché non attendeva a purificarsi per esser pura, e per adornarsi delle virtù, ma il tutto facea per piacere al divino amante, cui se fosse stata egualmente grata la bruttezza, che la beltà, ella avrebbe del pari amata la deformità e la bellezza.
28. " Vi è una certa Semplicità, di cuore, in cui consiste la perfezione di tutte le perfezioni. E questa è quando l'anima nostra fissa lo sguardo solamente in Dio, e si ristringe in se stessa per applicarsi semplicemente e con ogni fedeltà all'ubbidienza delle sue regole, e de' mezzi, che le son prescritti, senza divertirsi a desiderare, o a voler intraprendere verun'altra cosa più di questa. In questo modo non operando ella di volontà propria, né facendo alcuna cosa eccellente, o di più degli altri, non ha gran soddisfazione, né gran sentimenti di se stessa ; ma Iddio solo si diletta grandemente di questa sua Semplicità, con cui ella gli rapisce il cuore, ed a lui si unisce. " Sales.
La B. M. di Chantal praticò eccellentemente questo genere di Semplicità e ne provò abbondantemente gli effetti. E questa era quella, che più inculcava, e che più le premea di veder piantata e stabilita nel cuore delle sue figlie. Onde questo fu il consiglio, che diede ad una di loro, che le chiedea per lettera qualche buon mezzo per la sua perfezione: figlia mia, le rispose, con tanti mezzi, che ogni giorno andate cercando per acquistar la perfezione, altro non farete, che perdere il tempo, ed imbarazzare il vostro spirito sempre più il miglior mezzo, che io vi posso insegnare per questo, è che uniate tutte le forze e diligenze vostre nella fedele osservanza delle regole, ed in eseguir esattamente quello che di mano in mano vi sarà ordinato di fare: togliendo frattando i pensieri e desiderj di giungervi ; se non quando parrà a Dio di concedervene la grazia.
29. " Oh quanto è da stimarsi una generosa risoluzione di voler imitare la vita comune, e nascosta di G. Cristo N. S. ! Si vede chiaro, che questo è un pensiero, che vien da Dio, poiché è sì lontano dalla carne e dal sangue. " S. Vincenzo de Paoli.
Questo era uno de' suoi studj più cari e più ordinarj, imitare la vita nascosta di G. Cristo, essendosi egli dato a menare una vita in apparenza bassa e comune, nella quale, quanto all'esterno, nulla vedeasi di straordinario e di singolare ; e pure nell'interno era ammirabile e tutta divina. Cristo potea farsi conoscere ed adorare in ogni luogo per figlio di Dio, con far risplendere i raggi della sua gloria per tutta la Giudea, come fece sul Taborre, contuttociò volle passare per semplice Figliuolo di un Falegname, e per un uomo dozzinale. Così S. Vincenzo si spacciava da per tutto per figliuolo d'un povero contadino, e procurava d'esser tenuto per un semplice Prete di Villa ; nascondendo, per quanto poteva, alla vista degli uomini gli eccelsi doni di natura, e di grazia ricevuti da Dio, che lo rendeano degno d'ogni venerazione. Egli era un eccellente Teologo, e si qualificava per un ignorante e povero scolaro di Grammatica ; fuggiva con maggior affetto e studio le dignità e gli onori, di quello che i più ambiziosi li procurano: abborriva sommamente ogni ostentazione, e trovava tutta la sua soddisfazione nelle umiliazioni e negli abbassamenti.
30. " Questo dovrebb'esser lo studio continuo delle persone destinate ad istruire gli altri, cme sono i Missionarj, procurar di spogliarsi di se medesimi, e vestirsi di Gesù Cristo. Perocché producendo per lo più le cause gli effetti proporzionati alla loro natura ; se quegli che dee dar lo spirito, e la forma di vivere agli altri, e solamente animato dallo spirito umano, che faranno essi, se non se imbeversi del medesimo spirito, ed apprendere da lui l'apparenza piuttosto della virtù, che la sostanza. " S. Vincenzo de Paoli.
Questo appunto sopra ogni altra cosa studiava il medesimo Santo, di spogliarsi dello spirito umano, e vestirsi di quello di Cristo ; cercando d'uniformarsi a lui non solo nell'esterno modo di operare, ma anche in tutte le sue interne disposizioni, ne' desiderj, massime, ed intenzioni. Ond'è, che altro mai non desiderava, né pretendea, se non quello che avea desiderato e preteso Gesù Cristo ; cioè, che Iddio fosse conosciuto, amato e glorificato, e che adempisse interamente, e perfettamente la di lui santissima volontà.
31. " Iddio è un essere semplicissimo, che non ammette composizione alcuna. Se dunque noi desideriamo di renderci più simili a lui, che ci sia possibile, dobbiamo sforzarci d'essere per virtù quel ch'esso è per natura: cioè dobbiamo avere un cuore semplice, uno spirito semplice, un'intenzione semplice, un'operar semplice, parlare semplicemente, ed andar alla buona, senza finzioni, o artifizj: mostrando sempre l'esteriore conforme all'interiore, e non rimirando mai altro in tutte le nostre azioni, che Dio, al quale unicamente pretendiamo, e desideriamo piacere. " S. Vincenzo de Paoli.
Tale in fatti era la semplicità del medesimo Santo. Poiché il suo esteriore era sempre ed interamente conforme all'interno. Chi udiva le sue parole potea conoscere subito quale fosse il di lui cuore, il quale portava sempre sulle labbra. E per molte e diverse che fossero le sue occupazioni, uno però e sempre lo stesso era il fin del suo operare, ch'era di piacere a Dio solo. Onde si può in verità dire, che possedea questa virtù in tal grado, che le potenze dell'Anima sua n'erano in tutto ripiene, e che tutto quello ch'egli diceva, e faceva, proveniva da questa sorgente. ( Niente è tanto desiderabile in un uomo, quanto la semplicità: E similmente niuna cosa è tanto abominabile, quanto la doppiezza proscritta da Gesù Cristo. L'Edit. )
AGOSTO
DILIGENZA
Bene omnia fecit. Marc. 7. 37.
1. " Tutto il nostro bene, e tutto il nostro male è certo, che sta nell'esser buone o cattive le nostre operazioni. Quali esse saranno, tali saremo anche noi: perciocché noi siamo gli alberi, ed esse i frutti ; però esse dimostrano chi è ciascuno. " S. Agostino.
Un servo di Dio in punto di morte disse così: ora conosco chiaramente, che totum opus nostrum in operatione consistit. S. Luigi Gonzaga s'avea scritta in un libretto questa risoluzione, di mettere tutto il suo studio per fare, che ogni sua operazione fosse buona e lo facesse camminare a Dio. S. Bonaventura andava stimolando se stesso, e gli altri a star continuamente occupato in opere buone col ripetere sovente questo bel sentimento: Tanta gloria perdiamo ogni ora, se lo passiamo in ozio, quante buone opere avremmo in essa potuto fare.
2. " Non basta far cose buone ; ma convien di più farle bene, ad imitazione di G. Cristo N. S., del quale sta scritto: Bene omnia fecit. Bisogna per tanto, che ci studiamo di far ogni cosa nello spirito di G. Cristo: cioè con la perfezione, nelle circostanze, e per li fini, con cui esso facea le azioni sue. Altrimenti l'istesse opere buone che faremo, ci tireranno addosso piuttosto gastighi, che premj. " S. Vinc. de Paoli.
S. Ignazio domandò ad un suo fratello laico, che facea le cose con molta negligenza, per chi le facesse. E rispondendo quegli, che le facea per Dio: orsù, soggiunse il Santo, se tu le facessi per gli uomini, non sarebbe gran male: ma facendole per un Signore sì grande, qual'è Iddio, e troppo gran mancamento il farle nel modo, che le fai.
3. " Molti si credono di non poter fare vera penitenza de' loro peccati, se non si danno alle austerità corporali. Sappiamo però, che fa molto buona penitenza de' suoi peccati chi si dà a far bene tutte le sue azioni per piacere al Signore, ch'è cosa di gran perfezione, e di gran merito. " Sales.
Il V. Bercmans non fece gran penitenze, ma tutta la sua perfezione l'avea collocata in far bene, e con grand'esattezza le operazioni ordinarie, avendosi a tal effetto scritta in una cartuccia questa massima. Poenitentia mea maxima communis. E con questo solo, oh quanto si rendé egli perfetto e caro a Dio ! La stessa cosa si narra di S. Stanislao Kostka, di S. Francesco di Sales, e di tanti altri.
4. " Se l'uomo vedesse ciò, che per lo ben operare si avrà nel Mondo di là, non occuperebbe mai in altro l'intelletto, la memoria, e la volontà sua, che in far opere buone, nulla curando qualsiasi fatica, o travaglio, che vi provasse. " S. Cater. da Gen.
Il B. Bonifacio Monaco Cisterciense desiderando la notte di Natale di vedere il S. Bambino, la Vergine apparsagli, glielo diede nelle mani, ed il Bambino si levò un velo, che copriva il volto ; alla cui vista rapito il Santo, esclamò: se in Paradiso non vi fosse altro, che questa benedetta faccia, non si dovrebbero patir tutte le tribolazioni del Mondo, per poter giungere a vederla ? Per questo S. Francesco stava contento anche tra i patimenti, e diceva: è tanto il bene, che aspetto, che ogni pena mi è diletto. Apparsa una serva di Dio dopo morte ad un'altra, le disse, essere tanta la felicità e la gloria, che Iddio le avea conceduta nel Cielo per le sue buone opere, che se avesse potuto acquistare di vantaggio quella sola, che si dà per un'Ave Maria ben detta, si sarebbe contentata di tornar a patire tutt'i travagli, che sono al Mondo sino al dì del giudizio.
5. " Studiati di non comparir singolare, ma d'esserlo. Il che si fa con seguitare in tutto la vita comune, facendo tutte le cose ingiunte, ma esattamente, cioè nel luogo, modo, e tempo, che sono prescritte ; e le cose comuni, non nel modo comune, ma in un modo sublime e più perfetto, che dal comune non si fanno. E questo è l'aprire nell'esterno comune con tutti gli altri, e nell'interno singolare ; ch'è una gran virtù ed un tesoro. " S. Bern.
Questa è la gran lode, che danno al medesimo Santo, che erat in ordinariis non ordinarius. Di S. Francesco di Sales scrivono, ch'era l'uomo più puntuale, che si potesse vedere, non solo all'Altare e nel coro, dove osservava puntualmente e fedelmente ogni minima cerimonia, ma anche in privato nel recitare l'ufficio e nel fare altre cose.
6. " Non vogli esser di quelli, che mettono la perfezione in intraprendere molte cose ; ma di quei, che la mettono in far bene quel poco che fanno. Perocché è molto meglio far poco, e farlo bene, che intraprender molto, e farlo male. Si, poco e buono ; questo è il migliore. E però se vogliamo far profitto, e vogliamo fare qualche ossequio più speciale a N. S. non abbiamo da applicarci a raddoppiare i nostri esercizj, ma la perfezione, con cui li facciamo. " Sales.
Una divota Verginella Monaca ogni dì recitava il Rosario di quindici poste, ma per la lunghezza con poca divozione ; ed apparsele un giorno la Vergine, le ordinò che ne dicesse solo una terza parte: perché, soggiunse, da mio Figlio, e da me sono più gradite poche orazioni dette divotamente, che molte dette senza divozione, e con negligenza.
7. " Il Signore non misura la nostra perfezione dalla moltitudine, e dalla grandezza delle opere, che facciamo per lui, ma dal modo di farle. E questo modo altro non è, che l'amore di Dio, con cui, e per cui le facciamo. Tanto più sono esse perfette, quanto con più puro e perfetto amore si fanno, e quanto meno di gusto e di lode se ne pretende in questa vita e nell'altra. " S. Gio. della Croce.
Assistendo una notte S. Bernardo al mattutino, vide alcuni Angeli, che andavano notando diligentemente il merito di ciascuno. Il merito di quelli, che lo diceano con molto fervore, lo notavano con caratteri d'oro, di quelli, che con meno fervore, con caratteri d'argento ; di quelli, che con buona volontà, ma senz'affetto, con caratteri d'inchiostro ; di quelli che con pigrizia e sonnolenza, con acqua, e di quelli, che stavano in peccato mortale, e volontariamente distratti nulla scriveano, ma stando immobili deploravano la loro cecità. S. Francesco Borgia dicea, che le sue prediche, benché spesso per difetto o della materia, o della disposizione, non piacessero né a se, né agli altri, sempre però riuscivano con frutto: perché facea dal canto suo quanto poteva, e sempre puramente per Dio. Questo si vede apertamente in quelle due piccole monete di rame, che mise nel gazofilacio la vedova del Vangelo, della quale il Signore attestò, che vi avea messo più degli altri, tra i quali forse ve ne saranno stati di quelli, che vi avean messe monete d'argento e d'oro. E questo non può esser per altro, se non perché quel poco, ch'ella diede, dovette darlo con maggior affetto degli altri ; mentre, come poi soggiunse lo stesso Signore, gli altri davano di quel che loro sopravanzava, ed essa per esser povera, quel poco, che diede, dovette sottrarlo dal proprio vitto.
8. " Il far bene le operazioni consiste in farle con un'intenzione molto pura, e con una gagliarda volontà di dar gusto unicamente a Dio. Questa è come la forma e l'anima delle nostre azioni, e quella che loro dà tutto il prezzo, e ce le rende ancor facili, e gustose. " Sales.
S. Tommaso d'Aquino comparve dopo morte ad un divoto con una bellissima stella nel petto, e disse che gli era stata data in premio della purissima intenzione, con cui avea fatta ogni sua operazione. S. M. Madd. de' Pazzi inculcava continuamente alle sue novizie, che offerissero a Dio tutte le loro anche minime azioni. E per fissar bene in loro questo punto, talvolta lor dimandava all'improvviso perché facessero allora quella cosa ; e rispondendo esse, che la faceano senza intenzione soprannaturale, soggiungeva ella: non vedete che così perdete il merito ? Iddio non si pasce di tali azioni. Nella Storia Ecclesiastica si narra dell'Abate Pombo, che vedendo una donna saltatrice, che andava molto composta ed ornata, si mise a sospirare e piangere, e richiesto del perché ; perché, rispose, io, misero me, non uso tanta sollecitudine e diligenza in cercar di piacere a Dio nelle mie operazioni, quanta ne usa questa in comporsi per piacere agli uomini.
9. " Quali sono quelle opere, dalle quali dipende tutto il nostro profitto, e tutta la nostra perfezione ? Tutte quelle, che ci accaderà di fare, ma più specialmente le ordinarie che noi facciamo ogni giorno. Poiché queste sono le più frequenti ; e perciò in queste più, che in tutte le altre abbiam da porre gli occhi, ed usare maggior attenzione e diligenza: perché a quella misura, che andrà la perfezione di queste, andrà ancor la nostra. Se le faremo perfettamente, saremo perfetti ; e se imperfettamente, imperfetti. Quest'appunto è la differenza tra il perfetto Religioso, e l'imperfetto. Non perché uno faccia più, e diverse cose, che l'altro ; ma perché uno fa le cose ordinarie con perfezione, e l'altro con imperfezione e tiepidezza. " Rodr.
S. Geltrude, quando era giovane, non facea se non quelle cose, che faceano le altre sue compagne, anzi ne facea di meno: poiché molte cose non l'eran lasciate fare, a cagione delle molte infermità, che pativa. E pure ella era più perfetta di loro. Or come mai arrivò questa Santa a tanto alta perfezione ? Ecco il come. Quelle stesse cose, che faceva insieme colle altre, le facea con maggior perfezione, che le altre. Di S. Stanislao Koska si scrive, che sebbene facea quelle sole operazioni, che gli altri pure faceano ; per l'eccellenza però, con cui le faceva, parea, che ne facesse più degli altri.
10. " Tra le operazioni ordinarie quelle, che più dobbiamo aver a cuore, sono le spirituali ; mettendo ogni studio perché sieno ben fatte, e preponendole a tutte le altre, ove la necessità, o l'ubbidienza nol vieti ; essendo che elle riguardano più direttamente Dio, e più efficacemente conducono noi alla perfezione. E facendo altrimenti: ci tiriamo addosso la maledizione fulminata dallo Spirito Santo contra coloro, che fanno le opere di Dio negligentemente. " S. Vinc. de Paoli.
Così appunto portavasi l'istesso Santo, il quale benché si trovasse continuamente carico d'una gran moltitudine e diversità d'impieghi importanti ed urgenti, nulladimeno era esattissimo nei suoi ordinarj esercizj spirituali, che sempre facea con gran divozione e fervore. S. Filippo Neri quando stava facendo o assistendo a qualche azione spirituale, come nel legger libri divoti, nel sentire, o veder fare funzioni sagre, e simili ; s'internava talmente in esse, che talora mandava dalla faccia come scintille di fuoco, e dagli occhi gran copia di lagrime. In fatti trovandosi un giorno nella Chiesa de' PP. Domenicali mentre cantavano la compieta, fu veduto piangere di tal maniera che le lagrime gli avean bagnata tutta la veste: e nel leggere le vite de' Santi, specialmente nella sua vecchiaja, non faceva altro che piangere. Quando il profeta Eliseo mandò Giezi col suo bastone, acciò con quello risuscitasse il figlio della Sunamite, gli diede ordine di non dare, né render il saluto a veruno, che incontrasse per istrada: per dar ad intendere, che quando uno sta occupato in qualche esercizio spirituale, non dee divertirsi in altre cose, neppur sotto pretesto di civiltà.
11. " La Messa è certamente la funzione più eccellente, più santa, più accetta a Dio, ed a noi più utile, che far si possa. Quindi è che mentre si celebra, vi assistono gli Angeli a folla co' piedi nudi, con occhi attenti, col volto dimesso, con gran silenzio, e con istupore e venerazione incredibile: e però il Sacerdote, che la celebra, con che purità, attenzione, divozione, e riverenza vi dovrà stare ? Egli deve accostarsi al Sacro Altare come Gesù Cristo ; assistervi come un Angelo, ministrarvi come un Santo, offerirvi i voti de' popoli come Pontefice, interporsi per la pace tra Dio e il Mondo come mediatore, e pregarvi per se come semplice uomo. " S. Lor. Giust.
S. Gaetano premettea sempre alla Messa una dolorosa confessione, ed una lunga preparazione, che spesse volte durava ott'ore, e tutto solea spendere in affetti d'amore e di penitenza per la preparazione, e per lo rendimento di grazie. Nell'atto poi della celebrazione S. Ignazio si accendea tanto in volto, e tanto se gl'infiammava il cuore che spesse volte dopo la Messa non si potea reggere in piedi, e conveniva portarlo in camera tra le mani, con istupore di tutti. S. Corrado veniva ad infiammarsi talmente, che le dita, con cui toccava il corpo del Signor, gli restavano illuminate ed accese ; onde nel bujo della notte gli servivano come torce per vederci. Il Ven. P. Giovanni Leonardi fu una mattina nell'uscir di Sagrestia veduto col capo circondato di raggi da una Signora, la quale tutta stupita, rivolta agli astanti, esclamò: Ora sì, che potrò dire di aver veduto un Santo. S. Tommaso d'Aquino, S. Francesco Saverio, e tanti altri vi erano spesso rapiti in estasi. S.Vincenzo de Paoli pronunciava le parole con un tono di voce mediocre, e soave, e con un esteriore disinvolto insieme e divoto, recitando né troppo lento, né troppo frettoloso, ma convenientemente alla santità dell'azione: sicché la sua Messa ordinariamente non passava la mezz'ora. Però lo spirito interno, con cui animava e le parole, e le azioni, era singolare per l'insolita tenerezza. Diceva il Confiteor, In spiritu Humiliatis, Nobis quoque peccatoribus, Domine non sum dignus, ed altre simili orazioni con gran sentimento di contrizione, e d'umiltà. Spiccava specialmente la sua divozione, quando leggeva il S. Vangelo: ed imbattendosi in qualche parola detta da Cristo, la proferiva con un tono di voce più tenero ed affettuoso: così quando trovava a quelle parole: Amen dico vobis, rinnovava l'attenzione sensibilmente alle parole, che seguivano. In somma facea tutto con tal modestia, gravità, e tenerezza, che movea gli astanti a divozione. Ond'è, che s'udiva più volte dalle persone, che nol conoscevano: o Dio ! ecco un Sacerdote, che dice bene la Messa: bisogna che sia un Santo. Dopo la Messa poi avea la divozione di servirne un'altra ; e lo faceva in ogni tempo ; benché oppresso da' negozj, fin all'età di 75 anni, quando non potea più camminare senza bastone, né inginocchiarsi senza grande stento. Ma stupendo soprammodo tra tutti fu in questo il glorioso S. Filippo Neri. Poiché dove gli altri per dir la Messa divotamente, han bisogno di lunghe preparazioni, affin di raccogliersi ; egli avea piuttosto bisogno di distraersi prima un poco: tanto che molte volte prima d'andar a celebrare, si solea far leggere qualche libro di favole. Nell'atto poi della celebrazione, spesso si vedea prorompere in sospiri, e risolvere in lagrime: alle volte far pausa per non poter più andar avanti ; altre dimenarsi e sbattersi di tal maniera, che facea tremar la predella ; ed altre restar così astratto, che conveniva tirarlo per la pianeta. Arrivato all'offertorio, era tale il giubilo che sentiva nel cuore, che quando anch'era giovine, gli saltava la mano in guisa, che non potea mettere il vino nel Calice, se non appoggiava fortemente il braccio all'Altare. Nell'alzare il SS. Sacramento, molte volte restava colle braccia stese in aria, e per un pezzo non le potea ritirare, ed altre si sollevava un palmo e più da terra. Nel prendere il corpo del Signore, vi provava tal dolcezza, che facea tutti quegli atti, che far sogliono coloro, che stan gustando qualche soavissimo liquore, e nell'assumere il sangue, lambiva e succhiava con tanto affetto il Calice, che parea, non potesse staccarne le labbra: ond'è, che avea nell'orlo di quello consumata non solo l'indoratura, ma anche l'argento, e vi avea lasciati impressi i segni de' denti. E per questa cagione non volea, che in quel tempo alcuno stesse in un luogo, da dove potesse vederlo in viso, neppure l'istesso serviente, che facea star in disparte, dicendogli, che non gli porgesse la purificazione, sinché esso non gliene facesse cenno. Se talvolta dovea comunicare gli altri, se gli accrescea di modo tale il fervore, che sbalzava con tutto il corpo con grandissima maraviglia degli astanti ; e presa in mano la Pisside, tremava tanto forte, che le sacre particole si vedeano alzar sopra di essa, ed egli compariva col volto tutto infocato, versando dagli occhi gran copia di lagrime. Nel recitar la Messa, dicea le parole con tanta divozione che spesso facea piangere quei che l'ascoltavano. Finita la Messa, si ritirava subito in camera, ma andando talmente astratto, che spesso passava dinanzi alle persone senz'avvedersene ; e si vedea con faccia sì pallida, che parea più morto che vivo. Era nondimeno la sua Messa, quando la diceva in pubblico, piuttosto breve, che lunga, al fine di non tediare gli ascoltanti: talmente che molti, i quali gradivano di spicciarsi, in vederlo uscir dalla Sagrestia, si rallegravano. Quando però la dicea nel suo Oratorio, non durava meno di quattr'ore.
12. " L'Uffizio divino è una delle azioni più eccellenti, in cui ci possiamo occupare ; celebrandosi in esso le divine lodi, ch'è un mimistero proprio degli Angioli. E però non si dee recitare per disobbligo, o per usanza, ma per elezione, e con tutta l'applicazione del nostro spirito. " S. M. Madd. de Pazzi.
La medesima Santa, quando sentiva sonar il segno dell'Uffizio, tutta si rallegrava, per sentirsi chiamata a lodar Dio, e lasciava incontanente ciò che avea per le mani. Lo recitava poi con tale e tanta divozione, che dal suo volto ben si scorgea l'attenzione della mente. S. Agostino nel tempo della recitazione ponea da parte ogni altro pensiero, e tutto s'internava in questo. Il P. Suarez dice di se, che nel prendere in mano il Breviario, gli svaniva subito dalla mente ogni altro pensiero: in modo che per tutto il tempo dell'uffizio niuna cosa più, per importante che fosse, lo distraesse. Il P. Alvarez non lo recitava mai in luoghi di passaggio, né passeggiando, ma sempre in luogo ritirato, e per lo più inginocchiato nel mezzo della sua camera, ed a' suoi tempi, con gran quiete, con molta riverenza, e adagio ; fermandosi di tanto in tanto in que' pii sentimenti, che gli comunicava il Signore, la grandezza de' quali compariva nelle sue esortazioni, e nel dire il Procidimus ante Deum, si prostrava con tutto il corpo a terra, e con tal sentimento di divozione e venerazione, come se vi fosse presente l'istesso Dio. Nel decorso poi se ne stava continuamente con grandissima attenzione e raccoglimento, e non l'interrompeva mai per qualunque cosa, né mai rispondeva a chiunque l'interrogava. Il P. Fabro per avere l'attenzione nell'officio, spesso nel recitarlo s'immaginava accanto a se l'Angelo suo Custode da un lato, che notasse tutte le parole ben dette ; e dall'altra il Demonio, che notasse tutte le distrazioni di mente: al principio d'ogni salmo dicea: Pater coelestis, da mihi spiritum ; poi pregava la sua mente a star attenta per quel salmo. S. Francesco Saverio prima di ciascun'ora dicea con gran fervore: Veni Sancte Spiritus. S. Bonaventura nel recitarlo s'immaginava di star in mezzo a una schiera d'Angioli, e di far coro con essi. Lo stesso facea S. Vincenzo de' Paoli, il quale quando lo recitava privatamente, si tenea nella positura più umile e raccolta, che gli fosse possibile ; stando sempre col capo scoperto, ed inginocchioni, toltine i tre ultimi anni, nei quali per le sue gravi infermità stava sedendo. Quando poi lo diceva in Coro, stava con tale elevazione di mente, che sembrava come fuori de' sensi, e tutto rapito in Dio. Or tutti questi, e tanti altri lo diceano con gran divozione, ed insieme con consolazione, e frutto non ordinario. Poiché alcuni di loro venivano in quel tempo sopraffatti di tanta soavità, e da sì grandi delizie celesti, che ne davan segni al di fuori. Onde di S. Agostino si dice, che veniva sovente bagnato dalle lagrime ; di S. Ignazio, che per la gran copia, che spesso ne versava, vi perdé quasi la vista ; di S. Giuliano Monaco, che per questa stessa cagione avea gustato, e mezzo cancellato il Breviario ; di due altri Monaci giovani, veduti da S. Macario, che ad ogni versetto che diceano, buttavano uno una fiamma, e l'altro come una fiaccola accesa dalla bocca ; di S. Francesco Saverio, che per lo gran fervore gli saltava spesso il cuore nel petto, e pativa frequenti deliquj ; di S. M. Madd. de Pazzi, che pativa frequentissime estasi ; di S. Cater. da Bologna, che spesso rimaneva immobile colla faccia elevata, o cogli occhi fissi nel Crocifisso, non sentendo chi la tirava per la veste, e che per la grande attenzione a quello non mai s'accorgea de' difetti, che vi si commettevano, e di ciò che succedeva in Coro, né di chi vi entrasse, o ne uscisse ; e dicea, non esser possibile ricordarsi di star in mezzo agli Angioli, e di salmeggiare con essi, ed aver il cuore applicato alle cose della Terra. E S. Filippo Neri per la grande unione con Dio che vi provava, era necessitato dirlo sempre accompagnato, perché da se solo difficilmente l'avrebbe potuto finire.
13. " L'esame di coscienza, che tutte le persone dabbene sogliono fare ogni sera prima di andare a dormire, per veder come si son portate in quel giorno, e se sieno andate avanti, od indietro, è di grandissimo giovamento non solo per domar le sue male inclinazioni, e per isvellere da se i mali abiti, ma anche per acquistare le virtù, e per far bene le operazioni ordinarie. Si dee però avvertire, che il meglio di essa non sta in trovar i difetti, che uno ha fatti in quel giorno, ma in concepirne dispiacere, ed un vero proponimento di non farli più. " Il P. M. d'Avila.
Si legge nella storia Monastica, che un Santo Monaco diceva: Io non so, che i Demonj m'abbiano allacciato due volte nella medesima colpa. E la causa di ciò era, perché nell'esaminare la sua prima caduta, tanto s'internava in confondersi nella sua infedeltà, ed in abborrir l'errore commesso, e tanto se gl'imprimea profondamente nel cuore la risoluzione di non cadervi più, che niun'altra tentazione avea più forza di farlo ricadere. Tutt'i Santi e Maestri di spirito han sempre fatto gran conto di questo esame, praticandolo e stimandolo come un mezzo efficacissimo per isradicar da se qualsivoglia vizio, o difetto, e per far profitto nella perfezione: come si può leggere nelle vite di S. Doroteo, di S. Basilio, di S. Gio. Crisostomo, di S. Gio. Climaco, di S. Bernardo, di S. Bonaventura, di S. Ignazio Lojola, e di tanti altri: l'ultimo de' quali lo stimava tanto, che in un certo modo l'anteponeva anche all'orazione: poiché con l'esame, dicea, si mette in pratica quello che si cava dall'orazione. Ond'è che sul principio trattenne per lungo tempo i suoi compagni co' soli esami, e colla frequenza de' Sagramenti ; parendogli, che se questo si facea bene, potesse bastarli per conservarli nella virtù: ed egli medesimo attesta di se, che se avea fatto qualche profitto, conosceva, essergli in gran parte provenuto dalla diligenza, che avea ogni giorno usata in far questi esami. Fino i Filosofi Gentili conobbero la grand'efficacia di simili esami. Di Pitagora riferisce S. Girolamo, che fra gli altri documenti, che dava a' suoi Discepoli, mettea questa per molto principale, che avessero due tempi del giorno determinati, uno la mattina, e l'altro la sera, ne' quali si esaminassero sopra queste tre cose: Che cosa ho fatta ; come l'ho fatta ; e che cosa ho lasciato di fare di quello che doveva ; rallegrandosi del bene, pigliando dispiacere del male. E l'istesso si legge, che raccomandavano Seneca, Plutarco, Epitteto, ed altri.
14. " Come mai possono lodar Dio, conforme l'esorta il Profeta, il Sole e la Luna ? con far bene quell'impiego, che dal Signore è stato loro imposto. Questa è una gran lode, che gli danno. Ecco dunque un bel modo, con cui tu puoi star lodando tutto giorno Iddio: con far bene il tuo impiego, e tutto il resto, che ti occorrerà di fare. " S. Girol.
Il V. Bercmans era diligentissimo in ogn'impiego, che gli era dato. Essendogli stata data la cura della stanza del P. Spirituale, la tenea tanto polita, e sì ben provvista d'ogni cosuccia necessaria, che il padre ne restava stupito ; né trovò mai altri, che l'uguagliasse. E quello ch'è più, non mai gli diede alcun disturbo, né gli disse mai una parola superflua. Avendo la cura delle lucerne, non lasciava passar giorno, che non le rivedesse e acconciasse: e nei giorni di vacanza dovendo andare alla vigna, o le aggiustava prima d'andare, o ritornava a buon'ora la sera, per farlo a tempo. E temendo che quest'impiego gli fosse levato, pregò il P. Rettore a confermarglielo. Il P. Alvarez adempiva fedelmente tutti gli ufizj, che gli venivano imposti, osservandone anche le più minute regole, e continuandone la cura e sollecitudine sin all'ultimo giorno ed era ; che in quegli stava. Onde essendo Rettore, non mancò mai di visitare i soggetti nell'ora dell'orazione per molte occupazioni, e travagli che avesse ; e lo fece per fino, in quel giorno che partì dalla Casa, ove stava, andando per essere Provinciale.
15. " Non vi date mai a credere, che sia tempo perduto quello, che si spende per far bene il suo uffizio. Perché è una cosa questa tanto accetta al Signore, che dà in poco tempo, quanto darebbe in più volte, e talora anche raddoppiato, quando è stato lasciato per suo servizio. " S. Ter.
Racconta la stessa d'aver conosciute varie persone, ch'erano state molto tempo occupate totalmente in esercizj d'ubbidienza e di carità ; e che contuttociò le vedea tanto approfittare nello spirito, che ne stupiva. In particolare, soggiunge, parlai con una, la quale mi disse, che l'ubbidienza per quindici anni continui l'avea tenuta in ufizj e governi tanto impiegata, che in tutto quel tempo non si ricordava d'aver avuto un giorno libero per se ; sebbene procurava, al meglio che potea, di pigliarsi qualche ora per l'orazione, e di camminare con purità di coscienza. Ed era un'Anima la più inclinata all'ubbidienza, che io abbia mai veduta: onde l'attaccava a tutti quelli, co' quali parlava. E nostro Signore la pagò molto bene ; poiché in fine senza saper come, si trovò con quella libertà di spirito tanto pregiata, che hanno i perfetti ; dove si trova tutta la felicità che si può godere in questa vita.
16. " Non temi te, che le occupazioni impostevi dall'ubbidienza, ancorché molte e gravi, vi distraggano dall'unione con Dio ; perché anzi quando si fanno per gloria di lui, hanno una gran forza di congiungerci a lui strettamente. Imperciocché come possono allontanarci da Dio quelle cose, che uniscono la nostra volontà colla sua ? Tutto l'inganno nasce dal non far differenza tra l'essere distratto da Dio, e l'esser distratto dalla dolcezza, che si trova nell'interno sentimento di Dio. E' vero, che nelle occupazioni non si sente sempre questa soavità ( sebbene però alle volte si sente più in esse, che fuori di esse ) ; ma col privarci volontariamente di questa per amor del Signore, noi in vece di perdere, guadagniamo ; mentre lasciamo il tenero per lo massiccio. Laddove l'abbandonare, o lasciare il suo impiego per unirsi a Dio coll'orazione, colla lettura, col raccoglimento, e colla solitudine, e contemplazione, sarebbe un ritirarsi da Dio, per unirsi a se stesso ed al suo proprio amore. " Sales.
S. M. Madd. de Pazzi facea tutti gli esercizj esteriori con tanto gusto spirituale, e così ben ordinati a Dio, che non l'erano d'impedimento alcuno al ritiramento interiore, né la distraevano punto da Dio. Ond'è, che appena finitone uno, ritirandosi all'orazione, subito rimaneva alienata da' sensi, e tutta rapita in Dio: anzi bene spesso tra gli stessi esercizj e fatiche corporali, andava in estasi: onde disse una volta: l'istesso mi è, che mi venga ordinato d'andar all'orazione in coro, che a qualsiasi opera manuale, non facendovi io differenza alcuna. Anzi se vi dicessi, che talvolta trovo più di Dio in queste, che nell'orazione, crederei di dire il vero. Un laico Francescano, cuoco, soddisfatto che avea esattamente al suo ufizio, si ritirava ad orare, e vi godea molte celesti consolazioni. Onde per goderne più, chiese, ed ottenne dal suo Superiore di esser liberato da quella distrattiva occupazione, e datosi all'orazione, non vi trovava, che aridità e distrazioni. Quindi riconosciuto il suo errore, ritornò all'impiego di prima, nel quale gli ritornarono le consolazioni perdute.
17. " Anche le azioni piccole sono grandi quando sono ben fatte: tanto che riesce più grata a Dio e di maggior sua gloria una piccola azione fatta con desiderio di dar gusto a lui in quell'atto, che una grand'opera fatta con meno fervore. Bisogna dunque mettere uno studio particolare in far bene le opere piccole, che sono più facili, e ci offeriscono a tutte l'ore, se ci vogliamo avanzare nell'amicizia del Signore. " Sales.
S. Ignazio disse d'un certo suo fratello laico muratore, che quanti mattoni collocava, e quante martellate dava, altrettante corone si fabbricava in Cielo, per causa della molta retta e pura intenzione, con cui animava quelle opere. Di S. Francesco Saverio si narra, che stava molto attento in far bene le cose piccole ; e che solea dire: non bisogna ingannarsi, perché chi non si rende eccellente nelle piccole cose, non lo sarà mai nelle grandi.
18. " Si fa assai più con una sola parola del Pater noster, detta di tanto in tanto di cuore ; che con dirlo tutto molte volte in fretta, e non attendendosi. " S. Ter.
Il Signore rivelò un dì a S. Brigida, che gli dà più gusto uno, che legge con pefetta fede e volontà queste tre solo parole: Jesu miserere mei, che un altro, il quale legge mille versi senz'attenzione.
19. " Chi non l'ha provato, nol potrà credere, quanto importi per lo profitto proprio lo star attento a non mancare nelle cose piccole: perché il Demonio per mezzo di queste va trivellando, e facendo buchi per dove entrino le cose grandi. " S. Teresa.
Essendo S. Luigi Beltrando Superiore, nel Capitolo del Venerdì riprendeva, e puniva con molto rigore i mancamenti minimi: come l'aver mancato al silenzio, l'aver dormito un poco di più, uno sbaglio in coro, e simili: per questo appunto, che giudicava, da queste piccole cose dipendere il profitto e la disciplina religiosa. S. Lorenzo Giustiniani si guardava più dai mancamenti leggieri, che da' gravi, solendo dire, che il guardarsi da' peccati gravi non è proprio de' servi di Dio, ma degli uomini del secolo.
20. " Avvertite, che nel tempo delle vostre occupazioni non vi scordiate di Dio, credendovi di congregar di più: perché se egli vi abbandona, voi non potete far un passo senza dar colla faccia a terra. Fate piuttosto come i bambini, che con una mano si sostengono attaccati al loro padre, e coll'altra raccolgono le fragole e le more lungo le siepi. Attendete all'operazione, ma rivolandovi di tanto in tanto verso il celeste Padre, per vedere se gli aggrada il vostro maneggio, e per domandare il suo ajuto ; che così farete meglio, e più facilmente i negozj ancora più difficili. Vedete come la B. Vergine impiegava dolcemente una delle sue mani al lavoro, mentre tenea dall'altra parte, e sopra il suo braccio nostro Signore Bambino. " Sales.
S. M. Madd. de' Pazzi facea le operazioni sue esteriori con tali astrazioni di mente, che conforme diceano le sue compagne, parea, che in quelle non operasse se non il corpo ; e che l'Anima fosse più dove ella amava, che dove animava. Fu osservato, che mentre si cibava in refettorio, in quello spazio di tempo, in cui si suol fare un po' di pausa alla lezione spirituale, ella facea certi moti, i quali indicavano, che allora stesse in qualche divoto pensiero. L'istesso si legge del V. P. Gio. Leonardi, che quando stava tra' negozj si vedea tanto assorto in Dio, che parea che passasse con S. Paolo la sua conversazione nel Cielo. Di S. Rosa di Lima pure si narra, che tra le occupazioni tenea sempre innalzata la mente a Dio senz'alcuna interruzione: di modo che leggendo, e tessendo, e ricamando, e conversando con altri, provvedendo a' bisogni della famiglia, e camminando per le piazze, in somma in ogni sua azione, ed in ogni luogo, ed in ogni tempo stava sempre mirando come in un lucidissimo specchio ed amorosamente contemplando la bella faccia del suo diletto. E quello che è più ammirabile, questa continua presenza di Dio occupava con tal soavità le di lei potenze interne senza minima astrazione de' sensi, che mentre ella stava trattando internamente con Dio, nel tempo stesso trattava con gli uomini, rispondendo a proposito, somministrando consigli, ordinando, operando, ed eseguendo quando bisognava con quella stessa felicità e prontezza, come se non avesse nella mente altro pensiero, che quello di cui trattavasi. Fu questo veramente un dono singolare concedutole dal Signore. Si narra di S. Antonio, che mentre stava lavorando le sporte, andava di tanto in tanto ripetendo quel verso del Salmo: Miserere mei Deus secundum magnam mis ri ordiam tuam. Del V. Mons. di Palafox si legge, che quando nello scrivere se gli offeriva qualche dubbio, si voltava ad un'immagine del Bambino Gesù, e dicea: Signore, che diciamo a questo ; altre volte: Signore insegnatemi ciò che ho da dire. Signore, datemi lume. Ed alle volte dopo l'aver scritto quello che stimava a proposito l'offeriva a Dio dicendo: Signore, sia questo per bene delle Anime, datele voi spirito, o Signore, date vita a questi caratteri, o vita delle creature. Se talvolta sentiva gusto di qualche ragione, o concetto, che avea scritto, accostava la carta alla lucerna, e dicea: Dio mio, volete che io l'abbruci ? niente è qui, che sia mio: arda ogni mia operazione ed ogni mio proprio affetto, ma poi ricevea lume interno, che gli dicea, non esser bene di farlo, e si trattenea.
21. " Fra gli impedimenti, per cagion de' quali non facciamo bene le nostre operazioni, il primo si è, che mente stiam facendo una cosa, pensiamo ad un altra che abbiam da fare, o che abbiam fatta: con che le azioni vengono ad impedirsi l'un l'altra tra di loro, o non farsene veruna bene. Il modo di farle tutte bene è attendere unicamente a quella, che s'ha per le mani, procurando di farla più perfettamente che si può, e lasciando per allora il pensiero d'ogni altra: e quando questa è fatta, non pensarvi più, ma pensar a quella che resta da fare. " Il P. M. d'Avila.
Alla V. Suor M. Crocifissa in un tempo che Iddio la soprabbondava delle sue celesti benedizioni chiamandolo a goderlo in una solitaria contemplazione, furon dalla Superiora addossati molto uffizj insieme: di sagrestana, cuciniera, refettoriera, ed in certe novene di maggior divozione, ancor di portinaia, e speziala. E pure ella facea tutto esattamente e con universal soddisfazione, trovava anche tempo per la sua contemplazione. Ed ecco il modo, che tenea. Quando stava in Sagrestia, diceva a se medesima: Ora non siete altro, che Sagrestana ; e quando usciva di Sagrestia: Ora non siete più sagrestana, e così in tutti gli altri impieghi.
22. " Operate fedelmente ciò che Iddio vorrà di voi ogni momento, e lasciate a lui il pensiero del rimanente: e v'assicuro, che il vivere in questo modo vi sarà cagione d'una gran pace. " Chantal.
Così faceva essa medesima. E così pure S. Fr. di Sales, del quale si narra, che quando faceva alcuna cosa, o trattava qualche negozio, vi si applicava con tutto lo spirito, come se non avesse altro affare del Mondo. Riferisce il Nazianzeno della sua madre, che era tutta in ogni cosa ; e tutto facea a maraviglia: tanto che in vederla tra gli affari domestici, parea che non avesse altra cura che quella: e quando stava nelle funzioni dello spirito, mostrava di non attendere se non a quelle ; e prendea sempre tanto amore a quell'impiego, che avea per le mani, come se non avesse altro impiego.
23. " Il secondo impedimento è la prescia. Guardatevi da questa, ch'è un nemico capitale della vera divozione: e niuna cosa fatta con precipitazione fu mai ben fatta. Andiamo pure lentamente, perché avanziamo cammino, e così si fa gran viaggio. " Sales.
Così portavasi egli stesso in tutte le sue operazioni. Così ancora operava S. Filippo Neri ; e così volea che facessero i suoi penitenti, a' quali solea frequentemente dire: Non bisogna voler fare ogni cosa in un giorno, né voler esser santo in un mese. La discrezione non lo vuole.
24. " Le opere di Dio si fanno per lo più a poco a poco, ed hanno i loro principj e i loro progressi. E non si dee pretendere di far ogni cosa in una volta, e frettolosamente, né stimar, che il tutto sia perduto, se non viene adempito in un subito ; ma bisogna camminar pian piano, pregar molto Iddio, e valersi de' mezzi suggeriti dallo Spirito di Dio, e non mai delle false regole del secolo. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo questo avea per uso, di procedere in tutt'i suoi affari con gran posatezza, sì nell'intraprenderli, che nel proseguirli, tanto che era stimato troppo lento. Però l'esperienza ha fatto conoscere, che la sua lentezza non gustava alcun negozio: mentre egli con istupore universale ha condotto felicemente a fine tanti, e si ardui negozj, che non li avrebbero potuto fare molte persone unite insieme, benché li avessero abbracciati con tutto il calore. E quello ch'è più, in questo modo gli riusciva di far con divozione tutte le sue operazioni spirituali, e bene tutte le indifferenti.
25. " Il terzo impedimento è l'ansietà e sollecitudine. Siate diligente ed accurato in tutti gli affari, de' quali avete il carico: ma se si può, non ve ne pigliate sollecitudine, e travaglio: cioè non li trattate con inquietudine, con ansietà, ed ardore ; né vi aggravate punto in eseguirli, perché gli aggravj turbano la ragione ed impediscono anche di far bene le cose, che non ci aggravano. Ma i grandi affari non ci sturbano tanto, quanto i minuti, quando sono in gran numero: e però ricevete ancor questi con pace, e cercate di farli con ordine uno dopo l'altro senza inquietarvi: che così vi riuscirà di farli con vostro gran merito. Perché il tempo speso pacificamente è senza dubbio il più utilmente impiegato. " Sales.
L'istesso Santo passava spesso molte ore con gente bassa, che l'occupavano in cose di poco momento. Ed essendogli detto non esser bene, che perdesse tanto tempo per quelle bagatelle, rispondea: Che volete ch'io faccia ? Queste cose lor pajono grandi, e desiderano d'esser consolati, come se fossero veramente tali. Iddio ben sa, che io non ho bisogno d'impiego più grande, e che ogni occupazione mi è indifferente, purché riguardi il di lui servizio. In tanto poi che fo quell'opera, benchè picciola, non sono obbligato a farne altra. E forse che non è un'opera abbastanza grande il far la volontà di Dio ? E per animare una sua penitente a questa maniera d'operare, così le scrisse: Chi può conservar la dolcezza nella moltiplicità degli affari, è quasi perfetto. Ed ancorché pochi se ne trovino, anche nelle Religioni, che sieno arrivati a questo grado di felicità ; ve ne sono però, e ve ne sono stati in ogni tempo ; e bisogna aspirare a quest'alto grado. La B. M. di Chantal adempiva fedelmente questo consiglio, facendo ogni cosa con tutta l'attenzione ; ma senz'alcun'ansietà, e senza mai perder la pace del cuore e perciò tutte le opere sue riuscivano ben fatte, e di questo se ne protestava apertamente con le sue figlie. Onde ad una di loro disse un giorno così: Sappiate mia cara figlia, che io amo perfettamente la nostra povera Congregazione ; ma senz'ansietà, senz' la quale l'amore per ordinario non è solito di vivere, ma il mio, che non è ordinario, vive senza di questa. E ad un'altra, che le chiedea qualche rimedio per li continui imbarazzi, che provava nel suo impiego, così scrisse, l'origine del vostro male ed imbarazzo da altro non procede, che dall'ansietà che avete nel cercare il bene da voi desiderato, e dalla poca pazienza e sottomissione alla volontà di colui, che solo ve lo può concedere. E però se volete che il vostro impiego riesca e meglio, e meno grave, bisogna che correggiate quest'ansietà e sollecitudine, procurando d'operare con fedeltà ; ma insieme con soavità e dolcezza di Spirito.
26. " E' proprio delo spirito di Dio, operar con soavità, ed amore ; ed il più sicuro mezzo per riuscire in quello che s'intraprende, è imitar lui. " S. Vinc. de Paoli.
In tal guisa procedeva il medesimo Santo in tutte le sue operazioni, o fossero importanti, o indifferenti, spirituali, o temporali, cioè con una gran quiete e soavità, che anche gli compariva nell'esterno.
27. " Il quarto impedimento è il voler far troppo. Non bisogna assottigliarsi troppo negli esercizj di virtù, ma praticarli francamente, naturalmente, schiettamente, all'usanza antica, alla buona, in grosso modo. In questo appunto consiste la libertà de' figli di Dio: cioè in fare allegramente, e di buon cuore quello, a che sono obbligati. " Sales.
Tale in fatti era il modo d'operare di questo Santo: un operar franco, schietto, alla buona, alieno dalle sofisticherie, che procedea per le vie ordinarie e naturali, e più dipendea dal cuore, che dalla mente ; e però grato a Dio, ed a lui più facile e meritorio. La B. M. di Chantal quantunque fosse esattissima nell'osservanza delle regole, e nel fare i suoi impieghi ; procurava però, e lo consigliava anche alle altre di far, che l'esattezza non andasse congiunta con quelle angustie e strettezze di spirito, che suol cagionare l'amor proprio per quei mancamenti, che commettonsi per ignoranza, o per inavvertenza, e senza malizia: ma in tutto camminava buonamente, amorosamente, e con pace.
28. " Tra i molti mezzi, che vi sono per far bene le sue operazioni, uno si è, far ciascuna di esse, come se quella avesse da esser l'ultima della sua vita. E però ad ogni tua azione dì a te stesso così: Se immediatamente dopo quest'azione tu sapessi di dover morire, faresti questa cosa ? la faresti in questa maniera ? " S. Vinc. de Paoli.
S. Francesco di Sales, quando facea qualche cosa la facea appunto, come se quella fosse l'ultima, che dovesse fare in questo Mondo. Un certo Sacerdote si confessava ogni mattina prima di dir la Messa ; ed essendosi infermato ; avvisato, che si confessasse, come per morire, rispose. Sia benedetto il Signore, che già sono trent'anni che mi son confessato sempre ogni giorno in questa maniera, come se subito avessi avuto a morire: onde non ho bisogno di far altro, che riconciliarmi, come se dovessi dir la Messa.
29. " Un altro buon mezzo è, di non far conto, se non del giorno presente. Perché una dele arti, che usa il Demonio per far perdere d'animo, e rallentar molti nel servizio di Dio, è di rappresentar loro come cosa molto difficile, e da non potersi durare l'aver da vivere per molti anni con tanta circospezione, e con tanta puntualità ed esattezza nelle cose. Or quell'aver da far solamente conto del giorno d'oggi chiude il passo a questa tentazione, e nel tempo stesso inanima non poco l'umana fiacchezza. Imperocché chi sarà colui, che per un giorno non possa farsi forza, per quanto può, acciò le sue operazioni vadano ben fatte ? Dicendo la mattina tra se: in questo giorno voglio procurar di far bene le mie operazioni ordinarie ; così si rende facile e tollerabile quello che forse gli apparirebbe molto difficile, se lo pigliasse assolutamente, considerando d'aversi a far quella forza per tutto il tempo di sua vita. E frattanto col procedere ogni giorno in questa maniera, a poco a poco si viene a far in questo il buon abito, e così a non provarci più difficoltà. " Rod.
Si narra nelle vite de' PP. di un certo Monaco, il quale molto combattuto dalla gola, cominciando dalla mattina a buon'ora sentiva in se tanta fame, e tal debolezza di forze, ch'era intollerabile, e per non trasgredir la santa usanza de' Monaci di non mangiare se non tre ore dopo il mezzo giorno, usava questa cautela. La mattina dicea tra se: per gran fame, che tu abbi, che gran cosa è aspettar sin ad ora di terza ? All'ora di terza diceva: in verità, che mi ho da sforzare, e non ho da mangiare sin a sesta: ma come ho potuto aspettar sin a terza, lo potrò fare sino a sesta. All'ora di sesta metteva il pane nell'acqua, e dicea, frattanto che si bagna il pane, posso aspettare sin a nona giacché ho aspettato sin adesso, non voglio per due o tre ore trasgredir la buona usanza de' Monaci. Giunta l'ora di nona, avendo dette le sue orazioni, mangiava. E così andò con questi certi termini ingannando se stesso per molti giorni, finché un giorno mentre stava mangiando all'istessa ora, vide alzarsi un fumo dalla sportella del pane, ed uscirsene per la finestra della cella che doveva esser lo spirito maligno, che lo tentava ! E da allora in poi non sentì mai più quella fame, né quella mancanza di forza, che sentiva prima: tanto che alle volte se ne stava de' giorni interi senza mangiare, e senza sentirne fastidio. Ivi pure ci riferisce d'un altro Monaco, il quale essendo per molto tempo tentato di lasciar il suo Monastero, ogni sera dicea tra se: dimani uscirò, e venuta la mattina: o via per amor del Signore mi voglio restar ancor per oggi. E così proseguendo a fare per nove anni continui, finalmente restò libero dalla tentazione.
30. " E' un grand'errore quello di certe Anime, per altro buone e pie, le quali credono, non potersi conservare l'interno riposo tra gli affari e le difficoltà. Poiché sebbene non v'è movimento più grande di quello d'un vascello in mezzo al mare, ciò non ostante, quelli, che vi stan dentro, non cessano di riposare e di dormire: e la bussola rimane sempre nel suo sito rivolta al polo. Qui sta il punto, in procurare di tener a segno la bussola della nostra volontà, sicché non guardi mai altro, che il polo del divino beneplacito. E questo è il terzo mezzo. " Sales.
S. Vincenzo de' Paoli fu eccellente in questo. Egli non si turbava mai per la moltitudine degli affari, e per le difficoltà che in essi si attraversavano: ma gl'imprendea con una instancabil forza di spirito, e vi si applicava con metodo, pazienza, e tranquillità ; tenendo continuamente fisso lo sguardo nel divino volere. Il che si vide maggiormente nel tempo ch'egli fu del Consiglio Reale nel quale aveva anche il governo della sua Congregazione, e di molte altre Comunità, Radunanze, Conferenze, e tanti altri impieghi, che quasi l'opprimevano: onde ognuno avrebbe creduto, ch'ei vivesse tutto distratto, come diviso in una infinità di pensieri e di cure differenti ; e conseguentemente coll'animo sempre fluttuante ed inquieto. E pure no. In mezzo ad un continuo flusso, e riflusso di persone e di negozj si vedea sempre raccolto, presente a se, padrone di se stesso, con una grand'eguaglianza di spirito ; e con tanta pace e tranquillità, come se non avesse, che un solo affare.
31. " Tutto quello, che noi facciamo, riceve il solo valore dalla conformità, che abbiamo con la volontà di Dio: di maniera che ancora mangiando e divertendomi se lo fo, perché tale è il voler di Dio, merito più, che se patissi la morte senza tal'intenzione. Pinatatevi bene nella mente questo principio ; e poi ad ogni azione che farete, fissate lo sguardi in esso, ad imitazione del fabbro, che fa passare ogni tavola sotto la squadra: e così farete con perfezione il vostro lavoro. " Sales.
Avea ben capita una tal verità quel buon fratello laico, il quale dicea che quando sedeva a mensa, stava facendo le prediche del Saverio nelle Indie: perché il meglio di quelle era il fare allora il Saverio la volontà di Dio, quale esso pure stava allora facendo. S. M. Madd. de' Pazzi avea questa perfetta rassegnazione, non solo abituale, ma anco attuale ; tanto che, quello che a quasi tutte le persone spirituali riesce sì difficile, cioè di saper indirizzare attualmente ogni sua azione a Dio: ad essa era sì facile e familiare, che le pareva impossibile, che si potesse operare, senza riflettere alla volontà di Dio. ( Niente è più facile di far la volontà di Dio anche nelle maggiori avversità ; ma per farla bisogna esser diligente. L'Edit. )
SETTEMBRE
ORAZIONE
Oportet semper orare, et non deficere. Luc. 18. 1.
1. " Non v'è al certo cosa più utile dell'Orazione. E però dobbiamo concepirne stima grande e grande amore, ed usare ogni diligenza per farla bene. " S. Vinc. de Paoli.
Tutt'i Santi si sono mostrati molto affezionati a questo esercizio. Perciò S. Gaetano vi spendeva ott'ore continue ; S. Margherita Regina di Scozia, e S. Stefano Re d'Ungaria quasi tutta la notte ; S. Francesca Romana tutto quel tempo, che le avanzava dalle sue occupazioni ordinarie e nelle Cappelle più ritirate ; S. Rosa di Lima ne faceva dodici ore il giorno. Incominciava a farla S. Luigi Gonzaga in età molto tenera, né mai la lasciava, e ne faceva una, due, o tre ore il giorno: e stando in Corte, per non essere interrotto da' compagni, si nascondea nel legnajo ; S. M. Maddalena de' Pazzi, dell'età di nove anni ; e ne facea prima una, poi due e quattr'ore nel secolo, e talora le notti intere: ed entrata in Religione, vi spendea tutto quel tempo, che si lasciava in libertà alle Novizie per loro sollievo. Il V. Bercmans di anni undici ; e spendea sin d'allora tutto il tempo, che gli avanzava dallo studio. Ogni cantone poi di casa gli serviva da Oratorio, e più volte fu trovato da' suoi, che passata la mezza notte, se ne stava orando colle ginocchia nude per terra. S. Filippo Neri fin da fanciullo vi si diede così davvero, vi fece sì gran profitto, e vi acquistò un tal abito, che dovunque andava, o stava, era sempre elevato nelle cose divine. Quindi è che sebben la sua camera era spesso piena di gente, e vi si trattavano diversi negozj ; egli però non si potea contenere di non alzare alle volte gli occhi, e le mani al Cielo, e prorompere in qualche sospiro, quantunque per altro stesse molto sopra di se, per non uscire in simili atti alla presenza d'altri. Quando usciva di casa, andava per lo più così distratto, che bisognava avvisarlo allorchè dovea rendere ad alcuno il saluto, o salutarlo: e talvolta a gran fatica anche tirato per la veste se n'accorgea, facendo un certo movimento, come se allora si destasse da un profondo sonno.
2. " L'orazione ben fatta è di molto piacere agli Angioli, e perciò da loro molto ajutata: dispiace molto a' Demonj, e perciò da essi molto perseguitata e disturbata. " S. Gio. Gris.
Il medesimo Santo dice, che gli Angioli stimano molto coloro, che vengono più familiari a Dio per mezzo dell'Orazione ; e che mentre la stanno facendo, dimorano accanto ad essi con gran silenzio, e finita che l'hanno, li lodano, e loro applaudiscono. S. Macario trovandosi una notte all'orazione comune, vide il luogo pieno di fanciulli neri, che andavano attorno a' Monaci schernendoli ; e che ad alcuni premeano con due dita gli occhi, e quelli si addormentavano ; ad altri mettevano il dito in bocca, e subito quegli sbadigliavano, ed altri apparivano in forma di donne ; ed altri in forma di fabbri, che lavoravano ; ad altri in forma di mercanti, che vendeano robe ; ad altri in figura di giuocatori, ed in tutti producevano una viva cognizione corrispondente alla Specie, che loro rappresentavano al di fuori: ma che però avanti d'alcuni appena comparivano, cadeano subito per terra, come respinti con gran violenza. Ed avendo il Santo dimandato dopo a' compagni, che avessero in quel tempo avuto, trovò che tutti avean patite quelle stesse tentazioni, che egli avea vedute.
3. " Le Anime, che non hanno l'esercizio dell'Orazione, sono come corpo paralitico e storpio il quale sebbene ha mani e piedi, non le può adoperare. Onde il lasciare l'Orazione, non mi pare, che sia altro, che perdere la buona strada: essendo che l'orazione è la porta, onde ci vengono tutte le grazie di Dio ; e serrata questa, non so come ci riuscirà. " S. Ter.
Ella medesima la provò con l'esperienza. Poiché avendo lasciata l'orazione per qualche tempo, cominciò a cadere in alcuni difetti e peccati, i quali benché leggieri, non potea toglier da se ; anzi andava ogni giorno da male in peggio. Onde ella stessa ebbe a dire, che finiva d'andarsene in perdizione, come appunto il Signore le disse poi, che sarebbe succeduto, se non avesse ripigliata l'orazione.
4. " L'Anima che persevera nell'esercizio dell'orazione, per molti peccati, tentazioni, e cadute di mille maniere, che il Demonio l'opponga, finalmente tenga per certo, che il Signore o presto, o tardi la caverà dal pericolo, e la condurrà a porto di salvazione. " S. Ter.
S. M. Egiziaca confessò all'Abate Zosimo, che dopo la sua conversione, per diciassette anni aveva patite orrende e continue tentazioni ; e pure perché si era data all'orazione, non cadde mai. Lo stesso accadde a S. Agostino, a S. Margherita di Cortona, e a tanti altri.
5. " Un uomo d'orazione è capace a tutto. E però importa grandemente, che i Missionarj si diano con particolare affetto a questo esercizio, senza del quale siccome poco o niun frutto faranno, così con l'ajuto di esso si renderanno abili a muovere i cuori, e convertire le Anime al loro Creatore assai più che con le lettere, e coll'efficacia del dire. " S. Vinc. de Paoli.
S. Francesco Borgia era uomo di molta orazione, nella quale durava spesso sei ore continue quasi rapito in estasi che gli pareano un momento, per cui col solo comparire in pulpito compungea la gente. S. Tommaso, S. Bonaventura, il B. Alberto Magno confessavano di riconoscere assai più la dottrina loro dall'orazione, che dallo studio. Si legge di S. Tommaso in particolare, che non potendo intendere un testo difficile della Scrittura si pose in orazione, e mentre stava nel maggior fervore gli apparvero i SS. Apostoli Pietro e Paolo, e gli spianarono la difficoltà con voce sì chiara e distinta, che fu intesa dal suo compagno Fr. Reginaldo.
6. " Dovendo trattar con altri di cose di spirito, bisogna trattarle prima con Dio nell'Orazione ; votandosi dello spirito proprio, per riempirsi dello Spirito Santo che solo illumina la mente, ed infiamma la volontà. E questo più d'ogni altro lo debbono fare i Superiori, ingegnandosi d'aver una continua comunicazione con Dio, e ricorrendo a lui non solo ne' casi fastidiosi, e dubbiosi, ma in ogni loro occorrenza, per apprender immediatamente da lui quello che debbono insegnare agli altri: ad imitazione di Mosè, che non annunziava al popolo, se non le cose, che dal Signore aveva apprese: Haec dicit Dominus. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo, quando doveva deliberare sopra qualche negozio, o prendere qualche risoluzione, o dare qualche consiglio, prima di parlare ed anche prima di metter mano all'affare, alzava sempre la mente a Dio per impetrar lume ed ajuto ; e per ordinario si vedeva in tali occasioni alzare anche gli occhi al Cielo, e poi abbassatili tenerli un poco chiusi, come consultando Dio in se stesso prima di rispondere. Quando si trattava di affari di rilievo, voleva, che si prendesse tempo, per raccomandarli a Dio. E siccome unicamente appoggiavasi sopra la Sapienza Divina, e non sulla propria ; ricevea dal Cielo lumi e grazie grandi, per mezzo di cui spesso scopriva cose tali, che col solo umano intelletto non si avrebbero potuto penetrare. S. Ignazio negli affari gravi non risolvea mai niente, se non li raccomandava prima a Dio coll'Orazione. L'Abate Pambo, quando veniva richiesto di consiglio, solea rispondere: Dammi tempo da pensarvi. Poi vi faceva orazione sopra: e se ricevea qualche buon lume da Dio, lo diceva ; altrimenti non vi rispondea punto.
7. " L'orazione mentale consiste in pensare, ed intendere ciò che diciamo ; e chi siamo noi, che abbiamo ardire di trattenerci con un Signore sì grande. Avere questi e simili pensieri è propriamente far Orazione mentale. Non è però buono il sentimento d'alcuni, i quali credono che tutto il negozio di essa stia nel pensare, di modo che se possono tener molto fisso il pensiero in Dio, anco facendosi gran forza, allora par loro d'esser molto spirituali, ed uomini d'orazione: e se non potendo più, accade che si divertano un tantino, anche in cose buone, sembra loro di non far niente. No, la sostanza dell'Orazione mentale, a parer mio, in altro non sta, che in trattare d'amicizia con Dio. E però lo stare talvolta ragionando con lui, il quale sappiamo, che ci ama, o facendo altri atti simili, questa è Orazione mentale. " S. Ter.
Viaggiando S. Ignazio co' suoi compagni, ciascuno col suo fardello sulle spalle, un uomo dabbene mossone a compassione, si esibì di portar esso tutte quelle robe, e lo fece. E così seguitando il loro viaggio, quando arrivavano agli alberghi, i PP. procuravano di trovarsi ciascuno il suo cartoncino per far orazione ; ed il buon uomo in veder ciò, ancor egli trovava il cantoncino suo, ed ivi se ne stava inginocchiato com'essi. Or dimandato una volta da loro, che cosa facesse in quel cantone: io, rispose, non faccio altro che dire: costoro son santi, ed io sono il loro giumento: quello che fanno essi, intendo di fare anch'io: questo io sto allora offerendo al Signore. E dicono, che con questa maniera d'orare arrivò ad esser molto spirituale, e ad aver il dono d'un Orazione molto alta. Il V. Mons. di Palafox molte volte riflettendo nell'Orazione, chi era quegli che parlava, ed a chi parlava, ch'era il più malvagio degli uomini, alla Divina Bontà, un vermicciuolo a Dio, si ristringeva in se stesso, e piangeva, e gli dolea di aver la temerità di parlare, essendo un poco di polvere della terra, il peggiore, il più miserabile, e più perduto uomo del Mondo, a Dio, eterno, infinito, immenso: e temea e dicea: Signore io ho a parlare con Voi ? io aver l'ardire d'amarvi ? Dio immenso, Dio potentissimo, Creator di tutto il creato ed io niente ; e meno che niente ! e quel che più mi affligge, cattivo, e più che cattivo ! Ch'è questo ? come si può soffrire ? Altre volte: Signore, non è giustizia l'amarvi ? dunque come non vi ho da amare ? Signore, Voi vi abbassate, acciò vi adorassimo e vi parlassimo ; e vi pregassimo ; perché non ho da adorarvi, parlarvi, e pregarvi ?
8. " Se uno parlando sta attendendo e vedendo, che parla con Dio con maggior avvertenze, che alle parole che dice, questi fa insieme orazione vocale, e mentale, che molto gli può giovare. Ma se non avverte né con chi parla, né cosa parla ; sia pur certo, che per molto che meni le labbra, fa ben poco d'orazione. " S. Ter.
Un certo Vescovo vide una volta calar un Angiolo dal Cielo, e portarsi a raccoglier le lagrime di una donna, che stava orando in un angolo della Chiesa. Di che egli ammirato, nell'uscire domandò a colei, che facesse in quell'ora: ed essa rispose, che allora stava recitando il Pater Noster, l'Ave Maria, ed il Credo.
9. " Quando nell'Orazione sono già commossi gli affetti, non bisogna più moltiplicare speculazioni ; ma fermarsi un poco a gustar quegli: e poi di tanto in tanto dir al Signore qualche parola di compunzione, d'amore, o d'abbandonamento, e simili, secondo che ci sentiamo incitati ; che questo è il meglio dell'orazione. " Chantal.
S. Cirillo Alessandrino rende ciò chiaro e patente con una similitudine. La meditazione, dice il Santo, è come il batter coll'acciarino la pietra focaja, acciocché n'esca fuoco. E siccome quando è uscito il fuoco, e si è attaccato all'esca si pone da parte l'acciarino ; così noi colla considerazione, e col discorso dell'intelletto abbiam da battere la dura pietra del nostro cuore sin a tanto che si accenda in esso l'amor di Dio, e il desiderio dell'umiltà della mortificazione, e de' patimenti, o d'alcuna altra virtù: e venuto che sia questo, là fermarci e procurar di bene stabilirci, perché questa è certamente migliore e più utile orazione, che se faremo molti discorsi e considerazioni molto alte e pellegrine. E così appunto dovea far esso e tutti gli altri, che han profittato nell'orazione. Avea ben intesa questa verità un buon Servo di Dio, il quale perciò nella sua orazione, che per lo più era sopra la Passione del Signore, non troppo si diffondeva in andar accumulando speculazioni e ragioni ; ma dopo d'aversi rappresentato alla mente il mistero, ch'era per meditare, mentre si sentiva mosso a qualche affetto d'amore, o di gratitudine verso Dio, o a dispiacere d'averlo offeso, ed a proponimento di non più offenderlo, ovvero al desiderio d'imitarlo nell'umiltà, o nella sofferenza, o ad alcun altro simile affetto ; in quello si fermava, e procurava di fomentarlo e accrescerlo in se. E quando vedea che si andava raffreddando, tornava a svegliarlo or con tutta, or con parte di quella medesima considerazione, che da principio lo mosse, dicendo: Che gran patimento fu mai questo ! Chi lo soffrì ? Il figlio di Dio. Il figliuolo di Dio ! e per chi lo soffrì ? per me, oh Dio ! ed il figliuolo di Dio si è indotto a soffrir tanto per me ! Ed io non posso indurmi a soffrire una parolina, una picciola, disattenzione per amor suo ! Ecco quanto ha fatto Gesù Cristo per me ! Ed io non finisco d'offenderlo ! dov'è l'umiltà ? Oh quanto mi dispiace d'aver così trattato il mio Dio ! certamente che non l'offenderò più. Ecco quanto mi ha amato il mio buon Dio ! ed io non amo chi tanto amò me ! Ah si, io voglio amare questo Dio, che tanto lo merita. E così si andava raggirando e trattenendo in simili affetti. E in questo modo divenne un uomo di gran perfezione.
10. " Gli spiriti poco sodi nella pietà camminano bene ed allegramente, quando il Signore dà loro delle consolazioni nell'orazione. Ma se viene a privarneli, diventano subito languidi e scontenti, all'usanza de' ragazzi, che ringraziano la madre quando dà loro le cose dolci, e piangono quando le toglie loro: perché son ragazzi ; e non conoscono che la continuazione di quelle è loro nociva, ed in essi genera i vermini. Le consolazioni sensibili dello spirito generano per ordinario il vermine della compiacenza, e questa l'orgoglio, ch'è il veleno dell'anima, e la corruzione d'ogni opera buona. E questa è la causa, perché il Signore che a principio ce le dà, per allettarci, dopo ce le toglie, perché non ci nuocano: e però non merita egli minori ringraziamenti il togliercele, che in darcele. " Sales.
Un gran servo di Dio dicea di se medesimo: per quarant'anni mi sono esercitato nell'orazione senza veruna intera consolazione, con molto mio profitto: e l'unico mio sollievo si è d'aver servito Dio a proprie spese. Il V. Bercmans provava spesso delle gran consolazioni nell'orazione, ma di tanto in tanto anche delle grandi aridità ; né però in queste si perdea mai d'animo, o punto se ne affliggea.
11. " Quando l'Anima si trova oppressa dalle aridità e sterilità, allora dee far l'orazione di riverenza, confidenza, e conformità al divin volere standosene alla presenza di Dio, come un poverello innanzi al suo Principe, servendosi di qualche parola, ch'esprima un'amorosa sommissione al suo divin beneplacito. " Chantal.
Io, dicea S. Teresa, non vorrei altra Orazione, che quella che mi facesse crescere nelle virtù. Onde se mi riuscisse con molta aridità, tentazioni, e tribolazioni, che mi lasciassero più umile, quella stimerei io buona orazione. Ma si può dir che non ori, chi sta in tali travagli ? perché se li va offerendo al Signore, e li soffre confermandosi, come dee, al suo santo volere ; questo è orare, e bene spesso assai meglio di chi va rompendosi la testa con varie riflessioni, e persuadendosi che con spremer quattro lagrime, ciò sia orazione. S. Filippo Neri dava per ultimo rimedio in questi casi l'immaginarsi di essere come un mendico alla presenza di Dio e de' Santi ; e come tali andare or da questo or da quell'altro a dimandar loro la limosina spirituale con quell'affetto e verità, con cui soglion dimandarla i poverelli. E questo esortava, che si facesse alle volte anche corporalmente, andando or alla Chiesa di un Santo, or a quella d'un altro per chieder loro questa limosina. Dimandato il V. Bercmans di quali rimedj si servisse per sopportar le aridità, rispose: Prego, procuro di star occupato, ed ho pazienza.
12. " Chi vuol profittar nell'Orazione, non faccia conto delle consolazioni spirituali: perché io so per esperienza, che l'Anima, la quale in questo cammino comincia con vera determinazione di non far caso, che il Signore le dia, o le nieghi gusti e tenerezze, e chi così veramente fa, ha fatto gran parte del viaggio. " S. Ter.
S. Francesco di Sales non si prendea mai fastidio delle desolazioni, aridità, ed abbandoni interni, che gli venivano. Onde disse una volta alla B. M. di Chantal, ch'egli stando in Orazione, non solea riflettere se era in consolazione, od in desolazione, ma che quando il Signore gli dava buoni sentimenti, li ricevea con profonda riverenza e semplicità, e se non gliene dava, non vi rifletteva punto: standosene sempre innanzi a Dio con gran confidenza, e come un picciolo figlio d'amore.
13. " Vi è un'altra cosa, che suole affliggere non poco quei che si danno all'Orazione ; e sono le distrazioni, che in essa vengono, e portano il pensiero quà e là, e dietro al pensiero spesso anche il cuore. Procedono queste alle volte dall'immortificazione de' sensi ; altre dall'esser l'Anima in se stessa distratta ; e molte altre, perché così vuole il Signore, per provare i suoi servi. Or in questi casi bisogna di tanto in tanto richiamare il pensiero a se con ravvivar la fede della presenza di Dio, e con starsene avanti di lui con riverenza e rispetto: e se non riesce di poterlo fissare sul punto prefisso, conviene soffrire tali molestie ed importunità con umiltà e pazienza: che non sarà tempo perduto, come a prima vista può parere, ma anzi una tal'Orazione sarà talvolta più fruttuosa di tante altre fatte con raccoglimento e piacere. Perché tanti atti, che si fanno per iscacciar e soffrir le distrazioni, facendosi per non disgustare Dio, e per potersi abilitare a meglio servirlo, quelli son tutti atti di amor di Dio. " S. Ter.
La B. M. di Chantal dava questo consiglio alle sue figlie, e dovea praticarlo anch'essa: quando una si trova disturbata dalle distrazioni nel tempo, che fa l'orazione ; allora convien fare l'orazione di pazienza, e dir, se si può, umilmente ed amorosamente: Signore, voi siete l'unico appoggio dell'Anima mia, e tutta la mia consolazione. S. Gio. Grisostomo consigliava uno che nell'orazione si lasciava facilmente trasportar dalle distrazioni, a risvegliarsi con questo paragone: Come ! sto discorrendo con un amico di storie, di nuove, di bagattelle, e vi sto con tutta l'attenzione ; ed ora che sto trattando con Dio del perdono de' miei peccati, e del modo di salvarmi, son tutto torpedine ; e colle ginocchia piegate vado girando col pensiero per la casa e per le piazze ! Dov'è qui la Fede ? dov'è il giudizio ? E' degno non men di maraviglia, che d'invidia il dono d'Orazione, ch'ebbe S. Luigi Gonzaga, del quale si legge esservi egli arrivato a tanto, che in quel tempo quasi mai pativa distrazioni, talmente che dando una volto conto del suo interno al P. Spirituale, e da lui richiesto, se pativa molte distrazioni nell'Orazioni ; dopo di essere stato un po' sospeso col pensiero su di ciò, rispose, che mettendo insieme tutte quelle, che aveva avute in sei mesi, a parer suo, non avrebbero empito lo spazio di un'Ave Maria. Gran dono in vero ! Ma le diligenze da lui usate, per muovere il Signore a concederglielo, non furon picciole. Poichè col praticare una somma e continua mortificazione di tutt'i suoi sensi, col non occupar mai la mente in altri pensieri, fuorché in quelli, che lo potean perfezionare nella pietà e nella dottrina ; e coll'essere nel tempo dell'Orazione tutto, e con tutto il fervore in essa, in questa maniera avea talmente chiusi i passi alle distrazioni, che quasi non ardivano di accostarsi a lui.
14. " Tutta la pretensione di chi prende a darsi all'orazione, ha da essere il travagliare, ed il determinarsi, e disporsi con ogni possibile diligenza a conformar la sua volontà con quella di Dio. Poiché in questo consiste tutta la maggior perfezione, che acquistar si possa nel cammin spirituale. " S. Ter.
Questo era il principale scopo di tutte le orazioni della medesima Santa, il conformarsi in ogni cosa al divin volere. Questo pure era il fine, che si prefiggea S. Bernardo nel principio della sua orazione, come si legge nella di lui vita, animandosi a farla col desiderio d'arrivar a conoscere e fare la volontà di Dio. E l'istesso vien riferito di S. Vincenzo de' Paoli, e di molti altri servi di Dio.
15. " L'Orazione dee esser umile, fervente, rassegnato, perseverante, ed accompagnata da una gran riverenza, considerando, che si sta alla presenza d'un Dio ; e si parla con un Signore, avanti al quale le Virtù celesti tremano per rispetto e timore. " S. M. Madd. de' Pazzi.
S. Francesco di Sales in tutto il tempo dell'Orazione, anche quando era solo, se ne stava dinanzi a Dio umile, basso, composto, immobile, e con singolar riverenza, come figlio d'amore. Il V. Bercmans sempre in ginocchio, cogli occhi chiusi, colle mani al petto, senz'appoggiarsi, immobile come un sasso, con un volto gioviale, e pieno di tale ardore, che molti se gli ponean vicino per osservarlo, ed infervorarsi. S. Rosa di Lima si tenea tutta raccolta, e con tant'attenzione e divozione, che qualunque altr'oggetto se le presentasse avanti, non le cagionava verun'alterazione, come se fosse divenuta insensibile. Onde mentre le faceva in Chiesa, si metteva in un cantone con gli occhi fissi al Sacramento, e là restava per molte ore immobile senza che il passaggio delle persone, o lo strepito e mormorio della gente punto la disturbassero. Quando uscivano dall'Orazione per indizio del loro fervore, San Gervasio Vescovo si vedea spesso con raggi sul capo ; il Ven. P. Gio. Leonardi tanto acceso e mutato nel volto, che parea divenuto un Serafino ; e l'Abate Silvano talmente fuor di se, che tutte le cose della Terra gli sembravano vili ed abbiette ; e però si copriva gli occhi colle mani per non vederle, dicendo: occhi miei, chiudetevi, e non vogliate mirar le cose del Mondo, poiché non vi è cosa in esso, che sia degna d'essere mirata. S. Bernardo vide una mattina un Angiolo, che andava attorno per lo Coro con un turibolo pieno di profumi incensando i Monaci che stavano in orazione, e che questa incensazione producea nel cuor de' ferventi un soavissimo odore, e nel cuor de' negligendi e sonnolenti fetore e nausea.
16. " Disimpegnati un poco da tante cure, e prendi un po' di tempo per pensare a Dio e riposarti in esso. Entra nel gabinetto del tuo cuore e cacciane fuora ogni cosa, a riserva solo del tuo Creatore, o di tutto ciò che ti può ajutare per trovar lui. E poi avendo chiusa la porta, digli con tutta l'Anima tua: Signore, io cerco la vostra divina faccia, insegnatemi a ritrovarla. " S. Agost.
S. Francesco di Sales chiamava il centro dell'Anima sua il Santuario di Dio, dove non entra altro che l'Anima e Dio. E questo era il luogo del suo ritiro, ed il suo ordinario soggiorno. E però nell'Anima sua non vi era che purità, semplicità, umiltà, ed unità, dello Spirito del suo Dio. S. Bernardo quando andava all'Orazione, ed entrava in Chiesa, diceva a' suoi pensieri: trattenetevi qui fuori pensieri inutili, ad affetti disordinati ; e tu Anima mia entra nel giudizio del tuo Signore.
17. " Quelli, che potranno racchiudersi in questo picciol cielo dell'Anima, dove sta colui che ha creato il Cielo e la Terra, credano pure, che vanno per eccellente cammino, e che non lasceran di arrivare a bere l'acqua del fonte ; perché in poco tempo faranno gran viaggio. " S. Ter.
S. Caterina da Siena, ch'era amatissima del ritiro, venendo aggravata da' genitori da occupazioni, e fatiche, si formò una cella nel proprio cuore, dove se ne stava continuatamente ritirata anche tra le maggiori occupazioni rimirando Dio e discorrendo familiarmente con lui. E così giunse ad avere una stabile, e continua unione con S. D. M., e solea dire che nel nostro cuore propriamente sta il regno di Dio, dove egli fissa la sua sede. Una divota Verginella, fattasi Religiosa, si diede ad una vita molto ritirata specialmente dalla comunicazione alle grate ; per lo che i parenti si studiavano di persuaderla che si sollevasse con qualche onesta conversazione. Ma ella rispose loro, che aveva una conversazione che la tenea sempre allegra ; ed era la conversazione con Gesù Cristo. Quanto mi giova, dicea S. Teresa, quel ricordarmi, che ho compagnia dentro di me, cioè Iddio ; e che io me ne sto quivi con lui.
18. " Nel far l'Orazione non si ha sempre da discorrere coll'intelletto ; ma può anche uno trattenersi alla presenza di Dio, ragionando, e consolandosi con lui, senz'affaticarsi in compor ragioni e belle parole ; ma rappresentandogli semplicemente le sue necessità, e l'obbligo, ch'egli ha di compatirci. Per esempio, mettendosi uno a pensare ad un passo della Passione, è buona cosa il discorrerci sopra, meditando le pene, che quivi il Signore patì ; con tutto ciò non si stanchi l'Anima in andar sempre cercando questo: ma stiasi alle volte quivi con Gesù Cristo, ed acchetato l'intelletto, se può, l'occupi in pensare, ch'egli lo sta mirando ; lo accompagni, gli chiegga, s'umili, si consoli con essolui, e si ricordi, che non meritava di stare ivi. Questa maniera di orare reca molto utilità. " S. Ter.
La medesima Santa attesta di se, che frequentava molto questo modo d'orazione, e che ne avea provati grandissimi vantaggi. Racconta il P. Gersone, che un servo di Dio solea dire: Sono quarant'anni, che io attendo all'Orazione con tutta la diligenza possibile, e non ho trovato mezzo migliore, né più breve per far buona Orazione, che presentarmi innanzi a Dio, come un fanciullo, e come un povero mendico, cieco, ignudo, ed abbandonato. Così in verità dovea far S. Francesco, quando passava le notti intere con quelle poche parole: Dio mio, chi sei tu, e chi son io ? ripetendole e ruminandole tra se ; ed ora eccitandosi all'amore di un Dio sì grande e sì buono, or al disprezzo d'una sì vile e sì ingrata creatura, si confondeva, si vergognava di tanti suoi mancamenti, e ne chiedeva al Signore perdono e rimedio.
19. " Nell'Orazione è bene occuparsi talora i far atti di lode, e di amor di Dio: in desiderj, e determinazioni di piacergli in ogni cosa: in rallegrarsi della sua bontà, e che egli sia quello ch'è: in desiderare l'onore e la gloria sua ; in raccomandarsi alla sua pietà, in mettersi anche semplicemente avanti a lui mirando la sua grandezza e la sua misericordia, ed insieme la propria viltà e miseria ; e poi lasciar che ci dia egli quello che vorrà, sia acqua, o aridità, perché ben sa esso meglio di noi quello che più ci conviene. Questi atti svegliano grandemente la volontà e gli affetti. Ed avvertite, quando vengono, di non lasciarli, per finir la solita meditazione: perocchè per profittar grandemente in questo cammino, non sta la cosa in molto pensare, ma in molto amare, e però tutto ciò che più vi desterà ad amare, quello fate. " S. Ter.
Il P. Segneri juniore disse un giorno ad un suo confidente piangendo: non fate come ho fatto io, che sin tanto che studiai Teologia, passava sempre il tempo dell'Orazione in far varie considerazioni per eccitare gli affetti, e poco in raccomandarmi a Dio. Ma finalmente il Signore si degnò d'aprirmi gli occhi. E da allora in oi sempre ho procurato di spendere tutto il tempo a raccomandarmi a lui. E se ho fatto alcun bene in me, e negli altri, tutto mi pare di doverlo riconoscere da questo santo esercizio. Si legge della B. M. di Chantal che trovava le sue delizie ed il suo centro nella considerazione delle immense perfezioni di Dio, e nel desiderio, che questo sommo bene fosse conosciuto ed amato in tutte le sue creature. E del B. Egidio compagno di S. Francesco, che meditando spesso, e con grande affetto sopra le perfezioni, le opere ed i benefizj di Dio, venne a riempirsi di tanto amore verso Dio, che non poteva più né parlare, né sentirne parlare, e neppure rivolgervi il pensiero, che subito non andasse in estasi.
20. " Nell'Orazione bisogna talora immaginare, che ci vengon fatte delle ingiurie e degli affronti, e che ci sopraggiungano delle avversità e poi studiarci di avvezzare il nostro cuore a perdonare e sopportar tutto con pazienza ad imitazione del nostro Salvatore, in questo modo s'acquista molto spirito. " S. Filippo Neri.
S. Ignazio stando in letto infermo si mise a pensare se gli potea succedere alcuna cosa, che l'avesse a turbare ; e dopo essersi immaginate molte avversità e travagli, trovò che niuna cosa l'avrebbe potuto affliggere, e levargli la pace, fuorché se avesse veduto distruggersi la Compagnia. Però avendo meditato più volte sopra quell'istesso punto, tanto si moderò, che disse, parergli, che se ciò accadesse, con un quarto d'ora di Orazione si sarebbe quietato e rasserenato.
21. " Bisogna far gran conto del meditare la Passione del nostro Redentore. Poiché una semplice ricordanza, o meditazione di questa vale più, che se per un anno intero uno facesse ogni settimana una disciplina a sangue, ed un digiuno in pane ed acqua ; ovvero leggesse ogni giorno tutto il Salterio. " Il B. Alberto Magno.
Su di questo soggetto faceano la loro meditazione S. Francesco Saverio ordinariamente, S. Casimiro continuamente, anche sentendo Messa, e con tale attenzione, che spesso veniva alienato dai sensi, e S. Brigida quasi sempre, né la facea mai senza lagrime. Leonora Imperatrice dal lungo meditar la Passione concepì un amor sì tenero verso Gesù Crocifisso, che quando anche fosse stata sicura, com'ella dicea di salvarsi egualmente tra gli agi e tra gli onori, avrebbe nondimeno scelto la via della Croce, per rassomigliarsi in parte al suo Signore. E quindi trasse quelle generosità, con cui dissimulava tutte le sue infermità e i dolori del corpo, senza querele e senza lamenti. Ed a chiunque mostrava in questi casi di compatirla, rispondea l'umil serva del Signore: questa croce è molto leggiera, e mi è troppo cara, e senza di essa non posso vivere contenta: ne ho troppo bisogno, altramente diverrei troppo insolente. Si esercitava spesso in questo il V. Mons. di Palafox. Alle volte si gli rappresentava l'Anima sua come un uccello che volava, e nel volare straccandosi, si andava a posare sul chiodo dei piedi in croce, e quivi si metteva a contemplare il Signore e a bere del sangue, che scorrea da quelle piaghe e si consolava assaissimo ; altre volte gli sembrava come un ape, che andava succhiando fiori or di qua, or di là dall'una all'altra piaga del Signore ; in quelle della testa, delle mani, de' piedi, e specialmente in quella del costato, nel quale soleva entrare e bagnarsi. Altre trovandosi staccato dalle cose temporali, come dallo scrivere, o dal ragionare, si rivolgeva a' piedi di Gesù, dicendogli: Gesù mio riposiamoci qui. Questa divozione ebbe un non so che di singolare in S. Filippo Neri, il quale non potea né meditare, né leggere, né parlare, o sentir parlare della passione del Salvatore, e specialmente nella settimana Santa, e massimamente se si trattava dell'amore, col quale egli ha patito per noi ; che subito si vedea divenire smorto come la cenere, e liquefarsi in lagrime. Un giorno fra gli altri discorrendo egli in pubblico su questa materia, sorpreso da uno straordinario fervore, si pose a piangere, ed a dar in singulti tali, che non potea raccogliere il fiato onde fu necessitato a scender dal pulpito, e partirsi dalla Chiesa. Il che occorrendogli più e più volte, né potendovi rimediare, per molti anni prima della sua morte lasciò di più ragionare in pubblico, e di più parlar di questa materia in pubblico, ed in privato: essendo divenuto in questo sì sensibile, che alle volte il solo sentir queste parole: Passione di Cristo, piangeva in modo, che non potea formar parola. Una cosa simile si narra esser avvenuta nel giorno del Venerdi Santo al V. P. Luigi di Granata, allorché salito in Pulpito per far la predica della Passione, appena profferite quelle parole del sacro testo: Passio D. N. J. C. proruppe in un dirottissimo pianto, poi ripigliando alquanto di lena, prese a ripetere le stesse parole ; ma colle parole fu astretto a ripetere anche il pianto, e più forte di prima: finalmente sforzandosi con animo virile di ripigliar la terza volta da capo le sacre parole, ripigliò per la terza volta anche il pianto con veemenza e con impeto tale, che eccitò una universal commozione in tutta l'udienza, tanto che per lungo spazio di tempo in tutta quella Chiesa altro non si sentiva, che singhiozzi e pianti. E così si terminò la predica senza essersi principiata.
22. " Siccome un amico visita spesso il suo amico, andando a dargli il buon giorno la mattina, e la buona notte la sera, e riverendolo tra il giorno più volte ; così voi visitate spesso Gesù Sagramentato: ed in ogni visita offerite più volte il di lui prezioso sangue all'Eterno Padre: e vedrete, che con queste visite crescerà a maraviglia il vostro amore. " S. M. Madd. de' Pazzi.
S. Francesco Borgia lo visitava sette volte il dì, e vi avea preso tanto affetto e familiarità, che appena entrato in Chiesa all'odorato conosceva ove stesse il Sacramento. Altrettanto il V. Bercmans, sempre che usciva a prender aria procurava di visitarlo in alcuna Chiesa di fuori o esposto, o nel Tabernacolo. Ed allora in un subito s'internava tanto che non s'avvedea quando il suo compagno si alzava e partiva: di modo che fu questi più volte obbligato di tornar dalla porta della Chiesa ad avvisarlo ; e più fiate lo trovò tanto astratto da' sensi, ch'era costretto a chiamarlo forte per nome. S. M. Madd. de' Pazzi poi lo visitava trentatré volte il giorno con sua gran contentezza e frutto. E S. Vinceslao Duca il Boemia andava a visitarlo per le Chiese la notte a piedi scalzi anche in tempo di ghiacci, ed insanguinava le strade. S. Vincenzo de' Paoli lo visitava quanto più spesso poteva: ed il sollievo, che si prendea dalle sue gravi occupazioni, era starsi lungo spazio avanti il sagro tabernacolo alle volte per più ore. Vi dimorava poi con un contegno sì umile, che parea si sarebbe volentieri abbassato nel centro della Terra: e con un esteriore sì modesto e divoto, che sembrava vedesse co' proprj occhi la persona di Gesù Cristo: con che inferiva divozione in chiunque lo mirava. Quando poi gli occorreano negozj ardui, ricorrea come Mosè al sagro Tabernacolo, per consultare l'oracolo della verità. Quando usciva di casa, andava a chiedergli la benedizione, e nel ritorno, a ringraziarlo delle grazie ricevute, e ad umiliarsergli per li mancamenti, che potesse aver commessi. Il che facea, non per una certa formalità, ma con veri sentimenti di Religione.
23. " Non bisogna scordarsi mai d'esercitarsi nel proprio conoscimento: perché questo è quello che importa in questo cammino dell'Orazione. Si ha però da fare con tassa e misura. Voglio dire, che dopo che si vede un'anima arresa e soggetta, e che chiaramente intende, che per se stessa non ha cosa buona, e si vergogna e confonde di star avanti ad un sì gran Re, e vede il poco, che gli rende per lo molto, che gli dee: che necessità vi è allora di trattenerla, e di farle spendere più il tempo in questo ? Bisogna lasciarla passare ad altre cose, che il Signore le pone d'avanti, sicché esca di se, e voli al considerare le grandezze el suo Dio. " S. Teresa.
S. Francesco Borgia da che si diede all'Orazione, spendeva ogni mattina due ore sopra il proprio conoscimento: e con questo arrivò ad avere sì basso concetto di se, che si stupiva come tutti non lo maltrattassero. Di S. Francesco narra S. Bonaventura, che solea passar i giorni e le notti intere in quella breve Orazione: Signor mio e Dio mio, chi sei tu, e chi sono io ? e che in quel tempo fu veduto più volte sollevato da terra, e circondato da una risplendente nuvoletta. Si narra nelle vite de' PP. d'un Monaco giovine, che disse ad un vecchio Padre, il pensiero mi dice, che io son buono ; e che il vecchio gli rispose così: Chi non vede i suoi peccati, crede sempre di esser buono: ma chi il vede, non può il pensiero persuadergli tal cosa. E però è necessario d'affaticarsi a conoscer se stesso. E dell'Abate Isidoro si racconta, che un giorno entrato nella di lui Cella il suo Discepolo, lo trovò che stava piangendo, e chiedendogli colui perché piangesse: Piango, disse, i miei peccati. Ma padre voi non avete peccati, replicò il discepolo. E l'Abate: o figlio, soggiunse, se Iddio manifestasse agli uomini i miei peccati, empirebbe il Mondo di spavento ! Fu ammirabile a questo proposito una visione, che scrisse d'aver avuta la V. Suor M. Crocifissa. Mi fu, dice, permesso di entrare con un interno sguardo nelle più segrete parti dell'uomo interiore, ove vidi con mia somma maraviglia gran cose della malizia e deformità dell'umana creatura, per essermi stato mostrato il fomite del peccato, come un orribile sotterraneo cavernone, ove scaturiva di continuo un immenso stuolo di vermacci, e di animalacci grandi, e piccioli, tutti orribili e schifosissimi, che significavano i peccati mortali, e veniali, e le imperfezioni. A tal orrenda vista penetrai nel gran concavo del proprio conoscimento e della mia estrema miseria, per cui di altro non mi conoscea meritevole, che di derisioni e d'ignominie, parendomi di essere come uno straccio di fuliggine, e come uno sputo corrotto e stomachevole, e un mostro orribile e schifoso, nel quale niuno avrebbe potuto mirare senza darsi incontanente alla fuga. Ebbe ella questa visione nel giorno, in cui fece la sua professione ; ed una tal vista di se medesima se le impresse sì fortemente nell'Anima, che le durò per un anno intero ; nel quale, perché credea, che la medesima vista apparisse visibilmente a tutte le sue compagne, come appariva a lui, si stupiva della loro dissimulazione e virtù ; non sapendo intendere come tutte non l'abborrissero, e non la fuggissero. Onde se io, dicea, avessi avuto a fare, per levare avanti gli occhi loro la mia intollerabile figura, mi sarei volentieri sepolta viva. E però in ricever torti ed ingiurie, mi sembrava che anzi mi lodassero e mi onorassero ; perché di quella maniera mi vedea trattata meglio di quello che conoscea di meritare, e mi era come impossibile il pensare altramente. Ond'é che se mi avessero detto, ch'era senza talento, insipida, brutta, villana, e balorda ; al certo che mi sarei maravigliata, ed avrei detto: o quanta poca notizia voi avete delle mie miserie ! Sono insoffribile negli occhi di Dio per l'estrema mia miseria, e vi stupite come io non sia ricca di buone qualità ? Come farebbe un mendico, il quale vedendomi mal coperto di stracci si sentisse rimproverare che gli manca la catena d'oro ed il tosone ? Che farebbe egli nell'udir tali rimproveri ? In vece di risentirsi, si stupirebbe, e direbbe: sono senza camicia, e voi state a mirare, che sono senza catena d'oro e senza tosone. Per carità datemi un tozzo di pane, che io non so che cosa sia oro e tosone.
24. " La grand'opera della nostra perfezione nasce, cresce, e si mantiene in vita per mezzo dei due piccoli, ma preziosi esrcizj ; che sono le aspirazioni ed i ritiramenti spirituali. Le aspirazioni sono certi slanciamenti di spirito verso Dio, i quali quanto più son veementi ed amorosi, tanto migliori sono. I ritiramenti sono certi sguardi interni, che l'Anima dà a Dio, i quali quanto più sono semplici, tanto sono più preziosi: e si esercitano con rimirare con semplice sguardo quello ch'egli è, o quel che ha fatto, e fa per noi, eccitando in seguito il cuore ad atti di umiltà, d'amore, di rassegnazione, di abbandonamento, e simili, secondo le varie occorrenze. Or questi due esercizj non si può credere la forza, che hanno per tenerci in dovere, per sostenerci nelle tentazioni, per rialzarci prontamente nelle cadute, e per unirci strettamente a Dio. Dall'altro canto si possono fare in ogni tempo, in ogni luogo, e con ogni facilità, e però ci dovrebbero essere tanto familiari, quanto l'inspirare e l'espirare. " Sales.
Ogni volta che sonavano l'ore S. Ignazio si raccoglieva, ed alzava la mente a Dio. S. Vincenzo de Paoli al suono delle ore, ancorché fosse tra' signori grandi, sempre si scopriva la testa, e lanciava qualche divota aspirazione al Cielo ; ed in altri tempi ancora usciva egli spesso in qualche aspirazione, o giaculatoria, e la sua più ordinaria era questa: O mio Signore, o divina Bontà ; quando ci farete la grazia d'essere interamente vostri, e di non amare altro che te. S. Bartolomeo Apostolo adorava Dio con genuflettere cento volte il giorno, e cento la notte. S. Tommaso d'Aquino usava spesso tral giorno queste specie d'Orazioni quando studiava, quando usciva di Cella, e nel ritornarvi, ed in tutt'i ritagli di tempo, che gli occorrevano. E Cassiano narra dei monaci d'Egitto, che usavano frequentemente quella breve giaculatoria piena d'umiltà e di confidenza: Deus in adjutorium meum intende, Domine, ad adjuvandum me festina. Il V. Mons. di Palafox le praticava in tutte le occasioni. Sempre che si offeriva qualche dubbio, si voltava a Dio, o gli dicea: Signore che faremo in questo ? consigliatemi Voi. Ne' pericoli: Signore, reggetemi: non sia io presuntuoso, ma utile: non permettete, che io esca un punto da quello che vi aggrada. Quando per la sua fiacchezza cadeva, dicendo, o facendo alcuna cosa, che non conveniva: Signore, rilevatemi: ch'è stato questo, o Signore ? E' possibile che io abbia da esser sempre il medesimo ? Tenetemi, acciocché io vi tenga. Spesso poi andava dicendo tra se: Niente desidero, niente voglio, niente abbraccio fuorché Voi, Dio mio, e mio tutto. Gloria ? è Vostra, e per Voi solamente la bramo. Onore ? tutto il mio onore, Gesù mio, è l'Onor vostro. Soddisfazioni ? l'unica mia soddisfazione e contento è, che siate soddisfatto e contento Voi ; e simili.
25. " E' una cosa di grande utilità l'assuefarsi a cavare qualche riflessione propria da tutte le cose, per sollevarsi da ogni cosa a Dio ; rimirando in esse le Perfezioni di lui ovvero l'amore che egli ci porta, o l'obbligo, che abbiamo di servirlo fedelmente. " Scupoli.
Ecco la pratica di S. Francesco di Sales. Nel vedere belle campagne, dicea: noi siamo i campi coltivati da Dio. In vedere Chiese magnifiche e bene addobbate: noi siamo i tempj vivi di Dio: e perché le Anime no sono così bene ornate delle virtù ? In vedere fiori, quando verrà il tempo, che i nostri fiori faranno frutti ? Il vedere pitture rare e preziose: non vi è niente di bello, come l'Anima, ch'è fatta ad immagine di Dio. Se vedea giardini: e quello dell'Anima nostra quando sarà egli seminato di fiori, ripieno di frutti, ben ordinato purgato e pulito ? Se fontane: ah quando beveremo noi a sazietà nelle fontane del Salvatore ? Se fiumi: quando andremo noi a Dio, come vanno queste acque al mare ? E così si serviva di tutte le cose visibili per sollevare il suo spirito a Dio.
26. " Vi è una certa maniera d'orare molto facile, e molto utile, che si fa con assuefare l'Anima nostra a stare alla presenza di Dio ; ma in maniera che questa produca in noi una unione intima, nuda, semplice e perfetta. Oh che preziosa Orazione è questa ! " Sales.
Il Rusbrochio in tutte le sue azioni ed esercizj tenea sempre alzata la mente a Dio: tanto che confessò d'aver ottenuta dal Signore questa grazia particolare di poter senza difficoltà immergersi, quando voleva in una soavissima contemplazione della Divinità, ad unirsi strettamente a Dio o stesse solo in camera, o fuori in compagnia d'altri. S. Luigi Gonzaga non trovava cosa più facile, che tenere la sua mente unita continuamente con Dio di maniera che sentiva egli tanta difficoltà di distaccare il pensiero da Dio, quanta ne sentono altri in tenervelo unito.
27. " Con durare un anno a camminare alla presenza di Dio, alla fine dell'anno ci troveremo alla cima della perfezione senz'avvedercene. " S. Ter.
Un Santo Abate, come si narra nelle vite de' PP. diede nel noviziato al suo Discepolo questo avvertimento: che procurasse di non perdere mai di vista Dio, e che pensasse d'averlo sempre presente. Poiché, disse, questo è il mezzo de' mezzi: è quello, che insegnò il Signore ad Abramo, quando gli disse, Ambula coram me, et esto perfectus. Il che s'impresse in modo nella mente del giovane, che lo praticò a maraviglia ; e da giovane sbrigliato ch'era, divenne Monaco sì perfetto, che morto dopo pochi anni, fu veduto volarsene a dirittura, con molta gloria in Cielo.
28. " La maggior parte de' mancamenti, che commettono le persone Religiose contra le loro regole, e tutti negli esercizj di pietà provengono dal perder facilmente la presenza di Dio. " Sales.
Del V. Bercmans si dice, che non perdea mai di vista la presenza di Dio, e che la praticava con una rara facilità e naturalezza ; e quel ch'è più da stupire, con esser sempre presentissimo a se, ed a quanto faceva attualmente, ed insieme officiosissimo con ogni puntualità verso degli altri. E per questo poi facea con tanta divozione i suoi esercizj spirituali, e non fu mai veduto trasgredire una minima delle sue regole, né commetter difetto di sorta alcuna.
29. " Vi è un certo modo di star alla presenza di Dio, col quale se l'Anima vuole, può star sempre in Orazione, e continuamente accesa ed infocata d'amor di Dio. Questo si fa con attuarsi uno tra le sue occupazioni in questo, che sta facendo la volontà di Dio ; e di questo godere e rallegrarsi. " Rodr.
S. Francesco di Sales molti anni prima di morire non prendea quasi più tempo per far la sua Orazione, trovandosi oppresso dagli altri affari. Onde chiedendogli un dì la B. di Chantal, se l'avesse fatta: No, rispose, ma faccio ciò che vale l'Orazione. Ed era, che si studiava di tnersi unito continuamente con Dio: e dicea, che in questo modo convien fare l'Orazione di opere e di azioni. E così la sua vita era un Orazione continua, non contentandosi egli di godere solamente una deliziosa unione con Dio nell'Orazione, ma amando egualmente la di lui volontà.
30. " L'Orazione più alta e più perfetta è la contemplazione. Ma questa è tutta opera di Dio, essendo soprannaturale, e superiore alla nostra naturalezza: e però l'Anima in questa Orazione non può far niente, solo vi si può apparecchiare. Or il miglior apparecchio per questa, e andare con umiltà, darsi davvero all'acquisto delle virtù, e massime della carità fraterna, e dell'amor di Dio, ed avere un animo risoluto di far in tutto la volontà di Dio, di camminare per la via delle croci, e di far morire l'amore proprio ; ch'è un volere noi dar più gusto a noi stessi, che a Dio. " S. Ter.
La medesima Santa tutto ciò adempì perfettamente ; e però fu dotata d'una sì sublime contemplazione, e di sì rari doni. Venendo dimandato S. Antonio Abate come mai potesse passar le notti intere in Orazione, rispose così: Io non ho mai saputo in che consistesse la vera contemplazione, sinché ho avuto riguardo a me stesso: e quando giunsi a purgar la mia mente d'ogni inquieto movimento, ed a segregare il cuore da ogni affetto terreno, allora presi a gustar quell'ammirabile frutto della divina volontà, che nella contemplazione soglion gustare le Anime purgate. Un'Anima molto illuminata scrisse così: Io ho coll'esperienza conosciuto, che per imparare la Teologia Mistica, bisogna più studiare il Crocifisso, che i libri, cioè bisogna più faticare in praticar le virtù, in imitare Gesù Cristo, ed in attendere alla purità della vita all'Orazione ed alla fedeltà in fare e patire quello che Iddio vuole da noi col morire a noi stessi, che occuparsi in molto leggere.
OTTOBRE
CONFIDENZA
Ecce ego vobiscum sum. Matth. 28. 20.
1. " Per essere Iddio una Onnipotenza infinita, niuna cosa gli è impossibile: per essere una infinita Sapienza niuna cosa gli è difficile: per essere una Bontà senza misura, ha un infinito desiderio del nostro bene. Or non ha da bastar tutto questo, per farci riporre tutta la nostra confidenza in lui. " Scupoli.
Da questo pensiero dovette esser fortemente investito quel Servo di Dio in Roma, del quale scrivono, che stando un giorno in Orazione, disse al Signore così: Signore così non vi voglio star più pensateci voi: io voglio esser esaudito. Voi, che siete il mio Padre, se non mi fate questa grazia, non ci è nessun altro, che me la possa fare. Pensate, che se per li meriti di questo Cristo non la merito, non me la concedete, che son contento ! S. Francesco di Sales era ripieno di tanta confidenza in Dio, che lo faceva viver tranquillo anche in mezzo a' maggior disastri, non potendosi, come dir solea, persuadere, che chi crede una Provvidenza infinita per tutt'i versi, non abbia a sperar bene di quanto ella permette che gli arrivi. Apparso una volta il Signore a S. Gertrude, le disse : Quella sicura confidenza, che l'uomo ha in me, credendo, che realmente posso, so, a bramo d'ajutarlo in tutte le occasioni ; quella mi ruba il cuore, e mi fa tal violenza, che non posso a meno di non favorire un'Anima tale, che, per lo piacere, che provo in vederla tanto da me dipendente, e per soddisfare al grande amore, che le porto.
2. " Iddio desidera certamente il maggior bene nostro più che non lo desideriamo noi stessi. Sa egli meglio di noi per qual via questo ci possa venire: la scelta di queste vie sta totalmente nelle mani di lui, essenso egli che dispone e regola tutto ciò che nel Mondo succede. E' dunque certissimo, che in tutti gli accidenti, che ci potranno occorrere, quello che accaderà, sarà sempre il meglio per noi. " Sales.
S. Francesco di Sales sapendo, che tutti gli accidenti grandi, e piccioli succedono per ordinazione della Divina Provvidenza si riposava in essa meglio e con più tranquillità, che non fa un bambino nel seno della Madre, e dicea, che il Signore gli aveva insegnata questa lezione sin dalla sua giovanezza ; e che, se avesse avuto a rinascere, avrebbe più che mai dispregiata l'umana prudenza, e si sarebbe lasciato interamente governare dalla divina Provvidenza.
3. " Ne vuoi la sicurtà ? Eccola. Il Signore ti dice: Io non ti abbandonerò mai ? io sarò sempre teco. Se tel promettesse un galantuomo, ti fideresti ; tel promette Iddio, e ne dubiti ? Vuoi un fondamento più sicuro, che la parola di Dio è infallibile ? e Si si. Egli l'ha promesso, l'ha scritto, ne ha impegnato la sua parola, sta pur sicuro. " S. Agost.
Nella vita di S. Rosa di Lima si racconta, ch'essendo la Madre di lei d'un naturale molto timoroso ed apprensivo de' pericoli, aveva ella tratta dal seno materno quest'istessa indole paurosa, tanto che di notte non poteva andare senza lume neppur da una stanza all'altra, fuor che per far Orazione, per la quale superava ogni paura. Or essendosi ella una sera trattenuta più del solito nella stanza di legno, che perciò s'avea fabbricata nel giardino, la Madre temendo, che le fosse avvenuto alcun male, si risolvé d'andare a trovarla, ma non bastandole l'animo d'andar sola, pregò il marito d'accompagnarla. Quando Rosa li vide, incontanente alzatasi dall'Orazione andò loro incontro ; e scusandosi della tardanza, si portò insieme con essi a casa. Ma per la via prese a dir tra se: Come ! mia Madre timorosa come io, per la compagnia del marito si tien sicura, ed io accompagnata dallo Sposo mio, che senza mai separarsi da me mi sta continuamente a' fianchi e nel mezzo al cuore, ho da temere ! Questa riflessione fece tal impressione nella sua mente, che le tolse affatto ogni timore, e da lì innanzi non ebbe mai più paura di cosa alcuna: ed in tutti gli incontri di timore dicea : non timebo mala, quoniam tu mecum es. Narra il Surio di Sant'Ugone Vescovo Lincolniense, ch'essendo una notte non poco turbato, e angustiato per un caso, che temé potergli avvenire ; dopo rientrato in sé si batté il petto, dicendo : miserabile che sei ! Iddio si è protestato d'assisterci nelle tribolazioni, e tu temi di quello che sarà ?
4. " Noi siamo certamente convinti, che le verità della fede non ci possono ingannare ; e pure non ci sappiamo indurre a fidarci di esse, e siamo più capaci di fidarci della ragioni umane, e delle apparenze ingannevoli della terra. Però questo appunto è la cagione del nostro poco avanzamento nella virtù, e del poco progresso negli affari della gloria di Dio. " S. Vincenzo de Paoli.
S. Antonio e S. Francesco non per altro arrivarono a sì alta perfezione, se non perché s'appoggiarono a quel detto del Vangelo : Se vuoi esser perfetto, vendi quanto hai, dallo ai poveri, e poi seguimi.
5. " Sì per lo proprio profitto, come per la salute altrui, è assolutamente necessario l'assuefarsi a seguire in tutto la bella luce della Fede, la quale va accompagnata da una certa unzione, che segretamente si diffonde ne' cuori. Sì, sì, altro non v'è che l'eterne verità, che sien capaci di riempirci il cuore, e condurci per la via sicura. Credete a me, che basta stabilirsi bene su di questi fondamenti divini, per arrivar in breve alla perfezione, ed a poter fare gran cose. " S. Vincenzo de Paoli.
S. Filippo Neri avanti di trattar negozj specialmente s'eran gravi, vi premettea sempre l'Orazione, per mezzo di cui acquistava tanta fiducia in Dio, che solea dire: ho avuto tempo di far Orazione, e tengo speranza sicura d'ottener dal Signore qualsivoglia grazia, che io gli domandi ; appoggiandomi tutto a quella sua promessa: Qualunque cosa domanderete nell'Orazione con viva fede, l'otterrete. Di S. Francesco si dice, che il di lui fratello vedendolo un giorno scalzo e mal coperto nel cuor dell'inverno, e tutto tremante di freddo mandogli un fanciullo, che a suo nome gli dicesse per burla, se gli voleva vendere una gocciola del suo sudore, ed il Santo rispose con allegrezza. Dite a mio fratello, che già l'ho venduto tutto al mio Dio e Signore, ed a molto buon prezzo. Il Padre d'Avila, per essere più spedito di predicare il Vangelo, professò povertà ; e dicea d'aver trovato un gran fondo in quella promessa del Signore: Quaerite primum regnum Dei, et haec omnia adjicientur vobis ; e che questa massima non l'avea mai ingannato.
6. " O signore dell'Anima mia, e chi avrà parole per dar ad intendere quello che voi date a coloro, che si fidan di voi ; e quanto per lo contrario perdono quei che arrivati sino ad estasi e ratti, se ne rimangono con se stessi ! " S. Ter.
Questa Santa dicea d'aver conosciute persone molto eminenti in virtù, ch'erano arrivate all'Orazione d'unione ; e che di poi erano state guadagnate dal Demonio ; e la causa di ciò, poter essere stata il soverchio confidare in se stesse. Poiché vedendosi l'Anima tanto vicina a Dio, e conoscendo la differenza, che passa fra' beni del Cielo, e que' della Terra, ed esperimentando l'amor grande che il Signore le mostra, nasce in lei da questi favori una tal sicurezza di non dover mai cadere dal bene, che gode ; che le pare impossibile, che una vita sì dilettevole s'abbia a cambiare colla viltà de' diletti del senso. E con tale confidenza comincia a mettersi nelle occasioni, ed a dar frutti, ma senza discrezione, e senza tassa, e misura ; non considerando, che non è ancora in termine d'uscir dal nido per volare: non essendo ancora massicce le virtù, né ella tenendo esperienza per conoscere i pericoli.
7. " L'appoggiarsi uno sopra i proprj talenti, gli è di gran danno. Poiché quando un Superiore per esempio, un Predicatore, un Confessore mette la confidenza nella propria prudenza, scienza, o spirito, allora Iddio, per fargli vedere e conoscere la sua insufficienza, gli sottrae il suo ajuto, e lo lascia operar da se. Onde accade che tutte le sue fatiche ed industrie poco o niun frutto producono. E questa è la causa, per la quale spesse volte non riusciamo ne' nostri impieghi. " S. Vinc. de Paoli.
Si vide chiaramente nel passar che fecero pel Mar Rosso gl'Israeliti e gli Egizj. Quelli posero tutta la loro confidenza in Dio, e lo passarono felicemente: questi la posero ne' loro cavalli, e vi restarono sommersi. S. Francesco di Sales maneggiava felicemente tutti gli affari che da Dio gli venivan commessi. E la cagione di ciò era perché egli non s'appoggiava mai a verun'abilità propria, ma tutto alla Santa Provvidenza ; nè mai sperava meglio di riuscire ne' negozj, che allora quando non aveva altro appoggio, che questo. S. Filippo Neri solea dire. Quando una persona si mette da se nell'occasione del peccato, e dice: non caderò, non lo commetterò, allora è segno quasi manifesto, che vi caderà con maggior danno dell'Anima sua.
8. " Sforziamoci di concepire una somma differenza di noi medesimi, e di ben fondarci in questa verità, che da noi stessi non siam buoni a niente, fuorché a gustare i disegni di Dio. Perché questo ci farà stare in un'intera dipendenza dalla condotta di lui, ed a lui ricorrere incessantemente, per avere il suo ajuto. " S. Vinc. de Paoli.
Il V. P. Daponte dicea di se, che quelle cose, che sogliono essere in altri motivi d'abbattimento, come sono l'umana fragilità, la debolezza propria, ed i proprj peccati, in lui cagionavano piuttosto confidenza maggiore ; perché fissava lo sguardo nella Bontà e Misericordia di Dio, a chi avea consegnato totalmente se stesso, e le cose sue. S. Venceslao Re di Boemia, essendogli stato rotto l'esercito, ed egli fatto prigione, fu dimandato come stesse d'animo ; ei rispose, non sono stato mai di miglior animo, che ora. Perocché quando io stava ben munito degli ajuti umani, mi mancava il tempo di pensar a Dio ; ora che me ne veggo affatto sprovveduto penso solo a Dio, e ripongo tutta la mia confidenza in lui solo, con isperanza, che non mi abbandonerà. S. Filippo Neri solea spesso dire rivolto a Dio, ed esortava anche gli altri a far lo stesso : Signore, non ti fidar di me, perché caderò al certo, se tu non m'ajuti. Ovvero: Signore, da me non aspettar altro, che male. Diceva in oltre, che parlandosi in qualche caso assente e condizionato, non bisogna mai dire: farei, direi, ma con umiltà: lo so quello che dovrei fare, quello che dovrei dire ; e non già: se quello che farei, quello che direi.
9. " Avvertite di non appoggiarvi, né molto fondarvi su l'amicizia e protezione degli uomini: perché questi da se non sono bastanti a sostenerci ; ed il Signore, quando ci vede ad essi appoggiati, si ritira da noi. " S. Vinc. de Paoli.
Questo Santo uomo non solo si guardava dal ricercare appoggi umani, ma anche venendogli spontaneamente offerti, li rifiutava. Perciò pregandolo un dì il Governatore d'una Città d'ajutarlo in Corte per un certo suo negozio, con promettere di proteggere esso i suoi Missionarj contra alcune persone, che li molestavano: il Santo gli diede questa risposta: io dove giustamente potrò, la servirò volentieri. Per conto poi degl'interessi della mia Congregazione, la supplico di lasciarli nelle mani di Dio e della Giustizia. Questo aveva egli per massima: di non voler cosa alcuna per mezzo dell'autorità e del favore degli uomini. Del medesimo sentimento era pure la B. M. di Chantal. Onde avendole scritto l'Arcivescovo di Burges suo fratello, come la Regina di Francia in occasione ch'egli fu a congratularsi seco della sua gravidanza, mostrò desiderio di esser raccomandata dalle Orazioni di lei, e di tutto il suo Ordine, dopo l'esorta a scrivere alla medesima una lettera di congratulazione, assicurandola, che S. M. l'avrebbe sommamente gradita : essa, quantunque fosse consigliata di molte persone ed interne, ed esterne a farla, non volle acconsentirvi, e si scusò col fratello su di questo pregandolo però d'assicurar la Regina, ch'ella non avrebbe mancato di raccomandarla al Signore, e di farla raccomandare da tutte le Monache della sua Religione. Ed alle sue Religiose così rispose : Non posso, né debbo farlo ; perché noi dobbiamo tenerci basse e tanto nascoste, che mai non cerchiamo umane invenzioni per conservarci l'affezione de' Grandi. Se ci studieremo in render loro i nostri doveri davanti a Dio, pregando per la loro conservazione, per li loro propsperi avvenimenti, e soprattutto per la loro salvezza ; Iddio, che ha presa la cura di noi, ci darà loro a conoscere, quando avrem bisogno della loro protezione, ed inchinerà la loro affezione verso di noi. S. Teresa disse un giorno: adesso conosco chiaramente, che con appoggiarsi agli uomini, non vi è sicurezza: poiché sono tutti stecchi di rosmarino secco, che ad ogni poco peso di mormorazione, o di contraddizione si spezzano. Il vero amico, di cui solo possiam fidarci, è Gesù Cristo. Quando io m'appoggio a lui, mi trovo con un dominio tale, che mi pare, potrei resistere a tutto il Mondo, quando anche tutto l'avessi contrario.
10. " Chi procede ne' negozj con artifizj e con raggiri, offende la Provvidenza di Dio, e si rende indegno della cura paterna. " S. Vinc. de Paoli.
Questo glorioso Santo in tutto ciò che dicea e facea si mostrava alienissimo sempre da ogni artifizio, e come era solito diceva, lasciamo i raggiri a ' prudenti del secolo. L'istesso si dice di S. Bonaventura, di S. Tommaso, di S. Carlo, di S. M. Madd. de' Pazzi, di Suor M. Crocifissa, e di altri, come altrove si è riferito: e tutti riuscivano bene ne' loro affari, ed erano per questo stesso molto stimati e favoriti non solo da Dio, ma ancora dagli uomini.
11. " Quando uno mette tutto il suo pensiero in Dio, e tutto s'appoggia a lui procurando però di servirlo fedelmente, Iddio si prende cura di lui ; ed a misura di quanto la sua confidenza è più grande, più s'estende la cura di Dio sopra di lui ; e non ci è pericolo, che gli manchi: avendo esso un amore infinito per quelle Anime, che in lui si riposano. " Sales.
Così appunto disse il Signore un giorno a S. Caterina da Siena: Tu pensa a me, ed io penserò a te, ed avrò tutta la cura delle cose tue. S. Ugone Vescovo dicea d'aver esperimentato, che quanto più egli aveva atteso a far bene e con diligenza le cose, che spettano al culto di Dio, tanto più Iddio lo provvedea delle cose necessarie. Più d'ogni altro S. Francesco faceva e tuttavia a toccar con mani questa verità con la maravigliosa provvidenza, ch'esperimentò egli, ed esperimentano giornalmente i suoi figli. Onde il viatico, ch'egli solea dare a' compagni, quando andavano in alcun luogo, era quel versetto del Salmo: Jacta super Dominum curam tuam, et ipse te enutriet. Ed avendogli il Sommo Pontefice domandato degli alimenti, rispose: Santo Padre, noi abbiamo una Madre veramente povera ; ma un Padre ricchissimo. Riferisce il Taulero, che una serva di Dio venendo richiesta da varie persone a pregare per alcuni loro bisogni, ella promettea di farlo, ma alle volte se ne scordava: pure quelle persone otteneano sempre l'intento loro, e tornavano a ringraziarla. Del che ella stupita disse un giorno al Signore: come va, Signore, che voi facciate queste grazie a costoro senza che io ve le dimandi ? ed il Signore le rispose: vedi figliuola, quell'istesso giorno che tu mi desti la volontà tua, io diedi a te la mia, e però ancorché tu alle volte non mi chiedi alcuna cosa in particolare, quando io so che tu gusteresti di essa, la faccio come se me la chiedessi.
12. " Chi serve a Dio di tutto cuore, e posponendo ogni proprio ed umano interesse, cerca solamente la sua gloria, ha da sperar sempre un buon successo delle cose sue, e maggiormente in quel tempo, in cui secondo l'uman giudizio non si vede esservi alcun rimedio ; poiché le opere del divino servizio sono sopra ogni vista dell'umana prudenza, e dipendono da più alto principio. " S. Carlo Borromeo.
Questo Santo Cardinale avea per costume di ricorrere a S. D. M. in tutte le cose sue, particolarmente col mezzo dell'Orazione ; e con questa cominciava, proseguiva, e terminava tutte le opere che faceva, e quanto più ardue e gravi erano le imprese, che abbracciava, tanto più vi mettea d'Orazione ; e avveniva, che i casi fossero non solo malagevoli, ma come disperati, egli per questo non cessava di pregar Dio ; né si ritirava un tantino, anzi si spingeva avanti con maggiore spirito e frequenza di Orazioni. Quindi è, che gli riuscirono felicemente tante grandi cose, che parevano all'umano giudizio impossibili ; con istupore di tutti. In particolare ragionando una volta il Santo con certa persona qualificata, l'andava persuadendo ad avere confidenza in Dio in ogni occorrenza, perché non abbandona mai, né anche nelle cose minute, chi in lui mette le sue speranze, e per darlene un saggio, le raccontò il seguente fatto occorso a lui poco innanzi. Disse, che il suo Preposito di casa s'era lamentato seco di trovarsi senza denari, e che non sapea come provvedere a' bisogni urgenti della casa ; e però, che lo pregava d'andar più riservato nello spendere in limosine, e nelle opere pie ; essendo per questo rispetto ridotta la casa sua a sì fatta estremità ; e ch'egli altro non rispose, se non che si fidasse di Dio, e sperasse che S. D. M. l'avrebbe soccorso ; ma non quietandosi colui a queste parole, si partì mal soddisfatto. Fra due ore arrivò un plico di lettere, nelle quali ve n'era una di cambio di tremila scudi, che gli eran mandati della pensione di Spagna, e fatto subito chiamar il Preposito, gliela diede dicendo: Pigliate modecae fidei: Ecco che il Signore non ci ha abbandonato: E soggiunse, che quella fu veramente operazione della Divina Provvidenza: poiché non aspettava allora rimessa di denari, né gli dovea esser mandata prima di due mesi avvenire. Parimenti si legge ne' processi fatti per la sua canonizzazione, che al tempo di quei gran contrasti con i Ministri regj per le controversie giuridizionali, e per quelle scomuniche fulminate contra di essi, il Governatore di Milano, con alcuni del Consiglio secreto avversi al Cardinale ebbero più volte pensiero di stabilir esecuzioni rigorose contro la persona sua: non trovandosi altra via per impedirlo dalle opere, che faceva in difesa delle ragioni della sua Chiesa: e tutte le volte che si congregavano nel regio Consiglio per venir allo stabilimento, loro si mutava il pensiero nell'animo, e le parole in bocca, non potendosi risolvere a far cosa veruna contra di lui. Del che essi medesimi restavano confusi, o soprammodo ammirati, non sapendo donde derivasse un tal cambiamento della loro volontà. Ma senza meno derivava dalla sua grande speranza e confidenza in Dio, in premio di cui Iddio benediceva tutte le di lui intraprese, e rimovendo tutti gli ostacoli, le conduceva al suo termine. Dee però avvertirsi, come ben osserva l'Autor della Vita, che una tal confidenza del Santo veniva in tutto regolata dalla Cristiana prudenza. Era egli attentissimo in guardarsi dall'estremo vizioso chiamato presunzione, non si esponea mai a' pericoli fuor di proposito, né mai tentava imprese stravaganti, e che non fossero di molto servizio di Dio, e benissimo ponderate con grave consiglio e maturità: usava le debite diligenze e precauzioni, ed in certe occasioni non rifiutava gli ajuti umani, non però come cose principali, ma come subordinate alla Divina Provvidenza. Tutto ciò si vede manifestamente ne' prudenti regolamenti, che fece nel tempo, che la peste desolava la Città di Milano ; ed in mille altre occasioni ben note.
13. " Nelle gravi necessità è tempo di far vedere, se veramente confidiamo in Dio. Credetemi che tre operaj fanno più, che dieci, quando Iddio vi mette la mano: e ve la mette, sempre che toglie i mezzi umani, e ci pone in necessità di fare cose eccedenti le nostre forze. " S. Vinc. de Paoli.
Sentendo egli un dì da Procuratore della Casa, che non aveva un soldo ; per le spese ordinarie, non che le straordinarie per li prossimi esercizj degli Ordinandi, con cuor tranquillo, e con volto allegro, tutto ripieno di fiducia in Dio, rispose: Oh che buona nuova è questa ! Sia benedetto Iddio. Adesso è il tempo di far vedere se confidiamo in lui. Oh, che i tesori della Provvidenza sono infiniti, e la nostra diffidenza la disonora. Il Re Giosafat vedendosi assalito da una gran moltitudine di nemici, rivolto a' suoi: Noi, disse, non abbiamo forze da resistere a tanti: però alziamo gli occhi a Dio, e confidiamo in lui, che ci verrà tutto in bene. E così avvenne.
14. " Se un legno arido potesse annichilarsi ed umiliarsi avanti a Dio, e poscia fosse eletto al governo, S. D. M. piuttosto darebbe a questa l'essere sensitivo ed intellettivo, che mancare al buon governo di esso. " Chantal.
Diede di questo una prova ben chiara la B. Berengaria monaca di S. Chiara. Visse ella per molto tempo in un Monastero di Portogallo sempre occupata ne' ministerj più vili della cucina ; perocché datasi in modo particolare all'umiltà, compariva zotica, e molto stolida, di modo che era divenuta la favola delle altre Suore, e riputata inetta per ogni altro ufficio della Religione. Or essendo morta la Badessa, e convenute tutte le Monache per elegger la nuova, ciascuna senza sapere una dell'altra per iscoprire nel primo scrutinio ove inclinasse la maggior parte de' voti, diede il voto suo a Berengaria, giudicando, che a questa, come affatto inabile a tal uffizio, niun'altra dovesse darlo. Ricevuti dunque il P. Presidente alla funzione i secreti bollettini delle nomine, e lettili, ritrovò, ch'era giuridicamente eletta Berengaria, e però le ordinò da parte di Dio, che salisse sulla sedia della Superiora, per ricever dalle altre secondo il costume, il primo ossequio di soggezione: onde l'umilissima Vergine fu costretta, benché con tutta sua ripugnanza a mettersi in quel posto. Ma ripugnanza anche maggiore trovossi per parte delle Monache, che borbottando contra di quella non mai creduta elezione, ricusavano di riconoscer per Superiora colei, ch'era affatto inesperta, e del tutto inetta per tal ministero. Il che vedendo la nuova Badessa, sentendosi interamente mossa dallo Spirito Santo, si rivolse verso la sepoltura, ivi situata nel mezzo del Capitolo, e comandò alle Monache defunte che si destassero, e venissero a prestarle la dovuta ubbidienza, per insegnare alle sorelle viventi l'obbligo, che aveano d'ubbidirle. Ed ecco aprirsi incontanente la sepoltura, ed uscir sette Monache una dopo l'altra, e portarsi a prestar ginocchioni ossequio e sommissione a Berengaria: e là fermarsi genuflesse a' piedi di lei alla presenza di tutto il Monastero, finché essa ordinò loro di ritornarsene nel Sepolcro a riposare in pace, come riverentemente fecero. Stordite al caso le Monache ed atterrite, corsero tutte a' piedi della Madre, le chiesero umilmente perdono del loro fallo, e le giurarono e le mantennero sempre una perfettissima soggezione ed ubbidienza.
15. " Quando s'ha da intraprendere qualche affare di servizio di Dio, dopo invocato il suo santo lume, e riconosciuta la di lui volontà ; sebbene per eseguire gli ordini della divina Provvidenza, vi si han da impiegare i mezzi umani, che si stimano necessarj e convenevoli ; non dobbiamo però appoggiarci sopra di essi ; ma unicamente sopra la divina assistenza, e da lei attendere tutto il buon successo con questa ferma persuasione, che quello che succederà sarà sempre il meglio per noi, benché a noi paja buono, o cattivo secondo il nostro particolar giudizio. " S. Vinc. de Paoli.
Egli stesso, raccomandandosi uno alle di lui Orazioni, rispose così: Sono stato tutta questa mattina occupato in negozj, sicché non ho potuto fare, se non poca Orazione, e questa ancora può sperare in questo giorno dalle mie preghiere. Questo però non mi disanima ; poiché io pongo in Dio la mia speranza, e non certamente nella mia preparazione, né in tutte le mie industrie: essendo certo che il trono della bontà, e della misericordia di Dio è innalzato sopra il fondamento delle nostre miserie. S. Ignazio Loyola in tutt'i negozj, che imprendea, facea tutto, come se il tutto dipendesse da lui: e ponea tutta la fiducia in Dio, come se tutto dipendesse da Dio.
16. " Nel provvedere agli affari e bisogni occorrenti, non bisogna lasciarsi trasportare da sollecitudine, o impresciamenti ; ma prenderne una cura ragionevole e moderata, e poi lasciarli in tutto e per tutto alla disposizione e condotta della divina provvidenza ; per darle luogo d'ordinare le cose a' suoi fini, e di manifestarci la sua volontà, tenendo per certo, che quando Iddio vuole, che riesca un negozio, la dilazione non lo guasta ; e che tanto più ci farà del suo, quanto meno ci avremo del nostro. " S. Vinc. de Paoli.
L'ordinaria pratica di lui era, avanti di valersi de' mezzi umani quantunque onesti e necessarj ricorrere a' divini, raccomandando la cosa a Dio, e starsene poi quieto, aspetando, ch'esso l'incamminasse a' suoi fini, ed alla maggiore sua gloria ; e solea dire, che la provvidenza fa, che riescano bene i negozj a chi procura di seguitarla e non prevenirla. In fatti venendo egli importunate dalle Dame della Carità, perché ritrovasse zitelle da poter istruire la Congregazione delle figlie della Carità ; difficili a trovarsi quali si richiedeano ; senza punto affannarsi si contentava di ricorrere a Dio con l'Orazione ; aspettando che la sua provvidenza si degnasse scoprirgli qualche modo di provvedere a tal bisogno.
17. " Quel tanto affrettarsi, e mettersi in pena in cercar mezzi ed ajuti, per premunirsi contra gli accidenti di questa vita, e rimediare alle traversie, che occorrono, è un gran mancamento di confidenza in Dio. Perocché prevenendo così gli ordini della di lui provvidenza mostriamo di confidare più nelle nostre diligenze che nella santa condotta di lui ; e che più si appoggiano su la prudenza umana, che sulla sua santa parola. " S. Vinc. de Paoli.
Il P. Alvarez, essendo Rettore in un Collegio povero, aveva un Ministro, che spesso veniva a dirgli con ansietà e sollecitudine i bisogni occorrenti, e ch'era necessario di badare allo stato del Collegio: ed egli chiedea se avesse raccomandato il negozio a Dio. E rispondendo quegli, che non avea tempo d'Orare. Questa, soggiungeva il buon Superiore, dee essere la prima cosa: Vada in stanza a fare un po' d'Orazione al Signore. Pensa forse lei, che questo gregge non abbia Padrone, e tale che non abbia a cuore la vita loro ? Vada in pace, e pensi, che questo non dipende dalla sua industria. Ubbidiva il Ministro, e spesso trovava provvisto al bisogno per vie, a giudizio suo, miracolose.
18. " Riconosciuta la volontà di Dio in qualche negozio, per arduo che sia, dee abbracciarsi con intrepidezza, e proseguirsi costantemente sino alla fine, per molti e grandi che sieno gli ostacoli, che vi si attraversano. Perocché la divina provvidenza non manca mai nelle cose che d'ordine suo s'intraprendono. " S. Vinc. de Paoli.
Il medesimo Santo intrapresa che avea una cosa, quale conosceva essere di voler di Dio, non la lasciava più, per qualunque opposizione vi s'interponesse. Anzi quanto a maggiori contrarietà e funesti accidenti incontrava dalla parte delle creature ; in vece di restarne disanimato, tanto maggior costanza e risoluzione mostrava in proseguirla. S. Carlo pure, quando con prudenza e maturità avea ponderati i negozj, a' quali si metteva, e giudicatili buoni per servizio di Dio, benché ad altri paressero talora irriuscibili, gli abbracciava, e li proseguiva con gran coraggio, e tutti li riducea a fine. La Beata Madre di Chantal dice di S. Francesco di Sales, che aveva un'Anima la più ardita e generosa, che avesse mai conosciuta, nel continuare le imprese inspirategli da Dio. S. Francesco Saverio ovunque vedea l'onor di Dio, là correa senza temere né difficoltà, né pericoli di sorta alcuna. Quindi è che nulla tentava, che non conseguisse, e nulla principiava, che non terminasse.
19. " Mettiamo la nostra confidenza in Dio, e stabiliamoci in una intera dipendenza dalla di lui provvidenza ; e poi non temiamo punto quello che diranno, o faranno gli uomini contra di noi, che tornerà tutto in bene nostro. Sì quando anche tutta la Terra si sollevasse contra di noi altro mai non seguirà, se non quello che piacerà al Signore in cui abbiamo riposte le nostre speranze. " S. Vinc. de Paoli.
Avendo scritto al medesimo uno de' suoi, che si faceano de' maneggi per ispiantare la sua Congregazione, e che v'erano delle persone potenti che appoggiavano quei malvagi disegni: diede questa risposta: Fondiamoci e mettiamoci bene nella totale dipendenza della S. Provvidenza, e poi non ci lasciamo ingombrare l'animo da queste inutili apprensioni ; che non si farà nulla contra il di lui santo volere. Essendo S. Gregorio, Vescovo di Girgenti, una notte calato in coro al mattutino, alcuni suoi emuli posero una femmina nel suo letto, e dopo l'uffizio lo vollero accompagnare sino alla camera: allora la donna, secondo il concertato, si mise a gridare, accusando il Vescovo di sacrilegio: per lo che restò infamato per tutta la Città, e sin condannato dal Papa alla carcere. Ma Iddio si prese la cura di lui: poiché apparendogli ivi i SS. Apostoli Pietro e Paolo, lo consolarono ; ed egli fece molti miracoli ; e la donna fu invasata, e molto tormentata dal Demonio, sinché comparsa in un Concilio di Vescovi scoprì la trama: ed allora fu ella guarita dal Santo, i malfattori condannati ad atrocissime pene, ed il Santo assolto dal Papa ; e la sua santità divulgata per tutto il Mondo.
20. " Gli animi deboli, e troppo attaccati alla propria stima, se mai vien loro imposta qualche calunnia, fanno subito rumore, e strepito, e non sanno darsi pace. Non così gli animi generosi, che altro non pretendono, che di piacere a Dio. Sanno benissimo, ch'egli vede la loro innocenza e la tiene a cuore tanto, che non lascerà di difenderli, secondo che richiede il maggior bene loro. " S. Agost.
S. Francesco di Sales scrisse a Monsignor Camus così: Mi vien avviso da Parigi, che mi taglian molto i panni addosso ; ma io spero, che Iddio me li racconcerà meglio di prima, se ciò è necessario per lo servizio. Io per me non voglio altra riputazione, se non quanta mi è necessario per questo. Posciacché, purchè Iddio sia servito, che importa, che questo si faccia colla buona, o colla cattiva fama ; coll'esaltazione, e col discredito della nostra riputazione ? Disponga egli della mia stima e del mio cuore, come a lui piace, poiché tutto è suo. E se la mia abbjezione serve alla gloria sua, non debbo io gloriarmi di essere abbjetto ? Ed un'altra volta essendo stata inventata contra di lui un'enorme calunnia in maniera d'onestà, vedendo i suoi amici, ch'egli non cercava di giustificarsi gli dissero, che dovea farlo, perché era tanto necessaria al suo ministero la sua riputazione, ei rispose, che il Signore sapea di quanto credito, egli avesse bisogno per lo ministero, e che non ne volea di più. Il V. M. di Palafox venendo una volta accusato di non aver amministrato bene il suo uffizio, per lo che gli fu ordinato il sindacato ; non volle mai difendersi ; ma rimise totalmente la sua causa nelle mani di Dio, dicendo, ch'egli ben sapea la di lui buona intenzione, ed il desiderio, che aveva avuto d'accettare ; e che però spettava alla di lui provvidenza di difendere, se così richiedea la sua gloria, chi bramò di servirlo. E così appunto succedette.
21. " Quando uno ripone tutta la sua fiducia in Dio, Iddio esercita continuamente una special protezione sopra di quello: ed in questo stato di cose egli può star sicuro, che non gli arriverà alcun male. " S. Vinc. de Paoli.
Per questo egli in tutte le afflizioni, traversie, ed altri fastidiosi accidenti, che occorreano nella persona sua, o de' suoi, non fu mai veduto abbattuto, o disanimato, ma sempre pieno di confidenza in Dio con una continua egualità di spirito, e con un continuo abbandono nella santa Provvidenza. E quel ch'è più, godea di trovarsi in tali congiunture, per potersi mettere in una più perfetta, assoluta, e totale dipendenza della Divina Volontà. Ferdinando II Imperadore sentendo parlar de' travagli occorrenti, dicea: Facciamo le parti nostre, e poi lasciamo e noi, e le cose nostre al governo di Dio, che disporrà bene ogni cosa. E quando si temea di qualche avversità, diceva: il Signore provvederà.
22. " Una volta che ci siamo posti totalmente nelle mani di Dio con un'intera confidenza di lui, non abbiamo a temere di avversità ; che se alcuna ce n'avverrà saprà egli farcela ridondare in bene nostro per vie, che ora non conosciamo, ma le conosceremo un giorno. " S. Vinc. de Paoli.
Due casi strani accaduti uno a S. Francesco di Sales, l'altro a S. Ignazio Loyola ci comprovano molto bene la verità del sentimento suddetto. Il primo essendosi portato in Roma da giovane secolare, e ritornando una sera all'albergo presso il Tevere, ove alloggiava, trovò che i suoi contendevano coll'oste, vedendo questi, che cercassero altro ospizio, perché sperava di ricavare maggior guadagno da altri ospiti, de' quali già avea ritirati gli equipaggi ; e per dar luogo a quelli, dovea mandar via il Santo Barone. Né si sarebbe terminata la contesa colle sole ingiurie, se Francesco inteso il motivo della disputa, non avesse con la sua ordinaria dolcezza ordinato a' servitori di compiacere all'oste. Convenne per tanto ritirarsi in altro luogo. Ma che ? Appena fu ritrovato il nuovo ospizio, che una dirotta pioggia gonfiando il Tevere, questo uscito dal suo letto, arrivò a quell'infelice albergo, e lo portò via con quanti vi eran dentro, senzaché neppur uno ne scampasse, non lasciando vestigio di quell'abitazione, ch'era giudicata delle migliori di Roma. S. Ignazio poi ritornando dalla visita dei Luoghi santi giunto in Cipri, trovò tre Vascelli in punto per venire in Italia. Il primo era di Turchi ; il secondo era una grande e salda nave Veneziana forte e ben armata, che parea, potesse contrastar colle più furiose procelle ; il terzo era un naviglio piccolo e vecchio, quasi roso e tarlato. Pregarono molti il padrone della nave Veneziana a ricevere in essa Ignazio per amor di Dio, innalzandoglielo molto, e spacciandoglielo per un Santo. Ma come egli intese, ch'era povero, e non avea danari per pagarlo, rispose, che se era Santo non avea bisogno di nave per passar il mare, potendolo camminar a piedi, come aveano fatto tanti altri Santi, e non volle ricevere: sicché fu costretto a mettersi nella nave vecchia, ove fu ricevuto volentieri e con molta liberalità. Partirono i tre legni in un medesimo giorno ed all'istessa ora con vento prospero, ed essendo andati avanti per un buon tratto di mare, sull'imbrunir della notte sopravvenne una furiosa tempesta ; per la quale la nave turchesca con tutta la sua gente si affondò ; la Veneziana s'incagliò nell'arena, salvandosi con grande stento la gente ; e la sola nave vecchia prese porto. Ecco come il Signore mostrò la sua protezione verso questi due servi fedeli, facendo anche per vie, che parevano inique, che uno fosse scacciato, e l'altro non ricevuto nel luogo che dovea soggiacere alle disgrazie. Giuseppe, e Giobbe è vero, che soffrirono de' molti e gravi travagli, ma quanti vantaggi ne riportarono, che mai non si sarebbero creduti di avere ?
23. " Quando ci troviamo in qualche pericolo, anche grande, non dobbiamo perderci d'animo, ma confidare molto nel Signore: perché dov'è maggiore il pericolo, ivi è anche maggiore l'ajuto di colui che si fa chiamare l'Ajutatore nella opportunità, e nella tribolazione. " S. Ambr.
Trovandosi S. Ignazio Loyola in una gran tempesta sopra una nave, nella quale si era già rotto l'albero, e tutti tremando e piangendo, stavano aspettando la morte: egli solo se ne stava allegro, e senza timore col riflesso, che venti et mare obediunt ei, e che senza licenza di lui non si levavano le tempeste, né possono affondar nessuno ; e se ciò Iddio volea far di lui, lo volea anch'esso.
24. " Si trovano alcuni tanto attaccati alla Confidenza in Dio, che non la sanno né pur lasciare ne' casi estremi, e che pajono disperati affatto. Oh quanto sono cari a Dio, e quanto vengono da lui soccorsi questi tali ! ".
Ferdinando II Imperadore, sebbene vide una volta congiurato contra di se tutto il Settentrione, ed avvisato di devastazioni, sconfitte, e perdite di Regni: non però si turbò mai, e sempre rispondeva: Iddio mi trarrà da questa tempesta. Né restò deluso, perché quando il caso parea più disperato, ebbe un insigne vittoria. Qual caso più disperato di quello di Susanna, accusata, condannata, condotta alla morte ? E pure ella confidò nel Signore ; e ne fu liberata.
25. " Chi non si perde d'animo nelle avversità improvvise, ma subito ricorre con confidenza a Dio, mostra di esser ben radicato in questa virtù. " Rodr.
Si trova nelle vite de' PP. che S. Colombano un giorno standosene spensierato, si vide venire incontro dodici lupi, che lo cinsero d'intorno, e per fino accostaron le bocche alle di lui vesti, ed egli senza punto turbarsi altro non fece, che invocare Dio con gran confidenza con quelle parole, Deus in adjutorium meum intende, Domine, ad adjuvandum me festina, alle quali voci i lupi incontanente fuggirono. Fu dimandato all'Abate Teodoro, uomo di gran virtù ; sentendo in un subito romori, e strepiti grandi, avrebbe avuta paura: no, rispose, se il Mondo rovinasse, ed il Cielo si unisse con la Terra, Teodoro non temerebbe.
26. " La Confidenza dell'Anima Cristiana sta riposta nel perfetto abbandonamento in Dio oltra, e sopra ogni vista della prudenza umana. Oh, che gran felicità camminare in questa perfetta dipendenza della sovrana Provvidenza, dimorandosene continuamente sotto la divina protezione. " La B. di Chantal.
Tale fu la Confidenza d'Abramo, il quale sperava doversi spargere la sua generazione sopra tutta la Terra, secondo la divina promessa, benché per ordine dell'istesso Dio sacrificasse a lui la vita del suo unico figlio, mentre per la sua età avanzata non era più capace d'averne. Tale ancora fu quella del Santo Giobbe, il quale afflitto nel corpo, privato de' figli, spogliato de' beni, e deriso dagli amici, diceva: Ancorché egli m'uccidesse, io spererò sempre in lui.
27. " Chi si pone interamente in braccio alla Provvidenza, e si lascia da essa reggere, va con tutte le sue croci in carrozza senza quasi sentirne il peso. Chi fa diversamente, va a piedi, strascinandole con fatica e pena. " S. Basil.
Ferdinando II Imperatore dicea così di se: I travagli e le molestie mi avrebbero da gran tempo estinto, se io non avessi abbandonato tutte le cose mie e me stesso alla Provvidenza. In una Città d'Italia eravi una giovinetta povera, la quale giaceva in un letto molto miserabilmente, ed afflitta da molte infermità: e pure venendo visitata si mostrava sempre allegra: sentendo poi, che si temeva una gran carestia, non s'affliggeva punto. Or fu richiesta, come potesse star allegra tra tante miserie, rispose ella, che tutt'i suoi pensieri erano collocati in Dio, e ch'essa se ne stava come un uccelletto sopra le ali della Provvidenza divina: e perciò non temea, né si turbava di niente.
28. " Il servo di Dio non dee temere di cosa alcuna, ed ha da stimar poco fin gli stessi Demonj i quali in ogni volta che ne facciamo poco conto, rimangono senza forza ; e l'Anima assai più padrona. Se il Signore è potente, e quelli sono gli schiavi, che male possono essi fare a quei, che sono servi di un sì gran Re e Signore ? " S. Ter.
La medesima Santa attesta di se, che era tanto timida, che spesso neppur di giorno usava star sola in una stanza: ma che un giorno considerando quanto grand'inconveniente sia l'andar un'Anima avvilita e timorosa d'altro che di offendere Dio, mentre abbiamo un Signore sì potente, e sì grande, che tutto regge ; e tutte le creature, per fin gli stessi Demonj sono a lui soggetti ; e ch'ella desiderava di servire a questo Signore, ed altro non pretendea, che di dar gusto a lui, e fare la sua volontà ; prese a dir tra di sé: Di che temo ? di che ho paura ? e poi prese in mano una Croce, si mise a sfidar i Demonj dicendo: Venite ora tutti, ch'essendo io serva del Signore, voglio vedere ciò che mi potete fare. Dopo ciò, soggiunse, che si sentì tutta incoraggiata, e che se le levarono tutt'i timori: talmente che, sebbene di poi le accadde di veder più volte i Demonj non però n'ebbe più alcuna paura ; e che anzi le parea ch'avessero paura di lei: a segno, che le restò un dominio tale sopra di loro, che non gli stimava più che se fossero mosche. Essendo una serva di Dio molto flagellata da Demonj, ella altro non facea, che cantar allegramente il Salmo: Laudate pueri Dominum. Del che sdegnati gli avversarj le accrescevano i tormenti, ed ella se ne rideva dicendo: io vi tengo per niente, formichelle: ho il mio Signore con me, e niente temo di voi.
29. " Per molti peccati anche gravi, e imperfezioni, che uno abbia fatte, o faccia ; non dee mai disperare della sua salute, né perdere la confidenza in Dio. Perché la divina clemenza è infinitamente maggiore della umana malizia. " S. Gio. Crisost.
Essendo S. Bernardo gravemente infermo, fu rapito in ispirito, parendogli d'esser condotto al Giudizio, ed ivi tentato di disperazione dal Demonio, al quale egli rispose: Confesso, che per le opere mie non mi si dee il Paradiso ; perché mi conosco indegnissimo d'un tanto bene: nondimeno il mio Signore l'ha ottenuto per due capi ; uno per esser egli Figlio di Dio ; l'altro per esser morto su la Croce. Or esso per se si contenta del primo, e l'altro lo dona a me. E per questo motivo io lo spero. Fu ammirabile in questo la confidenza di S. Vincenzo Ferreri. Avvisato egli un giorno, che un moribondo per la considerazione de' suoi gran peccati era caduto in disperazione, e perciò ricusava di confessarsi, vi accorse con gran confidenza di ridurlo, e là giunto: perché Fratello mio, disse, sapendo tu che G. C. è morto per te, vuoi disperare della sua misericordia ? Questo è un grave affronto che tu fai alla gran bontà ; ch'egli ha avuto per te. E l'infermo maggiormente alterato da queste stesse parole: per questo appunto, rispose, mi voglio dannare, per far dispetto a Cristo ; e a dispetto tuo ti salverai, ripigliò il Santo. Indi rivolto agli astanti: Recitiamo, disse, il S. Rosario alla Vergine, per impetrar da lei la conversione di quest'ostinatissimo peccatore. E ben volle il Signore mostrare quanto avesse gradita la generosa confidenza del suo servo: poiché prima che si terminasse il Rosario, si vide riempir quella camera d'una immensa luce, e comparir la gran Madre di Dio col S. Bambino in braccio tutto asperso di sangue. A tal vista intenerito, compunto e convertito quel gran peccatore si confessò con gran compunzione di cuore, e poco dopo con un giubilo di Paradiso in volto spirò l'Anima nelle mani di Dio. Narra il Blosio di S. Geltrude, che un giorno stava tra se pensando qual cosa tra tante, che avea apprese dal Signore, potesse ella manifestare agli uomini per loro maggiore utilità: e che s'intese dir da lui nell'interno, che sarebbe cosa loro utilissima il sapere, ed aver sempre nella memoria, che io sto di continuo avanti al padre mio intercedendo per la loro salvezza ; e che ogni qualvolta essi per umana fragilità macchino i cuori loro con mali pensieri, offro a lui per espiazione di quelli il mio mondissimo cuore ; e quando fanno peccati di opere, io gli offro le mani mie traforate: e così in qualunque cosa difettano, io subito cerco di placare il divin Padre, affinché potendosi essi, ne possan ottenere il perdono.
30. " In somma se vogliam far bene i nostri affari, e provvedere a tutt'i nostri bisogni, dobbiamo di tempo in tempo mirare Dio, come fanno quei che navigano, i quali, per arrivare al luogo che desiderano, miran più in alto verso il Cielo, che abbasso ove vogano. " S. Franc. Sales.
Per comprovare la verità di questo sentimento, basta dare un'occhiata agli esempj del medesimo Santo, e di tanti altri, che si son riferiti in tutto questo mese, senza che vi sia bisogno riferirne de' nuovi. Resterebbe a dire della Confidenza, da praticarsi nelle tentazioni, e nelle aridità di spirito. Ma perché questo è un punto di somma importanza, che non può racchiudersi in pochi versi ; si è stimato a proposito formarne un piccolo trattato a parte, che si porrà in fine nell'Appendice ; e sarà di molto sollievo, e vantaggio per chiunque patisce di somiglianti tribolazioni. Intanto per avere presente allo spirito un santo pensiero per questa giornata sull'indicato soggetto, considerate queste parole dell'Apostolo, e siano esse la vostra familiare giaculatoria in tutte le tribolazioni che soffrite: In fide vivo Filii Dei, qui dilexit me, et tradidit semetipsum pro me. Io vivo nella confidenza, nella protezione, nell'amore del Figliuolo di Dio, che mi ama, e mi ha tanto amato, che si è fatto uomo, ed è morto crocifisso per me.
31. " La certezza dell'amor divino a nostro favore ci deve inspirare la fiducia e confidenza in Dio: e questa confidenza istessa ci farà meritare il detto amore. " G. A.
La nostra confidenza in Dio dev'esser grandissima, ma non deve degenerare in vana presunzione la quale non pregiudica meno che la mancanza di confidenza. Noi adunque studiamo alla meglio l'amor di Dio verso di noi, acquistiamo una perfetta confidenza in Dio, e questi saranno due grandi passi per la nostra eterna salute. ( Sappi di certo, o caro lettore, e persuaditi, che qui confidit in Domino non confudetur. L'Edit. )
NOVEMBRE
CARITA'
Hoc est maximum et primum mandatum: Diliges Diminum Deum tuum ex toto corde tuo ; secundum autem simil est huic: Diliges Proximum tuum sicut te ipsum. Matth. 22. 38.
1. " Dio mio, e Signor mio, che bisogno vi era, che voi ci faceste un precetto d'amarvi ? Non siete voi forse amabilissimo per le vostre infinite perfezioni ? E per l'infinito amore, che a noi portate, non vi meritate voi tutto il nostro amore ? Or com'è possibile, che si trovi alcuno, che non v'ami ? Se vi è, sarà, perché non merita di conoscervi. Perché un'Anima che conosce Dio, non può non amarlo, ed amarlo a misura nella cognizione, che ne ha: tanto che, se l'ama poco, è segno, che poco lo conosce, e quanto più crescerà nella cognizione di lui, tanto più ancora andrà crescendo col di lui amore. " S. Ter.
Un'Anima molto elevata diede al suo Direttore la seguente relazione del suo interno. Padre mio, gran fuoco s'accende nell'Anima quando nel tempo dell'Orazione ella vede con una chiara intelligenza, che la SS. Umanità del Signore le fa conoscere quanto egli meriti che l'amiamo, per lo molto, che ci ama ; mentre ci ama con quell'istesso amore, col quale ama se stesso. E ce lo mostra. 1. Con quel tanto, che ha fatto, e continuamente fa per noi. 2. Per lo gran desiderio che ha di essere da noi amato dimostrandocelo con tanti suoi sorprendenti tratti amorosi ; e standosene come in uno stato violento ; perché si vorrebbe a noi comunicare, e darsi a conoscere per farsi amare: ma non trovando l'accesso per mancanza delle disposizioni, non può. 3. Per pazienza, con cui soffre l'incorrispondenza d'amore, che incontra nelle sue creature tanto amate da lui ; seguitando egli con tutto ciò ad amarle incessantemente. Or l'Anima a questi lumi esce subito in diversi affetti, or di stupore maravigliandosi, come la divina Maestà si contenti, che la creatura sia amata con un amore infinito, ed il Creatore, e Signore con un amore finito e limitato: ora d'amore, ma d'amor eccessivo, che la strugge e consuma ; e vorrebbe un cuore di Serafino, per ardere e bruciare nell'amor del suo Dio ; anzi vorrebbe amarlo con quell'istesso amore, con cui si vede da lui amata: ora d'afflizione insoffribile, per vedersi priva della cognizione e dell'amor di Dio ; che sono il sommo d'ogni sua perfezione, e l'innalzerebbero a S. D. M., il che ella tanto desidera. Cresce ancor più questa pena per una nuova cognizione, con cui il Signore le fa intendere, che il non amarlo è un positivo disprezzo della sua Potenza, Sapienza, Carità, e Bontà, e di tante cose ammirabili, che ha fatte e patite per lei. Oh dove si trova e come non s'annichila ella a questo lume ! Assicuratevi Padre, che quando Iddio mi ha posta nella vista di quel gran disprezzo, che ho usato al mio Amore, quando non l'ho amato, io non so come si viva: al certo, che se egli non mi avesse tenuta sospesa da' sensi, io sarei morta ipso facto. Ora finalmente s'accende l'Anima d'ardenti brame e desiderj, che sia conosciuto il suo amato, e porge acclamazioni e suppliche a quell'infinita Bontà, acciò si faccia conoscere per essere amata: ed ella si esibisce pronta a cooperare in ajuto e profitto delle Anime in quel modo, che sarà grato a S. D. M.. Così si è fatto sentire l'amante Signore a me sua vilissima ed indegnissima serva. E quando egli per sua misericordia mi ha compartite alcune di queste grazie, anche fuori dell'orazione anzi talvolta nell'atto di conversazione, e degli esercizj manuali, sono rimasta rapita e così alienata da' sensi, che per lo più avendomi in quel tempo parlato di molte cose le sorelle, non ho saputo cosa m'avessero detto, eccetto però se mi ha parlato la Superiora d'affari d'ubbidienza. Il B. Jacopone non si dava pace in vedere gli uomini perduti nelle offese di Dio nel tempo del carnevale, e però andava gridando: Amor non amatur, amor non amatur, quia non cognoscitur. E San Filippo Neri spesso andava esclamando: Signore, io non t'amo, perché non ti conosco.
2. " Quando uno è arrivato a porre totalmente il suo cuore in Dio, perde l'affetto a tutte le altre cose, ed in niuna trova più consolazione, e di niun'altra più sicura, fuorché di Dio, dimenticandosi del proprio interesse. " S. Ter.
Quando v'è qualche cosa creata, che mi dà consolazione e gusto io, dicea S. Bernardo, non ardisco di dire, che l'amor di Dio è in me ardente e infervorato. E la Santa Regina Ester nel mezzo delle sue pompe e fasto reale: Signore, dicea, tu ben sai che non mi han dato gusto né la corona, né la maestà ed apparato regio, né i banchetti del Re, né in verun'altra cosa ho io avuta consolazione alcuna sin al giorno d'oggi, che in te, Signore e Dio mio. La B. Caterina da Genova, ferita una volta dalla saetta del divino amore, andava gridando: non più Mondo, non più piaceri. E se allora fosse stata padrona di mille Mondi ; gli avrebbe tutti gettati via per dar tutto il suo cuore a Dio. S. Ignazio Loyola arrivò tant'oltre in questo che avea perduto l'affetto ad ogni cosa, che non fosse Dio, e niente altro avea nel cuore, che di piacere a lui, e di guadagnarsi l'affetto suo. Onde disse un giorno, che se Iddio avesse posto in sua elezione, d'andarsene allora a dirittura in Paradiso, o di fermarsi più nel Mondo per servirlo, e farlo servire dagli altri, anche con incertezza della sua salute, avrebbe eletto piuttosto il secondo, che il primo.
3. " Ahimé ! Non abbiamo tanto amore quanto ci bisogna: voglio dire, che bisognerebbe che l'avessimo infinito, per averne abbastanza per amare a dovere il nostro Dio ; e con tutto ciò miserabili che siamo lo gettiamo via prodigamente, in cose vili e vane, come se n'avessimo d'avanzo. " Sales.
Questo buon Santo non potea soffrir nel suo cuore affetto a veruna cosa. Ond'è, che disse un giorno: Certamente se io conoscessi un sol filo d'affetto nell'Anima mia, che non fosse di Dio, o per Dio, incontanente lo troncherei. Perché vorrei esser piuttosto un nulla, che non esser tutto di Dio senz'alcuna eccezione. S. Filippo Neri bruciando in quelle fiamme amorose, andava spesso gridando: com'è possibile, che uno, il quale crede in Dio, possa amare altro che Dio: E come, lagnandosi con lo stesso Dio, esclamava: Signore essendo voi tanto amabile, ed avendomi comandato d'amarvi ; perché poi m'avete dato un sol cuore, e questo sì picciolo ? S. Agostino per indurre l'Anima sua a radunare tutto il suo amore in Dio, così l'andava stimolando: Che cosa è mai in questo Mondo, che ti possa piacere, e che possa guadagnarsi il tuo amore ? dovunque ti volgi, non vedi altro che Cielo e Terra. Se nell'uno e nell'altro luogo tu trovi cosa degna di lode e d'amore, quanta lode e di qual amore dee esser degno colui, che ha fatto queste cose, che lodi ed ami ? Anima mia finora già sei stata lungamente occupata, e sbattuta quà e là da molte, e varj desiderj, che t'impiegarono il cuore, e lo divisero in molti amori: lasciandoti sempre inquieta, e non mai sicura. Raccogliti ora un poco in te stessa, e chiedi a quelle cose, che ti piaceano, chi sia l'autore loro: e giacché ammiri la fabbrica, ama il Fabbricatore: né t'immerger tanto in ciò ch'è fatto, che ti dimentichi di colui che lo fece. Ah si, si mio Dio, tu sei certamente degno di esser riverito ed amato sopra ogni altra cosa della Terra e del Cielo. Anzi tutte le altre cose transitorie non meritano di esser punto amate, per non perdere l'amore tuo, ecc.
4. " L'Anima, che ama daddovero Iddio, in sapere, che una cosa sia di maggior perfezione e servizio di lui, per lo contento, che prova in dargli gusto, l'eseguisce subito, e senza pena. Ah mio Dio, che non vi bisogna altro, che amarvi davvero, e lasciar davvero ogni cosa per amor vostro, acciò Voi rendiate il tutto facile ! " S. Ter.
Così faceva ella: onde disse una volta: Sebbene io desiderassi la nuova riforma, per allontanarmi da tutto, e seguire la mia vocazione con più perfezione ; di tal maniera però la desidero, che quanto avessi inteso, e conosciuto essere di maggior servizio di Dio il lasciarla del tutto, l'avrei certamente fatto con ogni tranquillità e pace. Perché nel conoscer io, o sapere che una cosa sia di maggior perfezione, e servizio del Signore: mi quieto, e col contento, che provo in dargli gusto, mi passa subito la pena di lasciar qualunque cosa di mia soddisfazione. E questo tanto era vero che per non mancarci mai volle obbligarci con voto di far sempre quel che avrebbe conosciuto esser più perfetto e di maggior gusto del Signore. Questo medesimo voto si legge aver parimenti fatto S. Andrea Avellino, e la B. M. di Chantal. Di S. Ignazio Loyola già si sa, che non solo cercava in ogni cosa la gloria di Dio, ma la maggiore, che potesse. Onde è, che la Chiesa nell'orazione, che per lui ordinò, questo mise come per suo proprio carattere e distintivo ; averlo Dio eletto per propagar la di lui maggior gloria.
5. " Quando l'amor di Dio s'è impadronito d'un Anima, produce in essa un'insansiabile brama d'operar per l'amato: tanto che per molte e grandi opere che faccia, e per molto tempo che spendea per suo servizio, tutto le sembra nulla ; e sempre s'affligge di far poco per lo suo Dio: e se le fosse lecito di sfarsi, e morir per lui, ne resterebbe molto consolata. Onde è che ella si tien sempre per inutile in tutto ciò che fa, e le pare di vivere oziosamente ; perché insegandole l'Amore quel che Iddio merita, a quel chiaro lume vede tutt'i difetti ed imperfezioni delle sue azioni ; e così da tutto cava confusione, e pena: conoscendo, essere molto basso il suo modo d'operare per un sì gran Signore. Ed in questo grado sta ella molto lontana dall'aver vanagloria e presunzione, e dal condannare gli altri. " S. Gio. Crisost.
S. Vincenzo de Paoli era non meno instancabile, che insaziabile d'operare per Dio, e rendersi accetto nel di lui cospetto: né si credea d'aver mai fatto abbastanza per un Signore sì grande ; ma ad imitazione dell'Apostolo ponendo sempre in oblio quanto di bene fatto avea per l'addietro, mettea tutto il pensiero e studio suo in avanzarsi ogni dì nel di lui servizio. Fu ammirabile in questo S. Carlo, il quale ebbe sempre, finché visse, un insaziabile desiderio d'onorar Dio, e di promuovere ed accrescere il di lui culto, che lo spingeva ad operare senza mai stancarsi ; anzi mostrandosi sempre più fresco un giorno che l'altro nelle fatiche, succedendosi l'una all'altra senz'alcuna intermissione, di modo tale, che cadendo sovente per terra i suoi Ministri per la stanchezza, egli non diede mai minimo indizio, come se le fatiche gli servissero di ricreazione e di sollievo. E quello che è più, con tante e sì grandi opere da lui fatte in servizio di Dio, non mai mostravasi contento di ciò che avea fatto ; ma andava continuamente inventando nuove maniere d'operare ; né mai pensava ad altro: né di altro parlava, che di Dio, e di cose spettanti all'onore e servizio di suo Dio.
6. " Giunto che uno è al perfetto amore di Dio, diviene come se fosse un sol uomo sopra la Terra. Non cura più la gloria, né la ignominia: disprezza le tentazioni, ed i patimenti: perde il gusto e l'appetito di tutte le cose. E non trovando appoggio, né consolazione, né riposo in cosa alcuna, va incessantemente in cerca dell'Amato, senza mai stancarsi, di modo che, e quando lavora, e quando mangia, e quando veglia, e quando dorme, ed in ogni sua operazione e discorso, tutto il suo pensiero, e tutto il suo studio è di ritrovare l'Amato: perché ivi ha egli il suo cuore, ov'è il suo tesoro. In una parola è come un innamorato, il quale altro non sospira, che il volto della sua amata, e la sua amata è il suo tutto. " S. Gio. Crisost.
Zenone Monaco, assorto un dì in contemplazione, andava girando qua e là a guisa di fanatico, quando incontratosi nell'Imperadore Macedonio, e richiesto da lui che facesse, rispose: e tu che vai facendo per qua ? Vado a caccia, disse l'Imperatore ; ed egli: Ed io vado cercando Dio, e non mi fermerò finché non l'abbia trovato. E ciò detto gli voltò le spalle, e lasciollo. Il P. Raimondo Lullo era tanto internato nel Divino Amore, che tutto il suo negozio era l'amore, non sapea né pensare, né parlare d'altro, che di questo. Onde se alcuno gli dimandava, di chi sei tu ? Rispondea, dell'Amore: da dove vieni ? dall'Amore: dove vai ? all'Amore: chi t'ha condotto qua ? l'Amore. S. Onofrio Ab. Lirinense vivea tanto innamorato di Dio, e tanto cercava l'ossequio e la gloria di lui, che non solo di giorno, ma anche di notte tutt'i suoi pensieri, ed affetti erano indirizzati a lui per fin dormendo facea de' brevi e ferventi discorsi circa l'obbligo, ed il modo d'amare Dio e tutt'i suoi sogni d'altro non erano, che dell'amor di Dio, della pietà e divozione. Questo stesso era il tenor di vita tenuta dal glorioso S. Vincenzo Ferreri, del quale scrivono che avea sempre il cuore e la mente pieni di Dio. Pensava sempre a Dio, non parlava mai che di Dio, o con Dio, di modo che, e camminando, e sedendo, studiando, e discorrendo, sembrava sempre assorto in Dio ; il cui amore gli compariva nella bocca, nel volto, negli occhi, ed in tutt'i suoi sentimenti in ogni luogo e tempo, quando anche dormiva: poiché in tal'occasione fu da varj più volte osservato per le fessure della porta della camera, ove stava dormendo, tutto illuminato da un maraviglioso splendore, che usciva dalla sua faccia. Sembrano incredibili gli eccessivi ardori, che patirono di questo santo fuoco molte Anime sante. Scrivono, essere stati sì grandi in S. Luigi Gonzaga, che compariva col volto tutto infiammato: i S. Caterina da Siena, che fuoco naturale le parea piuttosto freddo, che caldo ; in S. Pietro d'Alcantara, che immergendosi negli stagni gelati, li facea bollire, come se vi fosse stato posto un ferro rovente ; in S. Francesco di Paola, che con accostare un dito alle lampade estinte, incontanente si accendeano, come se vi avesse accostata una torcia ardente ; nella V. Suor Maria Villani, che ad una sola girata o di pensiero nel suo interno a Dio, o di occhi nell'esterno a qualche santa Immagine, sentendosi subito come abbruciare, si dava a bere acqua fresca, e ne bevea fin a 35 e 45 libbre al giorno ; senza poter estinguer la grande arsura ; e l'acqua nel calar dentro, parea che cadesse sopra un ferro infocato: onde le fu di bisogno lasciare le orazioni vocali e tutte le sue solite particolari divozioni, ognuna delle quali le serviva come di soffietto per porla in un grande incendio. Ed in S. Filippo Neri, che una notte fra le altre stando nelle Catacombe, gettatosi per terra esclamava: non posso più, non posso più reggere, e ritornato in se, trovò, che se gli erano inarcate due coste nel petto per gli sbalzi del cuore. Ma non si debbono qui accennare alla rinfusa due fatti celebri. Uno è di S. M. Madd. de Pazzi, la quale pativa frequentemente di tali eccessi. Ma un giorno fra gli altri trovandosi accesa più del solito, si mise a correre prima per li corridori, e poi per lo giardino: e quante sorelle incontrava, prendendole per la mano, e stringendole forte, dicea. Sorelle amate voi l'Amore ? Come fate a poter vivere ? Non vi sentite voi consumare per Amore ? e dopo d'aver gridato un pezzo di questa maniera, si portò nel campanile, e si pose a sonare con gran fretta le campane a festa. Dove accorse tutte le Monache, e richiesta perché sonasse: suono, rispose, perché venga la gente ad amare l'Amore, dal quale è tanto amata. L'altro fatto accadde ne' tempi di S. Luigi Re di Francia, ne' quali un suo Ambasciatore incontrò un dì un Tolemaide una donna, che camminava per la Città con un vaso d'acqua nella destra, e con una torcia accesa nella sinistra, e sospirando gridava: oh Dio, oh Dio ! E ' possibile ! E richiesta dall'Ambasciatore che cosa volesse fare, rispose: Vorrei se fosse in piacer di Dio con quest'acqua estinguer l'inferno, e con questa torcia dar fuoco al Paradiso ; affinché Iddio fosse amato per puro Amore.
7. " Si dee avvertire, che il perfetto Amore di Dio non istà in questi gusti, lagrime, e sentimenti di divozione, che per lo più noi desideriamo: ma in una forte determinazione, e vivo desiderio di dar gusto a Dio in tutte le cose, ed in procurare per quanto si può di non l'offendere, e di promuovere la sua gloria. " S. Ter.
Avea ben compresa questa gran verità la B. M. di Chantal, la quale avendo inteso, che una sua Religiosa era tenuta per un'Anima ripiena d'amor di Dio, perché godea molte straordinarie consolazioni, scrisse così alla di lei Superiora. Cotesta buona figliuola ha molto bisogno d'esser disingannata. Ella si crede tanto elevata nell'amor di Dio, e nulla di meno non è molto sublime in virtù. Io credo, che quei calori e quegli assalti, ch'ella sente, sieno opere della natura e dell'amor proprio. Per lo che bisogna farle sapere, che la vera sodezza dell'amore non consiste nel gustare le divine soavità, ma bensì nell'esatta osservanza delle regole, e nella pratica fedele delle sode virtù: cioè nell'umiliarsi, nell'amare il proprio disprezzo, nel sopportar le ingiurie e le avversità, in una dimenticanza di se stessa, ed in un amore, con che non si curi d'esser conosciuta da altri, fuorché da Dio. Questo solo è amar davvero, e questi sono i contrassegni infallibili del vero amore. Iddio ci preservi da quell'amore sensibile, che ci lascia vivere in noi stesse: poiché il vero amore conduce alla morte. Tale fu l'amore di S. Tommaso d'Aquino, del quale si attesta, che avea sempre mantenuta l'Anima sua pura e netta come quella di un fanciullo di cinque anni.
8. " L'amor di Dio, è l'albero della vita in mezzo al Paradiso Terrestre, il quale tiene, come tutti gli altri alberi, sei parti: cioè radici, tronco, rami, frondi, fiori, e frutti. Le radici sono le virtù, per mezzo di cui s'acquista esso amore ; e le principali sono nove: 1. Vera penitenza, e frequenza de' Sacramenti. 2. Osservanza de' comandamenti e delle regole. 3. Timor di Dio. 4. Mortificazione delle passioni e degli appetiti. 5. Ritiramento, e riguardo dalle occasioni. 6. Esame di coscienza. 7. Umiltà. 8. Ubbidienza. 9. Misericordia verso i prossimi. Il tronco poi è l'arredamento della nostra volontà alla volontà di Dio. I rami si raccolgono da quelle parole: sub umbra illius, quem desidera veram, sedi ; ed il primo di questi è la Fede viva, pel cui mezzo l'Anima mira da vicino il Sole di Giustizia senz'abbagliarsi: il 2. la vera Confidenza nella Divina protezione, per ragion di cui può stare tra le avversità senz'abbattersi: il 3. sono gli ardenti desiderj, ed i fermi propositi, e gli altri atti interni, ch'ella sia continuamente facendo, per arrivar al vero amore: il 4. è la costanza con cui si mette a sedere sotto questo albero. Le frondi sono: 1. le nove grazie gratis date: 2. le dolcezze interne, giubili, allegrezze spirituali, tenerezze, lagrime, e cose simili: 3. i ratti, e l'estasi, dichiarati in quelle parole: Introduxit me Rex in cellam vinariam. Tutte queste cose si dicono frondi, perché servono d'ornamento all'albero ; e giovano allo stagionamento de' frutti ; e nell'inverno delle aridità e tribolazioni se ne cadono appunto come le foglie dell'albero, restandosene l'amor di Dio. I fiori sono le opere e le virtù eroiche, che l'Anima innammorata produce, e quel che chiese la sposa, con dire: Fulcite me floribus. I Frutti sono i travagli, le afflizioni, e le persecuzioni, che l'Anima sopporta con pazienza, quando Iddio gliele dà, o se le procura essa da se per maggiormente servirlo, e per imitar Gesù Cristo nel patire. " S. Ter.
Non è maraviglia, che, la Santa abbia saputo descriver così bene questo santo albero, perché lo teneva ben piantato nel suo cuore, ben adornato in tutte le sue parti. Questa medesima idea avea dell'amore, una buona monaca in Napoli detta Suor Maria di Santiago, nella cui vita si legge, che lo considerava come una nobilissima pianta posta nel bel suolo di quelle Anime, che lo posseggono ; fecondissima di fiori, e di frutti di sante operazioni, ed uno de' principali, diceva essere l'amor del prossimo, del qual ella tanto abbondava ; perché tenea ben radicata questa bella pianta del divino amore nell'Anima sua.
9. " Alcuni si tormentano in cercar mezzi per trovar l'arte d'amare Dio, e non sanno i poverini, che non vi è altr'arte, né altro mezzo che amarlo ; cioè mettersi nella pratica di quelle cose, che a lui sono grate. " Sales.
S. Vincenzo de Paoli si mise eccellentemente in questa santa pratica essendosi dato all'osservanza della santa Legge con tanta esattezza, che quelli, che l'osservavano più da vicino, assicurano, che sarebbe bisognato di non esser uomo, per mancarvi meno di lui. Poiché stava continuamente sopra di se ; mortificato nelle sue passioni, retto ne' suoi giudizj, circospetto nelle sue parole, prudente nella sua condotta, puntuale nelle pratiche di pietà ; e sì perfettamente unito a Dio, per quanto dall'esterno si potea giudicare, che ben si vedea, esser l'amor di Dio quello, che animava il suo cuore, e che regnava in tutte le potenze, e sentimenti dell'Anima sua, per regolare ogni suo movimento ed operazione ; tantocché si può dire, essere stata tutta la vita sua un sacrificio continuo, che a Dio facea non solo degli onori, comodi, piaceri, e di tutti gli altri beni del Mondo ; ma ancora di tutto quello che avea ricevuto dalla sua liberalissima mano, come lumi, affetti, desiderj, e tutto ciò, che cader potea sotto la sua disposizione. Né altra brama ebbe mai, se non che Dio fosse conosciuto, e glorificato perfettamente, e adempiuta la di lui volontà in ogni luogo e tempo, e da ogni genere di persone. Al qual unico fine era sempre indirizzato tutto ciò, ch'egli pensava, dicea, e faceva.
10. " L'amor di Dio s'acquista con risolversi la persona d'operare e patire per Dio, ed astenersi da tutte quelle cose che gli dispiacciono ; ed effettuarlo poi nelle occasioni. E per poterlo meglio fare nelle cose grandi, bisogna avvezzarsi nelle piccole. " S. Ter.
Questa Santa essendo molto contrariata nelle sue fondazioni, disse che non facea cosa alcuna, che non fosse con il parere di persone dotte per non andar punto contra l'ubbidienza. Perché, soggiunse, per una minima imperfezione, che vi avessero detto esservi, è certissimo, che avrei lasciati mille Monasteri, non che uno. S. Vincenzo de Paoli si mostrò in questo molto insigne. Poiché per non aver voluto acconsentire a cose anche minime contra la giustizia, semplicità, e carità ; dovette soffrir molte male risposte, dimande indiscrete, rimproveri, affronti, importunità, con altri incomodi, e mancanze, e picciole e grandi commesse contra di lui e dagl'interni, e dagli esterni. Ne' quali casi non fu mai veduto dar segno d'impazienza, o profferir parola di lamento ma anzi per meglio mostrare la fortezza del suo amore verso Dio, allora operava e parlava con maggior dolcezza, e tranquillità.
11. " Una maniera ottima per esercitarsi nell'amore di Gesù Cristo, è assuefarsi ad averlo sempre presente per quanto si può. Il che si può fare in tre modi. 1. Quando si ha da far qualche azione, rappresentarsi il modo, con cui la faceva egli, allorché dimorava nel Mondo, ed insieme lo spirito ed intenzione, con cui egli l'animava, per imitarlo. 2. Pensare, come egli ci sta mirando continuamente dal Cielo, e spargendo sopra di noi l'abbondanza delle sue grazie e consigli. 3. Riconoscendo in ogni nostro prossimo la persona di lui. In questa maniera noi faremo con più facilità e perfezione le nostre azioni ; schiveremo molti difetti, inquietudini, ed impazienze ; ed in ogni servizio, che faremo al prossimo, meriteremo tanto, quanto se lo facessimo all'istesso Signore. " S. Vincenzo de Paoli.
Così in fatti praticava egli stesso, che si rese tanto celebre nell'amor di Gesù. Non intraprendeva affari, non dava consigli, non faceva azione alcuna, se prima non fissasse lo sguardo della mente negli esempj, o detti di Cristo, e ne' premj, ch'egli tien preparati, e dispenza largamente a chi opera il bene. E nel trattar coi prossimi, in ciascun di loro rimirava sempre la stessa persona di Cristo. Onde avea spesso in bocca quelle parole: così dicea Cristo ; così facea Gesù Cristo ; dobbiam riconoscere in tutti gli uomini la medesima persona di Cristo.
12. " Vuoi sapere, come stai d'amor di Dio ? eccone i contrassegni. Quanto più cresce l'Anima nel divino amore, tanto più cresce in essa il desiderio di patire, e di esser umiliata. Questi sono i contrassegni sicuri del sacro fuoco: il restante è tutto fumo. " S. Vincenzo de Paoli.
S. Gio. della Croce mostrò quanto fosse ben persuaso di questo ; mentre comparendogli un giorno Gesù Cristo, e chiedendogli che premio volesse per tanti travagli e fatiche, che avea sofferto per amor suo: Signore, rispose, non altro, che patire, ed esser disprezzato. S. Metilde sentendo cantare un dì quelle parole del S. Vangelo: Simon Juannis, diligis me plus his ? rapita in estasi sentì dirsi da Cristo: Metilde, mi ami tu più di tutte le cose, che son nel Mondo ? ed ella rispose: tu sai, Signore, che io t'amo. Soggiunse Cristo: ma mi ami tu in maniera, che per me saresti pronta a soffrire tutt'i travagli, tormenti, ed umiliazioni ? ed ella: tu ben sai che niun tormento mi può separare da te. E Cristo: Ma se questi tormenti fossero atroci, li soffriresti allegramente e prontamente per amor mio ? E Metilde: sì, Signore, prontissima. Or piacque tanto a Dio questo sì grande amore, che le diede il merito, come se avesse patito realmente.
13. " Il vero contrassegno che noi non amiamo altro che Dio, è quando l'amiamo egualmente in tutte le cose. Imperocché essendo egli sempre eguale a se stesso, non può la disuguaglianza del nostro amore verso di lui nascere da altro, che dalla considerazione di qualche cosa che non è lui. " Sales.
Da questo ben si conosce quanto fosse puro l'amor del medesimo Santo, il quale né si accresceva punto nella prosperità, né punto si diminuiva nelle avversità: ma in tutto egualmente rispettava il Signore, e per tutto lo ringraziava e lo benediva. Anche la B. Maria di Chantal diede questo bell'indizio del suo perfetto amore di Dio col sentirsi del pari contenta nelle consolazioni, che nelle desolazioni, delle quali ne patì molte e per molto tempo. E la ragione di questo era, com'essa dicea, perché tanto in queste, quanto in quelle null'altro bramava e cercava, che l'adempimento della divina volontà, dalla quale sì le cose prospere, che le avverse sapea venirle mandate. I veri Amatori di Dio diceva una santa Anima, sono come il sole, il quale ancorché talvolta venga coperto dalle nuvole, in se stesso però resta sempre colla medesima serenità, e collo stesso calore.
14. " La misura della Carità si prende dal mancamento de' desiderj. Quando più vanno mancando i desiderj in un'anima, tanto più in lei va crescendo la Carità: e quando non sente più in se alcun desiderio, allora possiede la perfetta Carità. " S. Agost.
S. Francesco di Sales solea dir di se: io voglio poche cose ; e quelle stesse, che voglio, le voglio molto poco: non ho quasi alcun desiderio, e se dovessi rinascere, non ne vorrei di sorta alcuna. S. Teresa era tanto persuasa di questa verità, ch'esclamava: Oh amore, che mi ami più di quel che io medesima mi possa amare, e più di quel che io possa capire ! Perché dunque vorrò io, o Signore, desiderare più di quel che voi mi volete dare ?
15. " Il più sicuro contrassegno per sapere se uno ha l'amore di Dio, è il vedere se ha quello del prossimo. Questi due amori non vanno mai separati l'un dall'altro. E state pur certo, che quanto più vi vedrete approfittare in quello del prossimo, tanto più anche lo sarete in quello di Dio. Questa è la regola più sicura per vedere quanto uno ama Dio, vedere quanto ama il prossimo. Importa dunque molto, che miriamo con grande avvertenza, come camminiamo in questo santo amore del prossimo nostro: perché se questo è con perfezione, abbiam fatto il tutto. Perciò bisogna esaminarsi bene nelle piccole cose che occorrono senza far gran caso di certe idee grandiose, che così all'ingrosso vengono talvolta nell'orazione di voler fare e dire per lo prossimo, e non mai si mettono in opera. " S. Teresa.
La B. Angela di Foligno pregò il Signore a darle qualche segno per sapere se ella amava lui veramente, e se era da lui amata ; ed egli rispose così: il più chiaro segno dell'amore scambievole tra me, ed i miei servi, è l'amare essi i loro prossimi. Riferisce Tertulliano de' primi Cristiani, che si amavano scambievolmente con dimostrazioni così espressive d'affetto, che gli stessi Gentili ne restavano sommamente ammirati, e diceano fra di loro: Osservate quanto questi Cristiani si amano vicendevolmente ; come si portano rispetto gli uni con gli altri: come sono attenti a rendersi ogni sorta di servizio sino ad esser pronti di subire la morte l'uno per l'altro ! Abbiamo da S. Girolamo, che S. Gio. Evangelista nell'ultima sua decrepitezza non potendo più intervenire alle sacre adunanze se non sostenuto tra le braccia de' suoi discepoli: né per la debolezza della voce diffondersi in lunghi ragionamenti, altro più non facea, che ripetere queste poche parole: Figliuoli miei, amatevi scambievolmente l'un l'altro. Del che tediati gli astanti lo interrogarono perché loro facesse sempre la stessa predica. Perché, rispose, questo è il precetto del Signore, e se questo osserverete, questo solo vi basta. La B. M. di Chantal, perché le sue Religiose potessero accertarsi nelle occorrenze, se le loro operazioni procedessero dallo spirito di vera Carità, fece scrivere sul muro di quel corridojo, per dove più frequentemente passavano, tutte le qualità, che sono date dall'Apostolo a questa sublime virtù: La Carità è paziente, dolce, senza gelosia, senz'ambizione, senza interesse, senza disgusto. Essa vede tutto, spera tutto, sopporta tutto. Quando poi alcuna talvolta dicendo la sua colpa nel capitolo si accusava di qualche mancamento contra la Carità, la mandava a leggere queste sentenze, ch'essa chiamava lo specchio del Monastero. Ed ella stessa andava spesso a leggerlo alla presenza delle sue figlie, e di poi rivolgendosi col volto tutto infiammato, dicea: se io parlo col linguaggio degli Angeli, e non ho la Carità, io sono un niente: e se do il mio corpo a' tormenti ed al fuoco, e non ho la Carità, questo a nulla mi giova.
16. " E' da riflettersi, che Dio, il quale ci ha raccomandato d'amare il prossimo, ci ha altresì prescritta la maniera, con cui dobbiamo amarlo, ch'è d'amarlo come noi stessi. Questa è la regola, che non si può trasgredir senza colpa, ed è tanto essenziale all'amore del prossimo, che se fosse differente, non sarebbe sufficiente. " S. Francesco di Sales.
Narra S. Doroteo del santo vecchio Annone, che avendogli alcuni Monaci detto che un altro solitario teneva in cella una donna, vi andò con loro: ed avendo nell'entrare veduta la donna sotto il letto, per liberar il Monaco da quella confusione, si pose a sedere sopra il letto, impedendo così colla sua tonaca, che non si potesse vedere ; e poi disse: or dov'è quella donna, che mi dite ? Ma quegli edificati della di lui carità, non ebbero ardire di dir altro. E partiti essi, fece una dolce correzione al delinquente. S. Venceslao spendea gran parte de' suoi tesori e ricchezze in comprare figli di persone Gentili, i quali poi facea che si rendessero Cattolici.
17. " La Carità fraterna è un contrassegno della nostra predestinazione. Poiché ci fa riconoscere per veri discepoli di Cristo ; mentre questa divina virtù fu quella, che lo mosse a far vita povera, ed a morir ignudo su d'una Croce. E però quando ci troviamo nelle occasioni di patire per la carità, ne dobbiamo benedire Dio. " S. Vinc. de Paoli.
S. Eufrasia Monaca nella Tebaide, era tanta inclinata alla Carità, che stava delle settimane intere senza prender cibo per l'eccessiva occupazione in tal esercizio: e se le avanzava qualche poco di tempo lo spendea nell'orazione. Fu osservato, che per u anno continuo in tale esercizio non si mise mai a sedere, con che si rese non solo cara, ma amabile a tutto il Monastero ; tanto che parea loro vedere non una creatura terrena, ma un Angelo in carne. In fine Iddio rivelò all'Abbadessa, che fra breve le avrebbe levata Eufrasia. Il che saputosi da una sua compagna, non faceva altro che piangere, ed intesane Eufrasia la cagione, se ne attristò, per vedersi togliere l'occasione di poter servire Dio nel suo prossimo. Eulogio uomo molto dotto si risolvé di lasciar lo studio, e darsi tutto al divino servizio. Perciò distribuito a' poveri quasi tutto il suo avere, non sapendo qual modo di vita eleggere, che fosse grato al Signore, se n'andò in piazza, ove trovato un lebbroso senza mani e senza piedi, egli tocco da una viva compassione, fece come un patto con Dio di prendersi la cura di colui, e d'alimentarlo sino alla morte, con certa speranza di ritrovar con questa misericordia appresso al Signore. Condottolo adunque in sua casa, lo governò con le proprie mani per quindici anni. Dopo i quali colui istigato dal Demonio, prese ad ingiuriare Eulogio, con dire, che doveva aver commessi molti furti e molte scelleraggini ; e perciò volesse per mezzo suo liberarsi da' suoi peccati ; ma ch'egli non volea star più con lui, e che volea mangiar carne, e però lo riportasse in piazza. Gli portò Eulogio della carne, e procurava di consolarlo. Ma colui non si acquietava, dicendo, che volea veder gente, e che in tutt'i conti lo riportasse in piazza. Allora Eulogio non sapendo più che fare, lo condusse sopra una nave a S. Antonio, il quale sgridatili prima amendue, disse, che Iddio gli avea visitati con quella tentazione, perché erano vicini alla fine de' loro giorni ; e che però avessero pazienza per quel poco di tempo, e non si separassero, perché il Signore avea così disposto, per dar loro maggior premio. Se ne tornarono perciò a casa, e dopo quaranta giorni morirono prima Eulogio, e poi l'altro.
18. " Ama tanto Iddio i nostri prossimi, ch'è giunto a dare per essi la propria vita ; e gode, che per far bene a loro, noi lasciamo lui medesimo. Quanto dunque si può credere, che gli sien grati tutt'i servigj, che gli facciamo ? Ah, che se intendessimo bene quanto importi questa virtù dell'amor del prossimo, non ci daremmo ad altro studio, che a questo ! " S. Ter.
S. Vincenzo de Paoli mostrò d'esser ben persuaso di tal verità. Poiché si prese tanto a petto questo esercizio, che parea, non avesse altro da fare, che questo. E si può con verità dire: non essersi mai trovato alcun avaro, che si sia sì bene approfittato delle occasioni di conservare, ed accrescere i suoi beni, quanto egli di quella di far bene al suo prossimo. E questa sua carità non era ristretta e limitata da alcun termine ; ma si stendea generalmente a tutt'i tempi, a tutt'i luoghi, ed a tutte le persone capaci di goderne gli effetti. Trovandosi una mattina afflitta S. Geltrude avanti la Comunione, per non potersi per l'assenza del Confessore, confessare di alcune sue negligenze ; il Signore lo consolò, con fargli vedere l'Anima sua adorna di molte gioje preziose, e molto risplendenti, e le disse: perché ti rattristi per questo, essendo tu adorna della veste della Carità, la quale ben sai, che copre la moltitudine de' peccati ? S. M. Madd. de Pazzi era tanto attaccata a questo esercizio, che solea dire, stimar essa perduto quel giorno, in cui non avesse fatta qualche carità al prossimo. Mosé, per ottenere il perdono a' suoi fratelli dal Signore, chiedea d'esser cassato da libro della vita ; S. Paolo d'esser anatema ; e S. Paolino giunse sin a mettersi in ischiavitù in luogo d'un altro.
19. " Oh quanto dev'esser grande l'amore, che porta a' poveri il figlio di Dio ! il quale elesse lo stato di povero, volle esser chiamato il dottor de' poveri, e riputò in ispecialissimo modo per fatto a se tutto ciò, che si fa a' suoi poveri. Convien dunque amare i poveri con un affetto tutto speciale ; mirando in essi la persona medesima di Cristo, e facendone tutto quel conto, che ne faceva esso. " S. Vincenzo de Paoli.
Il medesimo Santo sebbene amava tutti, sopra tutti però si può dire, che amasse i poveri, che portava tutti nel cuore, e per li quali aveva un amore più che di padre ; amandoli con tenerissimo affetto, che produceva in lui un vivo sentimento delle loro miserie, ed una continua applicazione in procurar di liberarneli. Ond'è, che quando udiva, o vedea qualche persona, o luogo in necessità, si gli riempiva subito il cuore di tenera compassione ; e senza esserne pregato, pensava al modo di provvedervi, tanto che la sua principal cura e sollecitudine par che fosse di sovvenire i bisognosi, e sollevare i poveri. Come il diede a conoscere, mentre discorrendo un giorno con uno della cattiva stagione, che minacciava una gran carestia, mandò un sospiro, e disse: Ah, che io mi trovo angustiato non tanto per la nostra Compagnia, quanto per li poveri ! Noi usciremo a chieder pane per le nostre case: che se non n'avremo, potremo pure darci a servire da Vice-Curati per le Parrocchie, e trovarlo ; ma i poveri che faranno ? ove andranno ? confesso il vero, che questa è la maggior afflizione e travaglio. L'istesso si può dire di S. Francesco di Sales, con quest'aggiunta che pareva usasse distinzione tra le persone preferendo a' ricchi i poveri, e nel temporale e nello spirituale ; perché conforme, dicea, li mirava come gente abbandonata dal Signore alla nostra cura. Molti altri pure furono insigni in questa tenerezza verso i poveri. Suo M. Crocifissa solea dire alla sorella Abbadessa, che se mai avesse a negare la limosina a' poveri, facesse in modo, ch'essa non vi si trovasse presente: perché non avea viscere sa sopportarlo. S. Margherita Monaca Domenicana quanto facea loro, era con tal pulitezza, gentilezza e maniera, ch'era passato in proverbio il dire, quando non si vedea qualche cosa ben aggiustata: si vede, che questo non è fatto secondo il Libro di Suora Margherita. S. Edvige Regina di Polonia, ministrava loro inginocchioni, e lavava loro i piedi. Così pure S. Stefano Re d'Ungaria, ed altri. Il V. Mons. di Palafox, fatto Vescovo ogni giovedì dava pranzo a dodici poveri assistendoli egli stesso in persona. Però leggendo un dì la vita di S. Martino, trovò, che questi dava a mangiar a' poveri colle proprie mani, e lavava loro i piedi, e propose di far egli pure lo stesso ; ed indispensabilmente l'eseguiva in tutt'i mercoledì, e sabati, votando di sua mano due gran pendole, e porgendone a ciascheduno ; standosene sempre inginocchioni e col capo scoperto, e di poi lavando loro i piedi ; e tutto facendo col medesimo gusto ed attenzione, come se lo avesse fatto alla stessa persona di Gesù Cristo. Il che produsse nel suo interno un gran rispetto verso i poveri, parendogli ogni volta che ne incontrava alcuno di vedere l'istesso Dio.
20. " Il visitare o sollevare gl'infermi non può non essere cosa molto grata al Signore, mentre l'ha tanto raccomandata. Ma per farla volentieri, e con più merito, si ha da riguardare l'infermo, non come un semplice uomo, ma come la persona stessa di Cristo, il quale attesta di ricevere nella sua propria persona quell'ossequio. " S. Vincenzo de Paoli.
S. M. Madd. de Pazzi usava verso tutte le inferme una carità incredibile. Le visitava ogni giorno ; e se erano più bisognose o aggravate, più volte il giorno: trattenendovisi quanto bisognava, e servendole in tutt'i loro bisogni, ai quali provvedeva, o faceva provvedere dalla Superiora, e dalle ufiziali: le animava a prendere il cibo con assaggiarlo talvolta prima essa e poscia dolcemente imboccarcelo: loro aggiustava i letti, e scopava le stanze: facea gli ufizj più vili, benché non fosse impiego suo: leggea loro de' libri spirituali, l'esortava alla pazienza, le consolava: ed il tutto facea con tanta allegrezza ed affetto, che era loro di gran conforto. E questa sua gran carità era universale verso tutte, senz'alcun interesse, ma unicamente per amor di Dio, riguardandole ora come tempj dello Spirito Santo, ora come sorelle degli Angeli, ed immaginandosi sempre di servire l'istesso Dio. Quando dovean prender medicine ad ore incomode, s'offeriva all'infermiera di assisterle essa. Quando vi erano alcune più bisognose, si prendeva essa tutta l'incombenza di servirle. Come fece per una cieca etica, per una lebbrosa, e per una, che avea certa piaga puzzolente, che scaturiva vermini, sopra la quale mise più volte la bocca ; le quali tutte serviva con puntualità come se fosse loro serva, nettandole, pulendo loro i panni, e facendo tutti gli altri servigj per tutto il decorso del male, che alla cieca durò un anno intero. Quando le inferme erano vicine a morte, vi restava tutta la notte senza punto coricarsi, seguitando tal volta dieci e quindici giorni e notti continue ; con starsene sempre accanto a loro ; ora pregando per esse, ora animandole con tanto spirito e con tanta carità, ch'era loro di molto sollievo. Onde tutte le morienti la desideravano presente al loro transito. Così pure si portava il V. Bercmans con tutti gl'infermi della casa, ove stava. Li visitava più volte il giorno, li teneva allegri con ragionamenti spirituali ; in tempo d'estate a certe ore calde portava loro dalla fontana dell'Acqua fresca, perché si lavassero le mani e sciacquassero: sebben fossero molti, andav a vederli tutti ogni giorno, e più si trattenea con quelli, che più aveano bisogno di sollievo, o che aveano meno visite. Dalle camere, ove trovava concorso di gente, si spediva più presto, per andar da quelli, che stavano soli. A' fratelli laici raccontava sempre qualche esempio della Vergine, onde sapendo già essi l'ora, in cui era solito visitarli, lo stavano aspettando con desiderio, e se talvolta per qualche impedimento non fosse andato, lo cercavan per grazia al P. Ministro ; tanto si sentivano consolati dalla sua presenza. Quando poi non ne avea potuto visitare alcuno, andava a trovar l'infermiero, e da lui s'informava come stesse ciascuno. Non minor sentimento di pietà mostrava S. Felice Cappuccino verso i suoi Religiosi infermi. Appena ritornato in Convento dopo la cerca, andava attorno distribuendo loro alcune galanterie, e rinfreschi atti a sollevarli, che avea raccolti per limosina, e procurava di consolarli con mirabil dolcezza di parole, offrendosi pronto a servirli secondo i bisogni di ciascheduno. Molti poi, anche gran personaggi aveano la divozione di visitarli, e servirli negli Spedali. S. Stefano Re d'Ungheria vi andava di notte sconosciuto e solo. S. Luigi Re di Francia li serviva inginocchioni e col capo scoperto ; riguardandoli come membri di Cristo, ed uniti con lui in Croce. E così tanti altri. S. Gio. Gualberto essendo Abate, era tanto rigoroso nell'osservanza della regola, che non sapea compatire gl'infermi, volendo, che ancor essi l'osservassero come i sani. Questo però non piacque al Signore ; onde permise, che cadesse egli pure gravamente ammalato ; ed imparasse dalla propria esperienza a compatire gl'infermi.
21. " Per avere verso il prossimo quell'amore, che vien comandato dal Signore, bisogna avere un cuore buono ed amorevole verso di lui, e particolarmente quando esso ci è grave e dispiacevole per alcun suo difetto naturale o morale: perché allora non abbiam niente in lui che amare, se non per rispetto del Salvatore. La massima de' Santi era, che nell'amare, o nel far bene, non si dee mai riguardare la persona, che lo riceve, ma quella, per amor della quale si fa. Né ci sgomenti, se tal volta sentiamo ripugnanza in ciò fare. Perché un'oncia di questo amore sodo e ragionevole è d'assai maggior prezzo, che una somma di quell'altro tenero e sensitivo, che abbiamo comune con gli animali, e spesse volte inganna, e tradisce la nostra ragione. " Sales.
La B. M. di Chantal fu abbondantemente provveduta di un simile amore, poiché come si legge nella di lei vita, non lasciò mai di mostrarlo chiaramente verso qualunque persona, per qualunque indegnità, mancamento, o difetto in essa vedesse. E così pure esortava spesso a fare le sue Religiose, dicendo loro: E' d'uopo sopportare il nostro prossimo, povero, malfatto tale qual'è, fin nelle sue inezie e bagattelle, tollerando i loro umori fastidiosi e certe piccole importunità, che altro male non ci fanno, che infastidirci ; le loro inconvenienze, le debolezze, le considerazioni cagionate dal non aver maggior conoscimento, e tutti quei difetti, che riguardano solamente la persona, contra di cui sono commessi. Bisogna ben soffrir qualche cosa. Se il nostro prossimo non avesse alcun difetto, o non ci facesse verun male, in che cosa noi lo sopporteremmo ? Avendo poi una volta inteso, che una sua Religiosa sentiva gran difficoltà nel sopportar le imperfezioni di un'altra: Mia figlia, le scrisse, considerate spesso quelle parole del Vangelo: Gesù Cristo ci ha amate e ci ha lavate col suo sangue ; e notate, che non aspettò ad amarci dopo d'esser noi lavate dalle nostre immondezze, ma ci amò quando eravamo immonde e vili creature ; e poi ci lavò. Amiamo dunque senza esame questo caro prossimo ancorché povero, malfatto, e tale qual è. E se ci fosse possibile lavar le sue imperfezioni col nostro sangue, dovremmo desiderar di darlo sin all'ultima goccia per tal effetto. La V. Suor M. Crocifissa amava tutt'i suoi prossimi, ma con qualche parzialità quelli, che erano di tratto alquanto difficile, o che mostravano qualche alienazione contra di lei. In fatti avendo ella ricevuto un disgusto da un Chierico mal costumato, e di poi sentendo, che quegli non si poteva ordinare per mancanza del patrimonio, tanto si adoperò con la Duchessa sua madre, che glielo fece costituire.
22. " Guardiamoci dal lamentarci, risentirci, o parlare in sinistra parte di coloro, che si mostrano mal affetti o malcontenti verso di noi, e si oppongono a' nostri disegni, o progressi ; o anche ci perseguitano con ingiurie, torti, e calunnie ; ma anzi seguitiamo a trattarli cordialmente come prima, e più ancora, e se si può, mostrandone stima, parlandone sempre bene, beneficandoli, e servendoli nelle occorrenze, ed accettando ancora, quando bisogni la confusione, e il disprezzo sopra di noi, per salvar l'onore loro. Tutto questo si dee fare: 1. per vincere il male col bene, secondo la dottrina dell'Apostolo. 2. Perché questi tali sono piuttosto nostri parziali, che avversarj: poiché ci ajutano a distruggere l'amor proprio, ch'è il nostro maggior nemico. Sicché son quelli, che più ci danno da guadagnare ; e però debbono essere i nostri più cari amici. " S. Vinc. de Paoli.
Così faceva egli stesso verso coloro, che l'offendeano. Non solo perdonava loro volentieri, e loro otteneva anche il perdono dalla Giustizia, quando bisognava ; ma di più li compativa, gli scusava, e ne consacrava o mostrava tutta la stima, affetto, e rispetto, come se non fosse accaduto niente, e facendo loro tutto quel bene, che mai poteva. Anzi siccome era molto delicato in questa materia della dilezione fraterna, procurava in oltre di troncare in loro la radice del rancore, e di guadagnarsi il loro affetto con sincerarli, con abbassarsi, o soggettarsi tanto ad essi, ch'erano necessitati di cedere alla sua umiltà e carità. Egli non fu mai udito lagnarsi di veruno, che in qualsiasi modo l'avesse offeso, e molto meno biasimarlo, o dargli torto, quando di altro non trattavasi, che degli interessi suoi. Dicendogli un giorno un suo Missionario, che alcuni mossi, al parer suo, da invidia, si opponevano agli esercizj degli Ordinandi ; si, rispose, questa funzione eccita per lo più emulazione ed invidia. Però quelli, che sono contrarj, non lasceran d'aver buone e rette intenzioni. E per questo dobbiamo conservarne tutta la stima e rispetto ; e creder con essi, che noi siamo indegni di tal impiego, e che altri l'eseguirebbero meglio di noi. Approfittiamoci di questo sentimento, e diamoci a Dio daddovero, per servirlo fedelmente. Discorrendo S. Francesco di Sales con un suo confidente: questi disse, che una delle cose più difficili nel Cristianesimo era a parer suo l'amor de' nemici: ed io, soggiunse il Santo, non so di che tempra il mio cuore sia: o se il Signore Iddio si sia amorevolmente compiaciuto di darmene uno in uno differente dagli altri. Mentre non solo non mi è difficile l'esecuzione di questo precetto ; ma ci provo tanto piacere, che se Iddio mi avesse proibito di amarli, mi si renderebbe difficile l'ubbidirlo. Il che poi dimostrò chiaramente nel caso seguente. Un Avvocato d'Anisi, odiava il S. Prelato, senza ch'egli ne sapesse il perché ; né cessava quegli di sparlarne, e di danneggiarlo e perseguitarlo ; tantoché giunse a stracciar un suo monitorio affisso per altri alla porta della Chiesa, ed a formar mille indecenti figure al suo confessionale. Or il Santo consapevole di tutto, incontratolo un dì, lo salutò amichevolmente, e presolo per la mano, gli disse con gran soavità tutto ciò che giudicò espediente per farlo rientrare in se: ma poi vedendo che le sue parole non giovavano, soggiunse così: Io ben m'avveggo, che voi m'odiate, senza che io ne sappia il perché: però sappiate alla fin de' fatti, che quando anche mi cavaste un occhio, io tanto vi rimirerò amorevolmente coll'altro, come se foste il maggiore de' miei amici. Non si ammollì però quel cuore, né con questo, né con molti sforzi, che gli fecero i suoi amici, per farlo ravvedere. Anzi dopo d'avere sparati de' colpi di pistola alle finestre di lui, ne sparò una contra lui medesimo un giorno che l'incontrò per istrada ; ed in luogo di lui ferì il suo Vicario. Per lo qual fatto fu dal Senato posto in carcere, e con tutte le interposizioni del Santo, che intercedea per lui, fu condannato a morte. Però il Santo Vescovo dopo aver ottenuta la dilazione dell'esecuzione tanto s'adoperò appresso il Sovrano, che gli fu conceduto il perdono. Ed egli medesimo portossi in prigione ad annunziargli la grazia, pregandolo a deporre l'odio, che sì ingiustamente gli portava. Ma vedendolo tuttavia duro, e che seguitava a fargli ingiurie e villanie, s'inginocchiò a domandargli perdono. Finalmente poi vedendo, che punto non si arrendea, gli consegnò la grazia ottenutagli ; e nel licenziarsi gli disse: Io vi ho tirato dalle mani della giustizia degli uomini, e non vi convertite ! cadrete in quelle della giustizia di Dio, e non avrete questo potere. Come appunto succedette, poiché poco dopo finì infelicemente i suoi giorni. Nelle vite de PP. si narra di un Monaco, il quale avendo saputo, che un altro dicea male di lui: molto se ne consolava ; e quando quegli gli stava vicino, lo visitava spesso, ed allontanandosi gli mandava de' presenti. E di un altro, il quale quanto più alcuno lo ingiuriava, allora maggior amore gli mostrava ; dicendo a quel che se ne maravigliano: Questi, che c'ingiuriano, ci danno materia di perfezionamento ; e quelli, che ci lodano, e ci onorano, ci mettono degl'inciampi tra' piedi, e ci dan materia d'insuperbirci. E d'un vecchio nella cui cella entrava spesso un altro Monaco di nascosto, e gli rubava quanto avea di buono, massime di robe comestibili, il buon vecchio se n'avvedeva, e taceva, e faticava al doppio, e mangiava meno del solito, dicendo: questo povero fratello dee aver bisogno. Venuto poi questo santo vecchio a morte, attorniato da Monaci, vide il ladro, e lo pregò d'accostarsi a lui, e poscia stringendoli le mani le baciò, dicendo: care mani, quanto vi sono obbligato ! vi ringrazio con tutto l'affetto, perché per voi ora me ne vado in Paradiso. Di S. Teresa scrivono, che avea per uso di raddoppiar l'amore verso quei che l'offendeano. Di S. Francesco Borgia, che solea chiamar suoi ajutanti e suoi amici tutti coloro, che gli apportavano qualche mortificazione, o travaglio ; e di una buona Religiosa, che quando veniva affesa da alcuna in qualche modo, correa subito al Sacramento, e gli offeriva quella mortificazione, dicendo: Signore, io per amor vostro perdono a questa, che me l'ha data ; e voi pure perdonatela per amor mio. E della B. M. di Chantal rapportasi che avendole una sua monaca detto, che un'altra per avere scoperti alcuni suoi difetti, essa avea risoluto di coprire per amor di Dio i difetti della medesima ; la buona Chantal l'abbracciò teneramente, dicendo: Piaccia al mio Dio, che questa determinazione non si parta mai dall'Anima vostra. Io mi riputerei beata, se potessi scolpirla nel cuore di tutte le vostre sorelle.
23. " Sforziamoci di mostrarci pieni di compassione verso i difettosi e peccatori. Perché chi non usa la compassione, e la carità con questi, non merita, che Dio l'usi con lui. " S. Vinc. de Paoli.
Questo Santo non si stupiva mai per qualunque mancamento vedesse commettersi ; perché, diceva: è proprio dell'uomo il mancare, essendo egli concepito e nato nel peccato. E questa cognizione ch'egli avea delle comuni miserie degli uomini, era quella che lo faceva operare con tanta dolcezza e compassione verso tutt'i delinquenti, fuggendo ogni asprezza, ed usando sempre maniere, e parole dolci e compassionevoli, anche co' maggiori peccatori studiandosi di coprire e sminuire i loro falli con una maravigliosa prudenza e carità: e nell'istessa maniera volea, che ancor procedessero i suoi. Il V. Bercmans essendo prefetto nel Noviziato, quando il P. Rettore gli ordinava d'imporre qualche penitenza ad alcun novizio per qualche suo difetto, mossone a compassione, s'inginocchiava, e chiedeva in grazia di farla per lui ; e non ottenendola, la denunziava con tanto garbo, che non trovò mai alcuno, che mostrasse difficoltà d'accettarla. S. Francesco disse una volta al Beato Cataneo suo Generale: In questo io conoscerò, se ami Dio e me, suo e tuo servo ; cioè se userai misericordia verso i delinquenti. Quando ne troverai alcuno, fa in modo, che non vada senza la tua misericordia ; e se lo vedrai cadere mille volte, sempre amalo più che non ami me, alfine di tirarlo al bene e fa, che abbi sempre misericordia di questi tali. S. Francesco di Sales aveva un'Anima sì tenera verso i malvagi, ch'era solito di dire: Non v'è che Dio, ed io, che ami veramente gli uomini cattivi. Perciò mostrava verso di loro viscere di una carità straordinaria, ascrivendo a fragilità i loro misfatti.
24. " Fra tutti quelli, che sono compresi sotto il nome di prossimo, non ve n'ha alcuno, che più si meriti in un senso questo nome, quanto i nostri domestici. Perché questi sono i più vicini a noi, vivendo con noi sotto un medesimo tetto, e mangiando l'istesso pane. E perciò essi debbono essere uno de' principali oggetti del nostro amore: sicché pratichiamo verso di loro tutti gli atti d'una vera Carità, la quale non dee esser fondata sulla carne e 'l sangue, o sulle qualità loro, ma tutta in Dio. " Sales.
Grande amore portava S. Vincenzo de Paoli verso tutti quelli della sua Congregazione. Mostrava stima e venerazione di tutti, ed accoglieva tutti con tali dimostrazioni d'affetto, che ognuno conoscea d'essere teneramente amato da lui. Provvedea con molta sollecitudine alle necessità di ciascuno, non potendo soffrire di vederli patire. Onde fu veduto più volte levarsi da tavola, per portar la pietanza a' fratelli laici, che venivano dopo degli altri: e se tal volta accadea, che il cuoco per alcuno non ne avesse, o pure tardasse a portarla, gli dava esso la sua, e l'astringeva a prenderla. Si applicava con diligenza in procurare gli ajuti e sollievi necessarj per gl'infermi, andando perciò spesso ad informarsi del loro stato e de' loro bisogni ; e raccomandava agl'infermieri d'averne tutta la cura, ed a' Superiori delle case a non perdonare né a fatiche, né a spese per soccorrerli. Si studiava di raddolcire i loro patimenti con dimostrazioni d'affetto e di tenerezza particolare, ed offeriva per essi a Dio le sue orazioni. Se s'accorgea, che alcuno avesse qualche premura di parlargli, lasciava ogni altra cosa per sentirlo ; e gli dava tutto il tempo necessario. E perché quando era del Consiglio Reale, talvolta la gravezza de' negozj non gli permettea d'interromperli, per ascoltarli subito ; differiva quest'uffizio di carità alla sera dopo l'esame generale ; privandosi del necessario riposo, per non privar essi di quella soddisfazione. Quando vedeva alcuno molestato da pene interne, o da tentazioni usava ogni diligenza per liberarnelo, o almeno per sollevarlo: e se incontrava in alcuno qualche durezza ; procurava di superarla con maniere umili e soavi gettandosi a' loro piedi, e pregandoli con le lagrime agli occhi a non cedere alla tentazione. Onde a uno, che non s'arrendea, prostratosegli avanti, disse, io non m'alzerò di qua sin a tanto che non abbiate conceduto questo, che io vi chieggo per bene vostro: né voglio, che il Demonio abbia più credito di me appresso di voi. La B. M. di Chantal aveva una gran carità verso tutt'i suoi prossimi. Maggiore però, e più intensa, e più tenera era quella che portava alle sue Religiose, e proccurava, che tale ancora fosse quella che esse si portassero tra di loro. Per indurle a questo, in una esortazione, che fece loro un giorno: notate, disse, che Gesù Cristo ordinando agli Apostoli la dilezione fraterna, diversamente parlò di quella, che doveano parlare a tutti da quella che dovean portarsi tra di loro. Parlando della prima, disse, amate i vostri prossimi come voi stessi ; e parlando della seconda: amatevi l'un l'altro come io ho amato voi, e come il Padre mio ama me. Or l'amore, con cui Gesù Cristo ha amato noi, e molto più quello con cui il suo divin Padre ama lui, è un amore disinteressato, un amore d'uguaglianza, un amore d'unità inseparabile: è pero con questo amore dovete voi amarvi tra di voi per adempire a perfezione il divin comandamento. In questo modo amava esse le sue figlie: con un amore disinteressato il quale non avea per mira alcun proprio vantaggio, o piacere ; con un amore d'uguaglianza che la rendeva atutte egualmente affabile, e benefica, accomodandosi allo spirito, a' desiderj, ed alle inclinazioni di ciascheduna, e facendosi tutta a tutte con un'ammirabile condiscendenza in tutto quello che lecitamente poteva: e finalmente con un amore d'unione inseparabile, perché niun difetto imperfezione, o mala loro qualità avea forza di slontanarle un pelo dal di lei amorosissimo cuore.
25. " Iddio suole talvolta dare una certa unione di cuore, ed un amor tenero verso il prossimo, ch'è uno de' più grandi ed eccellenti doni che la sua divina Bontà faccia agli uomini. " Sales.
Il medesimo Santo avea ricevuto questo bel dono. Poiché discorrendo un giorno con un suo confidente, disse così: Non v'è Anima al Mondo, come io penso, che ami più cordialmente, più teneramente, e per dirla alla buona, più amorosamente di me ; essendo piaciuto a Dio di formare in tal guisa il mio cuore. Mostrò questo amore, come riferisce S. Ambrogio, una santa contessa accaduta tra S. Teodora Vergine, ed un Soldato, mentre venendo quella posta nel postribolo per la confessione di Cristo, il soldato prima d'ogni altro si portò da lei, e la persuase a mutar le vesti con lui, e di là uscirsene per conservar la sua verginità, come appunto si fece. Ma mentre colui preso per la santa Vergine, era condotto al martirio, ella non potendo soffrire, che l'averle egli conservata la verginità, gli avesse a costar la vita, pubblicamente esclamò, lei esser quella, ch'era stata condannata, e non lui, ch'era uomo e non femmina. Il soldato per l'opposto, lui disse, e non essa avere il Giudice condannato: ed avendo contrastato un pezzo insieme su questo punto per liberarsi dalla morte l'un l'altro, ottennero finalmente ambedue la grazia del martirio.
26. " Non basta, che abbiamo l'amor del prossimo: ma bisogna avvertire di qual sorta egli sia, e se sia del vero. Se noi amiamo il nostro prossimo, perché egli ci fa del bene, cioè perché ci ama, o ci apporta qualche utile, onore, o piacere: questo è un amore, che chiamiamo di compiacenza, e che ci è comune agli animali. Se l'amiamo per qualche bene, che in lui veggiamo, cioè per causa del sembiante, delle maniere, delle simpatie, della buona grazia, e simili ; questo è un amore che chiamiamo d'amicizia, e che ci è comune co' Pagani. Però né l'uno, né l'altro di questi amori è amor vero, ma un amore di niun merito, perché puramente naturale, e di poca durata, essendo fondato sopra motivi, che spesso vengono meno. In fatti se noi amiamo alcuno, perché è virtuoso, di bel sembiante, o nostro amico ; che sarà di questo amore, se quel tale cesserà d'esser virtuoso, di bel sembiante, o d'amarci, e molto più se si rende nostro nemico ? Rovesciandosi il fondamento, sopra di cui il nostro amore si appoggiava, come potrà questo sussistere ? Il vero amore, che unicamente è meritorio e stabile, è quello che proviene dalla Carità, la quale ci porta ad amare il Prossimo in Dio, e per Dio: cioè perché così piace a Dio, o perché egli è caro a Dio, o perché Dio è in lui o affinché vi sia. Non è già male l'amarlo ancora per altri motivi, se sieno onesti, purché in effetto più l'amiamo per riguardo a Dio, che per verun altro rispetto: con tutto ciò quanto meno di mescolanza di altri motivi l'amore ha, tanto è più puro, e più perfetto. Né questo impedisce, che non si possano amare più alcuni, che certi altri, come sono i parenti, i benefattori, i virtuosi ; quando una tal maggioranza non nasca dal maggior bene, che da questi ne proviene a noi, ma dalla maggior somiglianza, che questi hanno con Dio, o perché così vuole Iddio. Oh quanto è raro l'amore di questa sorta ; val a dire, l'amor vero ! Nolite amare secundum carnem, sed secundum Spiritum Sanctum. " Sales.
Per questo egli portava un grande amore, ed un incomparabile rispetto ad ogni suo prossimo ; perchè rimirava Dio in esso ; ed esso in Dio, e per questa stessa ragione era esattissimo negli atti di civiltà, a' quali non solea mai mancare con veruno. Così pure avea della gran tenerezza per gli amici: ma perché gli amava in ordine a Dio, era sempre pronto a privarsene. Scrivendo alla Superiora d'un Monastero, le diede questo avvertimento: Tenete diritta la bilancia colle vostre figlie, acciocchéi doni naturali loro non vi facciano iniquamente distribuire i vostri affetti, ed i vostri buoni uffizj. Quante persone vi sono esteriormente sgarbate, che sono gratissime negli occhi di Dio ! La bellezza, la buona grazia, il ben parlare, il buon tratto incontrano il gemio di quei, che ancor vivono secondo le loro inclinazioni. La carità riguarda le vere virtù, e la bellezza dell'Anima, e si diffonde sopra tutti senza parzialità. S. Vincenzo de Paoli avea per una delle sue principali pratiche, di riguardare unicamente Dio in tutti gli uomini e di onorare in essi le divine perfezioni: ed a questo purissimo riflesso sentiva eccitarsi nel cuore un amore pieno di rispetto verso tutti, e specialmente verso le persone Ecclesiastiche ; perché in queste riconosceva un'immagine più espressa della potenza e santità del Creatore. Perciò raccomandava a' suoi che le amassero, e le onorassero tutte, e mai non ne parlassero, che in buona parte ; massimamente quando predicava al Popolo. Provvedea poi con cura speciale a' bisogni loro, non soffrendo di vedere in esse avvilito lo stato del Sacerdozio. Fra gli atti di carità che s'avea proposti di praticare S. M. Madd. de Pazzi, uno era di riverire, e d'amare le creature solamente perché le ama Iddio ; e godere di quell'amore ch'esso porta loro ; e della perfezione, che loro comunica. Onde in punto di morte disse, che sebbene avea portato grand'amore a tutte le sorelle ; le avea però amate solamente per fine del precetto della dilezione lasciatoci da Gesù Cristo, e perché tanto l'avea egli amate ; e che fuori del detto amore non aveva mai avuto minimo attacco a creatura alcuna.
27. " Deh, quando sarà, che ci vedremo stemprati in dolcezza e soavità, verso i nostri prossimi ? Quando noi vedremo le Anime loro nel sacro petto di Gesù ? Chiunque rimira il prossimo fuori di là, corre rischio di non amarlo né pura niente né costantemente, né egualmente: ma in questo luogo chi non l'avrebbe ? Chi nol sopporterebbe ? Chi non soffrirebbe le di lui imperfezioni ? Chi tal amore il proverebbe nojoso ? Or il nostro prossimo là appunto sta, dentro il petto e nel seno del divin Salvatore. Egli è ivi come amantissimo, e tutto amabile, in maniera che l'amante Signore muore di puro amore per lui. " Sales.
Questa era la principale ragione, per cui questo Santo Prelato si mostrava sì dolce, sì tenero, sì rispettoso, e sì sofferente verso di tutti ; perché tutti appunto rimirava nel cuor di Gesù ; conforme lo diede a vedere un giorno che Monsig. di Belley suo penitente si lamentò con lui de' grandi onori che gli faceva: al che egli rispose: e quanta stima fate voi di Gesù Cristo, quale io onoro nella persona vostra ? Questa pure era una delle principali massime di S. Vincenzo de Paoli, di non rimirare il prossimo secondo la sola apparenza esteriore, ma conforme egli può essere in Dio. Io non debbo risguardare, diceva, un povero contadino, o qualche povera donnicciola quanto all'esterno, ed all'abilità naturale: essendo che bene spesso appena si riconosca in essi il sembiante e lo spirito di creatura ragionevole, tanto son terrestri o grossolani. Ma se si rimirano col lume della Fede, li troveremo sì altamente scolpiti nel cuore del Figlio di Dio, che giunge a dar la vita per ciascheduno di loro. Oh Dio ! ch'egli è un bel vedere il nostro prossimo in Dio medesimo, per farne quel conto, che ne fece Cristo Signor nostro !
28. " Quando Raguele vide il giovine Tobia senza conoscerlo: Oh, disse qunto rassomiglia al mio cugino questo giovine ! Sentendo poi che appunto era figlio del suo cugino Tobia, l'abbracciò strettamente, e gli diede mille benedizioni, piangendo d'amore sopra di lui. Or perché questo ? Non già per le buone qualità di lui: perché ancor non sapea di che qualità si fosse: ma perché, disse, tu sei figlio di una persona molto buona, e li rassomigli molto a lei. Vddete quel che fa l'amore, quanto è del vero ? Se amassimo davvero Dio, faremmo altrettanto con tutt'i nostri prossimi, che sono tutti figli di Dio, e tanto lo rassomigliano. " Sales.
Per questo riflesso il medesimo Santo preveniva sempre tutti con gli onori. Quindi avvisato un dì, che facea troppo onore al servitore d'un gentiluomo, che gli avea portata un'ambasciata: io, rispose, non so far tante distinzioni. Tutti gli uomini portano l'immagine e somiglianza di Dio: e tanto mi basta per aver motivo di rispettarli. Quando incontrava persone, o bestie cariche: si ritirava da quella parte, ch'era men comoda ; né mai permise, che i suoi servitori li facessero fermare, o dare indietro dicendo: E non sono questi uomini come noi ? ed ora non meritano più compassione di noi ? S. M. Madd. de Pazzi guardava spesso nelle sue sorelle l'immagine di Dio: il che la eccitava maggiormente all'amore di esse. E quando ne vedeva alcuna, che apparisse vile ed imperfetta, pensava, che forse avesse qualche dono interiore, per cui Iddio si compiacesse in essa. Un Santo Religioso si avea scritta questa risoluzione : Amerò Dio per se stesso, e per amor suo servirò alle di lui immagini. Darò il cuore a lui: e le mani al prossimo per unirlo con lui. La V. M. Serafina di Dio dicea di se, che quando trovavasi afflitta ; nell'incontrarsi co' prossimi si consolava col pensare, che mirava in quelli l'immagine di Dio ; e però non poteva a meno di non trattarli con molta cordialità e benevolenza. Stando Teodosio sommamente adirato e risoluto di vendicarsi severissimamente dell'oltraggio fatto dagli Antiocheni alla statua di Flaccilla da lui molto amata per le sue rare virtù, S. Macedonio pregò uno della Corte, che a nome suo gli dicesse queste parole: O Imperadore, tu hai veramente ragione di punire questi uomini insolenti ; ma io ti prego a riflettere, ch'essi son vive immagini di Dio ; e però se ardirai d'incrudelire contra le immagini del Signore, puoi tirar sopra di te lo sdegno di lui. Poiché se tanto a te dispiacciono i mali trattamenti fatti all'immagine della tua cara consorte ; come non vuoi, che dispiacciano altrettanto a Dio quei, che tu farai alle immagini di lui, a lui tanto care, che per rifarle non si è curato di versare tutto il suo sangue ? Queste parole dette con gran semplicità, e riferite all'Imperadore lo placarono molto.
29. " Fra tutt'i mezzi più proprj per acquistare e conservare l'unione e la carità con Dio e col prossimo, non ho potuto trovarne uno migliore, e più efficace, che la santa umiltà con abbassarsi sotto tutti, stimarsi il minore, il peggiore, e più vile di tutti, e non giudicar male di nessuno. Poiché l'amor proprio e la superbia sono quelli che ci portano a sostenere i nostri sentimenti contra quelli del prossimo ; e così a raffreddarci nell'amore che gli dobbiamo. " S. Vinc. de Paoli.
Avendo un Predicatore Francescano, ripreso molto in una predica un vizio, di cui era infetto un Marchese ivi presente, questi dopo la predica l'andò a trovare, e caricatolo d'ingiurie, gli disse: Mi conosci. Sì, rispose il Padre, mi reputo a grand'onore di conoscere un nome sì nobile: io che sono un villano di nascita, ed il minimo di tutti gli uomini, e v'aggiunse anche altre cose di suo dispregio: dalla quale risposta placato il Marchese se ne tornò colle lagrime agli occhi, e pieno di venerazione verso di lui. L'Abate Motues fece una cella in un luogo detto Eradion. Ma venendovi tribolato continuamente da un altro monaco, e parendogli di star male con lui, se ne ritornò al suo primo luogo. Della qual partenza dolendosi i monaci d'Eradion, dopo qualche tempo l'andarono a ritrovare insieme con quel Monaco, che stava in discordia con lui: e quando furono vicini alla di lui Cella, si levarono le proprie vesti, e le lasciarono in custodia di quel frate. Arrivati all'Abate egli gli accolse benignamente, e li richiese ove avessero le loro vesti: ed avendo inteso ch'eran là vicine guardate da quel suo antico compagno ; n'ebbe tanta allegrezza, che subito si portò da lui correndo: e ritrovatolo, se gli gettò a' piedi gli chiese perdono, l'abbracciò, e lo menò alla cella con gli altri tenendoveli tre giorni ; e dopo se ne tornò con loro ad Eradion.
30. " Felice colui, che ha sparso i semi della Carità nel suo petto, che ben coltivati producono la benignità, e l'amore. Il suo nome con applauso, e con festa è replicato da ognuno. " Economia della vita umana.
Fra tutte le specie di virtù la più magnifica, la più utile al genere umano, e la più ricercata è senza dubbio la Carità. Or questa proteiforme virtù può considerarsi per parte di Dio verso l'uomo, e per parte dell'uomo verso Dio, e verso i suoi simili. La medesima ha tanti differenti aspetti, tanti diversi usi, e tante dolci condizioni che rendesi amabile ad ognuno anche il di lei nome quando sentesi profferire. Dessa si estende nello spirituale, e nel temporale. Tutti i ceti, tutti gli stati, e tutte le classi delle persone componenti il genere umano si fanno gran pregio di esser stimati caritatevoli. Il vincolo della Carità forma il nodo gordiano della società umana abbracciando anche i nemici. Che cosa è l'uomo senza Carità ? Studiam dunque la Carità perfezioniamoci nelle sue teorie e pratiche, e professiamola a dovere di Cristiano che saremo felici fin da questa vita. Tutti gli uomini parlano vantaggiosamente della Carità, e tutti i libri trattano della Carità: veramente niuna cosa è ben fatta se è senza Carità. Siamo perciò caritatevoli a norma delle circostanze ; che tutti ne proveremo i benefici effetti.
DICEMBRE
UNIONE
Qui manet in caritate, in Dio manet, et Deus in eo. Jo. 4. 16.
1. " Il fine, che hanno tutte l'altre virtù è di metterci in posseso dell'Unione con Dio, nella quale unicamente sta riposta tutta la felicità, che in questo Mondo si può godere. Or in che consiste propriamente quest'unione ? In null'altro, che in una perfetta conformità e somiglianza della nostra volontà colla volontà di Dio: cioè quando queste due volontà sono tra di loro talmente conformi, che non sia cosa in una, che ripugni all'altra, e tutte le cose che vuole ed ama l'una, le voglia e le ami anche l'altra ; e tutte quelle che aggradono, o dispiacciono all'una, aggradino o dispiacciano ancor all'altra. " S. Gio. della Croce.
La B. Vergine ebbe questa perfetta unione ; e dice di lei S. Bernardo, che tenea continuamente fisso lo sguardo, e prontissimo il consenso al divin beneplacito per ogni cosa. La V. M. Serafina di Dio avea fatto molto profitto in questo cammino, poiché in una relazione, che di se fece al suo Direttore gli dice così : L'Anima mia mi par, che vada tanto d'accordo col Signore, che tutto quanto egli opera in essa, par, che sia fatto apposta per lei, perché questo appunto essa vuole, onde tutto ciò che avviene all'Anima mia, sono tutti bocconi dolci fatti per lei, e le pare, che altro ella non saprebbe bramare, e perciò non prova mai rammarichi, né travagli. Ed una volta che una si accusò di non essersi conformata al divin volere, ebbe ella in quel punto un lume sì chiaro, in cui vide quanto sia bello il voler di Dio, che restò immobile per qualche tempo sopraffatta da grandissimo stupore, non sapendo intendere come potesse una creatura da niente non amare il santo e tanto bello volere del suo Creatore.
2. " S'ingannano quei che credono che l'unione con Dio consista in estasi, e ratti, ed in godimento di lui. Poiché ella non consiste in altro, che nell'arrendimento e soggezione della nostra volontà co' pensieri, parole, ed opere alla volontà di Dio: ed allora è perfetta, quando la volontà nostra si trova staccata da ogni cosa, ed unicamente attaccata a questa di Dio, di maniera che ogni suo movimento sia il solo e puro volere di Dio. Questa è la vera ed essenziale unione, che sempre ho desiderata, e che continuamente chieggo al Signore. Oh quanti siamo, che diciamo questo, e ci pare di non voler altro che questo ! Ma, miseri noi, quanti pochi dobbiamo arrivarci ! " S. Ter.
La medesima Santa non finiva di stupirsi della gran fortuna che ha l'uomo di potersi unire col suo Creatore, e dell'immensa brama, che questo gran Signore ha di vederci uniti a se. E però questo era l'oggetto de' suoi più vivi desiderj, e quello che sopra ogni altra cosa più ardentemente procurava. S. Gio. Battista sta nel deserto 24 anni. Iddio sa quanto il suo cuore era tocco dall'amor del Salvatore fin dal ventre di sua madre, e quanto avrebbe desiderato di godere della sua presenza ! e nondimeno attaccato alla semplice volontà di Dio, egli rimane colà a fare il suo uffizio, senza venire neppur una volta a vederlo: e dopo d'averlo battezzato, non lo siegue, ma seguita a fare l'uffizio suo. Oh Dio, che cosa è questa se non tenere il suo spirito distaccato da ogni cosa, e in certa maniera da Dio stesso per fare la di lui volontà ! Questo esempio, dicea S. Francesco di Sales soffoga il mio spirito con la sua grandezza.
3. " L'unione con Dio si fa in tre maniere: colla conformità, colla conformità, e colla conformità. La conformità è una totale subordinazione della nostra volontà alla volontà Divina in tutte le nostre opere, occorrenze, ed eventi ; volendo ed accettando tutto quello, che Iddio vuole e dispone per grave e ripugnante che sia. L'uniformità è una stretta cognizione della nostra volontà con la volontà Divina, per cui non solamente vogliamo tutto ciò che vuole Iddio ; ma lo vogliamo per quest'unico motivo, che Dio lo vuole ; e godiamo egualmente di tutto per questa sola cagione, perché di questo gode, e questo vuole la Divina volontà. E di qua si leva ogni ripugnanza. La deiformità è una trasformazione, che rende la nostra volontà tutt'una con quella di Dio: di maniera che ella non sente più se stessa, come se veramente non vi fosse più, ma solo sente in se la volontà Divina, e tutti gli affetti ed operazioni sue, come se in essa si fosse cambiata ; né vuole più cosa alcuna anche delle più sante con volontà creata, né per quella, ma solamente nella increata, fatta sua per trasformazione. " Il P. Achille Gagliardi.
S. M. Madd. de Pazzi giunse a possedere tutti e tre questi gradi d'unione. Poiché quanto al primo ; disse più volte con gran sentimento, se io vedessi qui l'Inferno aperto, e credessi, essere volontà del Signore, che io penassi eternamente in quelle fiamme, da me stessa subito mi precipiterei là dentro per effettuare il suo divino volere. Quanto al secondo, in un'estasi, che ebbe nelle Feste di Pentecoste: Mi protesto, disse, di non volere, né desiderare lo Spirito Santo, se non secondo il volere di Dio. Io lo desidero, e non lo desidero: perché non lo voglio desiderare da me come da me: tanto che se Iddio me lo desse per fare la mia volontà, e non la sua, come sua, ma come mia, ancorché in questo ci fosse la volontà sua ; ma non primieramente, e totalmente sua ; in nessun modo ne sarei contenta. Tanto m'importa non voler possedere, e far mio quel che gli ho donato, e voglio che sia tutto suo ; per poter dire con tutta verità in ogni cosa: Fiat voluntas tua. E quanto al terzo ella vivea, come morta a se stessa, senza proprio intendere o volere. Tale appunto il Signore le fece vedere l'Anima sua in un'altra estasi sotto l'apparenza di un'altr'Anima, ch'ella descrisse con questi termini. Ella cammina dietro al suo Sposo, senza intendere, senza sapere, senza parlare, senza udire, senza gustare, e si può dire, senza operare, e come morta: solo attende ad andar dietro al tiro interno del Verbo Divino, per non offenderlo.
4. " La conformità al divino volere è un potentissimo mezzo per vincere qualunque tentazione, per emendarsi qualsivoglia imperfezione, per conservare la pace del cuore, ed è un rimedio efficacissimo per tutt'i mali, ed il tesoro del Cristiano. Poiché contiene eminentemente in se la mortificazione, l'annegazione, l'indifferenza, l'imitazione di Cristo ; l'unione con Dio e generalmente tutte le virtù: le quali non sono tali, se non perché son conformi alla volontà di Dio, ch'è l'origine, e la regola d'ogni perfezione. " S. Vinc. de Paoli.
Egli era tanto affezzionato a questa virtù, che si può dire, essere ella stata la propria e principale, e come la generale virtù di lui, la quale mandava i suoi influssi sopra tutte le altre, ed era come il principal motore di tutte le potenze dell'Anima sua, e di tutt'i sensi del suo corpo, ed il primo mobile di tutt'i suoi esercizj di pietà, di tutte le sue più sante pratiche, e di tutte quante le sue azioni. Di modo che, se si metteva alla presenza di Dio nelle sue orazioni, ed in tutti gli altri suoi esercizj ; ciò era per dire a Dio, come S. Paolo: Signore, che volete ch'io faccia ? Se era sì attento in consultare ed ascoltare Dio, e si portava con tanta circospezione per discernere le vere inspirazioni procedenti dallo Spirito Santo dalle false, che vengono dal Demonio, o dalla natura ; ciò era per conoscere con maggior sicurezza la volontà di Dio, e per meglio disporsi ad eseguirla. E se finalmente rigettava sì risolutamente le Massime del Mondo, ed unicamente si attaccava a quelle del Vangelo, se rinunziava sì perfettamente a se medesimo, se con tanto affetto abbracciava le Croci, e si abbandonava a fare e soffrire tutto per Dio, tutto era per conformarsi più perfettamente ad ogni volere di S. D. M.. Il B. Jacopone stupendosi, come non sentisse più alcun stimolo, né inquietudine nella propria coscienza, come prima sentiva, intese questa voce nel suo interno: Questo viene, perché ti sei abbandonato totalmente alla Divina volontà, e ti contenti di tutto ciò ch'ella fa.
5. " E' tanto il gusto, che hanno gli Angioli in fare la volontà di Dio, che se fosse voler di lui, che alcun di loro venisse in Terra a sceglier la zizzania, o a purgar le ortiche di un campo, lascerebbe subito il Paradiso, e si metterebbe a far ciò di tutto cuore, e con infinito diletto. " Il B. Enr. Sus.
Egli medesimo era tanto contento del divino volere, e tanto ad esso attaccato e subordinato, che diceva: Io vorrei esser piuttosto un pipistrello con la divina volontà, che un Serafino con la mia. Era tale e tanto l'affetto, e la tenerezza d'amore, che portava S. M. Maddalena de Pazzi a fare la divina volontà, che al solo sentirne parlare parea che si risolvesse in giubilo di spirito, e talora veniva rapita in estasi. Onde una sera in tempo che le altre si erano ritirate in cella per dormire, stando ella per casa, sentì dire che una sorella avea gran desiderio di far la volontà di Dio, e rispose con giubilo: è una cosa troppo amabile ; con che rimase alienata da' sensi: e non potendo contenere quella gran dolcezza, che le apportava la cognizione dall'amabilità del Divino volere, si mise a correre per il dormitorio, esclamando, che la Divina volontà è amabile ; e chiamando le altre, che venissero a confessare la stessa cosa insieme con lei: tanto che commosse teneramente tutte, uscirono fuori, e andarono con essa in una Cappella, dove tutte ad alta voce unitamente confessarono essere amabile la Divina volontà ; e si fece in tutte una gran commozione di spirito.
6. " Un'Anima con verità rassegnata in Dio non s'affeziona a veruna cosa creata ; perché conosce chiaramente, che tutte le cose fuor di Dio sono vanissime, ed un nulla. Onde l'oggetto e lo scopo suo altro non è che di morire a se stessa, e di rassegnarsi attualmente, e sempre in tutte le cose. " Il B. Enr. Sus.
S. Vinc. de Paoli fu in questo eccellente, perché vivea staccatissimo da tutte le creature, ed anche da se medesimo, e solo attento a dipendere in tutto dal voler di Dio e dalla disposizione della sua santa Provvidenza. A questo felicissimo stato era pervenuta l'Anima della V. M. Serafina, come apparisce da una relazione, che di se ella fece al suo Direttore in questi termini. Lo stato, in cui presentemente trovasi l'Anima mia, è, che altro io non voglio, che quello che vuole Iddio: il gusto e volere di Dio si è tanto internato in me e tanto impastato col volere e gusto mio, che si è fatto mio, e quello solo voglio, che vuole Iddio ; e non solo lo voglio ma non posso né volere né avere altro gusto e volere che questo. Questo è il mio unico e compito volere ; né ho bisogno di produrre, o di replicarne gli atti ; perché già lo tengo altamente impresso nell'Anima, e l'amo, e lo stimo, e sommamente ne godo.
7. " Il Signore siccome conosce tutti per quello a che sono buoni ; così dà a ciascuno il suo impiego, conforme più vede convenire alla gloria sua, alla salute di lui, ed al bene de' prossimi. Questo però è l'inganno nostro in non rimetterci totalmente a quello ch'egli vuol fare di noi. " S. Teresa.
Ella medesima, avendole i suoi Direttori posto in dubbio il suo cammino nello spirito, ed ordinato che procurasse altra via ; non sapea far altro che mettersi nelle mani di Dio ; affinché egli che sapea quello che le conveniva, adempisse il lei tutto ciò ch'era di sua volontà in ogni cosa. Il Signore un dì pose nelle mani di S. Francesco Borgia d'eleggere o la vita, o la morte della sua consorte, ch'era gravemente inferma. Al che egli inteneritosi rispose: Perché, Signore, commettete al giudizio mio quello che unicamente sta in poter vostro ? Quello che importa a me, è di seguire in tutto il vostro santo volere, perché niuno meglio di Voi sa quello ch'è meglio per me. E però fate pure quello che più vi piace, non solo della consorte, ma de' figli ancora e di me: Fiat voluntas tua. Un cieco chieseistantemente la vista a S. Vedasto nel dì della sua Festa, e l'ottenne ; e poi tornando a pregare che se la vista non era espediente per la di lui salute non l'avrebbe voluta ; immantinente gli fu ritolta. L'istesso accadde ad un altro, il quale essendo guarito, da una grave infermità per l'intercessione di S. Tommaso Cantuariense ; pregò il Santo, che se ciò non era il meglio per lui, non lo voleva ; e gli ritornò subito la medesima infermità, ed egli ne restò contento.
8. " Dobbiamo sottometterci al volere di Dio, ed essere contenti in tutti quegli stati in cui gli piacerà di metterci, né mai desiderare di uscirne finché non conosceremo, che tale è il gusto di lui. Questa, è la più eccellente, e la più utile pratica, che si possa esercitare sopra la Terra. " S. Vinc. de Paoli.
Il V. P. Daponte disse ad un suo confidente, che godea de' difetti naturali della sua persona, e della sua lingua ; perché il Signore con tali difetti l'avea voluto segnato ; e che similmente godea di tutte le tentazioni, o miserie sue sì interne, che esterne, perché Iddio così voleva e che se fosse volontà di Dio che vivesse mille anni carico di travagli anche maggiori, e tra dense tenebre, purché non offendesse lui, tuttavia ne sarebbe stato contento. S. Elisabetta avvisata della morte del marito in guerra, rivolta subito a Dio, disse, Signore, tu ben sai, che io preferiva la presenza di lui a tutte le delizie del Mondo. Ma giacché ti è piaciuto di tormelo: io totalmente mi accomodo al tuo snto volere, che se con istrapparmi un solo capello, lo potessi riavere senza il tuo beneplacito non lo farei giammai.
9. " Non crediate mai d'esser arrivati alla purità, che dovete, sin a tanto che la vostra volontà non sia del tutto, ed in tutto anche nelle cose più ripugnanti liberamente e allegramente sottomessa alla santa volontà di Dio. " Sales.
Del medesimo Santo dice la B. di Chantal, essere egli giunto a tanta purità, come da lui stesso avea risaputo, che nel più forte delle sue afflizioni provava una dolcezza cento volte più dolce dell'ordinario. E che questo proveniva da quell'intima unione, che godea, la quale gli rendea saporitissime le cose più amare. S. Vincenzo de Paoli avendo patito un danno notabile nelle sostanze della Congregazione, n'avvisò un amico così: Non posso a meno, che come a parzialissimo nostro io non vi dia parte della perdita da noi fatta ; non già come di male, che ci sia avvenuto, ma come di favore che il Signore ci ha fatto: acciocché ci ajutate a rendergliene le dovute grazie. Favori e benefizj chiamo io le afflizioni, ch'egli ci manda, massimamente quando son ben ricevute. E perché la sua infinita Bontà ha ordinata questa perdita ; ce l'ha fatta accettare con perfetta ed intera rassegnazione: ed ardisco dire, con quell'allegrezza con cui avremmo ricevuto qualche prospero avvenimento.
10. " Vale più un atto di rassegnazione al divin volere in quello che dispone contrario a noi, che centomila buoni successi secondo il volere, e gusto nostro. " S. Vinc. de Paoli.
Il Santo Giobbe tra tante disgrazie, con quel Dominus dedit, Dominus abstulit, quanto mai meritò appresso Dio !
11. " La perfetta rassegnazione altro non è che un eccesso di morale annichilazione de' pensieri ed affetti, rinunziandosi uno totalmente in Dio, perché lo guidi come gli pare e piace in ogni cosa: come se non sapesse, o non volesse più se stesso, né verun'altra cosa che Dio. Ed allora è, che, come si dice, l'Anima si perde in Dio: non già quanto alla natura, ma quanto alla proprietà delle sue potenze. " Il B. Enr. Sus.
S. Caterina da Genova fu una di quelle Anime fortunate, che giunse a partecipare di questa santa annichilazione, nella quale com'ella medesima attesta, non avea più né pensieri, né affetti, né desiderj di veruna cosa, fuorché quello di lasciar fare a Dio di lei ed in tutto quello che egli volea, senz'alcuna sua resistenza, o elezione ; e che questo le dava in ogni tempo ed in ogni cosa un sapore, che partecipava con quello de' Beati, i quali non hanno altro volere che quello del loro Dio. Ond'è, che dicea: se io mangio, se bevo, se parlo, se taccio, se dormo, se veglio, se vado, se odo, se penso, se sono in Chiesa, se in casa, se in piazza, se inferma, o sana ; in ogni ora e momento della vita mia tutto voglio, che sia in Dio e per Dio nel prossimo anzi non vorrei poter fare, né parlare, né pensar altro che quello che fosse il voler di Dio ; e la parte, che a quelle si opponesse, vorrei ne fosse fatta subito polvere e sparsa al vento. Essendo apparsa a S. Aldegonda una fanciulla da lei non conosciuta, la quale da parte della SS. Vergine le disse che domandasse ciò che volea che le sarebbe dato: Tutt'allegra la Santa, rispose, che altro non bramava, se non che in tutte le cose si facesse la santa volontà di Dio, alla quale ella sarebbesi rassegnata con tutto suo gusto e piacere.
12. " Quando sarà, che noi gusteremo la dolcezza della divina volontà in tutto ciò che ci avverrà, non considerando in veruna cosa altro, che il suo beneplacito, dal quale è certo, che con eguale amore, e per lo nostro meglio, ci vengono compartite tanto le avversità, che le prosperità ? Quando ci saremo abbandonati affatto nelle braccia del nostro amorosissimo Padre celeste, lasciando in lui la cura delle nostre persone e de' nostri affari, e non riservando per noi, che il solo desiderio di piacere a lui, e di ben servirlo in tutto quello che potremo ? " La B. Maria di Chantal.
Mentre S. Pietro stava per venire alla disputa con Simon Mago ; questi gli mandò a dire che per un negozio importante sopraggiuntogli dovea differirla tre giorni dopo. S. Clemente, che si era convertito di fresco, ed allora si trovava con S. Pietro, s'attristò di questa dilazione. Ma S. Pietro lo consolò, con dirgli: Figlio questo è proprio de' Gentili, e di turbarsi, quando le cose non succedono secondo il desiderio: ma noi, che sappiamo, che il Signore guida e dispone tutte le cose, abbiamo in tutt'i casi da star con gran consolazione e pace. Sappi, che questo che ti apporta malinconia, è seguito per maggior bene ; perché se la disputa si fosse fatta oggi, tu non l'avresti intesa molto ; e facendosi più tardi, l'intenderai meglio ; perché frattanto io t'istruirò, e così ne caverai maggior profitto. Perciò per l'avvenire guardati di non discostarti mai dal divino volere, pigliando sempre tutto ciò, che t'avverà per lo tuo meglio. Si legge della moglie di un armigero, che in tutt'i casi avversi, che ad alcuno accadevano, avea sempre in bocca queste parole: questo sarà il meglio per lui. E questo stesso disse al marito una volta che perdé un occhio. Or accadde, che dopo qualche tempo stando il Re vicino a morte, e dovendosi secondo il costume del Paese deputare uno, che morisse insieme con lui per onorare la di lui morte, fu a tal effetto deputato il marito ; ma questo fatto savio dal suo stesso infortunio: no, disse, non è decente, che un sì gran Re abbia per compagno nella sua morte un guercio. Il che fu da tutti approvato: è così l'aver perduto l'occhio non fu per lui disgrazia, ma gran fortuna.
13. " L'abbandonare se stesso in Dio altro non è, che un donargli totalmente la propria volontà. Quando un'Anima può dire daddovero: Signore io non ho altra volontà, che la vostra ; allora è veramente abbandonato in Dio, ed in lui unita. " Sales.
Il V. P. Daponte avea fatto questo voto, e lo ripetea ogni giorno: Fiat, Domine, de me, in me, pro me, et circa me, et omnia mea, sancta voluntas tua in omnibus, et per omnia, et in aeternum. Apparve un giorno il Signore a S. Geltrude, dicendole: Figlia, ecco che io porto in una mano la santità, e nell'altra l'infermità: eleggi quello che più ti piace. E la Santa gettatasi a' piedi di lui colle mani incrocicchiate sul petto: Signore, rispose, io vi prego a non considerare per niente la volontà mia, ma la vostra unicamente, ed a fare in me quello che sia per riuscir a maggior gloria e gusto vostro ; perché io non ho altro desiderio, che d'avere quello che volete voi, che io abbia. Piacque molto al Signore questa risposta, e le soggiunse: Quei, che vogliono esser visitati spesso da me, mi donino la chiave della loro volontà, senza dimandarmela più. Dal che addottrinata la Santa, si compose questa giaculatoria, che poi ripeteva ad ogni momento: Non mea, sed tua voluntas fiat, Jesu amantissime.
14. " Sono molti quei, che dicono al Signore Io mi dò tutto a Voi senz'alcuna riserva: ma sono pochi que', che abbracciano la pratica di questo abbandonamento, la quale consiste in una certa indifferenza a ricevere ogni sorta di accidenti, conforme arrivano secondo l'ordine della divina Provvidenza ; tanto le afflizioni, quanto le consolazioni ; sì i dispregi e gli obbrobrj, come gli onori e la gloria. " Sales.
Spiccò a meraviglia in questo S. Vincenzo de Paoli. In tutt'i luoghi, tempi, impieghi, occasioni, e nelle tribolazioni, e nelle consolazioni, e nelle malattie, e ne' gran freddi, e ne' gran caldi, e nel ricevere affronti, rimproveri, calunnie, o perdite di persone, e di beni, mai non s'inquietò punto, né si turbò: ma come se tutti questi accidenti fossero d'una medesima sorta, se ne restava sempre con una gran pace e tranquillità d'animo che dava a conoscere colla dolcezza delle parole, e colla serenità del volto. E ciò perché non perdea mai di vista quella sua gran massima che nulla succede in questo Mondo, che non venga ordinato dalla divina Provvidenza, nelle cui braccia s'era egli interamente abbandonato. Il che fece dire ad un Prelato, di ciò stupito: ilSignor Vincenzo è sempre il Signor Vincenzo. I casi particolari renderanno la cosa più chiara. Ricevendo avviso, che alcuni esterni voleano muover liti, e molestare i suoi Missionarj ne' loro beni, e nelle cose, e luoghi da loro acquistati ; la sua più ordinaria risposta era, che null'altro succederebbe se non quello che piacerebbe al Signore ; e che essendo egli il Padrone di tutt'i loro beni, era cosa giusta, che ne disponesse secondo il suo divin volere. Essendo gravemente infermo uno de' principali e più utili soggetti della Congregazione scrisse così ad una persona che ne sentiva grande afflizione: Pare, che N. S. voglia pigliare la sua parte della nostra piccola Compagnia. Essa, come spero, è tutta sua, e però egli ha diritto di valersene come gli parrà. E quanto a me il maggior desiderio, che io abbia, è di nulla desiderare, fuor che l'adempimento della sua divina volontà. Di fatti sebbene gli fosse tanto cara la conservazione della sua Congregazione, non desiderò mai né questa né l'aumento, o progresso di essa, se non in quanto potea conoscere, che Iddio così volea, di modo che, come disse una volta non avrebbe menato un passo, né detta una sola parola per questo, se non fosse stato con intera dipendenza dalla divina volontà. E lo stesso pure praticava in ciò che riguardava la propria sua persona. Poiché soffriva le sue gravi infermità con gran pace e tranquillità d'animo. E nell'ultimo anno vedeva egli bene, e io diceva ancora, che se n'andava a poco a poco, ma con una sì perfetta indifferenza, che il vivere, e 'l morire, i patimenti, ed i sollievi, tutto gli era una cosa. Era indifferente per li cibi, e per li rimedj che gli venivano dati, e quantunque rappresentasse talora, alcuna cosa essergli nociva ; pigliava però sempre tutto quello che ordinavano i Medici, e si mostrava egualmente contento sì de' mali affetti, che de' buoni ; altro in tutto non rimirando che l'adempimento del divino beneplacito, come unico oggetto dei suoi desiderj, e delle sue allegrezze ; né mai si osservò in lui sì nelle malattie, che nella sanità neppure una minima cosa contraria a questa sua santa disposizione. A questo medesimo stato ancora arrivò la B. M. di Chantal, di cui si racconta, che ricevea con egual indifferenza tutti gli accidenti, tanto avversi, quanto prosperi ; non avendo altro desiderio fuorché quello solo, che Iddio facesse di lei, in lei, e circa di lei tutto ciò, che a lui piacesse ; e che perciò non volea neppure pensare a quello che a se, e ad altri potesse accadere nell'avvenire ; cioè che cosa avrebbe fatto, se si fosse trovata in qualche occorrenza, in caso, per esempio, che venisse a mancarle ogni cosa, se avesse dovuto andar mendicando, ovvero aspettare il provvedimento dalle mani del Signore. E dicea, che quando si trovasse in un simil caso, allora avrebbe domandato con nuova confidenza al Signore che cosa dovesse fare, tutta in lui abbandonandosi. In fatti dimandata una volta, se ne' varj pericoli di precipizj, di sommersioni, ed altri che aveva incontrati ne' suoi continui viaggi, avesse sempre sperato di esserne da Dio liberata, rispose di non avere sperata la liberazione, ma bensì, che il Signore avesse sempre fatto ciocché fosse di sua maggior gloria, o liberandola dal pericolo, o lasciandola in esso perire, e che in questa cotal dipendenza dalle divine disposizioni il suo cuore si trovava sempre contento, tranquillo, ed in pacifica quiete. In somma diceva un grande e santo uomo: un'anima, che sia perfettamente rassegnata, eè come un corpo da ogni parte perfettamente quadrato ( cioè un cubo ) il quale da qualunque parte si getti, in quella stabilmente si posa.
15. " Se vi getterete nell'esercizio del santo abbandonamento, senz'accorgervi del vostro profitto, farete molto avanzamento, come appunto succede a coloro, che navigano in alto mare con venti favorevoli, abbandonati alla condotta del pilota. " Sales.
Era in certo Monastero un Religioso tanto insigne di far miracoli, che gl'infermi guarivano col solo toccare le di lui vesti, o cintura. Si maravigliava di ciò l'Abate non vedendo in esso niente di speciale ed un giorno gli dimandò per qual cagione Iddio operasse per mezzo suo tanti miracoli: io non lo so, rispose egli, perché io non fo digiuni, né discipline, né veglio, né fatico, né faccio lunghe orazioni, o verun altra cosa di più degli altri. Questo solo io trovo in me, che niuna cosa che succede, mi turba, o m'inquieta, ma l'Anima mia se ne sta sempre con una stessa tranquillità in tutti gli avvenimenti, per molti avversi, che sieno, tanto proprj, che d'altri, perché ho lasciata ogni cosa nelle mani di Dio, e così le prosperità, come le avversità, così il poco, come il molto, tutto piglio con egual rendimento di grazie, come venute dalli mani sue. Allora, soggiunse l'Abate, e non ti turbasti l'altro giorno, quando quel nostro avversario bruciò la nostra grangia ? Niente affatto, rispose esso. Ecco dunque la cagione de' tuoi miracoli, ripigliò l'Abate. Un contadino, che avea sempre, e più, e migliori frutti degli altri richiesto della cagione di ciò da' suoi vicini: Sentite, disse, io ho sempre i tempi, come li voglio, perché li voglio sempre come vuole Iddio, e non altrimenti.
16. " Uno de' principali effetti del santo abbandonamento in Dio è l'egualità di spirito ne' varj accidenti di questa vita: ch'è certamente una cosa di gran perfezione, e di gran gusto di Dio. Ed il modo di mantenerla, è ad imitazione dei piloti, rimirar di continuo il polo, cioè il voler Divino, per starvi continuamente attaccato: giacché esso è, che con infinita Sapienza distribuisce rettamente la prosperità e le avversità, la sanità e le malattie, le ricchezze e la povertà, gli onori e i dispregi, la scienza e l'ignoranza ; e tutto quanto in questa vita succede. Altrimenti se rimireremo le creature senza questa relazione a Dio, non potremo a meno di non mutarsi di umori, e d'inclinazioni secondo la varietà degli accidenti, che occorrono. " Sales.
Riferisce Taulero, esservi stato un insigne Teologo, il quale per otto anni continui avea pregato Dio di fargli trovare alcuno, che gl'insegnasse la via della verità, e che un giorno finalmente mentre stava più infervorato in questa preghiera, udì una voce dal Cielo, che gli disse: va al Tempio, e là lo troverai. Andò, e vi trovò un povero mendico, che se ne stava su i gradini della Chiesa malamente involto in uno straccio di veste tutta logora, e tutto ricoperto di piaghe ; e mossone a compassione lo salutò benignamente dicendogli: Iddio ti dia il buon giorno, buon uomo: Io, disse subito con lieto viso colui, non ho mai avuto un mal giorno. Dunque ripigliò il Teologo, Iddio ti dia buona fortuna. E quegli, io non ho mai provati infortunj. Ma come non hai avuti giorni mali, e non hai mai provati infortunj, soggiunse il Teologo, se sei carico di malanni, e di guai ? Ti dirò, rispose il mendico, io mi son posto totalmente in braccio alla divina volontà, alla quale conformo talmente la mia, che quanto Iddio vuole, tanto voglio io. Ond'è, che quando la fame, la sete, il freddo, il caldo, le infermità mi molestano, io altro non faccio, che lodare Dio. Sia l'aria serena, o tempestosa, io lodo sempre Dio ; e qualsivoglia cosa mi accade, sia prospera, sia avversa, sia grata, o disgustosa, tutto prendo dalla mano di Dio con grande allegrezza, come cosa, che non può essere se non buona, mentre proviene da una causa, la quale non può fare, se non cose ottime. Ma ripigliò allora il Teologo, e se Iddio ti volesse mandare all'inferno, cosa faresti ? ed il mendico: incontanente mi butterei là dentro. Però vedi, io ho due braccia, uno è l'umiltà ; col quale mi tengo sempre unito alla di lui sacratissima umanità, l'altro è amore, che mi unisce alla di lui Divinità. Or se accadesse, che egli mi condannasse all'Inferno, io allora con queste due braccia mi stringerò sì fortemente in lui, ch'egli sarebbe costretto a venire insieme con me. E con tal compagnia non m'importerebbe di star anche nell'Inferno. Chi sei mai tu ? disse qui il Teologo. E colui. Io son Re. E dov'è il tuo regno ? nell'Anima mia: perché so regger così bene i miei sentimenti sì interni, che esterni, che tutte le forze, le inclinazioni, e gli affetti dell'Anima mia mi stanno totalmente soggetti. Dimmi, donde mai apprendesti tanta perfezione ? col raccoglimento, colla meditazione, e coll'unione con Dio. Io non potei trovar mai la quiete in cosa alcuna, che fosse minore di Dio, finché non giunsi a trovar lui, e da allora in quà io godo una continua pace. E dove trovasti Dio ? Dove io lasciai l'affetto a tutte le altre cose.
17. " In questo santo abbandonamento si genera quella bella libertà di spirito che hanno i perfetti, ed in cui trovasi tutta la felicità, che in questa vita si può desiderare, poiché di nulla temendo, e nulla volendo e bramando delle cose del Mondo, tutto possederemo. " S. Ter.
Una di queste belle Anime era quella di S. Francesco di Sales. Poiché egli in tutti gli accidenti, che gli occorreano, mostravasi sempre contento, come se tutti andassero secondo il suo desiderio. In fatti essendosi sollevata una fiera persecuzione contra di lui, e contra l'Ordine da lui istituito, scrisse così alla Chantal, io rimetto tutti questi venti infesti alla divina Provvidenza. Soffino ; o cessino, come a lei piacerà ; la tempesta, e la bonaccia mi sono egualmente care. Se il Mondo non sparlasse di noi, non saremmo servi di Dio. Ferdinando II Imperatore faceva ogni giorno questa preghiera: Signore se è bene per la gloria tua, e per la salute mia, che io sia maggior di quello che sono, esaltami ; e ti glorificherò: Se è d'onor tuo, e per la mia salute, che io mantenga nel grado che sono: conservami in esso, e ti glorificherò: Se è di lode tua, e per bene mio, che io stia in grado più basso ; abbassami, e ti glorificherò. Il P. Alvarez non pensava mai che cosa si sarebbe fatta di lui. E se tal volta gli veniva ciò in mente, dicea subito: ne sarà quello che vorrà Dio ; e rivolto a Dio, Signore, io non voglio altro, che contentar voi, e soddisfar voi.
18. " Oh, il bel vedere una persona spogliata da ogni attaccamento, pronta ad ogni atto di virtù e di carità, dolce con tutti, indifferente ad ogni esercizio, eguale nelle consolazioni, e nelle tribolazioni, e tutta contenta, purché si faccia la volontà di Dio. " Sales.
Ecco come il Santo, senza volerlo, ci ha dipinto al vivo se stesso ; poiché tale appunto egli era, quale quì si è descritto ; come apparisce da tanti fatti riferiti in quest'Opera.
19. " Quando ci saremo abbandonati totalmente al gusto di Dio, sottomettendo senz'alcuna riserva la nostra volontà, e tutt'i nostri affetti al suo dominio ; allora vedremo le Anime nostre talmente unite con S.D.M., che potremo dire con quel perfetto tra' Cristiani: In me non ci vivo più io, ma Gesù Cristo. " Sales.
Il medesimo Santo, per attestazione di chi lo praticava più confidentemente negli ultimi anni di sua vita era arrivato a tanto, che non volea, non amava, né vedea più altro, che Dio in tutte le cose. D'onde procedea, che si vedea sempre assorto in Dio, e dicea non esservi cosa al Mondo, che lo potesse contentare, se non Dio ; e più volte profferì con un sentimento tutto estatico ; Signore, che v'ha in Cielo per me, e che voglio io in Terra, se non Voi ? Voi siete la mia porzione, e la mia eredità in eterno. Tutto ciò che non era Dio era niente per lui. E questa era la principale tra le sue massime.
20. " Quando uno vuole unirsi a Dio è necessario, che si esamini, se tra l'Anima sua e Dio vi sia qualche cosa di mezzo, e se in qualche cosa egli cerchi se stesso, e sia rivolto a se medesima. " Il B. Enr. Sus.
Il V. Bercmans, essendosi esaminato se aveva affetto a veruna cosa, trovò, che non v'era cosa sopra la Terra, alla quale avesse o potesse aver affetto. Onde lasciò scritto: Nulli rei sum affectus, et nihilo habeo, cui afficiar. Un cavaliere di gran nome, che avea menata gran parte della vita in Corte, governandosi colle massime del Mondo, finalmente guadagnato a Dio da S. Vincenzo de Paoli, si diede tanto alla perfezione, che divenne a tutti di grand'esempio. Però bramoso di crescere, e persuaso, che quanto più fosse staccato dalle creature, tanto più si unirebbe con Dio, s'andava sovente esaminando, se avesse qualche attaccamento a' parenti, amici, beni, onori, comodi, o altro ; e qualunque cosa trovava, che lo trattenesse, quella subito rompeva, e tagliava. Un giorno poi andando a cavallo prese al far il consueto esame, e non trovava niente, se non che finalmente conobbe d'aver affetto alla sua spada la quale ne' duelli l'avea tante volte difeso dalla morte. Ed incontanente scese da cavallo incontrata una grossa pietra, la ruppe sopra di quella. Raccontando poi il fatto al Santo attestò, che quell'atto gli diede una libertà sì grande, che non mai più ebbe affetto a veruna cosa caduca.
21. " L'orazione di unione non pare altro, che un morire quasi affatto a tutte le cose del Mondo, e star godendo di Dio. " S. Ter.
In questo felicissimo stato trovavasi S. Caterina da Genova, la quale confessa di se, che una volta ebbe una visione, in cui le fu mostrato, come, tutto il bene procede da Dio senz'altra causa antecedente, che dalla sua pura, e semplice bontà dalla quale viene unicamente mosso a farci del bene in tanti modi, e vie. Da tal vista, dice, ridondò in me un certo fuoco d'amore tanto intrinseco, che fin da quel punto mi fu levato l'intelletto, la mente, e la volontà, e l'amore d'ogni cosa, ch'è fuor di Dio: tanto che l'Anima mia non sa, né può voler altro, che ciò che di presente sta godendo, e niente più, e con ciò è contenta e soddisfatta più di quello che mai potesse ottener con mettere in opera ogni suo sforzo ed industria. E se mi dimandasse, che cosa vuoi tu ? che intendi tu ? io risponderei: niun'altra cosa fuorché quello che mi dà l'amore, il quale mi tiene tanto in se occupata, e sì piena, che non ho bisogno d'andar meditando, né cercando cosa alcuna per pascere le mie potenze, tanto stanno sazie e soddisfatte.
22. " L'anima, che sta attaccata coll'affetto a qualsivoglia cosa anche minima, che molte virtù che tenga, non arriverà mai alla libertà della divina Unione. Poichè importa poco, che un uccello stia legato con un filo grosso, o con uno sottile ; mentre per sottile che quello sia, quando però non lo rompa, starà sempre legato, né mai potrà liberamente volare. Oh che compassione è mai il vedere certe Anime, come tante ricche navi, cariche di preziose merci di buone opere, di esercizj spirituali, e di virtù, e gran favori di Dio ; e per non aver coraggio di finirla con quel gustarello, o affezioncella non possono mai arrivar al porto della divina Unione, che in altro più non stava, se non in dare un buono e forte volo, e finir di rompere quel filo di attaccamento ! Poiché liberata l'Anima da ogni affetto a qualunque creatura, non può Iddio non comunicarsele con pienezza: come non può il Sole non entrare ad illuminare una stanza aperta, quando è sereno. " S. Gio. Crisost.
Si riferisce nella vita di S. Gregorio, che un uomo ricco lasciò il Mondo, e si ritirò in una selva, non portando seco altro, che un piccolo gattino, acciò gli servisse di qualche sollievo in quella solitudine ; quale perciò egli amava, e spesso accarezzava. E dopo esser là vivuto per molti anni in un continuo esercizio d'orazione, e penitenza, pregò il Signore a volergli manifestare qual premio gli tenea preparato. E Iddio gli fece intendere, che potea sperare nel Cielo un posto eguale a quello di Gregorio Romano Pontefice. Si attristò il buon Romito ad un tal avviso, non potendo capire, come uno, che aveva lasciato per Dio quanto aveva, e l'avea servito con tanta austerità, non avesse da ricevere maggior premio di uno, che vivea tra tante ricchezze e tra tante comodità. Ma il Signore gli aprì gli occhi con fargli intendere, ch'era più attaccato egli al suo gattino, che Gregorio a tutte le ricchezze ed onori, che godeva ; e che la perfezione consiste appunto nello staccamento da ogni cosa, che non è Dio. Le monache della Visitazione fanno special professione di un totale staccamento da ogni cosa, non potendo appropriarsi cosa alcuna quanto si voglia minima, neppure un ago. E però per mantenere in vigore questa sì eccellente spropriazione, a fine di non attaccare il loro affetto a cosa alcuna, han per regola di cambiar ogni anno tra di loro quanto hanno in uno, camere, libri, masserizie, e tutto, per fin le medesime Croci che portano in petto.
23. " Ecco perchè dopo tante Comunioni, che facciamo, non mai arriviamo a ricevere la santificazione ; perché non lasciamo regnare in noi il Signore, com'egli bramerebbe. Egli viene in noi, e trova i nostri cuori pieni di desiderj, d'affetti, e di piccole vanità. Non è questo quello ch'egli desidera. Lì vorrebbe trovare affatto voti, per rendersene assoluto padrone e governatore. " Sales.
Uno di questi cuori era quello del medesimo Santo. Poichè attesta di lui il suo Confessore, che non potea soffrire in esso verun affetto che non fosse tutto di Dio, o per Dio. Ond'è, che se talora vedea spuntarvene alcuno, che tale non fosse, gli era subito sopra con ferro e fuoco alla mano per estirparlo. Ad una buona Anima fu detto dal Signore, che la miglior disposizione per ricevere abbondanti grazie nella Santa Comunione, è quella di vuotarsi di tutto. Perché se un gran Signore si porta in casa d'un suo amico, per riempirgli tutt'i suoi scrigni e bauli, e li trova pieni di crusca, di sabbia, e di terra con suo rammarico è forzato a ritirarsi in dietro. Questa è la ragione, perché le Anime sante usavano tante diligenze per far bene la Comunione. Leonora Imperadrice, che la frequentava tre volte la settimana, vi spendea prima due ore di meditazione, vi andava cinta di cilizio, e di catenelle pungenti avvolte in più giri intorno alle braccia: e dopo stava prostrata per un quarto d'ora col volto sul pavimento, trattenendosi col divino Ospite in dolci e tenere accoglienze. Indi per mantener tra 'l giorno il caldo della divozione, stava per quanto potea, ritirata, orando e leggendo in silenzio, ed in solitudine, nella sua stanza. S. Luigi Gonzaga vi spendea tutta la settimana, indirizzando per preparazione ad essa tutte le operazioni, che facea per tre giorni avanti, e perciò si studiava di farle bene, e quelle dei tre giorni dopo, per rendimento di grazie. Il V.M. di Palafox dopo la sua conversione essendo ancor secolare, si comunicava spesso, cioè una volta la settimana ; e si prese per esercizio di chiedere a Dio in ogni Comunione una virtù e di voler estirpare da se un difetto particolare impiegando perciò in questo quando giorni, e quando settimane intere. Con che procurava di superar coll'ajuto della grazia le sue cattive inclinazioni, e di sopprimere i costumi invecchiati ; e ne provava di giorno in giorno notabile miglioramento. Il V. Bercmans, ne' giorni di vacanza non si comunicava volentieri: perché dicea, che in tali giorni non potea stare con quella quiete e divozione di Anima, che si dee, e se doveasi comunicare, chiedea licenza di restare in casa. E disse in un'occasione, che ogni qual volta si comunicava si sentiva sensibilmente ristorare e rinvigorire lo spirito.
24. " Per arrivare alla perfetta unione, è assolutamente necessaria una totale e perfetta mortificazione de' sensi e degli appetiti. Il modo più efficace, e più breve per ottenerla è questo. Per li sensi bisogna qualsivoglia gusto, che loro si presenta, come non fia puramente per gloria di Dio, rifiutarlo subito per amor di Gesù Cristo, che in questa vita non ebbe, né volle altro gusto, se non di fare la volontà del Padre, che egli chiamava il suo cibo. Come per esempio, se si presenta un gusto, o voglia di vedere, o di udire cose, che non importano per lo servizio di Dio o non conducono maggiormente a Dio rifiutar quel gusto, e lasciar di mirare, o di udir quelle cose: e se non si può, basta non acconsentirci con la volontà. Per gli appetiti poi, sforzarsi d'inclinare sempre se stesso al più faticoso, al più disgustoso, al più difficile, al più povero, al peggiore, ed a nulla desiderare, fuorché di patire, e di esser disprezzato. " S. Gio. della Croce.
Tale appunto fu la vita del medesimo Santo, menata da lui in un esercizio continuo di mortificazione interna ed esterna senza mai mostrarsene sazio. E perciò arrivò ad una grande unione con Dio. S. Francesco Borgia pregava spesso il Signore a rendergli penose tutte le comodità di questa vita, ed egli medesimo si studiava di rendersele tali quanto più potea. Quindi è, che desiderava con avidità, cercava con sollecitudine, ed abbracciava con allegrezza tutto ciò che era contrario all'amor proprio, e nel vitto, e nel vestito, e nell'abitazione: col qual mezzo fece de' grandi progressi nella virtù, e nella santa Unione.
25. " Se brami d'arrivare all'unione di Dio, sia la tua maniera di vita e di conservazione più interna che potrai ; e non ti scoprire, né uscir fuor di te né con parole, né con gesti, né con costumi, ma studiati di contenerti dentro te stesso, rivolto a Dio solo, che ti è presente, ed escludendo dal tuo cuore tutto ciò che vedrai, o ascolterai. " Il B. Enr. Sus.
Il P. Alvarez essendo una volta stato pensieroso per alcuni giorni, e richiesto che cosa avesse, rispose: Studio la maniera di vivere, come se io fossi ne' deserti d'Africa, e di tenere il cuore così staccato da tutte le creature, come se appunto abitassi in un deserto: e l'ottenne. S. Rosa di Lima usava uno studio singolare in tener celate non solo le opere buone, e le penitenze che facea, ma fin anche i doni spirituali, che ricevea dal Signore, non rivelandoli senza necessità, neppure a' suoi PP. spirituali. Onde avendo un celebre Personaggio desiderato grandemente d'aver piena notizia delle grazie speciali, ch'ella godea pregò istantemente il di lei Direttore di scavarlo da essa. E sebben questi vi prevedesse delle gran difficoltà, pure per compiacerlo, sotto altro pretesto tentò con varj ragionamenti l'impresa. S'avvide tosto la pia Verginella ove teneano quegli artifizj ; e però con umilissime parole lo supplicò al volerle far questa grazia di non interrogarla di ciò: poiché avendo ella fin da' suoi primi anni supplicato ardentissimamente il suo Sposo a non mai permettere, che fosse penetrato da alcuno quanto per sua mera bontà egli avesse voluto in essa operare, il Buon Dio gliel'avea accordato ; e perciò non dovere il Ministro toglierle quella grazia, che le avea conceduta il Signore. S. Tommaso d'Aquino fin da' suoi primi anni andava incessantemente cercando, che cosa fosse Iddio. Fatto religioso, il suo unico gradimento era di pensare, di parlare, o di sentir parlare di Dio ; talmente che se talora nelle comuni conversazioni s'introducea qualche discorso, che non fosse di Dio, non ci attendea come se si parlasse di cosa, che non apparteneva a lui. E di tal maniera indirizzava a lui ed all'unico gusto di lui tutte le opere, ed azioni sue, che avendogli l'istesso Signore dimandato, che premio volesse per li tanti, e sì eccellenti scritti, che per lui fatti avea niun'altro, rispose, fuorché voi solo, amor mio, e Dio mio.
26. " State invariabile in questa risoluzione, di tenervi nella semplice presenza di Dio per mezzo d'un intero spogliamento e remissione di voi stesso nelle braccia della sua SS. volontà, ed ogni volta che voi troverete il vostro spirito fuori di questo caro soggiorno, riconducetevelo dolcemente, senza però far atti sensibili d'intelletto o di volontà. Perché questo amore di semplice confidenza, e questa remissione, e riposo del vostro spirito nel seno paterno della divina bontà, comprende tutto quello che si può desiderare per piacere a Dio. " Sales.
Questo appunto era l'esercizio più caro, e più frequente della B. M. di Chantal, ch'ella praticava per mezzo di un semplice sguardo in Dio, e di una semplice aderenza alla di lui SS. Umanità, riposandosi semplice in essa, come un piccolo bambino tra le braccia e nel seno di sua Madre, senza cercar di far altro, nè andar investigando quel che il Signore operava in lei, o perché l'operasse. Ed in questo trovava il suo miglior riposo, come ella stessa confessò in una relazione, che di sé fece al suo Direttore. Io, gli dice, sento in me il mio spirito molto portato a trattenersi con un semplice sguardo in Dio e nella sua divina Bontà. E sebbene non sento più quel totale abbandonamento e quella dolce confidenza, che una volta sentiva, anzi non ne posso neppur fare alcun atto ; ma pare però, che con quel solo sguardo queste stesse virtù divengono più sode e ferme che mai: onde se io volessi seguire il mio impulso interno, non farei mai altro che questo. E per frenar la vivezza del suo naturale attivo: si scrisse in una carta una lunga orazione, che contenea molte preghiere, lodi o rendimenti di grazie per li Benefizj generali, e particolari ricevuti, per gli amici, parenti, ed altre obbligazioni, per li vivi e pe' morti, in somma per tutte quelle cose, alle quali si credea tenuta. Si pose poi questa carta al collo e la portava dì e notte ; avendo convenuto con Dio, che ogni qual volta se la stringeva al petto, intendea di fare tutti quegli atti ; che in essa si conteneano. Tra le molte divozioni ed ossequj, che usava la V. S. M. Crocifissa per lo rendimento di grazie dopo la Comunione, uno era di metter Gesù nel comunicarsi a riposare nell'Anima sua, e come se vi dormisse, starsene ella appresso in umile silenzio guardandolo ; proibendo poi rigorosamente a tutte le sue potenze sì esterne, che interne di fare alcuna cosa, che non fosse in ossequio di lui, o alcun atto men rispettoso a lui, acciò coll'importunità di altri ufficj non isvegliassero il suo diletto. E così trattenea per molto tempo abbassate in tacita riverenza tutte le sue potenze, a null'altro pensando, che a Gesù giacente nel suo cuore. E da quest'ossequio più che da qualunque altro confessava di aver ella cavato maggior profitto. Procurava bensì nella preparazione d'aggiustargli bene il luogo con divoti affetti e con atti di varie sorte, acciò potesse riposarvi con meno incomodo.
27. " Quando io veggo certe Anime molto diligenti in star attente all'orazione, e col capo chino mentre si trovano in essa, di maniera che no ardiscono muoversi un tantino, né staccarsi col pensiero, perché non si parta un pochino da loro il gusto e la divozione sensibile, che hanno avuta ; questo mi fa vedere quanto poco queste intendano il cammino, per dove si arriva all'unione: mentre si credono, che tutto il negozio consista in non pensar ad altro, che a questo. No, no, opere vuole il Signore. E però quando vi si presenteranno cose da fare, alle quali vi obblighi o l'obbedienza, o la carità del prossimo ; allora non vi curate punto di perder quella divozione, e quel pensiero, e godimento di Dio per dargli gusto con fare quelle altre cose: perché queste vi conducono più presto di quelle altre alla santa unione. " S. Ter.
La B. Chiara di Montefalco si occupava volentieri delle fatiche del Monistero ; e solea dire, che in esse il dono dell'Orazione piuttosto si perfeziona. S. M. Maddalena de Pazzi essendo Novizia, avea tal volta facoltà dalla Maestra di ritirarsi all'Orazione in que' tempi, che le Compagne si dovevano occupare in questo esercizio corporale: ma ella non accettava tal licenza, dicendo, che stava più volentieri occupata in qualunque esercizio dell'ubbidienza, ancorché faticoso e basso, che in qualsiasi più alta contemplazione. E domandata del perchè, rispose: perché in fare gli esercizj della Religione, e dell'ubbidienza son certa di fare la volontà di Dio: del che non son sicura, quando fo Orazione, o altri esercizj, ancorchè buoni, e santi ; eletti di mia volontà. L'istesso sentimento ella avea della Carità verso il Prossimo, preferendola all'istessa contemplazione, a lei per altro sì cara. Poiché per aiutare il Prossimo né di lui bisogni si temporali, che spirituali, era sempre pronta a lasciar le sue orazioni e contemplazioni, ed ogni qualunque suo gusto spirituale.
28. " La propria volontà, come dice Iddio per lo profeta, è quella che guasta, e corrompe tutte le nostre divozioni, fatiche, e penitenze. Perciò per non perdere il tempo e le fatiche, bisogna che c'ingegniamo di non operar mai per movimento di natura, d'interesse, d'inclinazione, d'amore, o di capriccio, ma sempre per solo, e puro motivo d'eseguire la volontà di Dio, abituandosi a questo in tutte le cose: ch'è il mezzo efficace, anzi l'unico, per giungere sicuramente, e presto alla divina unione. " S. Vinc. de Paoli.
Questa era l'unica e principal premura, che avesse questo Santo di non intraprendere cosa alcuna, alla quale non si vedesse mosso dalla divina volontà. Perciò avea per massima di non mai impegnarsi di se in nuove intraprese anche di gloria di Dio, la quale pure gli era tanto a cuore ; aspettando sempre, che gli fosse manifestata la volontà del Signore per mezzo dell'altrui parere, delle orazioni che faceva, e facea fare perché la sua umiltà lo facea sempre diffidare. Aveva intesa bene questa importantissima verità S. Caterina da Genova, la quale parlando un giorno di ciò, disse così non v'è peste più maligna, che quella della propria volontà, la quale è tanto sottile, e tanto intrinseca con noi, e si copre in tanti modi e si difende con tante ragioni, che pare propriamente un Demonio: talmente che quanto non la possiamo fare per un verso, sa ben ella trovar la maniera, che la facciamo per un altro sotto molti velami e sopravvesti, come di sanità, di necessità, di carità, di giustizia, di perfezione, per patire per Dio, per trovar qualche consolazione spirituale, per dar buon esempio, per condiscendere agli altri e simili, cercando, trattando, e facendo i nostri proprj comodi: in modo che io veggo in essa un pelago di malizia tanto avvelenato, e tanto contrario a Dio, che egli solo ce ne può cavare. E perché egli vede questo meglio di noi, ne ha gran compassione, perciò non cessa mai di mandarci delle inspirazioni e delle contrarietà, e diversi altri mezzi per liberarcene.
29. " Per giungere alla divina Unione, son necessarie tutte le avversità, che ci manda Iddio: il quale solo attende a consumar per mezzo di quelle tutt'i nostri pravi movimenti di dentro e di fuori. E però tutte le villanie, ingiurie, disprezzi, infermità, povertà, esser abbandonati da' parenti ed amici, confusioni, tentazioni e Demonj, e tante altre cose contrarie alla nostra umanità, tutte ci sono sommamente di bisogno, acciò combattiamo sino a che per via di vittorie si vengano ad estinguere in noi tutt'i nostri movimenti pravi, sicché più non li temiamo: anzi sin a tanto che più non ci pajono amare, ma soavi per Dio tutte le avversità, non giungeremo mai alla divina unione. " S. Cat. da Gen.
Che la cosa passi così, dice questa Santa, io lo so per propria esperienza. Poiché vedendo l'amor Divino, esser noi tanto forti in tenere quel che già abbiamo eletto d'amare, perché ci par bello, buono, e giusto, e non vogliamo udir parola in contrario, essendo già dall'amor proprio acciecati, mette in rovina tutte le cose, che uno ama, per via della morte, d'infermità, di povertà, d'odio, di discordie, di detrazioni, con iscandali, con bugie, con infamie, con parenti, con amici, con noi stessi: tanto che la persona arriva a non sapere più che fare di se medesima, vedendosi tirata fuori di quelle cose, nelle quali si dilettava, e da tutti ricever pena e confusione, e non sapendo perché il Signore permetta queste operazioni, che pajono tutte contra ragione e quanto a Dio, e quanto al Mondo ; perciò si cruccia, e va gridando, cercando, e sperando di uscir di tant'ansietà ; e mai non n'esce. Quindi poi il Divino amore ha tenuta la persona un tempo con la mente così sospesa, e quasi disperata, ed infastidita di tutte quelle cose, che per innanzi amava, allora se le mostra con quella sua divina faccia gioconda, e risplendente. E subito che l'Anima il vede, restando già nuda, e derelitta d'ogni altro sussidio, si getta prostrata nelle sue mani ; e dopo d'aver veduta la Divina operazione per mezzo dell'amor puro: cieca, dice, dov'eri tu occupata ? che andavi cercando ; che desideravi tu ? vedi esser qui tutto quello che tu cerchi, e desideri, e tutta la dilettazione, che tu vorresti ? non trovi tu qui quanto mai puoi avere, e desiderare ? o Divino amore, con che dolce inganno m'hai tu tirata per ispogliarmi d'ogni proprio amore, e vestirmi d'amore puro, di tutt'i veri gaudj ripieno ? Ora che io veggo la verità, non più mi lamento della mia ignoranza, e cecità ; ed ora io lascio a te la cura di me, vedendo chiaramente che tu fai assai meglio di quel che io sappia e possa fare da me medesima. Non voglio più guardare se non all'operazione tua, che mira unicamente a quel che in vero vuole, e desidera l'Anima, la quale da se stessa non può, né sa quello che debba fare, perché s'accieca colla proprietà. S. Elisabetta figlia del Re d'Ungaria, rimasta vedova, fu spogliata de' proprj beni, scacciata dalla propria casa, abbandonata da tutti, e travagliata con detrazioni, affronti e scherni: tutto soffrì con molta pazienza ; anzi godea sommamente di poter sopportare tali patimenti per amore del Signore, il quale ben le rimunerò ampiamente tutto con altissimi doni.
30. " Per acquistar la perfezione in generale, e tutte le virtù in particolare sin a giugnere alla unione con Dio, è necessario prefiggersi un esemplare che possa servir di regola per tutte le sue azioni, e progressi. Or è certissimo che esemplare più bello e più sicuro noi non possiamo trovare di quello che ci ha proposto il medesimo Dio nella persona del suo divin Figliuolo: e beato chi ne saprà fare miglior copia. Questo adunque dee essere il miglior libro, e lo specchio, ove ci abbiamo a mirare in tutti gli incontri, che ci accaderanno ; cioè riflettere in che maniera si è portato il Signore in simili casi, e quali sieno le massime, che circa di ciò ci ha lasciate ; e poi seguir francamente il di lui sentimento, ed esempio. " S. Vinc. de Paoli.
La più ordinaria, e continua pratica del medesimo Santo, era appunto questa di regolarsi in tutti gli affari secondo gli esempj ed ammaestramenti del Salvatore del quale egli tenea sempre avanti agli occhi per conformarsi a lui in ogni sua azione ; di modo che ogni qual volta avea da prendere qualche determinazione, dare qualche consiglio, o raccomandare alcuna cosa: subito cercava nella vita, e dottrina di Cristo i motivi per appoggiarvela. Ond'è, che quasi mai non parlava senz'allegar qualche detto, o qualche fatto del Figliuol di Dio: ed è da stupire, come l'applicava sempre a proposito. Quando poi non gli veniva niente di ciò al proposito suo prima di tutto entrava in se stesso, e dicea tra se: Come direbbe, come farebbe Cristo in quest'occasione, e secondo gli parea che si sarebbe portato il Signore ; così appunto si portava. Nelle croniche di S. Francesco si narra che uno de' suoi Religiosi ebbe una visione, in cui vide a capo d'una strada ricoperta di spine S. Francesco con molti de' suoi Frati, e tra essi Gesù Cristo, che disse loro: Abbiam da camminare per qua, e si mise egli il primo ad andare. S'atterriscono i Frati stimando la cosa troppo ardua ; ma il Santo gli animò con dire, che bastava mettere i piedi dove gli avea messi il Signore. Il che facendo egli il primo, fecero tutti la strada con molta facilità.
31. " Oh qual rimorso avremo sulla fine de' nostri giorni nel vedere il numero grande de' documenti, ed esempi somministratici da Dio, e da' Santi per la nostra perfezione, e tanto da noi trascurati ! Se questa fine dovesse per te essere in questo giorno, come saresti contento ora della vita da te menata in quest'anno ? " Sales.
S. Vincenzo de Paoli solea spesso dire: o misero me, che conto dovrò io rendere al tribunale di Dio, ove tra poco debbo comparire ; di tanti mezzi che la sua divina Bontà si è degnata concedermi, se non n'avrò cavato frutto ? Il V. Bercmans fu tanto attento alla propria perfezione, che quanto apprendea di spettante ad essa, tutto gli restava impresso nella mente, e tutto metteva appunto in esecuzione. Riferisce la Kempis, che una pesona pia entrata un dì in una grande agitazione sul punto della sua finale perseveranza, si prostrò avanti un Altare, ed alzando gli occhi esclamò: O se sapessi di dover perseverar nel bene sino alla fine ! e udì subito un'interna voce, che gli rispose: E bene, se lo sapessi, che vorresti fare ? Fa al presente quello che vorresti aver fatto in quell'ora, e sarai in istato di sicurezza. Dal che consolata quell'Anima tutta si abbandonò nelle mani di Dio senza più sofisticare sul buono, o male stato di sua coscienza, e si diede ad esplorare, ed eseguire al meglio che potea la divina volontà. Si narra nelle vite de' PP. che dimandato un Monaco vecchio di qual esercizio si fosse servito per acquistar la perfezione: Io, rispose, da quel giorno, che lasciai il Mondo, dissi a me stesso: Tu oggi sei rinato, oggi comincia a servire a Dio, e ad abitare in questo santo luogo: Comincia ogni giorno così la vita tua, come se il giorno seguente dovessi finirla ; e così appunto ogni giorno ho fatto io. Il V. Mons. di Palafox, come si legge nella sua vita, sin dal principio della conversione che ebbe un lume superno, per mezzo del quale intese che dovea vivere a giornate, cioè porre ogni sua cura per vivere in maniera, come se ogni giorno credesse di dover morire, e rendere in quello i suoi conti a Dio. E così appunto fece per tutto il tempo che visse ed egli stesso confessa, essergli ciò stato di gran profitto. Il che dovette certamente alla morte essergli di gran soddisfazione. Ecco come dobbiamo trafficare in vita i lumi, che Dio ci dà, se vogliamo esser contenti alla morte d'averli avuti. ( a )
*** Fine del Diario Spirituale ***
( a ). Eccoci finalmente, mio caro lettore al termine del Diario Spirituale, passiamo all'esame l'Opuscolo sull'Umiltà ; Carità fraterna: e Confidenza in Dio per le tentazioni, ed aridità di Spirito: Tu non puoi fare a meno di ammirare tali eccellenti qualità nell'anonimo Autore, né puoi fare a meno di stimarlo beato: io poi dopo aver fatto lo stesso non posso fare a meno di annunziarti una simile felicità se profitterai degl'insegnamenti contenuti in detto Opuscolo ; e sappi che io ho intrapreso questa edizione più per contribuire al tuo bene spirituale, ed anche temporale che pel mio piccolo lucro, il quale ne ritrarrò. Adunque leggilo con attenzione, studialo con impegno, e praticalo con tutto il cuore: che col Divin ajuto ne sperimenterai grandissimi effetti. L'Editore.
APPENDICE
PRATICA DELL'UMILTA'
I. Pratica dell'Umiltà ne' pensieri.
La Pratica dell'Umiltà dipende dallo stabilirsi nella mente questi due principj, cioè :
I. Ogni bene è da Dio, ed a lui solo se ne dee la gloria.
II. L'Uomo per se stesso non ha altro, che miserie, e disposizione ad ogni male.
1. Premessi questi principj, procura di mantenerti sempre in un basso sentimento di te medesimo, non dandoti mai a credere d'esser qualche gran cosa, di poter molto, o d'aver de' meriti, o dell'abilità per alcun bene.
Un gran servo di Dio, molto stimato da S. Ignazio Loyola, avea spesso in bocca questo bel detto: Chi crede di valer qualche cosa, val poco ; e chi crede di valer molto, non vale niente. S. Vincenzo de Paoli era sì altamente persuaso di questa verità, che non potea far di meno di non annichilarsi continuamente innanzi a Dio, riputandosi inettissimo per qualunque opera buona, ed inabile per ogni bene. Onde rivolto spesso a Dio, solea dire: Dio mio, io distruggerò tutto, se voi non regolate ogni mia parola ed azione. Questo facea ch'egli non avesse animo d'intraprendere alcuna da se stesso, e di suo proprio parere, ma unicamente s'attenesse ad eseguire gli ordini della divina Provvidenza, secondo i più chiari contrassegni, che aver ne potea. Tommaso da Kempis parlando col Signore, diceva: o Signore, quanto mi umiliano gli abissi de' vostri giudizj, ne' quali io trovo di non essere altro, che un puro nulla. S. Domenico avea tanto vil concetto di se, che prima d'entrare nelle Città, ove andava a predicare, pregava il Signore colle ginocchia per terra a non mandarvi qualche flagello per cagione de' suoi peccati. La V. M. Serafina era tanto persuasa della necessità, in cui l'uomo trovasi di esser umile, che, com'ella medesima attesta in una sua relazione, nel sentir alle volte esagerare da' Predicatori che bisognava esser umile, ed aver basso concetto di se: Io, dice, me ne stupiva, e dicea tra me: a che proposito dicono questo ? non è questa una cosa chiara e potente ? chi è quegli, che voglia rubare, e pigliarsi quello che non è suo ? E ad un Confessore di molto spirito, che una volta mi esagerava la bellezza dell'Umiltà, gli dimandai che avessi da fare per acquistar tal virtù. E dicendomi esso, che bisognava pensare a' suoi peccati, ed alle proprie miserie: io con ammirazione risposi: questa è una cosa che si vede, e si tocca con mano, e non ci vuol tanta fatica per conoscerla. Chi ha una piaga nel suo corpo, e gli duole, che bisogno ha d'andarvi pensando, se la vede e sente ? Così ho io inteso, ed intendo la verità del mio misero stato. S. Caterina da Genova parlando delle miserie dell'uomo, dice così: Sul principio della mia conversione ebbi una visione, in cui mi fu data a conoscere la malizia e malignità dell'uomo, che di continuo mi sta presente ; ed ogni dì meglio la veggo, ed è incredibile ed inenarrabile. E' egli tanto forte nella sua propria volontà, che per vincerlo convien che la divina possanza vi adopri l'ingegno ; è tanto congiunto a' diletti della carne, del Mondo, e della propria stima, che per cavarnelo, bisogna, che la divina Bontà gli doni de' gusti spirituali, i quali sien di gran lunga migliori di tutti questi altri, che amava ; altrimenti non li lascerebbe mai. Anzi ancorché provando la preziosità di questi, abbia più volte deliberato di lasciar tutto il resto, e di abbandonar mille Mondi per lo minimo di essi ; per un poco, che Dio ne lo privi, ritorna subito al suo maligno istinto. Ond'è, che se il Signore guardasse a questa nostra tanta malignità, non potrebbe mai vederci, né farci alcun bene. Ma egli guarda solamente alla sua infinita clemenza e bontà, e mosso dal suo puro amore, cerca di condurci a quel fine, per cui ci ha creati. Da che si conosce, tutta la gloria esser di Dio, e l'uomo da se altro non avere che malignità ; la quale se Dio con la sua misericordia non tenesse bassa, immantinente si precipiterebbe in tutt'i mali possibili, da' quali senza uno speciale ajuto di Dio non potrebbe più uscire.
2. In qualunque grado di perfezione tu stia, nel tuo interno ti dei sempre stimare per inferiore a tutti, riconoscendoti anche più iniquo degli stessi peccatori pubblici, o de' medesimi i quali non avranno forse mai riconosciuta la gravezza del peccato, e che se avessero avuti tanti ajuti da Dio quanti ne hai avuti tu, forse avrebbero fatto più bene che non hai fatto tu, e sarebber già arrivati alla cima della perfezione ; laddove tu te ne stai ancora al principio. Tu, con tutta l'abilità che ti par d'avere, se il Signore ti levasse il suo lume, incontanente resteresti come uno, al quale di notte viene smorzata la candela in mano. Oltracciò, colui che ti pare tanto imperfetto può essere, che negli occhi di Dio sia, o sia per essere assai più grande di te. E quello ch'è più, potrebbe essere, che un giorno tu avessi a cedergli il posto, e ch'egli sia per essere un beato nel Cielo e tu un miserabile dannato nell'Inferno. Giuda ebbe grandi principj di bontà, maggiori di quelli che possiamo figurarci in qualunque persona perfetta. S. Paolo fu persecutore della Chiesa più barbaro di quanti ne vivono oggidì: e pure che cambiamento non fecero ?
S. M. Madd. de Pazzi, benché fosse sì eccellente nelle virtù e nella santità, si stimava la più vile, abietta e imperfetta, e la più manchevole e peccatrice tra tutte le Monache ; onde spesso baciava ov'esse aveano posto i piedi. Tenea poi tutte le altre per sante, e più atte di se ad ogni bene ; e sempre innalzava le virtù delle altre, non solo delle vive, ma ancor delle morte, tanto che ne ingenerava in chi la sentiva gran concetto, e venerazione. E non solo tra le Monache, ma tra tutti gli uomini ancora, fin tra i maggiori peccatori, ella si tenea per la più iniqua e rea, credendo d'esser cagione di tutte le imperfezioni, che si commetteano nel Monastero, ed anche di tutt'i peccati del Mondo, e della dannazione di molte Anime: perché le parea d'esser fervente quanto doveva in pregar Dio per li peccatori: ed in cercar di placar l'ira sua per li peccatori: conforme lo dichiarò ella stessa in un'estasi, in cui postasi a piangere le colpe altrui, uscì in questa esclamazione: oh, che se io fossi stata fervente nell'orazione: se io avessi avuto raccoglimento in me stessa, Iddio m'avrebbe certamente illuminata altramente: il che non ha potuto fare per li miei difetti: onde avrei ottenuti mezzi da impetrar lume a queste povere Anime, ed esse non sarebbero in questo misero stato. E non bastandole questo, si riputava di più similissima agli stessi Demonj per la superbia ed ingratitudine, che le parea d'avere: e solea dir, che ogni altra persona, che avesse ricevuti da Dio i benefizj ed i comodi di far del bene, che aveva essa ricevuti, non l'avrebbe al certo offeso, quanto l'aveva essa offeso, ma l'avrebbe onorato più, che non l'onorava essa. Laonde quando udiva, o vedeva in alcuna qualche difetto, non ne concepiva disprezzo, o sdegno, come altre fanno ; ma la compativa teneramente, dicendo tra se: se io fossi ne' suoi piedi, forse avrei fatto peggio: e conforme dicea colla lingua, così la sentiva veramente nel cuore. Poiché richiesta una volta da una novizia, come facesse ad avere sì bassa stima di se, vedendo che Iddio le facea tanti favori e doni sì rari, rispose con grande umiltà: Sappiate, figlia, che se il Signore non mi avesse trattata così, e trattenuta in questa guisa, io mi sarei precipitata nelle maggiori enormità. A voi altre non fa così, perchè voi ubbidite alla semplice sua voce, e lo servite senza questi particolari favori. E perciò io vengo ad essere più miserabile di tutte voi. S. Francesco Saverio si riputava il più iniquo di tutti gli uomini. Così S. Cater. di Bologna, la quale si esercitava più delle altre Religiose nelle virtù ; e si riputava la più imperfetta di tutte, così pure S. Francesco, S. Chiara, ed infiniti altri. Racconta Anastasio Abate del Monte Sinai, esservi stato nel suo Monastero un Monaco, che non troppo si accomodava alle cose della Comunità, specialmente al coro e a' digiuni ; e che però non era tenuto per molto buon Religioso: e pure venuto alla morte si mostrava tutto allegro e contento ; di che il medesimo Anastasio lo riprese: come, disse, un Monaco ch'è vissuto tanto rilassatamente, ride, e sta in quest'ora tanto allegro ! Padre, rispose il moribondo, non ti maravigliare di questo ; poiché il Signore mi ha mandato a dire per un Angelo, che mi ho da salvare, perché ho adempiuto quella sua parola: non vogliate giudicare, e non sarete giudicati: perdonate, e vi sarà perdonato. E sebbene è vero, che io non mi uniformava quanto doveva alle cose della Comunità, parte per la mia poca sanità, e parte per la mia rilassazione ; nondimeno soffriva, che mi maltrattassero, e loro perdonava di cuore, né mal li giudicava, anzi scusava sempre quel che facevano e dicevano: e per questo io sto allegro. Se ci fossimo incontrati nel buon Ladrone in fine della sua pessima vita, allorché egli perduto ogni rimorso, ed ogni sentimento di pietà, ad altro non pensava, che a rendersi sempre più famoso nell'iniquità, chi non l'avrebbe tenuto per un uomo prescito, e totalmente abbandonato da Dio ? e pure poco dopo fu dichiarato per bocca dell'istessa Verità per un vero predestinato.
3. Avverti di non far molta stima delle tue operazioni, e molto più di non preferirle mai a quelle degli altri: perché sebben ti paressero ben fatte, agli altri forse non parranno tali, e molto meno a Dio, avanti a cui le nostre migliori azioni non son più, che i panni di una mestruata. Oltre di che, quante volte tu medesimo giudicasti perfette le opere tue, parendoti, che non vi mancasse niente: e poi tornando a rivederle dopo qualche tempo non ti piaceano più ? Sicché il non iscoprirci difetti, lo dei attribuire alla debolezza della tua vista.
A S. M. Madd. de Pazzi tutto ciò che facea, le parea di farlo imperfettamente, e che tutte le azioni sue nulla valessero. Onde mostrandole il Signore in un'estasi il premio, che le tenea riposto in Paradiso per le astinenze e mortificazioni della sua puerizia, grandemente se ne maravigliò, come di opere di niun valore. Nelle stesse azioni manuali ancorché fosse in tutte molto esquisita, sempre le parea di difettare ; e stimava che le altre facessero ogni cosa meglio di lei. Fin negli esercizj della cucina si sottometteva alle converse, né mai preferiva alcuna cosa a quelle delle altre. Onde quando diceva, o facea qualche cosa, soleva interrogar le compagne, e dire: Vi pare che io abbia fatto, e detto bene ? Avvisatemi di grazia, se ci ho fatto mancamento. E se alcuna l'avvisava di qualche difetto ; ancorché ella non lo vedesse, o veramente non vi fosse, pure subito cedea senza giustificarsi, credendo di farlo e non conoscerlo. Quando era maestra delle novizie, se ne vedeva alcuna di buon talento, o che si compiacesse delle sue operazioni per tenerla bassa, con quel gran lume, che avea delle cose spirituali, trovava in quelle azioni molte imperfezioni, e loro le scopriva sì chiaramente, che restavano illuminate ed umiliate: talmente che quella, che prima sentiva vana gloria, o compiacimento nelle sue azioni, dopo si vergognava di averle fatte così male, come la maestra le mostrava. Chiedendo un dì il Signore a S. Gaetano, che cosa volesse per quel che avea fatto per lui: il Santo rispose di non aver mai fatto alcuna cosa buona ; e che tutte le opere sue erano state sì imperfette, che meritavano piuttosto gastigo, che premio. Il P. Alvarez ebbe una volta una visione celeste in cui gli fu mostrata tutta la serie della sua vita sotto il simbolo di un grappolo d'uva, i cui acini, che significano le azioni da esso fatte, si vedeano chi vizzo, chi secco, chi fracido, chi punto, chi macchiato: in una parola niuno se ne vedea, che fosse perfetto, fuorché quattro, o cinque: ed in questi ancora, soggiunse l'Angiolo, se vorrò esaminarli a tutto rigore, ci troverò delle imperfezioni.
4. Se talora vedrai d'avere, o di fare qualche bene, guardati di non attribuirlo mai a te, né di cercarne, o di pretenderne alcuna stima, o lode degli altri. E se mai vedessi, che alcuno per quello ti stima, e ti loda ; ne dei far quel conto, che faresti della stima e delle lodi di un fanciullo. Chi ti loda, t'inganna ; mentre concorre a farti tener per tuo quel ch'è della Grazia. E se in tali casi ti verranno modi di compiacenza, o di vanità, per parerti, che quel bene, se non altro, sia almeno effetto della tua cooperazione ed industria: ricordati, che tal cooperazione ed industria, da te usata, suppone sempre una grazia speciale, che ti è stata conceduta. Ond'è che se hai cooperato, hai fatto quel ch'eri obbligato a fare ; e perciò il maggior titolo, che ne potresti pretendere, sarà quello di servo inutile. Oltre di che, se confronterai quel bene, che in te vedi, col bene, ch'è in Dio ; il tuo scomparirà di tal maniera che non lo riconoscerai più per bene.
S. Vincenzo de Paoli, benché facesse tanto bene a pro del prossimo, non attribuiva mai a se cosa alcuna, ma tutto a Dio ; e solea dire: Guai a' missionarj se attribuiranno a se stessi qualche parte del bene, che fanno, e se crederanno di meritarne stima ed onore. Tengano per certo che quei, che credono di esser autori del bene, che sperano, o d'averci minima parte, o si compiacciono di tal pensiero, perdono assai più che non guadagnano ; ancorché per altro le cose, che fanno, sieno buone e sante. Suora Rachele Pastore di Napoli pregata dal Confessore di raccomandare a Dio un certo predicatore, rapita in estasi nell'orazione disse: non si affatichi troppo perché il Signore l'assiste con grazia speciale ; e poi: oh quanto è bella quest'Anima, e quanto Iddio in essa si compiace, perché quanto da Dio riceve, tutto a Dio rende ; riconoscendo tutto da lui, e niente attribuendo a se ! oh quanto di questo si compiace il Signore ! S. Luigi Gonzaga sempre che sentiva qualche cosa di propria lode s'arrossiva in volto, come se fosse stata cosa di vitupero. La V. M. Crocifissa non ebbe mai stimoli interni di vanagloria, anzi aveva una totale incapacità d'averne: tanto che non sapea capire come l'uomo potesse ammettere nel suo cuore simili atti, avendo in se tanti motivi d'avvilirsi. S. Teresa dicea che sebbene avesse voluto di proposito invanirsi delle proprie lodi non le sarebbe riuscito: tanto stava ben fondata nella cognizione delle sue miserie. Il P. Suarez, con tutto che fosse tanto insigne in lettere, diceva, ingenuamente, che non sentiva per questo alcun moto di vanità ; perché sapea, che molti villani sarebbero divenuti più dotti di lui, se avessero potuto avere gli stessi mezzi ed ajuti. S. M. Madd. de Pazzi richiesta da una sua confidente, se tante grazie che avea ricevuto da Dio, l'avessero mai data occasione di vana compiacenza: Non sapete voi, rispose, che niuno si dee prender gloria di quel che non è suo ? Ed un'altra volta leggendole una Monaca alcune intelligenze, che avea scritte nel sentirle proferir da essa in un ratto, per veder se vi fosse errore, le dimandò se sentisse moti di vanagloria, rispose, che tanto sentiva di quel che le avea letto, quanto se l'avessero letto qualsiasi altro libro, e che solo riconoscea d'aver avuti in se quei sentimenti. La V. M. Serafina scrisse al suo Direttore in questa guisa: Conosco chiaramente, che io son come una tromba, la quale tanto suona, quanto v'è il fiato di colui, che l'adopra: e quando questo manca, se ne giace in un cantone senza valere a niente. Così appunto son io, che, allora vaglio a qualche cosa, quando Dio se ne vuol servire, e mi dà il vigore della sua divina influenza ; e quando questo vi manca, non son atta a far alcuna cosa di buono, fuorché a starmene buttata in un cantone, parendomi di non meritare, che alcuno si ricordi di me, e mi tenga per qualche cosa, ma solo di dover esser da tutti scordata e vilipesa. Onde quando io vedea, che alcuno si ricordava di me, me ne stupitiva ; ricevendo dispregi ed oltraggi, pareami, che questi avessero trovato il lor proprio luogo. Ed una volta sentendosi esagerar da un Confessore, che chi riceve grazie e favori da Dio, sta in pericolo d'insuperbirsi, e che perciò dee star molto sopra di se: Padre, rispose come può esser questo, che uno voglia rubare e prendersi quello che non è suo ? Spartiamo giusto, e diamo a ciascuno quel che gli spetta. Diamo a Dio il suo, e noi pigliamoci il nostro ; e poi stiam sicuri, che non abbiam che temere. S. Caterina da Genova diceva: io veggo chiaramente, che se in me, o in altra creatura, ed anche ne' Santi vi è alcuna cosa di bene, è tutta di Dio. E questo lo veggo tanto certo, che se tutti gli Angeli mi dicessero il contrario, io non crederei loro, perché lo veggo troppo chiaro, che tutto il bene è di Dio, né in me senza la divina grazia non ci è altro, che difetti. Onde di questo solo io mi glorio, che non veggo in me cosa veruna, di cui io possa gloriarmi: E se ne vedessi alcuna, la mia gloria sarebbe vana, non conoscendo, che la gloria è, e dev'essere di Dio: e non mia, perciò la vanagloria nasce da ignoranza. Quindi è, che nel sentirsi ella talvolta lodare, punto non si movea parendole, che non si parlasse di lei.
5. Quando troverai d'aver commesso alcun difetto, o di non poter far qualche cosa, che vorresti fare, avverti di non te ne meravigliare, né inquietare, o turbare mai ; che sono tutti atti di falsa Umiltà. Quello che allora si dee fare, e riconoscere praticamente la propria debolezza, e confermarsi maggiormente nel basso sentimento di se stesso. Il più perfetto però sarebbe non nascondere tali mancamenti ed imperfezioni: ma anzi aver gusto, che fossero veduti dagli altri, e manifestarli a tutti, affine di perdere il buon concetto, ch'è quello che tanto amano e cercano i veri umili.
Un gran servo di Dio in simili casi dicea, che allora gli parea di toccar con mani la propria debolezza ; ed avanzandosi con ciò in una certa cognizione esperimentale delle sue miserie, in vece di stupirsene diceva: io ho fatto da quel che sono. Il P. Alvarez, riferisce di se, che al principio i suoi difetti l'inquietavano. ma che poi cresciuto nel lume di Dio, si mutò talmente che quelli gli sembravano come tante finestre per cui entrasse la luce del Cielo in maggior copia nell'Anima sua. La V. M. Crocifissa pregava spesso la Superiora, che la lasciasse dire in pubblico i suoi difetti, e glie ne imponesse penitenze gravissime, per potere con questo esser disprezzata. S. Cater. da Genova ebbe in una visione un lume sì chiaro della sua grande inclinazione al male, che dicea: quando io faccio qualche male, io solo son quella, che lo faccio, e non ne posso dar la colpa al Demonio, o a verun'altra creatura, ma solo alla mia pessima volontà, alla mia mala inclinazione, al mio amor proprio, superbia, sessualità, e ad altri simili maligni movimenti. E se Dio non m'ajutasse, non farei mai bene alcuno, perché nel mal fare mi veggo peggiore di Lucifero. Ond'è che nelle sue cadute solea dire: questa è un'erba del mio orto, e poi si umiliava assai. Quando alcuno fosse caduto in qualche mancamento, S. Filippo Neri consigliava a dire: se io fossi stato umile non sarei caduto.
6. Quando ti occorrerà di patir qualche male di corpo, o d'Anima che sia, come fame, sete, freddo, caldo, dolori, afflizioni, desolazioni, aridità, tentazioni, o persecuzioni degli uomini ; venendo da essi disprezzato, deriso, disapprovato, contrariato, incolpato, molestato, interrotto, non ben trattato, o in qualsivoglia altro modo aggravato: quel che hai da fare in simili patimenti, è di entrare in te stesso, e credertene meritevole, se non per quella cagione, per cui par che allora ti vengano ; per tante altre almeno, che gli altri non sanno: o vero dare una occhiata a' patimenti, che parte soffrì il Signore in quel medesimo genere, e forse anche da te medesimo ; e poi di procurar di concepirne allegrezza, per vederli trattato come esso ; e forse anche meno male di esso.
S. Cater. da Siena essendo stata destituita molti giorni d'ogni spiritual consolazione, e nel tempo stesso combattuta da tentazioni bruttissime, orava con maggior fervore, dicendo a se stessa: Tu vilissima peccatrice non meriti veruna consolazione: or non dovresti esser contenta ; se per fuggire l'eterno supplizio, dovessi patir queste tenebre, e questi tormenti per tutta la tua vita ? Certo è, che non dei servir Dio per riceverne da lui consolazioni in questa vita, ma per godere lui eternamente nell'altra. Alzati dunque, e seguita l'orazione, perseverando fedelmente nel servizio del tuo Signore. In tal guisa si consolava. Quando a S. Francesco di Sales veniva riferito, che alcuni diceano male, e cose strane di lui, egli in luogo di difendersi, e di scusarsi, rispondea con gran dolcezza: Non dicono altro, che questo ? Veggo bene, che non sanno tutto. Questi mi adulano, lasciando molte altre cose indietro: onde si vede, che han piuttosto pietà, che invidia: e credono che io sia migliore di quel che sono. Sia dunque benedetto Iddio, che imparerò così a correggermi. E se non merito di esser ripreso in questo, lo merito bene in altro: ed è sempre un effetto della divina Misericordia, ch'ella voglia proceder meco con tanta benignità. Questa è pure una grazia, che mi vien fatta coll'insegnarmi questo scoglio, che debbo fuggire. La V. Suor Maria Diaz stette sette anni con una Dama principale d'Avila per ordine del P. Alvarez suo Direttore, e vi soffrì grandi molestie, scherni, persecuzioni, ingiurie, azioni invereconde, infamie, ed altri patimenti, e sempre tacque, giudicando, che avean ragione di così trattarla. S. Teresa vedendosi travagliata con improperj e calunnie, solea riflettere a tante altre cose da se fatte, che non le rinfacciavano, e con questo giunse a non sentir più fastidio di qualunque cosa le venisse fatta, o detta. E col riflettere a' travagli sofferti da Cristo, si affezionò tanto a' patimenti, che n'andava in cerca, come fanatica ; onde un giorno uscì in questo sentimento: Quando io penso in quante maniere patì il Signore, e come per niuna colpa lo meritava: non so dove io m'abbia il cervello, mentre non desidero di patire, e dove io mi stia quando mi scuso. S. Gregorio Magno vedendosi perseguitato da Maurizio Imperatore così gli scrisse: Essendo io peccatore, credo, che voi tanto più vi conciliate l'amore di Dio, quanto più affliggete me, che sì malamente lo servo.
II. Pratica dell'Umiltà nelle parole.
7. Non parlar mai senza bisogno di cose, che risultano in tua propria lode, e molto meno di addurre in esempio di ciò che s'ha da fare. Di se sarebbe bene, ove il bisogno lo richieda, non parlarne mai né bene né male. E quando vi sia bisogno preciso di dirne qualche cosa di bene, dirlo sempre in modo che quello venga a rifondersi in Dio.
S. Arsenio benché nel secolo fosse stato tanto illustre, fatto Monaco, non fu mai udito dire una minima parola delle sue grandezze. Così S. Luigi Gonzaga, che non disse mai una parola di propria lode. E l'istesso si nota di S. Vincenzo de Paoli. La B. M. di Chantal scrisse una volta così a S. Francesco di Sales: Procuro con ogni esattezza di non dir mai parola alcuna, dalla quale mi possa provenire qualche poco di gloria, o di onore. S. Francesco di Sales era in questo sì delicato, che fuggiva con grande attenzione di parlar di sé sì in bene, che in male, fino nelle cose indifferenti ; ed in modo speciale abborriva di dir parola di propria umiliazione. La V. M. Serafina avea gran difficoltà di scoprire per fino a' suoi medesimi Direttori gli atti di virtù, che faceva. Onde avendole uno di loro ordinato, che gli svelasse per minuto quanto mai avea fatto sì di bene, che di male in tutta la vita sua, vi sentì tutta la ripugnanza ; ma poi costretta dall'ubbidienza nel giorno destinato a ciò fare ottenne di premettere la confession generale, e la cominciò, dicendo: Padre, io vorrei, che Gesù Cristo, la cui persona Voi rappresentate, vi desse il lume, per poter vedere e notare tutt'i miei peccati e scelleraggini ; ma chi vuol dirli tutti ? o quanti libri se n'empirebbero 1 Io sono la più scellerata peccatrice, che sia al Mondo ; ma la misericordia di Dio mi mantiene sopra la Terra, e non permette, che si apra per ingojarmi: e così seguitò con altre simili espressioni: Venendo poi al racconto del ben operato. Io, disse, non ho al fatto, né patito mai niente per Dio, e se ho fatta alcuna cosa, mi è più tormento il dirla di quanto mai io abbia patito. Ho fatti bensì peccati assai, e ci vorrebbero anni a raccontarli. Solo parve, che sentisse qualche soddisfazione allorché avendo riferito ciò che avea fatto di bene fino all'undecimo anno dell'età sua, venne a dar con de' difetti, che indi in poi avea commessi per tre anni che visse in tiepidezza, ed era l'unica materia di male, che fatto avesse ; e perciò arrivata a questo punto: Padre, disse, in questa materia, bisogna farci riflessione, e trattenerci assai, per notar bene ogni cosa, ed io voglio pensarvi molti giorni, per dirvi tutto. E di fatti continuò per sei giorni a discorrer sempre su tal materia esagerando e ponderando ogni menomo difettuccio. E quel ch'è più notabile, che per tutto il tempo, in cui durò il racconto delle buone opere fatte in vita sua, ogni volta, prima di portarsi al Confessore, andava nella stalla, e là si prostrava col volto sul letame, per aver sempre avanti gli occhi di esser ella come un'immondezza della Terra, e ad altro non esser buona, che ad esser buttata in un fosso, e coperta di letame, destinata a marcire.
8. Sii molto parco in parlare, esagerare, e lamentarti de' mali, che patisci, e molto anche più parco in iscusare i mali, che fai ; parchissimo poi in ributtarli sopra degli altri ; tenendo questo per fermo, che scusar se stesso, ed accusare gli altri, è il vero nido della superbia e della malizia.
Dolendosi un giorno Monsignor Camus con S. Francesco di Sales d'un grave torto, che gli era stato fatto, perché il Santo si mostrò dalla parte sua, quegli seguitava a più esagerare la gravezza dell'ingiuria. Allora Sales ripigliò così: E' vero, che colui ha torto, ed è cosa indegna di lui l'aver fatto ciò ad una persona della vostra condizione. Una sola cosa trovo in questo fatto, in cui voi avete il torto. E che cosa è ? replicò l'altro ; ed egli, la vostra doglianza ; poiché a voi tocca d'esser più prudente e tacere. A ciò non seppe che replicare Mons. Camus, ma tacque, e si umiliò grandemente. Avendo avuta necessità questo Santo di passare per la Città di Ginevra per un affare di gran premura, i suoi ministri lo spinsero a ciò con assicurarlo, che niuno avrebbe ardito d'oltraggiarlo. Or un giorno essendosi preso a discorrere di questo fatto in una conversazione ; egli subito ripigliò, che questa era stata una sua imprudenza, senza punto incolparne i suoi ministri, come avrebbe potuto. S. Vincenzo de Paoli, sempre che succedea male qualche cosa, in cui avesse egli avuta qualche parte, volgea la colpa sopra di se, benché veramente non ce l'avesse ; dicendo: io sono stato la causa, che la cosa non sia andata come dovea. Così quando alcuno mancava d'eseguire qualche suo ordine, solea dire: Vi prego a scusarmi, se non ho saputo dichiarar bene il mio pensiero: ovvero, io sono il colpevole di questo male: perché non ho saputo farmi intendere. E quando gli erano riferiti mancamenti notabili d'alcuno di Congregazione, s'inginocchiava, dicendo: Misericordia, mio Dio, io sono la causa di questo male per lo mio cattivo esempio.
9. Discorrendo con altri, guardati di farla da maestro, o mostrar di soprassapere: anzi in occasioni avvezzati a tacere alcune risposte ingegnose e convincenti che dar potresti, come se non avessi che rispondere.
S. Arsenio, il quale nel secolo era stato eminente in dottrina, fatto Monaco non si udì, che dicesse mai cosa alcuna, con cui mostrasse esser uomo di lettera ; ma trattava con gli altri Monaci con tal semplicità, come se fosse un Idiota, anzi spesso domandava sino a' più semplici le cose di spirito. La V. M. Serafina, attestò di sé, di non aver avuto mai ardire di rispondere da se ne' ragionamenti, nè di mostrar di sapere, ma che sempre avea taciuto, ancorché sapesse quello che potea rispondere.
10. Non disapprovare, disprezzare, o deridere le cose, o sentimenti altrui, né parlar mai con modi imperiosi, che per lo più son tutti atti provenienti dalla stima, che uno ha di se sopra degli altri, e facili ad alienarci gli animi de' nostri prossimi.
La V. M. Serafina non usava mai con verune parole, o maniere disprezzanti, e molto meno che mostrassero predominio, o maggioranza. Il V. Bercmans non disse mai contra di alcuno parole discherno, neppur per giuoco. Narra Cassiano che l'Abate Mosé disse una volta una parola mortificava a S. Macario ; e che subito entrò in lui un brutto Demonio che egli empiva la bocca d'immondezza ; dal quale fu poi liberato per l'orazione dell'istesso S. Macario.
III. Pratica dell'Umiltà nelle opere.
11. Bisogna fuggire più che sia possibile ogni singolarità. Alcuni vorrebbero sempre distinguersi da tutti gli altri, e spiccare sopra d'ognuno. Gli umili all'incontro amano molto di star nascosti ; a segno tale che tutto quel bene, che esce fuor dell'ordinario a loro non piace, e lo ricoprono con sommo studio.
S. Vincenzo de' Paoli, perché odiava la singolarità, si propose d'imitare la vita nascosta di Cristo. Perciò si studiava di non far cosa alcuna, che nell'apparenza uscisse dal comune, non solo nel vivere, ma anche nell'operare. E l'istesso ancora facea circa le medesime virtù, esercitandosi più volentieri in quelle, che sono stimate le più comuni come l'umiltà ,la pazienza, la mansuetudine, la mortificazione, la sofferenza del prossimo, la povertà, e simili. S. Gregorio Nisseno disse di S. Efrem, che amava più di esser Santo, che di parer tale. S. Vincenzo Ferreri, contuttoché fosse Legato del Papa, ed avesse il privilegio di poter alloggiare fuori de' suoi Conventi, non volle mai prevalersene, per non derivare dal comun modo di alloggiare de' suoi Religiosi.
12. Contentatevi di tutto quel che viene, ed accomodatevi a tutto specialmente nelle cose contrarie alla vostra volontà ; come negli abiti vecchi e grossolani, o non così bene aggiustati ; ne' cibi civili, ed apparecchiati malamente e con poca pulizia ne' ministerj bassi ; ne' luoghi scomodi, nella conversazione di persone povere, semplici, ed incivili guardandovi di non mai rifiutare alcuna di queste cose con isdegno, o con mostrare di non gradirle ; ma anzi abbracciatele, ed anche eleggetele volentieri per quanto si può, come più proporzionate a' proprj demeriti.
S. Luigi Gonzaga si dilettava grandemente d'aver cose vili, e di esercitarsi negli ufficj più bassi. La V. Suora Maddalena di Gesù e Maria Carmelitana Scalza provava gran fastidio, quando si comprava alcuna cosa nuova per lei dicendo, che le povere di Gesù Cristo avevano assai, quando avevano di che coprirsi, e tanto vitto per non morir di fame. Il V. Bercmans godea molto di portar vesti logore e rappezzate, e d'esercitarsi in ufizj vili, e si rallegrava, che il suo asinello ( come egli chiamava il suo corpo ) fosse travagliato da se e dagli altri.
13. Abbi a cuore di consigliarti spesso con altri circa le cose, che avrai da fare, ancorché quelli fossero men capaci di te, e d'accomodarti in tutto quel che si può al parere loro. Questo però sopra tutto lo dei fare col tuo proprio Direttore, col quale hai da professare una incessante e totale chiarezza e dipendenza in tutto: essendo proprio de' veri umili fidarsi poco di se, e però far più volentieri la volontà altrui, che la sua.
S. M. Madd. de Pazzi, con tutto che fosse tanto illuminata nelle cose divine, si stimava la più ignorante di tutte: e perciò non si vergognava di chieder consiglio ancoe nelle minime cose alle altre anche inferiori a se, non fidandosi mai del giudizio proprio. E benché fosse sì eccellente maestra della vita religiosa, quando nel guidar alcuna trovava qualche durezza, o difficoltà, chiedeva ajuto e consiglio sin alle stesse sue novizie, dicendo loro con grande umiltà: ditemi Sorella, che vi pare, ch'io posso fare per illuminare quest'Anima ? La V. M. Serafina non facea mai cosa alcuna senza prenderne prima il consiglio e consenso del suo Direttore, o del Confessore, e dipendeva in tutto da' loro cenni. E quando non potea ciò fare, ne consultava le Compagne, e col parer loro regolava ogni sua azione, avendo sempre per sospetto il parere proprio. E così sempre si portava eziandio quando era Superiora.
14. Avverti bene, che non sii di quelli, che son molto facili, ad incomodare gli altri, e farsi da loro servire, come altresì a fuggire gl'incomodi e le fatiche comuni, scaricandole anche talora sopra negli altri. Gli umili hanno gran propensione a star soggetti a tutti e a non istimar veruno degno d'incomodo fuorché se stessi: e perciò per ordinario sono sempre i primi al travaglio, e gli ultimi al riposo ; e son portati dalla Grazia ad ajutare e sgravare gli altri, pigliando sempre il peggio per se, e niente più abborrendo che i posti d'onore, d'esecuzione, o di comodo.
S. Vincenzo de Paoli spiccò molto in questo. Poichè egli pigliava sempre per se le cose peggiori e più abbiette nel vitto, nel vestito, negl'impieghi, ed in ogni cosa. Ond'è, che gustava al sommo di mangiare gli avanzi altrui, e d'esercitarsi ne' ministeri più vili della cucina. Nelle missioni prendeva il letto, e la stanza peggiore, come anche l'ultimo confessionario ; e se non ve n'erano abbastanza per tutti, si sedeva a confessare sopra una pietra: si dilettava pure di fare le funzioni di minor'apparenza, come d'insegnare a' fanciulli il Pater, ed Ave, ed i primi rudimenti della Fede. Per fin nella celebrazione della Messa voleva i paramenti più semplici e più poveri, che fossero in sagrestia. Avea gran genio, e si mostrava sempre pronto a servir tutti ; ma era altrettanto renitente in permettere, che si facesse qualsivoglia anche menoma servitù verso la persona sua. E quando per cagion della vecchiaja, e delle sue gravi indisposizioni non ne potea far di meno, spesso esclamava con gran sentimento d'umiltà: E chi son io, che reco tanto fastidio, tanto incomodo agli altri ? O fetido letamajo, e pascolo di vermini, quanta pena cagioni tu a' tuoi fratelli ! La B. M. di Chantal non permise mai, che il grado di Superiora, o l'età sua avanzata le servissero di scusa per esentarsi dalle faccende comuni. Ond'è, che ordinando alle altre alcun'operazione in comune, come di portar lega, o pietre, lavar panni, e simili, non mancava mai di trovarcisi anch'essa. Quindi gustando ella molto della lettura della Sacra Bibbia, era solita d'impiegare in questo quella mezz'ora che dalla regola vien conceduta al riposo del giorno: ma essendosi in appresso giudicato, che quelle, che in tal tempo non riposavano, attendessero a qualche lavoro, lasciò subito tal lettura in detto tempo, per non esimersi dal faticare colle altre. L'istesso pure facea S. Vincenzo Ferreri, il quale sebbene fosse come capo della sua Compagnia, in tutto eleggea sempre per se il peggio, ed il rifiuto degli altri, sembrandogli, che ad un uomo il più vile, indegno, ed inutile di tutti, come ei si stimava, non si convenissero, se non le cose peggiori. Così pure si narra di S. M. Madd. de Pazzi, che non mancava mai negl'impieghi comuni a tutte le altre sorelle, e che era sempre la prima a venire. Anzi non si facea opera alcuna del monastero, ch'ella per quanto l'obbedienza gliel permettea, non vi mettesse la mano. Il V. Bercmans venendo mandato a Frascati per ajutare negli ufizj della settimana Santa, subito arrivato si mise da se a scopar la scala: ed essendo giunti dopo di lui alcuni altri tutti infanganti, prese nascostamente le loro scarpe e le pulì. E dimandato da uno, che lo vide, perché ciò facesse, egli senza rispondere se la passò con un modesto riso. Narra S. Girolamo di S. Eugenia, al quale travestita da uomo menava in un monastero di monaci una vita sì perfetta, che morto l'Abate, ad una voce fu eletta in suo luogo. Benché contra sua voglia accettò ella quell'impiego per non parer che facesse poco conto della loro supplica: ma nel tempo stesso si protestò di voler essere l'infima di tutti. In fatti prese per se la stanza e l'impiego, che si solea dare a quello, ch'era l'ultimo, ed in oltre accorrea prontamente a tutti gl'impieghi bassi, come di portar l'acqua a tutti, di tagliar e trasportar legna, di scopare, e simili: con che riuscì grata non solo agli uomini, ma anche a Dio, che le concesse la virtù di scacciare i Demonj dagli ossessi, e d'illuminare i ciechi.
15. Per meglio e più facilmente praticare i sopradetti atti, possono giovar molto i seguenti mezzi. Fa spesso atti di Fede intorno al tuo nulla, massime nell'ordine della Grazia, protestandoti, che se tal volta fai qualche bene, è tutto effetto della Grazia: e se non fai del male questo è, perché il Signore ti porge una particolar assistenza, e tanto seguiterai a star in piedi, e ad operar qualche poco di bene, quanto egli seguiterà a tenerti, e moverto coll'ajuto della sua Grazia. E però pregalo sovente, che non ti abbandoni mai in mano delle tue passioni ; ed avvezzati a chiedergli ajuto ogni volta che hai da far qualche cosa, confessandoti inabile a poterla fare da te medesimo, e quando l'avrai fatta, a riconoscerne da lui il buon esito, e ringraziarnelo.
Così praticava la serva di Dio Suora Rachele Pastore, la quale, tanto si stimava inabile ad ogni cosa, che non ardiva di dar principio a qualunque minima azione, se prima non invocava l'ajuto di Dio ; tenendo per fermo, che senza di questa, nulla avrebbe ella potuto fare, se non del male. E dopo ogni minima azione lo ringraziava dell'ajuto prestatole: e di più gli chiedea perdono de' difetti commessi ancorché non ve li conoscesse: perché ogni nostra operazione, diceva, è manchevole avanti a Dio. S. Vincenzo de Paoli, quantunque fosse d'uno spirito assai capace, e molto illuminato, con tutto ciò diffidava molto de' proprj pensieri. Questo facea, che per ogni affare ricorresse sempre a Dio, per chiedergli lume ed ajuto. S. Filippo Neri solea dire: la piaga del Costato di Cristo è grande ; però se egli non mi tenesse io gliela farei maggiore. Perciò ogni mattina facea questa protesta a Dio, Signore, guardati da me in questo giorno ; perché se tu non hai cura di me, io ti tradirò, e commetterò ogni qualunque enormità. Ed ogni volta che usciva di casa: Signore, tienimi la mano in capo: altrimenti io esco Cristiano, e tornerò Giudeo.
16. Discendi spesso nel tuo interno, vestendoti di varj personaggi di confusione avanti a Dio: come sarebbe, or di cieco, il quale chiede rimedio per le sue tenebre ; or di lebbroso, il quale domanda d'esser sanato ; or di pubblicano, il quale si confessa per lo maggiore de' peccatori ; ed or di una puzzolente palude, la quale intanto non appesta l'aria in quanto non viene commossa. Perciò ti dei riputare degno d'essere abborrito e odiato da tutti, e di morire affatto nel cuore di tutti. Perché non si può dir uno vero simile, se non gli pare, che tutti lo debbano giustamente abborrire.
S. M. Madd. de Pazzi per via di questo esercizio era venuta in sì basso concetto di se, che si riguardava come la cosa più miserabile e più abbominevole, che fosse sopra la Terra. Perciò si credeva indegna di trattar col prossimo, e di servire a Dio, ed immeritevole affatto della cura, e provvidenza di lui, e dell'amore, ch'egli porta a tutte le creature, come anche di tutt'i suoi lumi, inspirazioni, ajuti, e d'ogni altra grazia e dono del Cielo ; e degna solamente di essere abbandonata da Dio, e abborrita da tutti gli uomini, lasciata nelle tenebre degli errori e de' peccati ; e di essere fondata nelle fiamme dell'Inferno. Suora Rachele Pastore avea sì poca stima di se stessa, che stimava di ricever sommo onore dal convivere coll'altre Monache, quali venerava tutte in cuor suo, come sue Superiore, e nell'esteriore mostrava a tutte per fino all'ultima serva del Monastero chiarissimi segni di stima, di rispetto, e di riverenza. Si stupiva come le altre avessero tanta pazienza, e tanta bontà di trattar con lei, e come non la discacciassero qual indegna dal lor commercio. Quindi ebbe in costume di spesso prostrarsi tutta sul pavimento, ed ivi invitare non solo le sue sorelle, ma tutte le creature, per fin le bestie della Terra, e tutt'i Demonj dell'Inferno, acciocché la calpestassero e la conculcassero come la cosa più vile, e più schifosa e dispregevole del Mondo. Ed in tale sito giacendo, sentiva in cuor suo non meno un interiore annichilimento, che un interno giubilo, parendole d'esser trattata secondo il suo merito. Inoltre pregava spesso il suo Direttore, che la caricasse d'ingiurie e di strapazzi ; perché, dicea che stimava non esservi disonore, pena, ed oltraggio, che a lei non si dovesse: e con questo riflesso giubilava in vedersi così trattata, perchè secondo il suo merito. Stupiva, com'egli avesse con lei tanta pazienza in guidarla e non cavando ella dalla sua direzione verun bene ; sovente gli chiedea perdono. S. Francesco Borgia arrivò tant'oltre in questo grado, che nelle lettere si sottoscriveva col nome di peccatore, e chiamava l'Inferno la casa sua. S. Vincenzo Ferreri: Io, dicea, sono come un fetente cadavere pieno di vermini che a tutti mette orrore e nausea, poiché il mio corpo, e la mia Anima, e quanto in me trovasi, tutto è schifoso e puzzolente a cagione delle mie scelleraggini e de' miei peccati. E quel ch'è peggio, conosco, che di giorno in giorno sempre più va crescendo il fetore.
17. Prendi motivo di propria umiliazione dalle occasioni, che ti si presenteranno: come nell'incontrarti in cose sordide e stomachevoli ricordati quanto più sei vile tu, e stomachevole per lo tuo nulla, e per li tuoi peccati. Nel ritrovarti in compagnia d'altri ; figurati d'esser come un cervo tra le colombe, e come un ribaldo che dovrebbe star sotto i piedi di tutti. Stando a mensa, rimirati come uno che dovrebbe stare sotto la tavola per mangiarvi alcun tozzo di pane avanzato. Così pure nella stanza, nel letto, ed in ogni altra occorrenza, in cui ti vedrai accarezzato, servito, o in altro modo ben trattato, stupiscitene, credendo, che se fossi ben conosciuto, non saresti così trattato. E soprattutto t'hai sempre da riputare, come il servo di tutti, e come indegno d'ogni bene, e meritevole d'ogni male.
Viaggiando un dì S. Francesco Borgia col P. Bustamante, nell'osteria stettero in una piccola camera sopra due pagliacci. E perché il P. Bustamante era raffreddato, tossì tutta la notte, e credendosi di sputar verso il muro, accadde, che sputò sempre verso il Santo, e spesso sulla faccia di lui: il quale contuttocciò non disse mai niente, né mai si mutò di luogo ; o di sito. Però accortosi l'altro la mattina di quanto avea fatto la notte, ne restò grandemente mortificato e confuso. Ma il Santo mostrandosi tutto allegro, lo consolò, con dirgli, che non si pigliasse fastidio di ciò ; perché in tutta la stanza non potea trovar luogo più proprio da gettarvi gli sputi, quanto il suo volto. S. M. Madd. de Pazzi si giudicava sì immeritevole d'abitare in quel sagro collegio di Vergini, e di unir le lodi sue con le loro, che molte volte trovandosi in presenza della Priora, tremava. Perché, come disse ad una, che di ciò le richiese, temea di non esser da lei cavata di Monistero, e che le parea sentirsi dire: Partiti da questo luogo, che non sei degna di star in compagnia di queste spose del Signore. Ond'è, che si maravigliava come Iddio la lasciasse star ivi, e la sopportasse sopra la Terra ; e come la medesima Terra non si aprisse, e l'inghiottisse viva: e perciò si stimava molto obbligata a tutte le sue Monache, perché si contestassero di tenerla tra di loro, e onorava tutte grandemente per fin le stesse sue novizie, riputandosi la serva di tutte (a).
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(a) Da tutto ciò, che si è detto finora della Umiltà chiaro rilevasi la bella conseguenza, che dessa è la base dell'edifizio della Virtù ; e che quando più essa è profonda, e bene stabilita, tanto più quello s'innalza grande e forte. In breve in chi non è Umiltà, non vi è vera virtù, ed il cammino della virtù comincia dall'Umiltà. L'Edit.
PRATICA DELLA CARITA' FRATERNA
I. Pratica della Carità fraterna ne' pensieri.
18. Non formar mai cattivo concetto di veruno. Cioè non ammettere giudizj, sospetti, riflessioni, o altri pensieri, che tirino a toglierti, o sminuirti in qualche modo la buona opinione del tuo prossimo. Chi giudica male del prossimo, dicea S. Francesco di Sales, è simile alla sanguisuga, che cava dal corpo il sangue più marcioso, lasciandone il puro, né vi è contrassegno più infallabile di un'Anima viziosa, che l'inclinazione di giudicare, e parlar male de' prossimi. Di quà nascono i primi raffreddamenti della Carità. E molti non arrivano mai all'acquisto di essa, per non esser vigilanti in questo quanto conviene. E' comune sentimento de' Santi, di non impicciarsi ne' fatti altrui senza gran necessità, ma o interpretarli in bene, o sospendere almeno il giudizio, e lasciarli come stanno innanzi al Signore.
Quando comparve il ritratto d'Antigono tirato in profilo, talché non vedeasi la deformità dell'occhio, che gli mancava, vi fu chi dimandò ad Apelle, dov'è il vostro giudizio ? rispose questi: perché avrò io a produrre un malamento nella mia pittura, se posso nasconderlo senza pregiudizio d'alcuno ? Il P. Pietro Fabro escludea con gran diligenza ogni pensiero anche minimo che gli potesse sminuire la buona opinione del suo prossimo: e solea chiamare simili pensieri soffj de' Demonj per estinguer il fuoco della Carità. S. Vincenzo de Paoli avea ben intesa questa verità ; e perciò non potea soffrire che nelle Comunità si mancasse, benché in poco, nella stima degli uni verso gli altri. Onde consigliava a rifletter molto alle virtù degli altri, massime di quei, che sono difettosi, ed interpretar sempre in bene le cose per quanto fosse permesso. E perché tale era la pratica di questo Santo ; perciò egli non perdea mai la stima di veruno. Fra Bernardo da Quintavalle giudicava sempre secondo il senso migliore quello che vedea negli altri. Quando vedeva alcuno rappezzato ; dicea a se stesso: questo osserva la povertà meglio di te. Quando vedeva un altro ben aggiustato: questo porta forse sotto il cilizio, e veste così per fuggir la vanagloria. Quando uno andava scioccamente: Beato lui, che va tutto assorto in Dio ecc. Per la qual cosa egli fu veduto in una visione da Fra Leone in compagnia di molti, assai più risplendente di tutti, e che dagli occhi suoi uscivano raggi più luminosi del sole. Narra Cassiano, che l'Abate Machete raccontava di se stesso d'aver giudicato male degli altri Monaci particolarmente in tre cose, che vedea lor fare, e gli parean mal fatte ; e che il Signore in gastigo di tali giudizj l'avea lasciato cadere in tutte e tre quelle cose, avendo egli stesso fatte quelle medesime azioni, che avea condannato in altri.
19. Non nudrire avversioni contra veruno, specialmente di quelli, che generano alienazione d'animo, malevolenze, amarezze, ed invidia contra la persona, e portano ad osservare i di lei andamenti e difetti per criticarla, renderla disprezzevole appresso di se. Queste sorte d'avversioni bisogna troncarle subito, con far de' servizi alla Persona, e sforzandosi di trattar con essa con amorevolezza, e più frequentemente che si può. Se poi fossero di quelle, che piuttosto si possono dir contraggenj naturali, ed altro male non anno, se non farci trattare colla persona con minor gusto, e con minor dolcezza di quel, che facciamo colle persone di nostro genio ; non bisogna farne gran conto: anzi questo stesso, dice S. Francesco di Sales, esser l'unico loro rimedio: non pensarci punto, e non farne caso procedendo come se non si avessero.
Il P. Pietro Fabro quando sentiva in se pensieri d'avversione contra d'alcuno, allora si sforzava di praticar più spesso con quello. Qualunque male veggiate, che alcuno faccia, diceva a' suoi Discepoli l'Abate Mosé, non vogliate per questo sprezzarlo, né mormorare di lui, o prendere avversione contra di lui. E per potervi astenere da tutto questo, basta, che allora richiamiate alla memoria i peccati vostri perché chi tiene avanti gli occhi i proprj peccati, non sta a vedere quelli del suo prossimo. Racconta Tommaso da Kempis, che un uomo Secolare narrava ad un buon Sacerdote un caso avvenutogli, ed era, che quando egli udiva la Messa, non vedeva il Sacramento nelle mani del Sacerdote, e credendosi, che ciò accadesse perché stava forse discosto dall'Altare si avvicinò, e contuttocciò non lo vedeva ; e ch'essendogli ciò durato più d'un anno con sua gran confusione e rammarico, finalmente lo comunicò ad un Sacerdote in Confessione, il quale dopo averlo esaminato con prudenza trovò, che nudriva da qualche tempo dell'avversione ad uno per ingiuria da lui ricevuta ; e fattagli un'amorevole e forte esortazione gli disse, che questa era la causa, perché non potea vedere il SS. Sagramento, e che Iddio non l'avrebbe mai ammesso alla sua perfetta amicizia, finché non lo vedesse perfettamente riconciliato col suo prossimo. Compunto egli a queste voci, e pentito della sua colpa ricevé l'assoluzione ; dopo la quale si portò in Chiesa ad udir la Messa ; nella quale vide con una straordinaria consolazione la S. Ostia nelle mani del Sacerdote.
20. Compatisci i difetti del prossimo ; ora scusandoli nel suo interno e pigliandoli come fatti per inavvertenza, per ignoranza, per passione, e per caso ; ora dissimulandoli, e lasciando correre, senza badar tanto in tutto quel che si può, e soprattutto guardando sempre le debolezze della persona con occhi di compassione e portandoti con essa come se non fosse succeduto niente. Se sapessi quanti saranno quelli che si portan così con te ! se non altro, Iddio, è certo, che ti sta continuamente sopportando in questa medesima maniera. Or perché non dovrai farlo ancora tu con gli altri ?
Il V. P. Gio. Leonardi compativa qualunque difetto, anche di quei medesimi, che l'odiavano e lo perseguitavano scusandoli, e rigettando sopra di se la cagione del loro odio, con dire che le sue imprudenze n'erano l'origine. S. Francesco di Sales, essendo vescovo argomentava in una pubblica conclusione ; e nel più bello un Religioso ebbe l'ardire d'interromperlo, e proseguir l'argomento. Sdegnati di ciò i suoi Canonici, gridarono, che quell'audace si dovea scacciare colle verghe: ma il Santo gli acquietò con cenni: e tacendo, osservava come ne sarebbe riuscito. Or essendosi colui imbrogliato malamente, allora egli senza mostrarsi punto offeso ripigliò l'argomento, e si studiò di coprire l'ignominia dell'altro con tal prudenza, che diede motivo d'ammirare egualmente la sua carità e dottrina. Avendogli un gentiluomo per alcuni falsi rapporti per lo spazio di sei mesi fatti molti oltraggi, sino a sparger satire contra di lui, e venir di notte nel suo cortile a far romore con cani e corni da caccia, e tirargli delle pietre, e delle pistolettate nelle vetrate: per la qual cosa volevano uscirgli incontro, o almeno farlo sapere a sua Altezza ; egli non volle: dicendo, che questo era un perderlo, ed egli lo volea guadagnare. Finalmente incontratolo un dì, lo salutò e l'abbracciò ; e con parole di gran benevolenza dimandò la sua amicizia. Del qual atto rimasto confuso il gentiluomo, gli fece scusa, gli offerse ogni soddisfazione, e gli fu di poi grande amico.
21. Vogli veramente bene al prossimo. Cioè portargli un vivo e tenero affetto, di quello che procede dal fondo del cuore, e genera una certa interna propensione verso la persona, e porta a desiderarle, e farle volentieri del bene, ed a provar tal contento nelle sue prosperità, e tal afflizione nelle sue avversità come se fossero nostre proprie. Chi arriva ad aver questa bella tenerezza d'affetto verso il suo prossimo, avrà ancora gran facilità in compatirlo, scusarlo, soccorrerlo, ed in particolare verso di lui tutti gli altri atti di carità: come appunto si veggono far le madri verso i figliuoli loro, i quali elle amano con un amore di questa fatta. Vedi quanto è necessario insistere nell'esercizio di questo atto ?
S. M. Maddalena de Pazzi era giunta a questa finezza di carità verso i suoi prossimi. Imperciocché ella desiderava a tutti ogni bene, ed in vedere, o sentire Anime favorite da Dio con doni celesti, e con altri buoni talenti, giubilava d'allegrezza, come se fossero stati suoi proprj. Ed all'incontro tanto compativa le afflizioni altrui sì corporali, che spirituali, che spesso ne piangea come se essa medesima le provasse, e sovente bramava ancora di levarle alle altre, e tirarle sopra di se. Anzi era tanto grande questo sentimento, che avea delle pene altrui, che quando si trovava oppressa da infermità gravissime e perniciosissime, per fare, ch'ella non le sentisse, non vi era miglior rimedio, che rappresentarle le gravi afflizioni, o tentazioni d'alcun'altra. Onde piangendo tal volta per li suoi eccessivi dolori, se vedeva alcuna afflitta, rasciugava tosto le lagrime ; e quasi scordata di se stessa, si volgeva a consolare colei, ed a cercar rimedio al di lei male: parandole sempre gli altrui mali maggiori de' suoi. Ed in queste occasioni, quando le veniva portato qualche cibo delicato, se sapeva trovarsi alcun'altra inferma nel Monastero, se ne privava, e glielo mandava, stimando ognuna più bisognosa di se. Il V. Bercmans si rallegrava molto del bene di tutt'i suoi prossimi, e molto si affliggea delle miserie e travagli loro, e ne domandava con tanta ansietà, con quanta avrebbe procurato il suo bene proprio.
II. Pratica della Carità fraterna nelle parole.
22. Non mormorare mai di nessuno, incolpandolo a torto, scoprendo, aggravando, o rammemorando i suoi difetti, ancorché pubblici ; né sentirne ragionar volentieri, o inducendo altri a ragionare, o anche scoprendo i sinistri giudizj e sospetti, che avessi dda lui, e discorrendone in qualunque altra maniera, che possa oscurare, o sminuire anche leggiermente la di lui fama.
S. Vincenzo de Paoli perché avea molto a cuore la fama del prossimo, non solo non fu mai udito mormorare d'alcuno ; ma neppur potea soffrire, che si biasimasse veruno, o se ne dicesse male, nemmen de' proprj avversarj. E se mai ciò accadea, divertiva subito il discorso con destrezza, e con libertà Sacerdotale lo troncava affatto, o almeno gli scusava, e li difendeva quanto più poteva. Spiccò molto questa sua carità verso coloro, che uscivano di Congregazione ; avendo egli per massima di non dolersi mai di loro, e di non manifestare la causa della loro uscita. Anzi quando si gli presentava l'occasione, e potea farlo senza mancare alla verità, parlava in loro favore, e ad essi rendeva ancor de' servigj. Anche il P. Almeras suo successore nel governo della Congregazione era circospettissimo in parlare de' difetti altrui ancorché pubblici: tanto che se talora gli fosse scappata qualche parola anche minima di questa sorte, benché detta con qualche necessità, ne sentiva gran rimorso, e subito ne chiedea perdono a chi l'aveva udita. S. Ignazio non s'intese mai mormorare d'altri, né mai diede ascolto alle altrui mormorazioni. Non parlava mai degli altrui vizj, ed usava ogni diligenza perché nemmen si parlasse degli altri. Non parlava mai de' difetti de' suoi domestici senza evidente necessità: e quando questa vi era, dicea quello ch'era puramente necessario, e nulla di più. S. Ugone non volea mai sentir mormorazioni, solendo dire, che basta sapere i peccati proprj, e che non è giusto né necessario imbrattarsi la coscienza colle altrui imperfezioni, e S. Agostino avea fatto scrivere a lettere cubitali nella camera, ove solea mangiare, questo distico: Quisquis amat dictis absentum rodere vitam, Hanc mensam indignam noverit esse sibi. E perché un Vescovo suo commensale cominciò un giorno a mormorare d'alcuno, il Santo si commosse alquanto, dicendo, o si cassino quei versi, o io me ne vado nella mia stanza.
23. Guardati di non usar mai parole, o maniere aspre, pungenti, o in qualunque modo mortificative, che altro non partoriscono, che sdegno in chi li riceve, e pentimento in chi le dice.
Attentissimi stavano i Santi sopra di se circa di questo. Di S. Ignazio si narra che in trenta e più anni non disse mai parole contumeliose, o mordaci, che potessero offender veruno. Di S. Vincenzo de Paoli, che in tutta la vita non profferì mai parole aspre, o di disprezzo, o di burla contra d'alcuno. Di S. Franc. di Sales, che si guardava molto dal disprezzare, ed anche dall'apportar minima confusione sì a' ricchi, che a' poveri e difettosi. E di S. Efrem, che in punto di morte disse, che non si ricordava di non aver mai dette parole ingiuriose, ed obbrobriose e mortificative ad alcuno, e che mai non avea contrastato con altri. E così pure di molti altri, che stavano sempre sopra di se nel parlare, per non dir mai cosa, che potesse disgustare, o confondere alcuno.
24. Parla sempre bene degli assenti, ed esaltando nelle occasioni le loro virtù, e scusando i loro difetti in tutto quello che si può.
S. Vincenzo de Paoli delle persone assenti, ne parlava sempre con segni di venerazione e di stima: e se ne dovea dir qualche difetto, nel tempo stesso ne dicea le virtù, e buone qualità. Sentendone poi parlar male da alcuno, le difendeva così bene, che correa voce, che dov'egli era, gli assenti vi avevano un buon avvocato, il quale abbracciava con più affetto la causa loro, che la sua propria. Così pure faceva il P. Almeras suo successore. Essendo andato da lui un Fratello coadjutore, tentato d'abbandonare la sua vocazione per certi falsi concetti impressigli da due altri fratelli usciti di Congregazione, e che lo molestavano con liti apertamente ingiuste ; il buon Superiore lo ricevé con amorevolezza grande ; quindi passò a fargli vedere minutamente come quei due si erano ingannati, e il torto che perciò aveano: ma ciò fece con termini di tal rispetto, e di tal compassione verso de' medesimi, e con diminuire sì fattamente la colpa loro, che quel fratello ammirato della gran carità del suo Superiore restò affatto libero dalle tentazioni. S. M. Maddalena de Pazzi non si lasciò mai uscir di bocca minima parola, che potesse offendere il buon nome del suo prossimo ; e quando sentiva parlarne male, ne provava tanto dispiacere, che non potea trattenere le lagrime. E facea di ciò tanto conto, che questo teneva ella per contrassegno di chi mena vita spirituale, il non parlar mai, né voler sentire parlar male del prossimo.
25. Sia il tuo trattto umile, rispettoso, soave, cordiale, con tutti, senz'affettazione però, o adulazione ; che ti renderà a tutti amabile, e ti ruberà il cuore di tutti.
Di S. Ignazio si dice, ch'era molto amato e rispettato da tutti, perché trattava tutti con tal piacevolezza e rispetto, che ognuno si persuadeva, ch'egli avesse buona opinione di lui. Del P. Suarez, ch'era di tanta dolcezza e moderazione nel parlare, che si rubava il cuore di tutti, di S. Fr. di Sales, e di S. Vinc. de Paoli non occorre qui ripetere gli effetti ammirabili, che si son riferiti altrove, del loro soavissimo tratto. Questa era la cagione perché il V. Bercmans era amatissimo da tutt'i suoi compagni, tanto che alla di lui morte si attristò e pianse tutta la casa ; poiché si mostrava dolce e cordiale con tutti, e con somma facilità si accomodava al parere e volere di ciascheduno.
II. Pratica della Carità fraterna nelle opere.
26. Non ti rendere d'aggravio agli altri col tuo modo d'operare, come sarebbe, per cercar il proprio comodo, far cose, che portino peso, o fatica ad altri ; attraversarsi agli altrui disegni ; farsi aspettar dai compagni ; disturbare quei che stanno in applicazione, o in riposo ; e simili.
S. Carlo, se tal volta dovea passar di notte per le stanze de' suoi staffieri in tempo, ch'essi dormivano, andava lentamente, ed in punta di piedi, per non far romore, loro interrompere il sonno. Il V. Bercmans quando veniva assegnato per compagno ad alcuno per uscire, subito s'informava da quello quando pensava di partire, ed a quell'ora appuntino si facea trovare alla porteria. Quando accompagnava alcuno alla Chiesa del Gesù, gli domandava quanto tempo pensava di trattenersi, ed egli intanto se n'entrava in Chiesa a far orazione: e quando giudicava, che si avvicinasse il tempo, se n'andava ad aspettarlo alla porteria, e là si tratteneva orando, o leggendo.
27. Sovvieni il prossimo ne' suoi bisogni. Cioè quando vedrai il tuo fratello posto in qualche afflizione, tentazione, o pericolo, o pure aggravato da fatiche, persecuzioni, miserie, o in qualsivoglia altra necessità spirituale, o corporale, che sia ; se ricorrerà a te, sii subito pronto a soccorrerlo, sgravarlo, consolarlo, e dargli ajuto in tutto quel che potrai: Ma se non ricorre s'ha da lasciar così ?
S. Vincenzo de Paoli, quando alcuno ricorreva a lui per qualche bisogno, l'ascoltava con attenzione, e con affetto, gli rispondea con segni di compassione, gli dava tutto l'ajuto che potea: tanto che si dice, non essersi trovato chi ricorresse a lui, e se ne trovasse scontento, e mal soddisfatto, e senza ricevere alcun sollievo a' suoi mali: perché egli avea una grazia particolare di consolar tutti. Ma non si fermava qui la sua carità. Poiché quando s'incontrava a sentire o vedere da se qualche bisogno, non aspettava, non che gli fosse chiesto l'ajuto, ma da se si movea subito a porgervi il rimedio. Il medesimo si riferisce della V. M. Crocifissa, ch'era molto attenta a consolare con dolci conforti, con salutari documenti tutte quelle persone, che ricorrevano a lei ne' loro bisogni ed afflizioni ; come se avesse presi a suo carico tutt'i travagli altrui. Dal che animate le Religiose, in ogni loro occorrenza andavano subito a darne parte a lei, né mai avveniva, che alcuna ne ritornasse scontenta: tantoché era voce comune, che Suor Maria Crocifissa, era il comune, e sicuro asilo di tutte le tribolate. Ella però non aspettava che le tribolate ricorressero a lei ; ma se intendea, che alcuna si trovasse in qualche bisogno, incontanente l'andava essa a trovare ; e co' più soavi uffizj offerendole orazioni, ed indirizzandola, e rincorandola, la consolava. Si narra nelle vite de' PP. come l'Abate Giovanni essendosi accorto, che uno al quale egli solea dar delle sante istruzioni, facilmente si dimenticava di quanto avea inteso, e non ardiva di tornar a domandarlo ; una sera lo pregò ad accendergli la lucerna con la sua, e poi gli dimandò se la sua lucerna avesse patito in questo fatto ; e rispostogli da quello di no ; Or così appunto, soggiunse l'Abate, non patisce Giovanni, ancorché venisse a lui tutta la Scizia, da cui non sarebbe mai impedito dall'esercitare la carità del Signore, e però quando hai bisogno, vieni pur francamente. Riferisce S. Girolamo di S. Paola, che si accomodava a tutti, ed a tutti facea bene, secondo il bisogno di cischeduno. Se vedea poveri, era pronta a soccorrerli coll'elemosine ; se ricchi, egli esortava a far del bene. S. M. Maddalena de Pazzi, era molto sollecita in consolar le meste, e le afflitte, in confortare le tentate, ed animare le pussillanimi. Non fu mai richiesta, né mai se le presentò occasione di far qualche carità, ch'ella potendo, non lo facesse con qualunque suo incomodo. Onde sebbene alle volte si trovasse molto affaticata, non si trovava mai stanca: ma se dopo qualche lunga fatica se le porgeva occasione d'un'altra opera, con gran prontezza si offeriva anche a quella, come se allora cominciasse a fatigare. E se talora era pregata a riposarsi un poco, ovvero richiesta come potesse fare tante fatiche, rispondea: Questo corpo è un asinello, e non bisogna tenerlo in riposo, ma fargli portare la soma giorno e notte. Ajutava frequentemente in cucina, impiegandosi in cucinare, spazzare, tirar acqua, portar a mensa, far il pane, portarlo al forno, ed in altri simili esercizj: e questo non solo di passaggio, o per supplimento, ma come se fosse una Conversa, e le toccasse per uffizio. Quando stava faticando con le Converse, le esortava talora a riposarsi, ed ella frattanto seguitava senza intermissione ; e negli esercizj, che con esse facea, scegliea sempre per se le cose di maggior fatica cercando di sgravarle quanto più potea. Ajutò per sei anni continui una Conversa a far il pane ; ma di tal maniera, ch'ella era la prima a levarsi ; ed avanti che l'altra si fosse alzata riscaldava l'acqua, ed incominciava a far il pane: nel portarlo poi al forno, correa con gran sollecitudine per portarne più tavole, che fosse possibile. Quando s'avea da far il bucato si levava prima di tutte, ed empiva le caldaje, portava la legna, accendeva il fuoco, e cominciava a lavorare: sicché quando le altre anche Converse si levavano, ella avea già faticato per più ore: e sovente spendea in tal esercizio cinque, o sei ore di notte, sì per non essere veduta di giorno in quell'assidua fatica, sì ancora per potersi il giorno esercitare in altre cose spettanti al suo officio. Quando era maestra delle Novizie, le mandava per lo convento a cercar i panni succidi, e li lavava essa la notte. Avendo una Conversa l'impiego di chiamar le Monache al mattutino, ella con licenza della Superiora, le chiese in grazia di far ciò seco a vicenda una settimana per una: e dopo aver durato così per molto tempo, essendosi poi ammalata la Conversa, seguitò da se sola in quell'impiego per lo spazio di quindici anni. Quando qualche Conversa per riverenza, o per carità ricusava il suo ajuto, ella le ne facea molte istanze, dicendo fra l'altre cose: Sorella, non mi togliete il merito di quest'opera: lasciatemi far questo, e poi farete voi qualche cosa per me. Onde bisognava che si guardassero bene in presenza sua di mostrare, che avessero alcun bisogno: perché ella s'offeriva a tutte per ogni fatica, e senz'alcun risparmio, e con tali istanze, che conveniva loro d'accettar l'offerta. Finalmente tanto si affaticò in questo esercizio del lavoro, che se l'era stravolto un osso del collo, ed una mano: e le Monache affermavano, ch'ella sola facea più, che quattro Converse insieme: e che nessuna si trovava nel Monastero, che non avesse ricevuta da lei qualche carità. E perciò era comunemente chiamata la madre della Carità, e la Carità del Monastero.
28. Studiati di far sempre a modo d'altri. Cioè quando altri mostrano desiderio, o propensione a qualche cosa, e molto più poi se lo richieggono, condiscendi sempre subito loro: e fallo volentieri, nel modo e tempo che vogliono. Sforzati pure di secondare in tutto il genio degli altri, e di contentare tutti, né di prefiggere altri termini alla tua condiscendenza, che la mera offesa di Dio.
S. Vincenzo de Paoli usava una grande attenzione in procurar d'incontrare il gusto di tutti, benché suoi inferiori, e specialmente di quelli, ch'egli giudicava operar con retta intenzione, e senz'attaccamento al proprio giudizio. Onde qualora andava per la Città a cavallo, prendea quella strada, che più gradiva al giovane, che l'accompagnava: e dicea, che poco importa l'andar per una strada, o per un'altra, quando amendue conducono allo stesso luogo ; ma che non è di poco momento il soggettare la sua volontà a quella del prossimo. E per dir tutto in poco, egli si regolava in questo con una massima, quale ripetea di tanto in tanto dicendo: Condiscendenza quanta volete, purché non si offenda Dio. L'istesso pure praticava, e facea praticare agli altri S. Francesco di Sales, come apparisce dalle sue lettere. Lodava egli una Dama sua conoscente, la quale, per compiacere al marito usava contra sua voglia mille vanità ne' suoi abiti, e non si comunicava in palese, fuorché alla Pasqua. Ad un'altra scrisse: Bisogna accomodarsi agli altrui voleri, sopportare le loro affezioni, e piegare il più che si può senza rompere le nostre buone risoluzioni. Già ve l'ho detto altre volte, che quanto meno viveremo a gusto nostro, e quanto meno vi avrà d'elezione nelle nostre azioni, tanto più sarà buona e soda la nostra divozione. Questa ancora per quanto si può convien procurare di non renderla noiosa agli altri. Egli è forza di lasciare qualche volta il nostro Signore per gradire al prossimo per amore di lui. S. Anselmo per tutto il tempo che fu Priore ed Abate, fu amato sommamente da tutti ; perché era molto condiscendente, e si lasciava piegare alla volontà di tutti, e non solo de' Monaci, ma ancora degli esterni. Onde se uno gli dicea, ch'era bene, ch'egli pigliasse un po' di brodo la mattina, lo pigliava. Gli diceva un altro, che il brodo gli facea male, ed egli lo lasciava ; e così in tutto quello, che non fosse offesa di Dio, si sottometteva alla volontà de' suoi fratelli, i quali senza dubbio seguivano la loro propria inclinazione. E l'istesso praticava co' secolari, che lo faceano girare per ogni parte secondo la loro volontà. Non era egli perciò approvato da tutti, era però da tutti molto amato.
29. Il bene, che fai, fallo con buono modo. Onde quando vorrai sopportare alcuno, compatirlo, sovvenirlo, condiscendergli, concedergli, o negargli qualche cosa ; t'hai da studiare di farlo sempre con buon modo ; cioè con volto gioviale, con parole affabili, e con espressioni cordiali e sincere, dalle quali colui venga a conoscere, che quel bene, che gli fai, glielo fai di buon cuore. Questo è quel che si dice il fiore della Carità, il quale fa, ch'ella si renda soprammodo accetta, ed incateni i cuori di tutti. Vale più, e comunemente si fa più conto del buon modo, con cui si fa il servizio, che non dello stesso servizio, talmente che anche le medesime negative piacciono quanto son date con buon modo. Usa pure in questo ogni studio.
L'Abate Apollo, quando era richiesto da alcun Monaco di qualche servizio, subito s'alzava con volto allegro, dicendo: eccomi pronto. Il V. Bercmans facea servizio a chiunque lo richiedea, rispondendo subito: Padre sì molto volentieri. Per la qual cosa ognun che avea bisogno ricorreva a lui senza soggezione ; ond'era perciò chiamato il comun rifugio. S. Vincenzo de Paoli, se talvolta dovea dar la negativa ad alcuna inchiesta, lo faceva in modo, che le persone non solo non ne restavano amareggiate, ma per lo più partivano soddisfatte, come se avessero ricevute quanto chiedevano. S. Fr. di Sales, avea per massima di non negare mai niente di quel che potea concedere: e quando non potea, i suoi rifiuti erano conditi di tanta grazia, che riuscivano più grati delle medesime grazie di molti, che le concedono sì sgraziatamente, annientando i loro proprj favori. Si legge nella vita di S. Camillo de Lellis, che quando non poteva pagar i creditori, allegava loro con tal dolcezza le debite scuse, e con tal soavità di parole, che ne restavano persuasi e contenti: come appunto accadde una volta ad uno di costoro, il quale per partirsi andava tra se quasi maravigliato ripetendo: in somma me ne vado consolato, e senza quattrini.
30. Per poter rendere, conviene la propria Carità universale, è necessario farsi tutto a tutti secondo il consiglio dell'Apostolo: studiando perciò il genio delle persone regolandosi con diverse misure, e trasformandosi in varie guise secondo la diversità de' soggetti, delle occasioni, de' tempi, e de' luoghi.
S. Vincenzo de' Paoli nel trattar colle persone procurava d'accomodarsi alle disposizioni di ciascheduna ; e di farsi appunto tutto a tutti, per guadagnar tutti a Cristo. Onde benché fosse un uomo molto serio, e grave, solea talora, per dar animo a' pusillanimi, usar qualche tratto d'allegria, sino a contraffare il linguaggio del lor paese ; con che consolava ed edificava tutti, ed a tutti si rendea grato ed accetto. Il V. P. Gio. Leonardo s'accomodava alla natura di ognuno de' suoi Religiosi. Per incamminar tutti nella via della perfezione proponeva a ciascuno quei mezzi, che conosceva esser proporzionati alla di loro capacità. Co' mesti e malinconici trattava con tanta benignità e piacevolezza, che quasi gli sforzava a vincer la loro natura. Con quei di poco talento, o di umore stravagante si portava con ispeciale amorevolezza senza mai mostrarsi infastidito, o annojato del lor trattare e condiscendendo con essi in tutto quel che poteva: e con queto gl'incoraggiava al ben operare. Se nel tempo della ricreazione avesse veduto alcuno malcontento, o appartato dagli altri chiamatolo a se, gli dimandava la cagione di tal novità, e con poche parole amorevoli consolatolo, lo rimandava a trattenersi cogli altri. Ond'è che con queste affabili maniere si cattivava gli animi di tutti ; tanto che non vi era alcuno, che non avesse con lui una total confidenza: tanto più, che usando egli egualmente con tutti questa sua affabilità e carità, ciascuno si credea di essere il più amato e favorito da lui. Spiccò anche molto in questo la B. M. di Chantal, e specialmente nel governo temporale del suo Ordine, e molto anche più nella condotta spirituale delle sue figlie, avendo sempre tenuta una regola sì ben pensata, che riuscì d'universal gradimento e profitto. E questo fu, perché avendo ella uno squisito discernimento per conoscere le inclinazioni e le virtù di tutte in particolare, sapeva accomodarsi all'umore di ciascheduna. Con le deboli di spirito usava una speciale affabilità, sentendole con pazienza, rispondendo loro con tutta dolcezza, e fin prevenendole con carità ne' loro desiderj. E con questo bel modo insinuandosi per la via del cuore ne' loro spiriti, le rendea coraggiose nella via della perfezione. Quelle poi, che vedeva avanzarsi nelle virtù e nella vita spirituale, procurava con grande zelo d'animarle vie più al bene: e dicea, che a simili Anime di buona volontà basta insegnar loro la strada, e seguire ad infervorare i loro santi proponimenti ed affetti, perché si portino molto avanti. In tutte poi osservava con gran diligenza i diversi movimenti dello spirito di Dio nelle loro Anime, e poi per parte sua altro non facea, che secondare i divini impulsi comunicando loro le istruzioni, e ricordi più proprj e più confacevoli alla capacità di ciascuno quanto all'interno ; e quanto all'esterno facea lor osservare fedelmente le regole, procurando però d'imprimere ne' cuori di tutte una certa santa libertà, che muovendole ad operar per forza d'un amor soave verso Dio, venisse a togliere, o almeno a raddolcire in esse le difficoltà, che incontransi nell'operare.
31. Se vuoi un ottimo mezzo per praticar sempre e con facilità la Carità fraterna, hai da piantare bene nel tuo cuore due massime, e con esse regolarti nelle occorrenze, e sono le seguenti :
I - FARE AGLI ALTRI QUELLO CHE UNO VORREBBE CHE FOSSE FATTO A SE.
II - TUTTO QUELLO CHE SI FA AGLI UOMINI, SI FA ALLO STESSO DIO.
Il modo di servirsi di esse è questo. Ogni volta che si presenta l'occasione di praticare la Carità verso d'alcuno, dir tra se stesso: Se ti trovassi ai piedi di costui, come vorresti essere trattato ? Avresti a caro che uno ti facesse questo ? ovvero: Se vedessi Cristo posto nel caso di costui, che faresti ? Avverti, che quello che fai a quegli, lo fai a Dio, di cui, quello è un'immagine.
La B. M. di Chantal facea gran conto di questo principio, ed esortava spesso le sue Religiose a renderselo familiare. Laonde disse loro una volta: oh che noi saremo beate, se in tutte le occasioni fossimo attente a non profferir neppure una parola, ed a non operar cosa alcuna che potesse danneggiare il nostro prossimo: come appunto vorremmo che non si proferisse parola, né si facesse cos'alcuna da esso contra di noi. Così lo sopporteremo, e lo scuseremo ne' suoi mancamenti ; l'ajuteremo ne' suoi bisogni, lo compatiremo nelle sue disgrazie, e goderemo de' suoi vantaggi, come appunto vorremmo, ch'egli ci sopportasse, e scusasse ne' mancamenti da noi fatti, ci ajutasse ne' nostri bisogni, ci compatisse nelle nostre disgrazie, e godesse de' nostri vantaggi. Quando S. Francesco di Sales vedea, che si scherniva alcuno, o di lui si mormorava nella conversazione, col mettersi in contegno facea conoscere, che quel discorso gli dispiaceva ; e per interromperlo ne intavolava un altro ; e se non gli riusciva, si alzava, e dicea: questo è un troppo strapazzare quel povero uomo, ed un passare i termini della discrezione ; e talvolta soggiungea: Chi ci dà quest'autorità di divertirci a spese altrui ? Vorremmo noi esser trattati in questo modo, e che si facessero palesi con tal indecenza le nostre miserie ? S. Anselmo disapprovato da alcuni, come altrove si è riferito, perché sempre condiscendeva al parere e volere d'ognuno, così rispose: Voi dite così perchè non sapete con qual'intenzione io lo faccia. Sappiate per tanto, che io fo questo: primo, perché nostro Signore ha detto, che facciamo agli altri quello che vorremmo, che fosse fatto a noi: Or io vorrei, che il Signore facesse la mia volontà, e perciò faccio volentieri quella de' miei prossimi. Secondo, perché non trovo miglior mezzo di questo, per conservare in me la carità ed unione col prossimo ; ch'è la cosa, che Dio ci ha tanto raccomandata. S. Giovanni Elemosinario avendo fatta dare più volte buona somma di danaro ad uno, che mutava abito e nome, fingendo di essere schiavo bisognoso di riscattarsi, benché egli se ne accorgesse, seguitò a beneficarlo. Ed avvisato dal Procuratore della frode di colui, disse: dagli il danaro che cerca ; poiché può essere la persona di Gesù Cristo, che vuol far pruova della tua carità. Venne un giorno da S. Gregorio Magno, allorché era Abate del Monastero, un Angelo dal Cielo in figura di mercatante, che navigando avea fatto naufragio, e perduta tutta la sua mercanzia, e gli chiese qualche soccorso. Ordinò il Santo, che gli fossero dati sei scudi: quali ricevuti tornò a dirgli, che quello era troppo poco per sollevarlo dalla sua gran perdita ; ed il Santo gli fece dare sei altri scudi. Ma tornò quegli dopo tre giorni per la terza volta, tutto dolente ed afflitto a chiedergli nuovo soccorso, allegando la sua estrema miseria ; ed il buon Santo tutto compassione gliene fece dare altri sei: e perché questi non erano in casa, in vece di essi, gli fece dare una tazza d'argento, che S. Silvia sua madre gli avea mandata quella mattina piena di legumi, di cui solea cibarsi. Essendo in seguito Papa, ordinò un giorno ad un suo cappellano, che chiamasse a mangiare i dodici poveri, ed entrato al vederli, osservò ch'erano tredici: e domandando al cappellano, perché non ne avesse chiamati solamente dodici, siccome gli aveva ordinato: quegli incontanente rispose, di non averne chiamati più di dodici, e che dodici appunto egli ne vedeva, e non più. Ma il Santo ne vedea tredici ; e stimando ciò non esser senza mistero, fissò gli occhi nel tredicesimo ; e mirandolo attentamente, vide, che si mutava di sembiante nel volto, parendo ora giovane, ed ora vecchio. Terminata la mensa, lo tirò in disparte, e lo scongiurò a dirgli chi era ; il quale rispose io sono quel mercatante perduto nel mare, a cui tu desti i dodici scudi di limosina, e la tazza d'argento di tua madre. Sappi che per quell'opera volle Iddio, che tu fossi successore di S. Pietro. Come sai tu questo, ripigliò S. Gregorio ? Perché sono un Angelo, disse quegli, mandato da Dio per provarti. Al che prostratosi egli con gran riverenza a terra: oh disse, se per una cosa sì picciola mi ha fatto Iddio universal pastore della Chiesa sua, quanto maggiori cose posso io aspettare da lui, se lo servirò con grande affetto ? E da allora in poi crebbe tanto la sua liberalità co' bisognosi, che niuno a lui s'accostava, che non ne partecipasse. Un'altra volta ch'essendo pure Sommo Pontefice voleva egli stesso dar l'acqua alle mani ad un povero prima di mangiare, mentre dava di mano al vaso, colui disparve. La notte appresso gli apparve in sogno Gesù Cristo, dicendogli: altre volte mi hai ricevuto ne' miei membri ; ma ieri mi ricevesti nella mia stessa persona. Teobaldo potentissimo Conte di Chartres, uomo liberalissimo verso i poveri, viaggiando con gran comitiva nel cuore d'un rigidissimo inverno, s'incontrò in un povero nudo, che si raccomandava a lui: che domandi disse il Conte ? dammi, rispose il povero, il manto che porti, ed il Conte subito glielo diede, dicendo: domanda se vuoi altra cosa. Soggiunse il povero: dammi l'abito, che porti sotto la tonica, ed essendogli stato conceduto, ricercò la tonica stessa, ed il Conte pur ce la diede, restando in camicia ; seguitò il povero: tu vedi o Conte, che ho la testa nuda e rasa, onde dammi anche il cappello ; ma il Conte arrossendosi alqunto perché era calvo, disse: adesso figlio caro, sei troppo importuno, poiché non posso stare senza cappello. Ciò detto immediatamente disparve il povero, lasciando le vesti sulla neve. Allora il Conte gittatosi da cavallo proruppe in un grandissimo pianto, e vivendo con vigilanza, non mai negò limosina, che in appresso gli venisse richiesta. Di S. Martino poi ben si sa, che avendo un giorno data una parte della sua clamide ad un povero mezzo nudo, che gli domandò la limosina ; la notte susseguente gli apparve Gesù Cristo con quel pezzo di veste in dosso, dicendo: Martino mi ha ricoperto con questa veste ( a ).
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( a ) - Questi sentimenti di carità fraterna erano conosciuti e praticati anche da' Gentili, ed ora si conoscono e si praticano da tutti i Popoli in generale. Niuno però li conosceva e praticava meglio del divino Maestro Gesù Cristo, che bisogna imitare, avendocelo insegnato, e prescritto. Mio caro lettore se desideri leggere qualche altra cosa di buono sulla Carità, studia il Cap. II della Parte III dell'ottima opera dell'Arid. D. Luca de Samuele Cagnazzi intitolata: Precetti della morale evangelica posti per ordine didascalico, Napoli 1823. L'Edit.
CONFIDENZA
NELLE
TENTAZIONI
ED
ARIDITA' DI SPIRITO
I. Confidenza nelle Tentazioni.
1. Chi veramente confida in Dio, lo dà soprattutto a divedere nelle tentazioni, che sono i maggiori e più ordinarj travagli delle persone spirituali, alle quali è specialmente indirizzato quanto qui dicesi su tal materia.
A tutti gli altri travagli esterni giungono elleno per via della virtù ad accomodarsi ; ma questi, che le toccano nel più vivo dell'anima tentando di separarle dall'amicizia di Dio, riescono loro veramente insoffribili. Ed il peggio si è, che andando le cose a lungo, entrano spesso in timore d'aver perduta la grazia del loro Signore, e che mentre loro avvengono tali cose, debbono esser da lui abbandonate, e sommamente abborrite, e che già se ne vanno in rovina. Ma questo è un grandissimo inganno, che prima d'ogni altra cosa convien toglier loro dalla mente. Ed ecco S. Giovanni Crisostomo, che spinto dalla sua carità si ha presa questa incombenza. No, dice il Santo, che il buon Signore non vi manda certamente le tentazioni per rovinarvi, ma all'opposto per maggiormente perfezionarvi, e per unirvi più strettamente a se: poiché questi sono i gran beni, ch'esse producono in chi sa maneggiarle. Sicché il vedervi così tentato è piuttosto indizio di una cura speciale, che Dio si ha preso di voi ; e però dovreste anzi da questo prender motivo di maggiormente confidare in lui. Odansi le sue parole: Ne existimemus esse signum, quod nos dereliquerit, vel despiciat Dominus, si tentationes nobis inferantur ; sed hoc maximum sit indicium, quod Deus nostri curam gerit: si quis enim omnia enumerare velit, plurima tentationum emolumenta reperiet. Né il Santo disse questo a caso, ma ben appoggiato su l'esperienza ; e però a maraviglia conferma esso stesso il suo detto col caso tanto strepitoso del Patriarca Giuseppe. Fu egli venduto da' suoi empj fratelli come un giumento, trasportato in lontani paesi come uno schiavo, accusato a torto come malfattore, tenuto lungamente in prigione come reo, senz'aver chi parlasse per lui, e conseguentemente senza speranza di più uscirne. Fra tanti travagli esterni non gli saranno già mancate, con tutta la sua innocenza, delle molte interne tentazioni, e d'impazienza, e di diffidenza, e d'abbattimento, ed altre. Poveretto se in tante strettezze ed in tante angustie egli avesse detto tra se: già veggo che Dio mi ha abbandonato. Sembra che in qualche modo sarebbe stato compatibile, e pure è certo, che avrebbe pensato male ; perché il Signore avea ben veduti tutt'i suoi patimenti ed ascoltato tutt'i suoi gemiti, senza però mai muoversi e consolarlo, non già perché avesse deposta affatto la cura di lui, ma piuttosto per una specialissima cura, che ne tenea, per la quale egli medesimo aveagli ordinato tutti que' gran travagli, affin d'innalzarlo per essi come per tanti gradini a sublime posto. Volle, che fosse venduto, acciocché con questo mezzo condotto venisse in Egitto, e quivi gettato in carcere, mostrasse la sapienza, che avea d'interpretare i sogni al coppiere del Faraone, che stava ivi carcerato ; e costui si dimenticasse per lo spazio di due anni di procurar la promessa di liberazione presso il Re, finattanto che venisse il tempo destinato per li dubbj sogni di Faraone, essendo questi l'ultimo gradino, che gli restava per salire al governo di tutto l'Egitto. E questo sentimento non è solamente del Crisostomo, ma di tutti i Padri, e Dottori della Chiesa, i quali non solo riconoscono concordemente questa speciale cura, che il Signore mostra verso le persone spirituali col permettere, che sien tentate ma con quel celeste lume, di cui erano supernalmente provvisti hanno di più penetrati i fini particolari, per cui si muove a permetterlo, che dicono esser appunto, per provarle, per umiliarle, per purificarla, per fortificarle, e per accrescere loro i meriti, e le corone.
2. Il primo fine, per cui Dio manda le tentazioni alle persone dabbene, come dice S. Girolamo, è il provarle. Tu dici, che ami Dio, e ti pare di farlo. Or bene. Egli ti vuol mettere alla pruova ; acciò si vegga se l'ami da vero, e di tutto cuore, o no.
In tempo di pace non si sa, se quella tua fedeltà sia virtù, o se procede dalla tua buona natura, o da gusto particolare, che provi in quell'esercizio, ovvero dal non esservi altra cosa, che ti tiri altrove, ma colui, che combattuto dalla tentazione, persevera nel bene, mostra chiaramente, che lo fa per virtù, e per l'amore che porta a Dio. Ecco una delle cagioni, per cui Dio ti ha mandata quella tentazione, per vedere, se sei uno de' suoi veri amici, e quando si possa egli fidare di te. E se gli mostrerai fedeltà, ti esalterà molto. Comprovano assai chiaramente questo gli esempj di Giobbe e di Tobia, modelli di pazienza e di santità. Glorificano ben essi il Signore colle loro sante operazioni ; e pure ciò non bastò a sollevarli a quell'eminente grado di perfezione, a cui la Divina Provvidenza gli avea eletti, ma fu necessario per questo, che la tribolazione li visitasse, e che divenissero poveri, afflitti, insultati, vilipesi, tentati, e desolati. E' vero che Giobbe meritò molto colle sue gran limosine ; ma piacque a Dio più, dice il Crisostomo, quel sicut Domino placuit ita factum est, sit nomen Domini benedictum, nel tempo della tribolazione, che tutte le opere di pietà, e le virtù da lui praticate nella prosperità. Gran meriti accumulò Tobia cogli atti di misericordia, ch'esercitò, e con tanti documenti, che diede di vita perfetta. Però non meritò tanto, quanto allorché in mezzo di tante angustie non mancò punto di fede a Dio, ma sempre benediceva il Signore.
3. Il secondo fine, dice S. Bernardo, è per far loro conoscere chi sieno, e quanto possano, e con ciò metterle in possesso della vera umiltà, virtù tanto necessaria, la quale non si acquista mai meglio, che per questa via.
Poiché quando non abbiamo tentazioni, ma ci veggiamo di continuo accarezzati, e favoriti dal Signore, e le cose nostre ci vanno sempre bene, e teniamo per qualche cosa, e ci pensiamo molto forti. Laddove venendo uno assalito da lunghe e gagliarde tentazioni, gli accade talvolta di vedersi in punto di cadere ; parendogli, che non vi manca più, che una costa di coltello per andar a traverso ; o con questo viene a toccar con mano la propria debolezza, e ne resta grandemente umiliato, conoscendo chiaramente la necessità, che ha dell'ajuto continuo di Dio, e però ricorre a lui con più sollecitudine, e si mantiene con più cautela, per non mettersi nelle occasioni, che lo possono precipitare. Si vede ciò ad evidenza nella persona di S. Paolo, il quale patì tentazioni tanto vive, e sì forti, che si vedea vicinissimo alla caduta: di modo che altro scampo per se non mirava, che la morte, e la chiedeva istantemente a Dio, per poter uscire di quel sì imminente pericolo d'offendere il suo amato Signore. Or qual fu la cagione, per cui il Signore lasciò cadere quel servo suo tanto a lui sì caro, e tanto da lui favorito, in tal profondo di miserie ' l'assegna l'istesso S. Apostolo: a fine, dice, di tenermi umile, e perché io non m'insuperbissi per la moltitudine de' suoi favori. Dicea pur bene S. Lorenzo Giustiniani, che la vera scienza e sapienza dell'Anima consiste in intendere, che Dio è ogni cosa, e noi un nulla. E quando noi ci riputeremo veramente un nulla, allora saremo da lui sollevati a grazie speciali, e conseguiremo in abbondanza le sue misericordie. Poiché sta scritto decisivamente: Che Iddio dà la sua grazia agli umili, e resiste a' superbi. Ed ecco il secondo bene, che la divina Bontà ci fa cavare dalle tentazioni.
4. Il terzo fine è, secondo il Gersone, per purgarle da molte imperfezioni e difetti. E lo rende chiaro con questa similitudine. In quella guisa, che il mare sbattuto dalle tempeste, caccia via da se le immondezze, che a poco a poco ha raccolte ; così l'Anima combattuta dalle tentazioni, scaccia da se le imperfezioni, che in se radunò nel tempo della tranquillità. Ed a questo fine Iddio permette, che sieno tentate le Anime de' giusti ; perché con tal mezzo vengono a raffinarsi, e purificarsi, e così comparir più vaghe e più aggradevoli agli occhi suoi.
Né dee parer cosa strana, che ciò talvolta si faccia per mezzo di certe tentazioni bruttissime e molto schifose, le quali sembrano più atte ad imbrattare l'Anima ; e farla divenir esosa e stomachevole, che a ripulirla, e renderla graziosa e più amabile nel divino cospetto. Poiché diceva uno di quei Padri antichi, anche la liscia forte par che non sia buona, ad altro, che ad imbrattare e lordar le cose, che tocca ; e pur veggiamo, che posta su i pannilini, allorché son più succidi ed indecenti, ha una virtù particolare per pulirli, e renderli bianchi come la neve. Non fa qui bisogno d'addurre esempj ; poiché ben si vede, e tutto giorno si tocca con mano, che i buoni dopo d'aver sofferte molte e gravi tentazioni, compariscono più modesti, più umili, più circospetti, più staccati dalle cose del Mondo e da se stessi, ed assai più attaccati a Dio, ed alle cose di Dio: perché conoscendo per esperienza la bontà del Signore in non abbandonarli, e le buone accoglienze da lui ricevute nel tempo della loro necessità, lo riconoscono per Padre veramente amoroso, e per difensore loro ; e non san finire di dargli immense lodi, ed eterni ringraziamenti.
5. Il quarto fine, è per fortificarle nella virtù, siccome attesta il S. Ab. Nilo, comprovandolo anch'esso con una similitudine. Perocché dice, siccome i venti rendono più forti le piante, le quali cogli sforzi, che fanno per resistere a quegl'insoliti sbattimenti, vengono a gettar in terra più profonde le radici ; così l'Anima, che nel tempo della tentazione, per non cadere, si dà ad abborrire il vizio, a replicare i buoni propositi, a mortificar la carne, a ricorrere a Dio con ferventissime preghiere ; con tanti, e sì veementi atti, non mai da lei praticati in tempo di tranquillità, viene a stabilirsi maggiormente nella virtù.
L'Apostolo S. Paolo dice di se stesso, che quando si vide tanto debilitato da quelle sue fortissime tentazioni, che al parer suo l'avean ridotto tanto vicino alla caduta, pregò con grande istanza il Signore a volernelo liberare, e che il Signore negò di farlo, dicendogli: sappi, che questa infermità ti perfeziona maggiormente, perché, come spiegano gl'interpreti quelle parole, aggiungendo io alle tue forze il mio ajuto, elleno diventano maggiori, ed atte a superare tutt'i tentativi del nemico. Racconta S. Gregorio di S. Benedetto, che per avergli resistito virilmente una notte ad una gagliardissima tentazione di senso, con rivolgersi ignudo tra le spine, il Signore lo perfezionò talmente nella virtù della purità, che da lì avanti non sentì mai più tentazioni di quella specie. L'istesso si racconta esser accaduto a S. Francesco, e a S. Bernardo, il primo de' quali per una simile tentazione si gittò in mezzo alla neve, ed il secondo in uno stagno gelato.
6. Il quinto fine, che come asserisce S. Gregorio, è per accrescer loro i meriti, e le corone, si può dire come una conseguenza del quarto. Perocché siccome le diligenze e gli sforzi, che la persona usa per superar la tentazione, servono a maggiormente fortificarla e stabilirla nella virtù: così con questi stessi mezzi vien ella ad accrescersi i meriti, ed a fabbricarsi altrettante corone: essendoché ognun di quegli atti provenendo per un grado di grazia, a questi dovran corrispondere altrettanti gradi di gloria. Ed un giorno il vedremo non senza nostro stupore quanto ci avrà fruttato ogni piccola tentazione.
Si legge di un Monaco Cistercense, che assalito una notte da una fortissima tentazione di senso, pareagli di non poter ad essa resistere, e già si dava per vinto, ma pure ricordandosi del voto, che avea fatto di castità, si fece forza e resisté per tre volte. Or il Signore, per fargli conoscere quanto avesse gradita quella fedeltà, in quella stessa notte rapj in ispirito un Converso di quel Monastero, e gli dié a vedere un Angelo, che per ordine suo portava al suddetto Monaco tre preziosissime corone, per le tre vittorie da lui riportate contra il nemico, alla narrazione della qual visione il Monaco vittorioso, molto si consolò, e si animò grandemente per combattere in avvenire con più coraggio.
7. Sapendo adunque le persone spirituali queste verità, appoggiate al testimonio della Santa Scrittura, confermate dall'autorità de' Padri, ed autenticate dalla medesima esperienza, e però non potendone punto dubitare ; cioè che le tentazioni per una parte possono loro apportare tanti, e sì grandi beni ; e per l'altra, che in tempo di esse han sempre seco il Signore in ajuto, conforme egli steso ha promesso, sebbene non sempre il conoscono sensibilmente, però qualora vogliamo fare quanto è dal canto loro, son sicure di non dover cadere: perché dunque esclama S. Ambrogio, perché tanto rattristarsi, ed affliggersi, allorché vengono da quelle molestate e combattute ? Non è questo un mostrarsi più amanti delle loro consolazioni, che del proprio avanzamento ? e che si fidano del sentimento proprio, piucché delle promesse di Dio ? Se vogliamo operar da veri soldati del Signore, dice l'Apostolo S. Giacomo, non abbiamo da rattristarci nelle tentazioni, ma anzi da gloriarci in esse, e da rallegrarci perché in tal tempo ci si vanno fabbricando le corone. I Santi così faceano.
Quando S. Paolo udì dirsi da Cristo, che le tentazioni servivano a più fortificare e perfezionare l'Anima sua: se così è, sogiunse, io dunque mi glorierò d'esser così travagliato, e mi compiacerò nelle stesse mie tentazioni. Ed il Santo Re Davide ricevea tutt'i travagli interni, che Dio gl'inviava come tesori di Paradiso con tal riconoscimento, che ad ogni tratto inventava nuove formule per ringraziarnelo ; Laetati sumus pro diebus, quibus non humiliasti annis quibus vidimus mala. Bonum mihi, quia humiliasti me, ut discam justificationes tuas. Racconta S. Girolamo, che il S. Abate Giovanni supplicato da un Monaco con grande istanza a pregare il Signore, che lo liberasse da una sua grande infermità: o fratel mio, rispose il Santo, e tu vuoi gettar via una cosa, che ti è di sì grande umiltà ? D'un discepolo di uno di que' Padri antichi riferisce S. Doroteo, ch'essendo molto molestato da tentazioni sensuali, resistea virilmente con lunghe orazioni e con austerissime mortificazioni corporali: e che il suo maestro mossone a compassione se gli offerse di pregare il Signore, che lo liberasse da quel sì aspro combattimento. Al che rispose il discepolo: Padre mio, io ben veggo, ch'è grande il travaglio, ch'io patisco ; ma conosco ancora, che a cagione di questa tentazione fo più profitto: perché io più ricorro a Dio coll'orazione, e colla mortificazione, e penitenze: e però quel che vi prego si è, che m'impetriate da Dio pazienza per sopportar questo travaglio, e per uscirne vincitore, e senza macchia alcuna. Riferisce ancora d'un altro santo Monaco, che avendogli Dio levata una tentazione, che avea, s'attristò grandemente, e piangendo, diceva amorevolmente a Dio: Signore, dunque non son degno di patire, e di essere afflitto e tribolato qualche poco per amor vostro ? Anche S. Gio Climaco narra di S. Efrem, che dopo aver sofferte molte gravi tentazioni, vedendosi in altissimo grado di pace e tranquillità pregava Dio, che gli restituisse le sue antiche battaglie, per non perder l'occasione e la materia di meritare, e di lavorarsi la sua corona.
8. Ma dirà alcuno: anche io goderei di quelle tentazioni per farmi del merito appresso Dio, se fossi sicuro di non offenderlo: ma questo timore è quello, che mi fa chiuder gli occhi ad ogni mio vantaggio. E credi tu, che questa scusa sia per giovarti nel Tribunale di Dio ?
Quando dli Apostoli si trovarono in quella gran tempesta, che minacciava di sommergerli ; il Signore, ch'era insieme con loro stava dormendo, e però corsero pieni di spavento a svegliarlo ; ed egli senza punto commuoversi, rispose loro: di che temete, uomini di poca fede ? quasi volesse dire: come potete voi temere, sapendo che avete la virtù di Dio in vostra compagnia, e tutta in vostro potere ? Ecco donde viene tutto il male dal non fidarsi dell'assistenza di Dio. Nemmen S. Paolo avea sicurezza di non dover cadere in quelle sì gravi tentazioni, che pativa: ma nel sentire, che allora più che mai era da Dio assistito, prese tanto coraggio, che sebben la sentiva, non più le temea. E tanto parli per togliere, o almeno diminuire in parte alle persone dabbene quel grand'orrore, che loro apportano le tentazioni ; sicché quando vogliano regolarsi colla ragione, e co' dettami della Fede, quantunque gravissime, non debbono temerle. Ora si assegnano qui alcuni buoni rimedj affinché possano soffrirle non solo senza nocumento, ma con loro notabil vantaggio, ch'è il fine generale, per cui loro vengono dal Signore mandate. Per tale effetto dunque quattro cose han da fare le persone spirituali, quando son assalite dalle tentazioni
Non turbarsi, né affliggersi, ma procurar di mantenere l'animo in pace, senza prendersene gran fastidio.
Non mettersi a discorrere colla tentazione, ma volger subito il pensiero ad altre cose.
Scoprir la tentazione, se bisogna al P. Spirituale.
Ricorrere a Dio con gran fiducia, ed umiltà.
9. La prima cosa adunque, che si ha da fare in tempo della tentazione, è di non turbarsi, né affliggersi, ma procurar di mantenere l'animo in pace.
E' questo un mezzo, che insegnava ai suoi discepoli S. Antonio, uomo tanto esercitato in questo genere di battaglie. Perché diceva il Santo Abate, quando il Demonio vede, che uno nella tentazione si mostra animoso, ed allegro, se n'attrista fortemente, e quasi perde la speranza di vincerlo: ma se la persona si mette in timore, allora si fa più ardito, e l'investe con più vigore ; e molto anche più seguiterà poi a molestarlo, se vede, che dal semplice timore passi ad affliggersi e sgomentarsi, perché in quel caso quando non gli riesca di farlo cadere, si gode almeno quel piacere di tener afflitti e travagliati i servi di Dio. Oltre di che con quell'istesso timore e perturbamento viene uno ad accrescersi il pericolo da se medesimo ; poiché la paura, fa, che la tentazione maggiormente si imprima nella fantasia, e così si rende più gagliarda e più lunga. La sperienza fa vedere, che quando uno assalito da suo nemico, si fa coraggio, combatte con vigore e generosità: ma se si mette in timore ed in pena, par che vengano a mancargli le forze ; e quasi si tien per vinto ; ond'è uscito il proverbio: Soldato abbattuto, mezzo perduto. Si narra nelle storie Ecclesiastiche, che una delle cose, in cui i Ss. Martiri facevano arrabbiare i tiranni, e con cui gli tormentavano più di quello che venivano da essi corporalmente tormentati, era l'animo e la fortezza, che mostravano ne' tormenti. Così abbiam da far noi co' Demonj nelle tentazioni, per farli arrabbiare e confondere. L'istesso S. Antonio che dava il consiglio, ne diede ancora l'esempio. Quando gli apparivano i Demonj in diverse forme spaventevoli di leoni, tigri, tori e serpenti, circondandolo e minacciandolo colle loro unghie, denti, ruggiti e fischi formidabili, che parea che lo volessero divorare, il Santo si burlava di essi, e dicea loro: se aveste qualche forza, uno solo di voi altri basterebbe per combattere contra un uomo ; ma perché siete deboli, vi radunate insieme molta canaglia per farmi con ciò paura, ma per questo appunto io non vi temo niente.
10. La seconda cosa da farsi nell'atto della tentazione, è di non mettersi a discorrere, ed a cozzar con essa, come alcuni fanno massime nelle tentazioni più gravi e pericolose ; come quelle che sono contro la purità, o contra la Fede, nelle quali sogliono fare gran forza, ed insistono molto in voler scacciar via il pensiero, e fargli resistenza: stringendo perciò le tempia, increspando il capo, come chi dice, quà non ci hai da entrare: ed alle volte, se non restan persuasi in contrario, non rispondono, non voglio, par loro di acconsentire.
Or sebbene da ciò si vede, che hanno questi tali una volontà di non cedere alla tentazione ; e però maggiore il nocumento, che con questo fanno a se stessi che quello, che loro fa la medesima tentazione. Sa bene il Demonio, che le persone dabbene son molto lontane dal consentire al male, e però quel che da queste pretende nel tentarle è piuttosto d'indurle a prender le armi, ed a venir con lui alla zuffa, persuadendosi che se la cosa andrà per via di discorso, egli co' suoi cavilli potrà imbrogliarle malamente, e se per via di sforzi, o le stancherà, e loro guasterà la complessione, ed il cervello, come suole spesso accadere: e così esso ne caverà sempre il suo guadagno. No, non è negozio questo da farsi a forza di contrasti. Il vero modo di portarsi in questi casi l'insegna S. Gio. Crisostomo ; ed è di disprezzar la tentazione, e non farne conto, rivolgendosi a pensare, o a fare qualch'altra cosa, o vero immergendosi più con l'affetto in quella, che allora si stà facendo. Ed apporta a questo proposito una similitudine, che spiega la cosa molto chiaramente. Vedi, dice, come fa un cane, quando comincia ad abbajare alcuno ? se questi lo guarda, e gli mostra il pane, lo seguita, e gli fa tante carezze, che finalmente l'obbliga a dargli qualche cosa. se lo sgrida, e gli tira de' sassi, molto più l'investe, e tanto lo perseguita, che gli mette paura, e lo stanca. Ma se vede che quegli passa senza guardarlo, e come se non lo sentisse ; facilmente s'accheta, e lo lascia andar per li fatti suoi. Or questo medesimo, dice il Santo, fa tu colla tentazione: non ti fermare a rimirarla con affetto, non ti metter a combatterla con isdegno e con forza ; ma datti a pensare, o a fare altra cosa quietamente, come se non l'avessi, o non la sentissi: che così ti lascerà più presto. E' questo un mezzo molto lodato ed approvato dai Maestri della vita spirituale: perché dicono, in questa maniera il Demonio resta sommamente confuso ; recandosi egli a scorno che la persona non si prenda alcun fastidio di tante sue importunità, e ne faccia sì poco conto, che nemmen gli dia udienza. E perciò tutti esortano ed inculcano quest'istessa cosa, di non far conto de' pensieri per pessimi che sieno: anzi che quanto peggiori sono, tanto minor conto bisogna farne, per esser questi men pericolosi. Possono darsi pensieri peggiori, che contra Dio ed i Santi, e contra la Fede e la Religione ? Or questi sono i men pericolosi, perché quanto sono peggiori, tanto più per la grazia del Signore ti dispiacciono e sono più lontani dalla tua volontà e dal tuo consentimento, conforme tu stesso per esperienza l'avrai provato: e conseguentemente non son peccati ; perché non li fai, ma li patisci contra la tua volontà: e però non occorre prendersene fastidio alcuno ; e questo è meglio che possa farsi ; disprezzarli, e non farne conto. Racconta S. Smeraldo Abate una cosa alquanto faceta, ma tutta al proposito. Dice, che un S. Religioso vide una volta due Demonj, che stavano ragionando fra di loro in questa forma. Domandava uno: come te la passi tu col tuo Monaco ? molto bene, rispose l'altro ; perché gli propongo il cattivo pensiero, ed egli si ferma a rimirarlo ; dopo torna a far riflessione, come andò quel pensiero, se vi si trattenne, se vi ebbe qualche colpa, se gli fece resistenza, se v'aconnsentì, d'onde gli venne, se vi diede occasione, se fece tutto quel che poteva e con questo gli fo girare il cervello, e lo fo quasi impazzire ; e ciò dicendo se ne facea le sue belle risate. Oh, non succede così a me, ripigliò il primo: ho trovato un monaco furbo più di me ; il quale, appena gli propongo quel cattivo pensiero, che subitamente rivolge la mente in una, o più cose disparate, o vero si leva da sedere e dà di mano a qualche occupazione, e si fissa, e s'interna in queste cose con tal'applicazione e gusto, che per quanto io tenti, e ritenti per tirarlo all'intento mio, non c'è modo di ridurlo: con che mi ha straccato di tal maniera, che per non perder più tempo, mi bisogna lasciarlo.
11. Un'avvertenza fa qui S. Girolamo, ch'è molto necessaria e molto utile. Acciocché il mezzo poc'anzi additato, dice il S. Dottore, abbia tutto il suo buon effetto, convien adoprarlo subito, quando il nemico è ancor piccolo ; perché allora è debole, ed è facile il resistergli. Ma se gli dai tempo di crescere, e di fermarsi un poco, riesce poi difficile il discacciarlo.
La tentazione è simile ad una scintilla di fuoco, la quale, per piccola che sia, un tantino che si fermi sul panno, fa subito presa, e cresce ed abbrucia. E però bisogna scacciar subito il pensiero, o il movimento cattivo con quella stessa diligenza, con cui scacceresti una favilla, che ti cadesse sul vestito, cioè appena che comparisce, volgerti subito a pensar ad un'altra cosa, senza punto fermarti a rimirarlo. Si narra nelle vite de' PP. che il Demonio apparve una volta a S. Pacomio in figura d'una donna molto avvenente ; ed avendole egli sgridato perché usasse tant'inganni per far male agli uomini: il male se lo fanno essi da se con la loro pigrizia, rispose il Demonio. Vi sono alcuni, i quali quando mettiamo loro in capo dei cattivi pensieri, subitamente li rigettano ; ed allora noi, come se ci avessero chiusa la porta in faccia, ci dileguiamo subito come fumo, svergognati e confusi. Ma la maggior parte di loro non fa così ; si trattengono alquanto a rimirarli e rivolgerli nella loro mente: e noi ci serviamo dell'occasione per lavorar le nostre insidie, di modo che difficilmente si possono più liberare dalle nostre mani: perché quando ci han lasciato prendere un cantoncino nella mente loro, ce ne rendiamo facilmente padroni: ed ancorché vogliano non ci possono più scacciare.
12. La terza cosa da farsi, quando non bastino le altre due, è di scoprir la sua tentazione al P. Spirituale.
E' questo un avviso molto raccomandato da' Maestri di spirito, ed era come un primo principio di quegli antichi PP. ch'essi praticavano esattamente non solo nella Confessione, ma anche fuori di essa, e massimamente nell'atto che pativano violente tentazioni, e non le poteano discacciare. Né fa maraviglia, poiché questo è un rimedio di tanta efficacia, che col solo manifestar la persona la sua tentazione al Direttore, senz'anche riceverne rimedio o risposta alcuna ; anzi, come s'è più volte sperimentato, con solo risolversi d'andargliene a manifestare, se n'è veduta subito libera. Riferisce S. Doroteo di S. Macario, che incontratosi un dì col Demonio, gli dimandò come la passava co' suoi Monaci, acui egli rispose, che molto male ; perchè tutti lo scoprivano al P. Spirituale, fuori di uno, che era suo grande amico ; e però ne facea quel che voleva, e lo nominò. Inteso questo il Santo, si portò da quel monaco, e trovata la verità l'avvisò, che se voleva liberarsi dalle cadute, scoprisse le sue tentazioni al P. Spirituale ; il che colui eseguì fedelmente. Dopo qualche tempo incontrando Macario un'altra volta il nemico, gli dimandò se quel tal monaco continuava ad esser suo amico come prima: no, rispose con rabbia il Demonio, ora è divenuto mio nemico, e non più mi ascolta.
13. La quarta cosa che nelle tentazioni s'ha da fare, ch'è molto importante, e perciò nell'esecuzione non dee esser l'ultima, è di ricorrere a Dio con molta fiducia ed umiltà.
Il che però non dee mai farsi per movimento di timore, ma in modo che anzi accresca l'animo ed il coraggio ; ora gettandoci nelle sue braccia, secondo l'insegnamento del S. Ab. Giovanni, e facendo come uno, che sta a sedere sotto un grand'albero, e veggendo venire contra di se molte fiere, alle quali gli pare di non poter resistere, se ne sale sopra dell'albero, e si mette in sicuro ora riflettendo, che allora, come ci assicura la Santa Scrittura, il Signore ci sta accanto tutto intento a prestarci il suo ajuto ; ora considerando, dice S. Agostino, che in quel tempo egli sta guardando, ed osservando come combattiamo: il che ci dee molto animar a combattere virilmente. Quando un soldato sta in battaglia combattendo contra i nemici, e s'accorge che il Re, o il suo Generale lo sta guardando, e compiacesi del coraggio, con cui combatte ; piglia da ciò animo e vigore, e fa prodezze incredibili. In questo modo portavasi lo stesso S. Agostino nel tempo delle sue tentazioni, alle volte umiliandosi innanzi a Dio, dicendogli: Signore, io sono un pulcino tenero e debole, se tu non mi proteggi, sotto l'ombra delle tue ali, il nibbio mi rapirà: altre volte immaginandosi, che il Signore lo stesse mirando attentamente cogli occhi, e con una mano in atto di soccorrerlo, tenendo nell'altra una vaghissima corona, per rimunerarlo della vittoria, che riporterebbe, e con ciò molto si animava. Tutti e tre questi mezzi praticò S. Vinc. de Paoli in una tentazione fortissima, ch'ebbe contra la fede, che gli durò tre anni continui. Prima di tutto, prevedendo che la sua tentazione doveva essere di lunga durata, si mise sul seno dalla parte del cuore la professione della Fede in una carta da se sottoscritta, pregando Dio a degnarsi, che ogni qualvolta si ponesse la mano al petto s'intendesse con quell'atto rinnovata la protesta della Fede, e la rinunzia che in general faceva a tutte le tentazioni contra di essa. Poi negli assalti che pativa, senza punto affliggersi, e senza venir a discorso coll'inimico, né dando orecchio alle sue suggestioni, alzava dolcemente il cuore a Dio ; e divertiva con tranquillità la mente in altre cose, toccandosi talora soavemente il petto. Si mettea poi frattanto a fare quello che dovea, regolandosi secondo i detti e fatti del Signore. In particolare, in segno della ferma Fede, che prestava alle parole di Cristo, il quale si protesta di riputar per fatto alla sua medesima persona quel bene, che si fa al minimo de' suoi ; si diede con affetto speciale al servizio de' poveri ; e finalmente avendo rinnovata un giorno con maggior fervore questa risoluzione di consegrar la vita sua al servizio de' poveri, restò affatto libero dalla tentazione. Ma frattanto in tutto il tempo ch'ella durò, sebbene vi patì molto, così ordinando il Signore per suoi giustissimi fini: non però s'inquietò, nè si turbò egli mai, e non ebbe mai a confessarsi d'alcun peccato in questa materia.
14. Né si dee temere, dicono i Santi, che il Signore in tali occorrenze abbia a negarci il suo ajuto, perché egli si è protestato di trovarsi con noi, e di volerci soccorrere nel tempo della necessità e della tribolazione: e non può venir meno di sua parola.
Che se alle volte, dice il medesimo S. Agostino, ci differisce il liberarci dalla tentazione, questo lo fa, affinché meglio sperimentiamo la nostra debolezza ed impariamo a diffidar di noi medesimi, e venghiamo praticamente a conoscere, che la vittoria è dono del Signore, e così stimiamo maggiormente i suoi doni, e non attribuiamo a noi quello ch'è di Dio. Perocché se ottenessimo con facilità la vittoria, non la stimeremmo tanto, o ci crederemmo d'averla conseguita con le forze e diligenze nostre, e d'averla come nella manica, per potercene sevire sempre che vogliamo. Fa il Signore colle Anime buone, come fa una Madre amorosa col suo fanciullo, quando lo vuol imparar a camminar, la quale lascia tal volta di tenerlo colle proprie mani, standogli però accanto, e mirandolo attentamente ; e quando vede, che sta per cadere, è subito pronta a trattenerlo, perché non cada, E di questo ne hanno ben esse la sperienza: mentre tante volte che si son vedute nel prossimo pericolo cadere nel tempo della tentazione, non pero son cadute, come già lo sarebbero, se Iddio non le avesse tenute. Il miglior mezzo per ottenere la vera luce è. disse il Signore a S. Teresa, che l'Anima conosca nulla poter essa da se, o che quanto ha, o opera ottenere di bene, tutto è suo dono. E se ella si trova in luce, intenderà, che per un tantino, ch'egli si ritira, vien subito la notte. Questa è la vera umiltà, conoscere quel che può l'Anima da se, e quello che può Iddio. Conferma bene questo il caso di S. Pietro, quando si pose a camminar sul mare, e la tempesta insorta stava per affondarlo e già si sarebbe affondato, se il Signore da lui invocato non vi avesse posta la mano. A questa considerazione di aver sempre in sua compagnia ed in suo ajuto il Signore nelle tribolazioni, il S. Re Davide prendea gran coraggio, e dicea: mentre ho Dio alla mia destra, non mi commuoverò per niente ; ed il Profeta Geremia: mentre ho il Signore meco in ajuto, mi perseguitino pure i nemici quanto vogliono, che resteranno vinti senz'altro ; e l'Apostolo S. Paolo sfidava a battaglia le stesse avversità, e dicea: se ho Dio in mio favore, di che cosa ho da temere ? e chi mi dovrà mai separare dall'amore di lui ?
15. Chi il crederebbe ? Si trovano alcuni, per altro di buona capacità ; ma tanto pusillanimi, che con tutte le promesse fatte dal medesimo Dio d'assisterli ed ajutarli nel tempo delle tentazioni, e con tutto l'esempio di tanti, che di ciò animati punto non le temevano: essi però nell'atto che vengono da quelle molestati, s'avviliscono, s'abbattono, si perdon d'animo, e quasi si tengono per perduti, non potendosi persuadere, che Dio abbia a trattenersi con Anime sì detestabili, e che stanno immerse in cose sì abbominevoli: onde già si credono, che gli abborrisca, gli abbomini, e non li possa più vedere ; e che perciò già si sia ritirato affatto da loro, ch'essi non sien più degni d'accostarsi a lui, che la sola Confessione li possa rimettere in grazia di lui ; la quale a tal effetto fanno e rifanno, dicendo sempre le medesime cose, senza mai trovare la quiete, che cercano. Diamo qui luogo alla compassione, e veggiamo se tanto Dio, quanto i Santi egualmente convengono nel sentimento loro.
Voi dunque credete, che il Signore nel veder un'Anima tutta immersa in bruttissime tentazioni, debba da lei allontanarsi ? Riferisce S. Attanasio di S. Antonio, che una notte dopo essere stato lungamente tormentato, e fortemente tentato, da' Demonj, gli apparve Gesù Cristo in mezzo ad una gran luce, al quale egli disse, mandando dal petto un dolce sospiro: Dove stavi tu mio buon Gesù, quando io era sì maltrattato da' nemici ? e che il Signore rispose: Antonio, io sin dal principio del combattimento sono stato sempre qui presente osservando come ti portavi: e perché hai combattuto virilmente, sempre più ti ajuterò, e ti renderò famoso per tutto il Mondo. Si legge nella vita di S. Caterina da Siena che venne un giorno soprammodo travagliata di bruttissimi pensieri e movimenti di senso sì violenti, e sì vivi, che, com'ella stessa racconta, teneva inceppata in quelli la fantasia l'intelletto, i sensi, il cuore, e tutto il corpo stava come abbruciando in quell'incendio d'inferno. Vero è che restavate di fuori la sola e nuda volontà, ma sommamente estenuata e quasi spirante, a guisa d'una piccola bambina, che sta sopra una pietra morendo di freddo, e come manadando gli ultimi aneliti. In questo misero stato durò ella lungo tempo. Alla fine però òe apparve il Signore, alla cui vista incontanente disparve ogni nebbia ; ed allora ella si lamentò con lui dolcemente ; dicendogli: Ah! Signore ov'eri tu nel tempo delle mie angustie ? ed il Signore le rispose: Io allora stava in mezzo al tuo cuore. Gesù mio, ripigliò ella, come potevi tu stare tra tante abbominevoli sozzure ? Dimmi, figlia, gustavi tu forse d'aver que' pensieri e movimenti brutti ? O Signore, non so che mi arrivava all'Anima ; e non so che cosa m'avrei eletta piuttosto che averli ! Or chi, soggiunse il Signore, avrebbe fatto, che tanto ti dispiacessero, se io non fossi stato teco ? ed allora sì, che la Santa tutta si consolò. Che dite, Anime tentate, a questi fatti ? Lo vedete, se Dio si ritira da chi si trova immerso nelle tentazioni anche più gravi ? Le tentazioni di questi erano certamente assai più gravi delle vostre. Voi vi tenete per totalmente indegni d'accostarvi a Dio. Si narra di S. Caterina di Bologna, che avendo ella una volta perduta ogni consolazione, e trovandosi di più combattuta da gravissime tentazioni di bestemmia, di sensualità e d'infedeltà, specialmente intorno alla presenza di Dio nel Sacramento, non avea animo d'accostarsi alla santa Comunione ; quando apparsole il Signore, le disse: Sappi, che se un'Anima oppressa da tentazioni si comunica, sopportando pazientemente le tempeste dello spirito io allora mi comunico a quella più volentieri, che se fosse ripiena di soavità e d'amore ; e subito si quietò. Ed a quest'altro fatto, che dite ? Sarete ancor fermo nel vostro primo sentimento ? Voi giudicate, non esservi al vostro male altro rimedio, che la Confessione. Si racconta della B. M. di Chantal, ch'essendo vivuta per molto tempo aggravata da tali e tante orrende tentazioni che le paragonava al martirio ; pure dimandata come si portasse in quel tempo nelle sue Confessioni, rispose: che non avendo mai avuta chiara cognizione di aver acconsentito alle tentazioni, o mancato di sofferenze nelle sue pene interne, non se ne confessava mai: essendo che l'effetto, che in lei producevano le tentazioni e le pene, altro non era, che il solo patire. Quindi il modo, che tenea nel governarsi in esse, era di mirar sempre Dio, e lasciarlo fare, senza punto rimirar se stessa, nè esaminar curiosamente quello che in lei passava, e poi osservar esattamente le istruzioni avute dal suo Direttore. Vedete, se questa grand'Anima giudicava, che le Confessioni fossero l'unico rimedio a' suoi gran mali. E notate qui tre cose: 1. Che le bastava per non confessarsene, il non conoscere chiaramente d'aver acconsentito alla tentazione. E pure dovea ben rimanerne sovente in dubbio: perché se fosse stata di ciò sicura ; non le sarebbe restato il patire, com'ella medesima attesta, che le restava. 2. Che non s'applicava a mirar se stessa: né ad esaminar quanto in lei passava, ma rivolgea lo sguardo in Dio, rimirandolo come Padre ; e quasi dicendogli: voi siete l'assoluto padrone di quest'Anima, volete che patisca, si faccia in essa la vostra volontà. 3. Che osservava esattamente le regole datale dal suo Direttore ; ed in questo mettea la sua sicurezza. Qui dunque sta tutto il vostro male. Voi vorreste un lume chiaro che vi facesse conoscere con certezza di non aver acconsentito alla tentazione, e questo nel caso vostro non è possibile. Mirate unicamente a voi, ed al modo, con cui vi portate ; e questo ad altro non serve, che a maggiormente confondervi ed avvilirvi. Vi regolate più da quello che sentite nel vostro interno, che da quello che vi dice il vostro P. Spirituale, e questa non può esser mai buona regola, perché proprio di questo stato è sentire il male, e non sentire il bene. Sicché il volere in questi casi creder piuttosto alla vostra fantasia, che al Sacerdote di Dio ; datovi da lui per nunzio del suo volere, è un voler vivere volontariamente ingannato ed inquieto. Questa soggezione vuole il Signore da voi. Ecco il modo, che avete a tenere nelle vostre tentazioni. Tenete ferma e risoluta la volontà di non acconsentire al male ; che questa è quella, che guarda il Signore: e poi fate come facea quella santa Anima ; che così vi renderete il travaglio e men gravoso, e tutto meritorio (a).
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(a) - Uomo, chiunque sei, non ti fidar giammai di te stesso, nè di altro uomo ; ma fida soltanto in Dio, poiché egli è onnipotente verace, e fedele nelle sue promesse, e perciò non lascerà di raffermarti nelle tue opere buone, e ti custodirà dallo spirito maligno. L'Edit.
II. Confidenza nelle Aridità, e Desolazioni.
16. Le Aridità di spirito, e le Desolazioni, che con tanta loro pena sogliono patire le persone spirituali ( alle quali è unicamente diretta questa istruzione ) si distinguono dalle tentazioni in questo, che le tentazioni stimolano l'uomo a far del male, e le aridità almeno in apparenza lo ritirano dal far del bene.
Il vero però si è, che queste pure egualmente, che quelle, provengono da una cura particolare, che il Signore si prende delle Anime a lui più care, e dal desiderio, che ha di unirle strettamente a se. Imperocché non potendosi per una parte fare questa stretta unione dell'Anima con Dio, se essa Anima non istacca il suo affetto da ogni cosa creata, per metterlo tutto in lui ; e dall'altra parte non potendo l'Anima far da se questo totale staccamento, per la continua resistenza, che le fa l'amor proprio, tutto attento a cercare in ogni cosa la propria soddisfazione: da ciò ne avviene, che Dio ( conforme se ne dichiarò col B. Enrico Susone ) con una provvidenza mirabile, lo va egli stesso facendo a poco a poco, principiando dalle cose piccole, e di grado in grado ascendendo alle più sublimi, coll'ordine seguente, che ci vien acconciamente descritto nel suo Compendio della Perfezione dal P. Achille Gagliardi, gran maestro di spirito molto stimato da S. Carlo.
17. Comincia, dic'egli, il Signore dalle cose temporali ; come sono la sanità, la vita, gli onori, i comodi, i parenti, gli amici, e tutti gli altri beni della vita.
Poiché vedendo esso, che l'uomo s'affeziona a queste cose talmente, che viene a scordarsi di lui, di giorno in giorno va aspergendole di amarezze, per via d'infermità, di povertà, di avversità, di molestie, di discordie, di torti, di morti, e di tante altre motazioni, che ad ogni ora proviamo, di modo che non trovando più l'anima in queste cose, se non afflizioni e disturbi, di mano in mano ne va perdendo la stima e l'affetto sin a giungere ad abborrirle. Quindi aprendo gli occhi della mente, viene a conoscere che solamente in Dio si può trovar la vera contentezza. E però a lui rivolgesi, e si mette nella pratica delle cose spirituali, che sono il mezzo proprio, per arrivare alla divina unione.
18. Fatto che si è questo primo passo nella vita spirituale, il Signore per affezionar la persona agli esercizj di divozione, da principio mette in essi de' gusti di gran lunga migliori di que' che si trovano nelle cose temporali ; come tenerezze, lagrime, e consolazioni di spirito, che ridondano nella parte sensi tiva del cuore, cagionano godimenti sensitivi, da' quali tirata l'Anima non solamente s'affeziona alle cose spirituali, ma vi si attacca di tal maniera, che non vorrebbe far altro che quelle, provando gran facilità e prontezza in vincersi, ed in are tutte le sue azioni, e parendole di farsi per questo mezzo de' meriti appresso Dio.
Ma s'inganna, mentre in questo anzi si diminuisce il merito, e s'impedisce da per se stessa il proprio profitto. Perocché quella facilità e prontezza, che prova nel vincersi, e nell'operare, non nascono dal puro amore di Dio e della virtù, com'è necessario per meritare ; ma provengono in gran parte dall'amor proprio, che con grande avidità si pasce di que' gusti o tenerezze. Il che apparisce chiaro da quel che siegue. Poiché vedendo Dio, che l'Anima si lascia rubare dall'amor proprio il frutto delle sue operazioni, a poco a poco va togliendo da quelle ogni gesto sensibile, onde esso amor proprio si pascea. Quindi è, che quegli stessi esercizj di pietà non più sembrano facili e soavi come prima, ma amari e difficili, di modo che la persona non li può più praticare senza farsi gran forza, e però li fa mal volentieri ; e spesso ancora li lascia. Segno evidentissimo che tutta quella facilità e fervore, con cui prima li facea, non provenivano dal desiderio di dar con quello gusto a Dio, ma dal piacere, che in quelli provava.
19. Dopo i gusti già detti da Dio all'Anima de' lumi e buoni sentimenti, che sono senza paragone cose molte più alte, e subito producono in essa ottimo effetto, spingendolo ad unirsi a lui per via delle sole virtù.
Però se l'uomo qui si lascia trasportar dal suo naturale, suole abbracciar tali lumi con molta sua soddisfazione, ch'è un'occulta compiacenza di se in quelli: ond'è, che si pone a discorrere a lungo intorno ad essi adoperandovi le forze dell'intelletto e della volontà ; perchè gli par, che con ciò crescano molto, e si dilatino nel suo interno. Il che però non è vero poiché quell'aumento non è de' lumi divini, ma una pura riflessione dell'Anima, che per amor proprio: e per la compiacenza, che vi prova, li va nudrendo e dilatando quanto più può, e però gli pare d'aver gran lume ; e quindi gli nasce una certa persuasione di esser uomo di Dio, d'aver fatto profitto, e di esser passato molto avanti nelle virtù, ed insieme un certo disprezzo degli altri, che vede senza divozione, giudicandoli per persone vili, e tenendosi da più e migliore di loro. Ed ecco che la superbia viene ad alzar la testa dentro il suo cuore: onde ben spesso nascono gravissime illusioni, ed inganni. Per questo il Signore, affinché l'uomo ammaestrato de' proprj casi, si avvezzi a compatir gli altri, e a non riputarsi da più di quel ch'è, sottrae la mano, e così pian piano cessano i lumi e sentimenti divini, de' quali vedendosi l'uomo privo, gli sembra d'essere in tenebre, e di camminare affatto al bujo, non sapendo più quel che faccia, né dove vada ; se operi bene, o male ; se aggrandisca a Dio, o no: e se meriti, o pure demeriti. Ed ho, che afflizione ! Che cosa è questa ? Ma è Iddio, che vi leva quel bene, che vi aveva dato, affinché non vi generi del male.
20. Da tali lumi e sentimenti nascono nell'anima i desiderj delle virtù, che sono mezzi, ancor più prossimi per entrare nell'unione con Dio. Ma qui ancora trova l'amor proprio di che pascersi ; perché a' desiderj delle virtù ci aggiunge un'ansia e sollecitudine grande di voler consegnare le cose in un subito.
E Dio, il quale sa, che tutt'i movimenti dell'amor proprio ad altro non servono, che a mandar l'anima nel buon cammino, vi mette degl'impedimenti, sicché non possa conseguire quelle virtù, che vorrebbe, o con quella prestezza e modo che bramerebbe. Questi impedimenti però alle volte sono umani, come quando uno si sente molto tirato all'orazione, o al ritiramento ; e l'ubbidienza o la carità richieggono, che si lascino per un'altra opera distrattiva di servizio di Dio, o di bisogno del prossimo. Altre volte sono impedimenti meramente divini ; a cagione che Dio non concorre a secondar le pretenzioni dell'Anima, perché mosse dall'amor proprio: come chiaramente apparisce dall'afflizione, che l'Anima stessa prova in tali occasioni: non potendo quella pena, che offre in lasciare il ritiramento, provenire dal timore di non contentar Iddio, mentre dalla carità, o dall'ubbidienza vien accertata, che Dio allora vuol da lei quell'altro esercizio distrattivo. E però è d'uopo concludere, che provenga dall'amor proprio, per vedersi impedita la propria soddisfazione.
21. Se l'Anima si porta come dee nelle aridità fin ora accennate, cioè sottomettendosi a Dio, e lasciandogli far sopra di se quanto gli piace ; va senza avvedersene facendo de' gran progressi nelle sode virtù, finché con l'abito, che avrà acquistato di domandar la carne, e le proprie passioni, giunse allo stato di tener soggetta la parte inferiore alla superiore, ch'è uno stato di quiete, e quello, al quale il Signore ha preteso di portarla per via di tante pene, per cui l'ha fatto passare.
Ma l'amor proprio neppur qui dopo tante sferzate vuol darsi per vinto: perchép qui ancora trova egli onde pasciersi, ch'è d'una gran compiacenza di vedersi come in uno stato angelico: onde sol nascere una certa presunzione di esser molto avanti in virtù e merito di non esser più soggetto a' peccati. E però la divina Bontà, per chiuder il passo ad una tal superbia, che la potrebbe condurre al precipizio, permette, che se le suscitino un'altra volta delle gravi tentazioni contra la fede, contro la purità, ed altre maggiori ancora di quelle, che pativa nel principio della sua conversione, accompagnate da rappresentazioni bruttissime, e da una grande inclinazione al male, non mai intesa per lo passato. Il che la riempie d'afflizione, e di cruccio indicibile, parendole che torna indietro, e che sta in malissimo stato. Il Signore però non contento di questo, per tenerlo più lontana da ogni compiacenza e presunzione di se, dopo d'aver così commossa la parte inferiore, passa a debilitar la superiore: onde la povera Anima non solo si trova destituta di lumi, di sentimenti, d'affetti, di desiderj, e di tutta quella facilità, e prontezza, che aveva una volta al bene ; ma arriva fin a sentirci della ripugnanza ed abborrimento, e talvolta ancora una quasi impotenza di farlo ; di modo, che dove prima combattea con gran vigore, ora le pare di esser senza forza ; ogni paglia le sembra una trave, e che ad ogni passo sia per cadere. Quindi altro in se più non rimira, che oscurità, tenebre, difficoltà, aridità, debolezze, freddezze, tedj, e pusillanimità, e timori ; e vedendo, che non ha commozione nell'orazione, né divozioni negli esercizj di pietà ; che nulla le giova, che le sue lagrime, e le sue preghiere non sono esaudite, e che ogni giorno va di male in peggio: si considera come un'Anima già abbandonata, e divenuta soggetto dell'abominio di Dio ; tantoché non ha più animo di comparirgli davanti, né di far più cose di suo servizio, parendole tutto buttato. E però colla mente ingombrata da tali bruttissime rappresentazioni, altro non fa, che rivolger tra se funesti pensieri di diffidenza, di riprovazione, e di disperazione, senza trovar quiete in cosa alcuna. S. Teresa attesta di se, che fu posta da Dio in tale stato, che per due anni continui vi patì aridità sì tormentose, e tenebre sì dense, accompagnate da tentazioni e travagli sì gravi, che mette orrore in udirli. Dice dunque, che le parea, che non si fosse mai ricordata di Dio, e che il Signore non si avesse a ricordar mai di lei, e che le grazie godute per l'addietro fossero state un capriccio, ed un sogno e solo se le rappresentavano i suoi peccati per accrescimento di dolore, ed il Signore giustamente sdegnato, che le avesse voltato le spalle, e tenesse le mani pieni di gastighi e di pene, per distruggerla: che il Demonio le suggeriva, esser ella già separata da Dio, e riprovata, e mille altri spropositi, che le cagionavano al cuore grandi angustie e pene di morte, che sebbene facea l'orazione mentale, non poteva attuarvisi in verun modo ; e vi provava tanta ripugnanza, che in quell'ora sarebbe stata più volentieri nell'Inferno ; che se volea ajutarsi col recitar preci e divozioni, erale come se nulla dicesse, nè punto intendea quel che dicesse: e che finalmente in niuna cosa trovava sollievo: che la solitudine l'era di tormento, la convesione di noja ; non potea soffrire, che alcuno le parlasse, ed ogni cosa l'era di afflizione e tormento.
22. Questo stato, in cui trovasi qui l'Anima, vonvien dirla, è uno stato compassionevole, perché penosissimo: ma nel tempo stesso è uno stato invidiabile, perché fruttuosissimo: la prima di queste due verità l'Anima desolata pur troppo la crede: perché la pruova: ma in verun conto non si sa persuadere della seconda, perchè nonl'intende. Si metta perciò la cosa nel suo prospetto con tre avvertenze, le quali ben intese, le possono esser di molto sollievo. Avvertasi dunque: 1. che tutta l'afflizione, che la persona prova in questo stato, nasce da un eccessivo timore, che ha d'aver perduta la grazia di Dio, o di non poter durare lungamente in essa: ch'è il punto più importante, ed il pensiero, che più d'ogni altro suol affliggere i servi del Signore, portati però violentemente dalla natura a volgersi in ogni canto per assicurarsi di questo.
E lo sogliono talvolta dire: se io fossi sicuro di non offender Dio, di tutto il resto non me ne curerei. Però è necessario di scoprire gli occulti ed ammirabili misterj, che stanno qui nascosti. E' vero, che il cercar la sicurezza di non stare in peccato è troppo connaturale a chi ama Dio ; ma è anche vero, che l'averla gli sarebbe di gran contento, e di sua gran soddisfazione: e questo appunto è quello, che il Signore non vuole in essi ; perché sa, che ogni propria soddisfazione quantunque minima, ritarda sempre l'Anima dall'arrivare alla perfetta unione, alla quale ei intende condurla. E di quà proviene tutta la pena, cioè del contrasto delle due volontà ; dell'Anima, che vorrebbe quella a se tanto conveniente soddisfazione di sapere, che sta in grazia del suo Signore: e di Dio, che non vuol dargliela, ma vuol, che soffra la pena, che indi nasce, affinché con tal pentimento si faccia merito per poter arrivare al sommo dei godimenti, qual è quel, che provasi nella divina unione.
23. Avvertasi 2. che que' gran timori, che tanto affliggono l'Anima, per parerle d'esser piena di peccati, d'aver perdute le virtù, di non fare alcun atto buono e virtuoso, e quindi quel credere di non aver più Dio con se ; questi sono tutti inganni del Demonio, ed illusioni della propria appressione: perchè la cosa non possa veramente così, come pare a lei: e se vorrà aprir bene gli occhi, e meglio esaminarsi, troverà tutto il contrario.
E quanto all'esser piena di peccati, troverà che que' cattivi movimenti, che sente nell'interno, altro non sono, che commozioni della parte inferiore, e mere suggestioni e tentazioni del nemico senza colpa, delle quali pativa l'istesso S. Paolo. Perché consistendo la colpa nella volontà, in rifletterci attentamente, conoscerà quanto la sua volontà sia lontana dal commetterla, da che tutto il suo affanno è appunto per questo, cioè per la gran volontà, che ha di non acconsentire al peccato. Ed in verità quante volte sarà avvenuto, che nel tempo di quelle grandi agitazioni le parea di esser già caduta, e poi passata quella tempesta, conobbe chiaramente, che non v'era stato niente di male ? Or perché questo non le serve di regola per giudicare quando le tornano a venire simili tentazioni ? Quanto poi alle virtù, troverà, che il massiccio di esse lo tiene. Poiché se uno le dimandasse, se in tanti tedj, oscurità, e ribellioni volesse lasciare d'amare il suo prossimo: non sia mai direbbe subito. Se vuol confermarsi al divino volere ; questo è tutto il mio desiderio risponderebbe. Ed il medesimo direbbe del desiderio d'emendarsi, e di esser perfetta, e tutta di Dio. Segno chiaro, che il sodo delle virtù non è in lei punto rilassato, ma si resta nel suo vigore, benché non lo senta sì chiaramente come prima. E quanto agli atti buoni e virtuosi, gli esterni, come di temperanza, di pazienza, di carità verso il prossimo, di ricorrere a Dio ne' bisogni, e procurar d'adempiere, quanto può, le parti del suo ufizio ; questi già non lascia di praticarli a tempo suo. E gl'interni forse che non li pratica ad ogni ora ? chi è, che la tiene dal non cadere in tante, e sì gravi tentazioni, che patisce, se non gli sforzi, che fa per trattenere la sua volontà, acciò non si pieghi al male, e per mantenerla affezionata al bene quanto più può ? Questi son pur atti interni, buoni e virtuosi, quantunque Iddio li tenga nascosti alla di lei vista per suo maggior bene, qual ella ora non conosce, ma lo conoscerà in altro tempo. Il che potrà anche meglio vedere, se vorrà confrontare il suo stato con quello di chi senti i medesimi tedj, ed oscurità, per colpa della sua negligenza. Poichè questi perde affatto gli atti di virtù, e i desiderj della perfezione ; e se pur ne sente, sono del tutto inefficaci nell'opera ; e così lasciando molto bene, che prima facea, va chiaramente peggiorando con gran pericolo della propria rovina. Laddove di se trova tutto il contrario. Ma se pur fo qualche buon atto, dice, sono sì languidi e sì tenui, che non vagliono a nulla. Ed io dico, che saranno di maggior valore di quei, che avrete fatti altre volte con tutto vigore e calore. Non sapete voi, che vale più un: Signore ti ringrazio ; Signore, non ti voglio offendere in tempo di aridità e di tentazioni, che mille ringraziamenti, e mille propositi, fervorosi ed ardenti, che si fanno, quando uno si trova tutto illuminato ed investito dalla grazia consolatrice ? Sicchè gli atti della virtù il pratica ella bene, ma non se ne accorge, e perciò le pare di non farli. E qui è dove sta tutto l'inganno, e l'origine dei suoi tanti patimenti, e dov'è necessario soprattutto avvertire.
24. Avvertasi dunque 3. che ne' nostri atti interni e spirituali vi è l'atto diretto, e l'atto riflesso. Il diretto è quell'azione, che si fa intorno al suo oggetto ; come per esempio il veder patire, amare, non consentire al peccato, e simili. Il riflesso è l'avvertire uno e conoscere che fa quell'atto di voler patire, amare, e non consentire al peccato ; e sentirsi per questo forte e vittorioso della tentazione con gran quiete della volontà.
Di questi due il primo è il puro atto della virtù, il secondo è il frutto, che da esso ridonda in noi, ed il godimento di essa virtù. Ed è cosa chiara, che l'atto v. g. di temperanza non consiste in sentirlo, in goderne, in pensarvi, in provarne soddisfazione, ma in volerlo ed in farlo. Or essendo che l'uomo da se, per quanto si sforzi senza il concorso di Dio non può fare un atto buono ; nel caso nostro accade, che il Signore pone il suo concorso al primo atto, e così facciamo gli atti di virtù, ma lo sottrae al secondo ; cioè a quella cognizione e soddisfazione d'averlo fatto ; ed allora vengono queste a mancarci, ed invece della cognizione entrano le tenebre, e l'aridità in luogo della soddisfazione. E perciò ancorché si facciano gli atti di virtù, per cagion d'esempio, un atto di Fede, ci pare di non averlo fatto, perché non conosciamo, né sentiamo d'averlo fatto. Si noti bene quest'ultima avvertenza, ch'è di somma importanza ; perché tutto l'inganno di questa, ed in molte altre simili materie nasce per non distinguere il fare e l'avere dal conoscer ed avvertire di fare e di avere. Tre cose sono qui pure da osservarsi. I. Ch'essendo certo, che il conoscere d'aver fatto l'atto buono interno niente aggiunge all'atto di virtù ; ma è solo una nostra soddisfazione, la quale non serve ad altro, che a pascere il nostro amor proprio e a diminuirsi l'amor di Dio: impedendo il Signore tal soddisfazione col non prestarvi il suo divino concorso ; non ci fa male alcuno, ma, piuttosto ci fa un gran bene. Perché così i nostri atti virtuosi restano del tutto purificati, e le Anime nostre divengano meritevoli di maggiori grazie, e di maggior unione con S. D. M. ch'è quello che egli pretende con mandarci le aridità suddette, come se ne dichiarò apertamente con un'Anima santa, dicendole: Io m'occupo, e m'applico più intorno all'approfittamento de' miei servi, che alla loro consolazione ed allegrezza. Più mi preme, il perfezionarli, che il consolarli: e per tal causa mando loro delle tentazioni e dei travagli. II. Da ciò può l'Anima ben vedere quanto sia vano il timore, che nel tempo della desolazione Iddio si sia allontanato da lei. Tanto più che in più luoghi delle sacre carte ei si protesta, che anzi allora più che mai ci stava vicino, più amorosamente ci assiste, è più graziosamente ci protegge ; sebbene non sentiamo la consolazione della sua grazia ; e non troviamo la sua amata presenza: Cum ipso sum in tribulatione, Protector in tempore tribulationis. Adjutor in tribulationis. Juxta est Dominus in his, qui tribulato sunt corde, et humiles spiritu salvabit. E di fatti ben ha comprovato l'evento, che quelle orrende tentazioni, che con tanta sua pena, come di sopra si è riferito, S. Teresa patì, non le vennero certamente, per allontanarla da Dio ma per più avvicinarla, e per raffinarla maggiormente nelle virtù, e disporre il suo spirito a ricevere quelle grazie supreme, e quelle intelligenze sublimi, che poi ricevé. Vedete se lo stato primiero di questa gloriosa Santa, che allora era in apparenza tanto miserabili, non era in se stesso più degno d'invidia, che di compassione ? Chi non avrebbe desiderato d'averle, se avesse saputo, che dovevano apportarle un giorno tanto bene ? Ma io vi aggiungo di più, che non solo era invidiabile per lo gran bene, che avea da portarle dopo ; ma per quel medesimo, che le portava allora. Chiedendo consiglio per lalettera a S. Gio. della Croce un'Anima desolata, lontana dal suo Direttore, la quale temeva e s'affliggea del suo stato, il Santo così le rispose: Non vi siete mai trovata in migliore stato del presente: poiché non siete mai stata tanto umiliata e soggetta: non avete mai fatto sì poco conto di voi, e delle cose del mondo ; non vi siete mai riconosciuta così cattiva, e Dio così buono ; non avete mai servito il Signore con tanta purità, e senza proprio interesse: e finalmente non siete mai stata sì lontana dal far la propria volontà, e dal cercare voi stessa, come ora. Cosa dunque volete ? Qual modo di camminare v'andate fingendo ? Pensate forse, che il servire Dio sia altra cosa, che l'astenersi dal male con osservare i Divini Comandamenti, ed attendere, per quanto le forze s'estendono, al suo santo amore ? Mentre vi è questo, che fa bisogno d'apprender altro, e voler altri lumi ? III. Le tre avvertenze già dette ben penetrate e comprese da molte Anime grandi ed illuminate, fecero loro tanta forza, che non solo non si mostrano afflitte nel mancar loro le supreme consolazioni: ma s'indussero di più a rinunziarle per sempre a Dio ; a fine di servirlo gratis, o per lo solo suo merito. Come fecero fra le altre S. M. Madd. de Pazzi, e quel Monaco riferito da Taulero, come si è detto di sopra.
25. Ma perché di queste Anime generose e disinteressate poche se ne trovano, e la maggior parte, tuttoché in speculativa restino persuase di tali verità, quando poi si trovano sopraffatte dalla tentazione, siscordano di que' veri e chiari lumi, che una volta ebbero: perciò si assegnano alcuni mezzi, acciò sappiano come possan portarsi con merito, e senza danno in tali occorrenze.
Ma prima di tutto convien premettere tre principj, da' quali dipende il modo di regolarsi in tutta questa materia: i quali perciò è necessario, che si fissino ben nella mente, per averli sempre alle mani nelle occorrenze. I. Il meritare, ed il camminare a Dio non sta ne' lumi, e negli affetti, ne' desiderj, e molto meno ne' gusti e nelle tenerezze sensibili. E però non si ha da fare gran fondamento in queste cose, ma stimarle come cose basse, puerili, e di poco momento, o si abbiano, o non si abbiano. Quello, di cui si dee far tutto il conto, è il separare la sua volontà ed il suo affetto da ogni cosa creata. II. Venendo tali cose a mancare, quando non se l'è data occasione avvertitamente, la vera origine di tal mancanza è la Divina Provvidenza: la quale dopo averle date all'Anima, per tirarla dolcemente a se, passato qualche tempo, gliele toglie: affinché ella non ponga, come spesso accade, molto del suo affetto in esse: ma lo riponga tutto in lui, e così se ne disponga alla perfetta unione. III. Due sole cose fanno qui tutta la guerra ; cioè la propria soddisfazione, e la propria stima. L'uomo, per molto dabbene che sia, queste sempre cerca in ogni sua azione, portato violentemente a ciò dal proprio naturale. Iddio, che ama il di lui vero bene, e vede quanto queste gli nuocciano, attende ad impedirgliele. E quindi tutte le tempeste e le tante afflizioni dell'Anima, per vedersi impedita di conseguir quel che tanto brama. Rinunzii da vero l'uomo a queste due cose, e saran finiti i travagli. Ciò supposto, ecco i mezzi, che assegna l'istesso P. Gagliardi.
26. Il primo mezzo è sentir di se bassamente, a cagione del suo niente e de' suoi peccati, e di tal maniera, che si reputi indegno d'ogni consolazione e di qualunque grazia di Dio, e degno di ogni gastigo e travaglio, facendone spesso degli atti.
Da questo ne seguirà, che non molto s'affliggerà per non aver consolazioni, o per aver dei travagli ; come non molto uno s'affligge, quando non ha un bene, che sa di non meritare, o quando ha un male, che sa di meritare. S. Teresa quando abbondava di consolazione, si rivoltava a Dio, e gli diceva: o Signore, come ponete le vostre grazie in un vaso sì immondo ? così presto voi vi siete scordato dei miei peccati ? S. Cat. da Siena, come altrove si è riferito, trovandosi molestata da bruttissime tentazioni, e grandi aridità, si animava e si confortava, con dir a se stessa: Vilissima peccatrice, quando anche tu dovessi soffrir queste tenebre e questi tormenti per tutta la tua vita, non dovresti contentarte, per fuggir l'eterno supplicio ?
27. Secondo mezzo. Quando vengono lumi, sentimenti, ed affetti, non mai reputarli come premj del proprio merito, ma riconoscerli sempre con gran sommissione, come doni di Dio gratuiti, e servirsene unicamente per lo fine, per cui dati gli vengono, ch'è per stabilirsi e per crescere nelle vere e sode virtù.
Perciò non fermarsi in essi con compiacenza e soddisfazione, ma da questi passare all'amore della virtù, e della gloria di Dio, procurando, e trattando di fare ogni propria azione puramente per lui. Da questo ne seguirà, che Dio benedetto trovando l'Anima per tale desiderio, e purità d'intenzione ben disposta, le accrescerà i lumi, e le darà sentimenti migliori e più sodi ( quantunque non di tanto suo gusto e genio ), e la condurrà per la via diritta alla perfezione. Se vi fu al Mondo persona, che tanto partecipasse de' lumi sublimi di Dio, e delle sue inesplicabili consolazioni, fu ceretamente il grande Apostolo S. Paolo ; ma egli era tanto lontano dal rimirarle come cose sue proprie, da fondarsi sopra di esse, e dal prenderne vana compiacenza, che all'opposto si protestava, che solamente trovava da compiacersi nelle sue debolezze ed infermità spirituali. Parlò veramente, scrivendo a' Corintj, di simili doni di Dio ; ma ne parlò come in terza persona, ne parlò perché lo richiedea necessariamente il suo ministero, ne parlò senza ostentazione e sua vanagloria, e conchiuse in fine: Pro me nihil gloriabor, nisi in infirmitatibus meis. E per questo poi il Signore lo favorì in appresso di maggiori lumi e consolazioni spirituali.
28. Terzo mezzo. E quanto a' desiderj delle virtù e della gloria di Dio, questi pure dee l'uomo ricevere come doni di Dio, e procurare di usar diligenza ed ogni mezzo per giungere alla perfezione, alla quale lo spingono.
Non si ha però da appoggiar molto su tali diligenze ( perché qui pure potrebbe entrare l'amor proprio con la compiacenza e stima propria ) ; ma aver una certa fiducia, che chi gli ha dato il desiderio, gliene darà parimente l'adempimento quando e come a lui piacerà. E poi quando nascono impedimenti, pensi che la sua divina Bontà per suoi giusti fini non si compiace di adempire allora il suo desiderio: e però si protesti di non volere né virtù, né altra qualunque cosa, se non come e quando vuole il Signore, rinunziando affatto a tutto il resto. Da questo ne seguirà, che resti il desiderio maggiore anche di prima: non però con quella pena umana, che affligge e perturba l'Anima perché mossa dall'amor proprio: ma con una pena divina, che necessariamente va annessa al desiderio di cosa, che non si ha ; ed è pena tale, che sta insieme con una mirabile contentezza e rassegnazione, della quale il Signore sommamente compiacesi per vedere un'Anima, che pospone volentieri l'adempimento del suo desiderio all'adempimento del suo divino volere. Un grand'esempio ci diedero in questo S. M. Maddalena de' Pazzi, e S. Vincenzo de Paoli. Se la vita della prima, come si è riferito in molti diversi luoghi del Diario, fu una continua e ardente brama della propria perfezione, fu anche da lei ben coltivata co' fatti ; ma sempre con tal rispetto all'ubbidienza ed alla carità, che alla semplice voce di esse lasciava prontamente addietro ogni proprio avanzamento ; e con tale subordinazione al divino beneplacito, che si protestò di voler piuttosto restare affatto priva di perfezione, che averla senza il volere di Dio. Il secondo poi, conforme si narra in molte parti dello stesso Diario, ed in tant'altre della sua vita, come avesse pieno il cuore di desiderj della gloria di Dio ben lo manifestano le tante opere grandi, che per tal fine effettuò. Le quali però quanto era tardo ad intraprendere, se prima non s'accertava del divino volere ; altrettanto era forte in proseguirle dopo d'averlo conosciuto: e sempre appoggiato all'assistenza del Signore, più che alle proprie forze e diligenze: Ond'è, che amendue fossero da Dio largamente premiati con una totale e pacifica rassegnazione per ogni qualunque esito avessero le loro operazioni.
29. Quarto mezzo. Quando poi gli verranno tentazioni gravi e violente con propensione al male, ed ancor con tedj, e con ripugnanze, e fin con impotenza di fare il bene ( che sono le aridità più penose ) ; oltre di ciò che si è detto delle tentazioni, tre cose dee uno qui procurar di fare.
I. Non apprenderle, troppo fissamente, considerandole, che in realtà non son tali, come si è veduto sopra nelle tre avvertenze ; e che questo non serve ad altro, che ad accrescerle e moltiplicarle. II. Quando l'Anima stia forte nella tentazione, e non sappia d'averci data occasione, non usar molto studio per procurar di levarsela, perché venendo ella da Dio, non ci rimedia, e si raddoppia il fastidio. E però quel che ha da fare si è procurar di divertir la mente ed il cuore in altre cose, e poi rimettersi al santo volere di Dio. III. Non trattenersi a cercare come, donde vengano, e come siasi portato in esse: perché in quel turbamento di cose non si può trovar la verità. E se il nemico, come suole, gli suggerirà, che vengono da qualche suo difetto, a fine di tener così l'Anima disturbata ed afflitta ; per liberarsi da questa nocevolissima tentazione, si ecciti a pentimento di tutto il difetto, che vi potesse essere per colpa tua, per non pensarci più, rimettendosi in tutto alla divina pietà. Questo veramente è difficile a farsi ; ma è il meglio, che in tali casi si possa fare. Ecco come si portava in simili occasioni la B. M. di Chantal, conforme ella medesima l'attestò scrivendone al Direttore: Padre mio, gli diceva, io mi trovo oppressa da tentazioni orrende e da estreme afflizioni di spirito: né in altro trovo rimedio e sollievo, fuorché in fissare un semplice sguardo in Dio, rimessa semplicemente alla di lui mercé. E sebbene non sento più quella totale rassegnazione, quella dolce confidenza, e quell'abborrimento al male, che sentiva prima: anzi non posso neppur farne degli atti: mi pare però, che con quel semplice sguardo queste stesse virtù divengono più che mai sode e ferme. Perché quando mi do a credere di fortificar l'Anima mia con discorsi, con riflessioni, con rassegnazioni, con abborrimenti, e con altri simili atti ; allora mi espongo a nuove tentazioni e travagli. Laddove quanto più tengo lo spirito mio fermo in quel semplice sguardo, non sento tante agitazioni, e tante angustie.
30. Si dirà: Tutte quelle ricerche provengono dalla premura che ho d'assicurarmi in che stato mi trovo, se in grazia, o in disgrazia di Dio.
Si potrebbe rispondere, che in farle voi siete degno bensì di compassione, ma non di scusa: atteso che quanto la natura vi spinge a questo, altrettanto l'esperienza vi fa vedere, che questo, nello stato in cui siete, non è possibile: perché, come sopra si è detto, il Signore presentemente per vostro bene vi trattiene nello stato del patire, e perciò quanto durerà un tale stato, non vuol farvi trovare la sicurezza, che tanto bramate ; la quale siccome v'apporterebbe sollievo, così vi sarebbe di danno. Or no, non è travaglio inutile il cercare quel che non si può ottenere ? Tuttavia però se volete questa sicurezza, pur la potrete avere: non già per via di chiaro conoscimento, ch'è quel che vorreste voi, e non vuole Dio ; ma per via di un puro ed irrevocabile abbandonamento di tutto voi e di tutte le cose vostre nelle mani di lui, accompagnato da una forte e ferma risoluzione di non mai acconsentire avvertitamente ad alcun peccato né grande, né piccolo ( cioè né mortale, né veniale ). Quando l'Anima veda in se tal risoluzione e tal abbandonamento ; tenga per certo, che sta in buono stato: perché questa, al dir di S. Francesco Sales, come si è riferito e comprovato con varj esempj nel Diario, e la maggior sicurezza, che possiamo aver in questo Mondo di esser in grazia di Dio: e non occorre cercarlo altronde, ch'è tutto indarno. Padre, questo abbandonamento nelle mani di Dio io lo fo ; ma ritornando la tentazione, subito torna il timore di cadere, e mi pare di star sull'orlo della caduta. Questa forte risoluzione di non fare alcun peccato io la tengo ferma nel cuore, e spesso ancor la rinnovo ; ma mi sembra così debole, ch'è come non l'avessi, e non la facessi ; soprattutto alle volte mi trovo sì estenuato di forze, e che se mi venisse l'occasione, mi pare, che cadrei senz'altro. Con tutto l'abbandonamento, nel ritorno della tentazione io temo. Ma una volta che vi siete abbandonato da vero in Dio, voi dovete tenervi per certo tutta la di lui assistenza, e perché egli è vostro Padre, e perché vi ama più che non vi amate voi medesimo: e perché l'ha promesso, e non può mancar di parola, e perché in oltre si trova anche a ciò impegnato da quel medesimo vostro abbandonamento in lui: essendo questo, al dir di S. Vincenzo de Paoli, un atto, da cui il Signore si trova sommamente onorato e glorificato. Or con tutta questa certezza, che avete con voi nella tentazione tutta l'assistenza di Dio, perché temete voi ? Si è mai trovato un soldato forte, che avendo in suo ajuto il proprio Padre ancor più valoroso di lui tema nella zuffa con un altro molto men forte di se ? anzi questi tali sogliono andare in cerca di simili incontri. E voi temete ? Sapete donde nasce il vostro timore ? dal confidare voi molto nelle vostre forze, e poco nel divino soccorso. Dal che avviene, che come ne' bisogni urgenti si suole l'uomo attaccare a que' rimedj, che stima più efficaci, voi nel tempo della tentazione più v'appoggiate sull'uso delle proprie forze, che ad implorare il divino soccorso. Ma perché le umane forze tanto vagliono, quanto vengono da Dio avvalorate, e Dio non le avvalora, che a misura della vostra confidenza in lui ; essendo poca la confidenza, che voi avete in Dio, ancor poco sarà il valore delle vostre forze: e però trovandovi nel tempo della battaglia con forze molto tenui, temete di cadere. In fatti vedete voi come S. Teresa, e S. Rosa di Lima, perché, conforme altrove si è riferito, temeano molto de Demonj e delle larve notturne, finché si guidarono colle forze loro naturali, non poteano per lo timore, neppur andar sole da un luogo all'altro: ma quando giunsero ad accertarsi della continua assistenza che seco avean di Dio, da allora in poi non ebbero più alcun timore, di modo che correvano a sfidare i nemici tra le più folte tenebre. La risoluzione di mai non consentire al peccato, io l'ho, e spesso la rinnovo, dite voi, ma mi sembra così debole, e fiacca, ch'è come se non l'avessi e non la facessi. Ma se è tanto debole, come a voi pare, come dunque resistete a quelle fortissime tentazioni che patite ? Un soldato debole, e quasi cascante per la fiacchezza non può certamente resistere ad un fortissimo guerriero. Il difetto adunque non è, che la vostra risoluzione non sia forte ; ma perché voi non la sentite, vorreste la sua fortezza. E questo è il gran male, che volete giudicare delle cose, non come sono in se stesse, ma secondo il sentimento, che a voi n'arriva. Fate voi questa risoluzione nel miglior modo, che potete ; e poi lasciate, che l'esamini Dio, il quale ben vede, ch'ella procede dal fondo del cuore, benché a voi non paja così. E ricordatevi di quel che si è detto sopra, che pesa più sulle bilance del Signore un tenue proposito di non peccare in tempo d'aridità, che mille altri fatti con gran fervore tra le consolazioni dello spirito. Chi avrebbe creduto, che dovesse esser considerata da Dio la resistenza, che faceva a quelle gagliarde tentazioni S. Caterina da Siena, la quale pareva ad essa, che appena fosse pendente da un tenuissimo filo di volontà quasi spirante ? E pure il medesimo Signore la stava mirando con suo sommo gradimento e piacere. Soprattutto mi trovo talvolta sì fiacco, che se mi venisse l'occasione, mi pare che senz'altro io cadrei. Se aveste una vera, o ferma confidenza in Dio non sarebbe così. S. Francesco di Sales fu una volta assalito da una passione, che molto lo molestava, e ne scrisse così alla B. M. di Chantal. Io son molto sollecitato, e mi pare, che non ho forze per resistere, e che se l'occasione fosse presente, cadrei. Ma quanto più mi sento debole, più la confidenza in Dio mi si accresce, restando assicurato, che in presenza degli oggetti io sarei investito da lui di tal forza e virtù, che divorerei i miei nemici come tanti agnellini. Ecco quello che fa in un'Anima ben risoluta ed abbandonata da vero in Dio, una vera e ferma confidenza nel suo Signore. Fate dunque un intero abbandonamento di tutto voi, e di quanto avete e potrete avere nelle mani di Dio, con una generosa determinazione di lasciargli fare in voi, e sopra di voi quanto gli piacerà ; mantenendo intanto sempre ferma ed immobile la volontà di mai non consentire al peccato: e poi abbiate una piena fiducia, che non avverrà mai se non quel che sia di sua gloria, e di vostro vantaggio ; ed avrete in questo tutta la sicurezza di essere da lui gradito, ed in grazia sua. Come appunto l'assicurò il V. P. da Ponte, scrivendo ad un Anima desolata, dicendole: s'ella desidera da vero di dar gusto a Dio, e di far la divina volontà, stìa certa anzi certissima, che Dio vuole, che patisca questo travaglio ; e però si uniformi al volere di S. D. M. per tutto il tempo che ordinerà ; e creda certamente, che combattendo, come combatte, dà gusto a Dio, e merita molto.
31. Per restringere in breve quanto si è detto nel presente paragrafo. Il fine di Dio nel mandar le Aridità alle persone spirituali è, per istaccarle dal troppo affetto alle cose create.
Le stacca dalle cose del Mondo con aspergerle di molte amarezze, e con questo le tira alle cose spirituali. Per affezionarle maggiormente a queste, mette in esse da principio delle consolazioni sensibili. Ma perché tosto ad esse s'attaccano, a poco a poco le vascemando fin a toglierle quasi del tutto ; e di qua cominciano le aridità dello spirito. In tanto va loro comunicando de' buoni lumi, pii sentimenti, affetti santi, e desiderj delle virtù. Ma essendo queste cose di maggior pregio delle passate, ed esse più inclinate alle proprie soddisfazioni, che alla gloria del loro Signore ; in vece d'avanzarsi con tali mezzi nella via dello spirito, qui si fermano: e non contente di godersi que' gusti, che in esse trovano, cavano in oltre da essi non poco di vanità, e propria stima ; anzi parendo loro di esser qualche gran cosa, e migliori degli altri, giungono a disprezzar gli altri, e si rovinano a simiglianza di Lucifero. Quindi è, che la divina Bontà compatendo l'umana debolezza, per far loro conoscere e toccar con mano quel che sono in se stesse, e quel che possono senza di lui ; va di giorno in giorno ritirando da esse i suoi doni: onde viene a debilitarsi loro la parte superiore, ed a ribellarsele contro la parte inferiore. Quindi le tenebre, i tedj, le ripugnanze, e le impotenze al bene da una parte ; e dall'altra tentazioni orrende, molestie continue, che quasi mettono la povera Anima sull'orlo della disperazione: sicché quella, che prima si credeva un gigante di valore, ed il terror de' nemici, si vede ben presto divenuta un pigmeo vilissimo, senza forze, senz'animo, a nulla atto, e soggetto a cadere agli urti di una formica. E qui poi le afflizioni, i terrori, gli avvilimenti, gli abbattimenti, i timori insanabili di esser caduta, o di dover presto cadere: parendole di non far gli atti necessarj di resistenza, d'abborrimento, o altro che si ricerca in tali rincontri. E qui è il grande inganno. Non è che non li faccia, ma solo, che non conosce di farli: che sono due cose ben diverse, che la persona non distingue, ed è necessario, e le sarebbe di gran giovamento il distinguerle. Perocché il far un atto v. g. di Fede è il vero atto di virtù ; ed il conoscere d'averlo fatto è un altro atto, che nulla di bene aggiunge al primo, ma soltanto porta a noi della consolazione ; la quale però ci diminuisce il merito di esso, ed alle volte cel toglie in tutto con farci invanire di noi medesimi. Or bene ci accade talvolta di fare il primo, e di non fare il secondo ; perché non potendo noi da noi far verun atto senza il concorso di Dio, egli, che ama più il nostro profitto che la nostra consolazione, concorre al primo, e non concorre al secondo. Quindi avviene, che sebbene facciamo l'atto di virtù, non conosciamo però d'averlo fatto ; e così ci pare di non averlo fatto. Tutto bene. Ma intanto il non avere l'Anima desolata un tal conoscimento, l'è d'una gran pena ; perché non sa se abbia, o non abbia perduta la grazia di Dio ; e l'assicurarsi di non averla perduta le alleggerirebbe di molto le tante sue afflizioni. Ma questa sicurezza è quella, che il Signore non vuol concederle, affinché così si mantenga più umile e combatta più virilmente, abbandonandosi nel resto interamente e totalmente al di lui volere ; e così venga a meritarsi la corona con più sicurezza e con più gloria ( a ).
LAUS DEO.
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( a ). Mio caro lettore, tu hai letto con riflessione il presente istruttivo Diario, ed hai studiato con attenzione questa dotta Appendice, ed avrai osservato a piè di diverse pagine alcuni miei piccoli avvertimenti analoghi alla materia di cui trattavasi. Ora ti presento l'ultimo avvertimento ( preso dalla Bibbia ), cioè fuggi ogni occasione di peccare, evita ogni pericolo di peccare, e fatti un'abitudine di pensare ai tuoi novissimi ; e poi vivi certissimo di non peccare. L'Edit.
PROTESTA
PER LA BUONA MORTE (a)
1. Gesù Signore, Dio di bontà, Padre di misericordia, io mi presento innanzi a Voi con un cuore umiliato, contrito, e confuso ; vi raccomando l'ultima ora, e ciò, che dopo di essa mi attende.
2. Io mi protesto, Dio mio, mercé la vostra santa grazia di vivere per quanto a voi piace nei termini stabilitemi, sempre uniformato alla vostra volontà, da vero Cristiano cattolico, e da degno figlio dell'immacolata Vergine Maria Santissima, quale me la consegnò il vostro e suo dilettissimo figliuolo Gesù Cristo pendente dalla Croce per cagione de' miei peccati. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
3. Io perdono con tutta la mia volontà, e per amore di Dio a tutti coloro, che in qualunque modo per divina permissione mi offendono nell'Anima, o nel corpo ; e così spero dalla divina misericordia il perdono de' miei innumerabili peccati di pensieri, parole, opere, omissioni, e simili, specialmente con scandalo. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
4. Io propongo colla grazia vostra, o Dio mio, di frequentare i santi Sacramenti per tutto il resto di questa vita mia ; e di chiedervi l'assoluzione di tutti i miei peccati come sono innanzi a voi, e dei quali sempre mi pento e dolgo con tutta la mia volontà perchè sono di vostra offesa, per mezzo di un vostro Sacerdote, e di ricevere ancora nel punto della mia morte tutti quei Sacramenti che la Chiesa Cattolica vi ha stabiliti necessarj. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
5. Io mi protesto colla grazia vostra, o Dio mio, di non acconsentire ad alcuna tentazione, che mi vien fatta dal Demonio, o per mezzo della mia ragione sregolata, o de' miei sensi mal disposti, e vi prego di concedermi colla santa perseveranza la vostra grazia finale, la quale io spero mi darete pei meriti del preziosissimo sangue di Gesù Cristo sparso per me sopra la Croce formata dalla malizia de' miei innumerabili peccati. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
6. Io vi ringrazio infinitamente, e mi protesto eternamente obbligato, o Dio mio, di tutti i beneficj fisici e spirituali, temporali ed eterni, che voi finora mi avete compartiti, e che per la vostra passione e morte tuttora mi compartirete. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
7. Quando i miei piedi immobili mi avvertiranno, che la mia carriera in questo Mondo sarà presso a finire. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
8. Quando le mie mani tremole, e intorpidite non potranno più stringervi Crocifisso, e mio malgrado lascerovvi cadere sul letto pel mio dolore. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
9. Quando i miei occhi offuscati, e stravolti all'orror della morte imminente fisseranno in Voi gli sguardi languidi, e moribondi. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
10. Quando le mie labbra fredde, e tremanti pronunzieranno per l'ultima volta il vostro Nome adorabile, che tante volte hanno offeso. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
11. Quando le mie guance pallide, e livide ispireranno agli astanti la compassione, e il terrore, e i miei capelli bagnati dal sudor della morte, sollevandosi su la mia testa, annunzieranno prossimo il mio fine. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
12. Quando le mie orecchie presso a chiudersi per sempre ai discorsi degli uomini si apriranno per intendere la vostra voce, che pronunzierà l'irrevocabile sentenza onde verrà fissata la mia sorte per tutta l'eternità. Misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
13. Quando la mia immaginazione agitata da orrendi, e spaventevoli fantasmi s'immergerà in mortali tristezze, ed il mio spirito turbato dall'aspetto delle mie iniquità, e dal timore della vostra giustizia lotterà contro l'Angelo delle tenebre, che vorrà togliermi la vista consolatrice delle vostre misericordie, e precipitarmi in seno alla disperazione, misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
14. Quando il mio debole cuore oppresso dal colmo della malattia, sarà sorpreso dagli errori di morte, e spossato dagli sforzi, che avrà fatto contro la cagione della stessa morte , misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
15. Quando verserò le mie ultime lagrime, sintomi della mia vicina morte, ricevetele in sagrifizio di espiazione, affinché io spiri come una vittima di penitenza, ed in quel terribile momento , misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
16. Quando i miei parenti, ed amici, stretti a me d'intorno s'inteneriranno sul dolente mio stato, e v'invocheranno per me povero moribondo , misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
17. Quando avrò perduto l'uso di tutti i sensi, ed il Mondo intero sarà sparito da me, ed io gemerò nelle angosce dell'estrema agonia, e negli affanni di morte , misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
18. Quando gli ultimi sospiri del cuore sforzeranno la mia Anima ad uscir dal corpo, accettateli come figli di una santa impazienza di venire a Voi, e voi , misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
19. Quando la mia Anima sull'estremità delle labbra uscirà per sempre da questo Mondo, e lascerà il mio corpo pallido, freddo, e senza vita, accettate la distruzione del mio corpo, come un omaggio, che io vengo a rendere alla vostra divina Maestà ; ed allora, misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
20. Finalmente quando la mia Anima comparirà innanzi a Voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra Maestà, non la rigettate dal vostro cospetto, e degnatevi di riceverla nel seno amoroso della vostra misericordia, affinché canti eternamente le vostre lodi : misericordioso Gesù abbiate pietà di me.
ORAZIONE
O Dio, che condannandoci alla morte, ce ne avete occultato il momento, o l'ora, fate, che io passando nella giustizia, e nella santità tutti i giorni della mia vita, possa meritare d'uscire da questo Mondo nel vostro santo amore, per li meriti del nostro Signore Gesù Cristo, che vive, e regna con Voi nell'unità dello Spirito Santo. Così sia.
FINE
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