San Paolo di Tebe è onorato come il primo abitante del deserto e primo eremita cristiano. Visse la sua ascesi in Egitto, nella regione della Tebaide, fino alla morte nell’anno 341, all’età di 113 anni. Subito dopo la sua nascita al cielo molti vollero imitarne la vita, riempiendo il deserto e creando veri e propri centri monastici, per questo condivide con sant’Antonio il grande il titolo di padre del monachesimo. Ciò che conosciamo di lui lo dobbiamo alla penna di san Girolamo, che raccolse nella Vita Sanctii Pauli primi eremitae le testimonianze orali sulla vita di Paolo. Alla morte del santo Antonio ne seppellì il corpo nei pressi della grotta dove aveva vissuto. Nel XII secolo le reliquie del santo furono trasferite dall’Egitto a Costantinopoli e poste nel monastero della Madre di Dio Peribleptos, per ordine dell’imperatore Manuele (1143-1180). In seguito alle crociate furono trafugate a Venezia, e infine portate a Ofa in Ungheria. Parte della sua testa si trova a Roma.
La Chiesa Ortodossa ne fa memoria il 15 gennaio, la Chiesa Copta il 2 di Amshir, i Romano-Cattolici il 10 gennaio.
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Prologo
1.
Sono molti coloro che, a più riprese, hanno posto la questione di chi è
stato il primo instauratore della vita eremitica. Taluni, infatti,
risalendo piuttosto lontano, identificarono tale instauratore,
rispettivamente, con Elia e con Giovanni dei quali ci sembra che il
primo sia stato più assai d’un semplice monaco e il secondo abbia
cominciato a fare il profeta prima ancora della nascita. Altri poi – ed è
questa l’opinione universalmente accettata –, sostengono che fu Antonio
l’iniziatore di questo ideale, ma la cosa è vera solo in parte, giacché
non tanto lui stesso fu il primo di tutti, quanto piuttosto da lui
trasse incitamento lo zelo di tutti. Dal canto loro, Amathas e Macario,
discepoli di Antonio – fu il primo di essi che diede sepoltura al
maestro – affermano a tutt’oggi che il primo instauratore di un tal
genere di vita, se non proprio del nome relativo, è stato un certo Paolo
di Tebe: opinione questa che io pure condivido. Vi sono di quelli che,
abbandonandosi al loro estro inventivo, ti sfornano fantasie di questo
tipo: “In una grotta sotterranea viveva un uomo, chiomato dalla testa ai
piedi”, e ti architettano cose talmente incredibili che sarebbe un
perditempo volerle passare in rassegna. E dato che la loro falsità è
semplicemente spudorata, non sembra neppure necessario preoccuparsi di
confutare una simile impostura. Pertanto, siccome a proposito di Antonio
sono già apparse accurate pubblicazioni, sia in greco che in latino, mi
son prefisso di comporre un piccolo scritto sulle prime ed ultime
vicende della vita di Paolo. E così ho pensato, più per il fatto che si
trattava di notizie inedite, che per un atto di fiducia nelle mie
capacità. Come poi lo stesso Paolo abbia trascorso la parte centrale
della sua vita, e quali persecuzioni diaboliche abbia dovuto sopportare,
nessuno lo può sapere con certezza.
Il tempo delle persecuzioni
I santi Antonio e Paolo, Cairo – Coptic Museum
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2.
Al tempo di Decio e di Valeriano, persecutori dei cristiani,
allorquando Cornelio a Roma e Cipriano a Cartagine affrontarono con
gioia il martirio, una selvaggia crudeltà seminò distruzione in molte
Chiese dell’Egitto e della Tebaide. La brama più ardente di ogni
cristiano, in tali circostanze, era quella di cadere sotto la spada, per
il nome di Cristo. Ma l’astuto nemico era tutto preso dal desiderio di
uccidere le anime, non i corpi, e quindi escogitava i più squisiti
supplizi, capaci di far morire a poco a poco. Come scrive lo stesso
Cipriano, che subì il martirio nella persecuzione di Valeriano, “non era
concesso di morire a quanti lo bramavano”[1].
Perché
a tutti sia nota la crudeltà di costui, voglio qui ricordare un paio
d’esempi. 3. Trovatosi di fronte ad un martire che perseverava nella
fede e trionfava in mezzo alle torture dei cavalletti e delle lamine
arroventate, il tiranno lo fece cospargere tutto quanto di miele, ed
esporre supino, con le mani legate dietro la schiena, ai raggi cocenti
del sole. Si prefiggeva naturalmente di far cedere alle punture delle
mosche quel martire, che aveva superato il supplizio delle lamine
arroventate. Un altro martire, ancora nel fiore della sua giovinezza,
egli lo fece portare in un giardino ricolmo di delizie. Quivi, fra
candidi gigli e vermiglie rose, mentre lì accanto serpeggiava un
ruscello col suo dolce mormorio, e tra le foglie degli alberi spirava un
venticello dal suono leggero, lo fece adagiare sopra un letto di piume,
e perché non potesse levarsi da quella posizione, lo fece avviluppare
da una fitta rete di soavi ghirlande. Mentre si allontanavano tutti gli
altri, si fece avanti una meretrice di stupenda bellezza e cominciò ad
abbracciare il collo del giovane con teneri amplessi, e poi – cosa
peccaminosa perfino a dirsi – a toccargli con le mani le parti virili,
affinché, una volta eccitato quel corpo alla libidine, vi si buttasse
sopra come una spudorata trionfatrice. Quel soldato di Cristo non sapeva
che fare né dove voltarsi. Colui che non si era piegato davanti ai
tormenti, stava per essere sopraffatto dal piacere dei sensi. Infine,
ispirato dal cielo, si tagliò con un morso la lingua e la sputò in
faccia a quella donna che lo stava baciando; fu così che l’intensità del
dolore fisico lo rese capace di superare gl’istanti della libidine[2].
Paolo fugge nel deserto
Fotios Kontoglou, san Paolo di Tebe
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4.
Orbene, mentre accadevano tali fatti, nella Tebaide inferiore, Paolo,
all’età di circa sedici anni, assieme a sua sorella già maritata, si
trovò, dopo la morte di ambedue i genitori, in possesso di una vasta
eredità. Era molto istruito nelle lettere greche ed egizie ed aveva un
animo mite e traboccante di amore verso Dio. Quando scoppiò la bufera
della persecuzione, si ritirò in una sua villa piuttosto lontana ed
appartata. Ma dove mai non sospingi il cuore degli uomini, o fame
esecranda dell’oro? Il marito della sorella concepì il disegno di
denunciare colui, che avrebbe dovuto nascondere. Come suole accadere,
non riuscirono a smuoverlo da una tale scelleratezza né le lacrime della
moglie, né l’affinità di sangue, né il timor di Dio che scruta ogni
cosa dall’alto. Gli stava sempre alle costole, lo incalzava, sfoderava
tutta la sua crudeltà, né più né meno come avrebbe dovuto esercitare la
sua pietà. Ben se ne accorse l’avvedutissimo giovane e cercò rifugio in
luoghi montuosi e deserti, per aspettarvi la fine della persecuzione. Ma
eccolo poi tramutare in una scelta volontaria quel ch’era stato per lui
una mera necessità. 5. Dopo aver ripetuto più volte la duplice
operazione di avanzare a poco a poco e di concedersi delle pause nel
cammino, s’imbatté finalmente in un monte roccioso, ai piedi del quale
si apriva una caverna non molto vasta, ostruita da una pietra. Rimossa
quest’ultima – giacché si trova in ogni uomo una grande bramosia di
conoscere le realtà più nascoste –, perlustrando l’interno con avida
cura, vi scorse un ampio vestibolo, aperto verso l’alto; tuttavia lo
riparava, a guisa di tetto, una vecchia palma dai lunghissimi rami, che
lasciava filtrare tanta luce da mettere in mostra una sorgente
cristallina; le sue acque, appena scaturite dalla terra, subito,
attraverso un piccolo foro, venivano risucchiate dalla stessa. Inoltre,
sui fianchi corrosi del monte, sorgevano parecchie abitazioni, nelle
quali si potevano scorgere incudini e martelli, ormai arrugginiti, di
quelli che servono a coniar le monete. Infatti, riferiscono dei testi
egiziani che là si trovava una zecca clandestina, all’epoca in cui
Antonio si unì a Cleopatra. 6. Pertanto, affezionatosi a quella dimora
che pareva gli venisse elargita dal Signore, Paolo vi trascorse tutta la
vita nella preghiera e nel raccoglimento. La palma gli forniva cibo e
vestito. E perché la cosa non appaia impossibile a nessuno, io chiamo a
testimoni Gesù e i suoi angeli, di aver visto e di vedere tuttora, in
quella parte del deserto che si trova al confine tra la Siria e la
regione dei Saraceni, alcuni monaci, dei quali uno visse rinchiuso per
trent’anni, cibandosi unicamente di pane d’orzo e d’acqua fangosa, e un
altro, vivendo in una vecchia cisterna (che i Siri nella propria lingua
chiamano Gubba), si cibava soltanto di cinque fichi al giorno. Tali
fatti sembreranno incredibili solamente a coloro, i quali non credono
che tutto è possibile a chi si lascia condurre dalla fede.
Antonio va alla ricerca di Paolo
7.
Ma torniamo a quel punto, da cui ho preso le mosse. Mentre Paolo,
giunto ormai all’età di centotredici anni, conduceva, qui sulla terra,
una vita tutta celeste, Antonio, che aveva novant’anni, come lui stesso
era solito dire, abitava in altro luogo solitario. Un giorno s’affacciò
nella mente di Antonio l’idea che nel deserto non avesse preso domicilio
nessun altro monaco perfetto, quanto era lui. Ma durante la notte,
mentre dormiva, gli fu rivelata l’esistenza d’un altro monaco, assai più
perfetto di lui, e gli venne ordinato di partire, per andare a
visitarlo. Non appena spuntò l’alba, il venerando vecchio, sostenendo su
di un bastone le deboli membra, si mise in viaggio per una meta a lui
sconosciuta. Ormai era giunto il mezzogiorno e il sole dall’alto
bruciava coi suoi raggi cocenti; ma egli non desisteva dal cammino
intrapreso, dicendo: “Ho piena fiducia che il mio Dio mi farà vedere un
giorno il compagno che mi ha promesso”. Non riuscì a dire altro e subito
si vide davanti una figura, metà uomo e metà cavallo, come quella che
la fantasia dei poeti ha chiamato ippocentauro. A quella vista, si arma
la fronte col segno della croce, e domanda: “Ehi, tu, puoi dirmi in
quale parte di questo deserto abita il servo di Dio?”. Ma quello,
fremendo un non so che di barbaro, spezzando le parole più che
pronunciarle, con la sua orrida bocca, irta di setole, si studiò di
parlare soavemente. E, tenendo la mano destra, indicò la via desiderata;
poi subito svanì dalla vista del monaco stupefatto, superando con
rapido volo l’immensa distesa dei campi. Peraltro, non possiamo sapere
se tutto ciò fu prodotto da una finzione del demonio, per incutergli
paura, ovvero se il deserto, così fecondo di mostruosi animali, mette
pure al mondo una simile bestia.
8.
Pieno di stupore, Antonio procede ancora nel suo cammino, rimuginando
tra sé e sé quanto aveva osservato. Ma ecco che subito, in mezzo a una
convalle pietrosa, gli appare davanti un omiciattolo, dal naso adunco,
dalla fronte irta di corna, con la parte inferiore del corpo terminante
in zampe di capra. A tale spettacolo, Antonio, come un valoroso
guerriero, si armò con lo scudo della fede e con la corazza della
speranza[3];
ciò nondimeno, il suddetto animale, quale pegno di pace, gli offriva
dei datteri per il suo sostentamento nel viaggio. Preso atto di quel
gesto, Antonio si fermò e gli chiese chi fosse, ottenendo la seguente
risposta: “Io sono un essere mortale, uno degli abitanti del deserto,
che i pagani, delusi da diversi errori, onorano sotto il nome di Fauni, o
di Satiri, o di Incubi. Ho una missione da parte dei miei compagni.
Vogliamo infatti pregarti di intercedere per noi presso il comune
Signore[4],
che ben sappiamo esser venuto un giorno sulla terra, per la salvezza
del genere umano: in tutto quanto il mondo si è diffusa la fama del suo
nome”. Mentre quello così parlava, il volto del vecchio pellegrino si
rigava di lacrime copiose, a testimoniare quella grande letizia che
inondava il suo cuore. Gioiva infatti della gloria di Cristo e della
sconfitta di Satana; e meravigliandosi al tempo stesso di riuscir a
comprendere il linguaggio di quello, percuoteva la terra col bastone e
diceva: “Guai a te, Alessandria, che al posto di Dio adori dei mostri!
Guai a te, o città meretrice, nella quale si son dati convegno i demoni
del mondo intero! Che dirai adesso? Le fiere proclamano Cristo, e tu
veneri i mostri, al posto di Dio?”. Non aveva ancora terminate queste
parole e subito la bestia cornuta fuggì via, come se andasse volando. Né
alcuno si lasci trascinare dall’incredulità, di fronte a un simile
racconto, che risulta confermato e universalmente testimoniato, al tempo
dell’imperatore Costanzo. A quell’epoca infatti, uno di tali uomini fu
condotto vivo ad Alessandria; così poté offrire di sé uno spettacolo
straordinario a tutto il popolo; e dopo la sua morte, per sottrarlo
all’azione corrompitrice del calore estivo, fu cosparso di sale e poi
trasportato ad Antiochia, perché potesse vederlo l’imperatore[5].
L’incontro dei due asceti
S. Sassetta, Galleria d’Arte Nazionale Washington Hiria
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9. Ma per tornare al mio tema principale, dirò che Antonio proseguiva
nel cammino intrapreso, incontrando nient’altro che orme di fiere, nella
vasta solitudine del deserto. Non sapeva che fare, né dove andare.
Ormai eran passati due giorni: ne restava uno solo per conservare la sua
incrollabile fiducia di non essere giammai abbandonato da Cristo.
Vegliando, trascorse la seconda notte in preghiera e, al primo incerto
chiarore dell’alba, scorse a poca distanza una lupa, che ansimava per
l’arsura della sete e s’avvicinava, strisciando, verso i piedi del
monte. Antonio la seguì con la vista, e quando la bestia si fu
allontanata, egli si avvicinò alla spelonca e cominciò a spingere dentro
lo sguardo; ma la sua curiosità fu delusa, giacché l’oscurità di quel
luogo gl’impediva la vista. Ma tuttavia, come dice la Scrittura,
“l’amore perfetto caccia la paura”[6],
cosicché l’avveduto esploratore, con passi felpati e col fiato sospeso,
entrò nella grotta, avanzando pian piano e sostando più volte, con
l’orecchio teso, per captare un qualsiasi rumore. Finalmente, tra
l’orrore di quella cieca notte, riuscì ad avvistare un lume. Mentre si
affrettava, con brama crescente, eccolo inciampare col piede in una
pietra, facendo rumore. L’udì il beato Paolo, e subito chiuse e sprangò
la porta, fino allora spalancata, del suo rifugio. Allora Antonio,
prostratosi davanti ad essa, vi rimase fino all’ora sesta, ed anche più
oltre, a supplicarne l’apertura, dicendo: “Tu ben sai chi son io, donde
vengo e perché. Riconosco di non meritare affatto di vederti; tuttavia,
non me ne andrò se non ti vedrò. Tu che accogli le bestie, perché mai
cacci via un uomo? Ti ho cercato e ti ho trovato: ora picchio alla porta
perché mi si apra. Se non otterrò questa grazia, aspetterò la morte
qui, davanti alla tua porta: certamente vorrai almeno seppellire il mio
cadavere”. Così ripeteva, senza mai stancarsi, là rimanendo immobile e fisso[7]; e a lui brevemente rispose l’eroe, nel seguente tono[8]:
“Non c’è nessuno che prega, in modo da minacciare; nessuno che lanci
calunnie, nell’atto di piangere. E poi ti meravigli ch’io non voglia
riceverti, dal momento che sei venuto qui per morire?”. Così, scherzando
con le parole, Paolo spalancò la sua porta e subito, abbracciandosi
l’un l’altro, i due si salutarono chiamandosi per nome, e insieme
ringraziarono il Signore. 10. Scambiatisi il bacio di pace, Paolo si
sedette e così cominciò a dire ad Antonio: “Eccoti davanti colui che con
tanta fatica hai cercato: le sue membra sono già imputridite per la
vecchiaia, e un un’ispida canizie lo ricopre. Ecco: tu vedi un uomo, che
tra poco sarà polvere. Ma, poiché l’amore sa tollerare ogni cosa,
raccontami, ti prego, come si comporta il genere umano. Nelle antiche
città, sorgono forse dei nuovi edifici? Chi si trova alla guida del
mondo? Esistono ancora degli uomini trascinati dall’errore
dell’idolatria?”. Mentre così discorrevano, videro che un corvo[9] s’era
posato sopra un ramo dell’albero e che di là, tornando a volare
lentamente, venne poi a deporre un intero pane davanti ai due monaci
stupefatti. Dopo che il corvo se ne fu andato: “Ecco”, esclamò Paolo,
“il Signore ci ha mandato il nostro pranzo: in Lui c’è davvero pietà e
misericordia. Sono già sessant’anni che io ricevo regolarmente mezzo
pane; ma ora, per la tua venuta, Cristo ha raddoppiato la razione ai
suoi soldati”.
Dormizione di Paolo e sua sepoltura
13.
Al termine del cammino, giunse finalmente, affaticato e tutto
ansimante, alla propria dimora. Gli si fecero incontro due discepoli,
che avevano cominciato a servirlo già vecchio, e gli chiesero: “O padre,
dove ti sei fermato così a lungo?”. Ed egli rispose: “Guai a me
peccatore, che porto falsamente il nome di monaco. Io vidi Elia, vidi
Giovanni nel deserto, ma ora, in verità, ho visto Paolo in Paradiso”.
Poi si chiuse nel silenzio, e percotendosi il petto con la mano, tirò
fuori il mantello dalla sua celletta. E pregandolo i discepoli di
esporre con maggiori dettagli di che cosa si trattava, esclamò: “C’è un
tempo per tacere e un tempo per parlare”[10].
14. Poi subito uscì, e, senza toccare nemmeno un boccone, riprese il
cammino già compiuto, assetato soltanto di lui, bramoso di vedere lui
solo, mirando lui solo con gli occhi e con tutta la mente. Temeva
infatti, come poi accadde realmente, che durante la sua assenza, Paolo
rendesse la sua anima a Cristo Signore. Dopo che ormai era spuntato il
secondo giorno e gli restavano ancora da percorrere tre ore di cammino,
egli ebbe la visione di Paolo che saliva in cielo, splendente di luce
chiarissima, in mezzo alle schiere degli angeli, tra i cori dei Profeti e
degli Apostoli. E subito, prostrandosi con la faccia per terra, si
spargeva di sabbia la testa, e piangendo e gridando, diceva: “O Paolo,
perché mi abbandoni? Perché te ne vai senza neppure un saluto? Così
tardi ho potuto conoscerti e così presto ti allontani da me?”. 15. Il
beato Antonio riferiva più tardi, d’aver compiuto quel pezzo di strada
che ancora gli restava da fare, con passo talmente veloce, come se
volasse a guisa d’uccello. E non senza motivo; infatti, entrato nella
spelonca, si vide davanti il corpo esanime di Paolo, piegato sulle
ginocchia, con la testa eretta e le mani distese verso il cielo.
Dapprima, pensando che Paolo fosse ancor vivo, si mise lui pure a
pregare. Ma poi, non udendo nessuno di quei sospiri, che di solito
accompagnavano la preghiera di Paolo, si gettò, piangendo, a baciarlo;
si rese conto allora, che perfino il cadavere del santo, mostrando il
dovuto atteggiamento della preghiera, continuava a pregare quel Dio, a
cui aspira ogni vita.
16.
Avvolto pertanto il cadavere e trasportatolo fuori dalla spelonca,
cantando pure gli inni e i salmi, secondo la tradizione cristiana,
Antonio si doleva di non avere una zappa con cui scavargli la fossa.
Ondeggiando così tra vari pensieri, ed esaminando tra sé e sé numerosi
progetti, diceva: “Se io torno al monastero, devo compiere un cammino di
quattro giorni; se resto qui, non approdo assolutamente a nulla. Morirò
dunque, com’è giusto, qui, vicino al tuo soldato, o Cristo, e cadendo,
esalerò l’estremo respiro”. Mentre così ragionava nella mente, ecco due
leoni arrivare di corsa dall’interno del deserto, con le giubbe
svolazzanti sul collo. Al vederli, Antonio dapprima fu preso da grande
paura. Ma poi, volgendo la sua mente a Dio, stette lì ad aspettarli con
estremo coraggio, come se guardasse due colombe; e i leoni, correndo
direttamente verso il cadavere del santo vegliardo, gli si fermarono
accanto, e, dimenando le code, si sdraiarono ai suoi piedi, lanciando
possenti ruggiti così da far intendere che essi piangevano nel miglior
modo possibile. Poi, non molto lontano di là, cominciarono a scavare la
terra con le zampe, e gareggiando tra loro nel tirar fuori la sabbia,
fecero una fossa capace di accogliere una sola persona. Subito dopo,
come se chiedessero un compenso per il loro servizio, movendo le
orecchie ed abbassando la testa, si accostarono ad Antonio, lambendogli
le mani ed i piedi. Egli comprese che gli chiedevano la sua benedizione.
Senza il più piccolo indugio, dandosi con entusiasmo a celebrare le
lodi di Cristo, per il fatto che anche dei muti animali ne afferravano
l’essere divino, esclamò: “Tu, o Signore, senza il cui cenno non scende
una foglia dall’albero, né cade per terra uno solo dei passeri, concedi
loro una ricompensa, come tu la sai dare”[11].
E con un cenno della mano, ordinò loro di andarsene. Dopo che i leoni
si furono allontanati, Antonio curvò le sue vecchie spalle sotto il peso
delle sante spoglie e, depostele nella fossa, vi gettò sopra della
sabbia e vi eresse un tumulo secondo l’usanza. E appena si riaccese la
luce del giorno seguente, affinché il pio erede non rimanesse privo di
una parte dei beni di colui ch’era morto senza far testamento, prese con
sé la tonaca, che Paolo stesso, alla maniera delle ceste, s’era fatta
di propria mano, intessendola con foglie di palma. E così, ritornato al Monastero,
narrò tutto quanto ai discepoli nei più piccoli dettagli, e poi sempre,
nei giorni solenni di Pasqua e di Pentecoste, volle mettersi la tunica
di Paolo.
Esortazioni conclusive
17. Al termine di questa piccola opera, mi piace domandare a coloro che
non riescono nemmeno a valutare l’enorme quantità delle proprie
sostanze, o che rivestono di marmi le proprie dimore, o che in un sol
filo di pietre preziose impiegano il valore di interi possedimenti[12]:
a questo vecchio, privo di tutto, che cosa ebbe mai a mancare? Voi
bevete in coppe sfolgoranti di gemme, quello provvide al naturale
bisogno della sete, attingendo l’acqua col cavo delle mani; voi ricamate
in oro i vostri abiti, quello non ebbe neppure l’indumento del più
disprezzato dei vostri schiavi. Ma, per contro, a quel poveretto è
spalancato il paradiso, mentre la Geenna inghiottirà voialtri, anche se
carichi d’oro. Quello, benché nudo, serbò tuttavia la veste di Cristo;
voi, rivestiti di seta, perdeste l’abito di Cristo. Paolo giace coperto
d’umilissima polvere, ma per risorgere alla gloria; voi siete oppressi
dai marmi decorati dei vostri sepolcri, ma in attesa di bruciare con
tutte le vostre ricchezze. Vi prego, abbiate pietà di voi stessi:
risparmiate almeno le ricchezze che vi son care. Perché avvolgete anche i
vostri morti con vesti cariche d’oro? Perché non disarma l’ambizione in
mezzo ai lutti e alle lacrime? Forse che i cadaveri dei ricchi non
possono imputridire, se non sono rivestiti di seta?
18.
Ti prego, o lettore, chiunque tu sia, di ricordarti del peccatore
Girolamo, il quale, se il Signore gli offrisse una scelta, preferirebbe
certamente una tunica di Paolo, assieme ai suoi meriti, molto più delle
porpore dei re, insieme con tutte le loro ansie.
Estratto da: “Opere scelte di san Girolamo” vol. I, UTET 1971, 219-235.
Tropario. Tono IIIIspirato dallo Spirito, sei stato il primo ad abitare nel deserto emulando lo zelante Elia; come colui che imitava gli angeli, fosti reso noto al mondo, da sant’Antonio il Grande. Paolo giusto, prega Cristo Dio che ci conceda la sua grande misericordia.Kontakion. Tono IIIRiuniamoci oggi e lodiamo con inni colui che si effonde come un raggio del Sole spirituale: ecco vieni, illumina chi è nelle tenebre dell’ignoranza, conduci tutti gli uomini verso l’alto, venerabile Paolo, ornamento di Tebe e solido fondamento dei padri e degli asceti.
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