LASHON HA RA’ - Maldicenza, diffamazione

Maldicenza, diffamazione e libertà di stampa nella prospettiva della tradizione rabbinica

(Levitico XIX, 14) In che cosa consiste il divieto?


La frase che abbiamo messo come titolo di questo scritto è compresa nei primi versetti della Parashà di Qedoshimo, in quel complesso di norme, svariatissime come contenuto, che sono spesso designate dai moderni come «codice di santità»; meglio sarebbe, per rendere più esattamente il termine «Qedushà» chiamarlo «codice di elevazione morale» o «codice di nobiltà dello spirito». Comunque, la Torà si è preoccupata di inserire tra queste norme il divieto di sparlare - essa vede cioè come elemento della nostra Qedushà, tra l'altro,che ci asteniamo dal vizio di sparlare del prossimo.

Che cosa significa, nel senso voluto dalla nostra tradizione, «sparlare»?
È evidente, prima di tutto, che in questo concetto non è compreso - o non è compreso solo - il calunniare il prossimo, nel senso cioè di dire cose cattive false: un'azione di questo genere è già proibita da una frase di portata più ampia, pure compresa nei primi versi di Qedoshim: «Non mentite» (Levitico XIX, 11) e già in un passo precedente della Torà (Esodo XXIII, 7): "Da ogni parola menzognera ti terrai lontano".

Il divieto di sparlare è cioè molto più ampio; dobbiamo astenerci non solo dalla calunnia, ma anche dal riferire cose vere, che possano mettere in cattiva luce il prossimo.

Il «Chafez Chajim»
I Maestri hanno ampiamente sviluppato questo tema, considerando che l'educarci a evitare di sparlare del prossimo è un elemento di primissimo ordine per la nostra elevazione morale - anche se a prima vista, chiacchierando del più e del meno, può apparire come un elemento di maggiore interesse, come un elemento piacevolmente piccante nella conversazione, il condirla con qualche piccola malignità sul prossimo, col riferire episodi o particolari di una condotta altrui non esemplare.

Chi ha sviluppato in maniera assai ampia il tema è stato uno dei più grandi ritualisti delle ultime generazioni, scomparso mezzo secolo fa, Rabbì Israel Meir Ha-Kohen di Radin, autore di un diffusissimo commento alla prima parte del Shulchan 'Arukh, dal titolo «Mishnà Berurà» e, nel campo che trattiamo adesso, addirittura di due volumi, l'uno del titolo «Shemirath ha-Lashon» (ossia: Guardarsi da come si parla!) e l'altro «Chafez Chajim» (ossia: desideroso di vivere); il titolo di quest'ultima opera accennai ai v. dei Salmi (XXXIV, 13-14) che dicono: «L'uomo che desidera la vita e che ama lunghi giorni in cui vedere il bene, trattenga la sua lingua dalla maldicenza»; questa opera è stata considerata così importante e fondamentale, che l'autore di essa è noto assai più come Chafez Chajim che con il suo nome.

Gli scritti surricordati si basano, naturalmente, sul Talmud e si ritualisti antichi e moderni, e se si vuol cercare di riassumere i punti principali in poche righe, come è necessario fare in un articolo di questo genere, si può dire:

1) Qualunque discorso, in cui l'uno riferisca all'altro qualcosa che riguarda una terza persona, e che possa in qualsiasi modo metterla in cattiva luce, è assolutamente proibito;

2) Chi ascolta una persona che contravvenga al punto 1 è altrettanto colpevole, ed ha il dovere di richiedere ad essa dicessero di fare tali discorsi - e se questa non gli dà retta, è tenuto ad allontanarsi in modo da non sentire quello che essa dice;

3) Si deve evitare anche di fare discorsi in cui si dica eccessivamente bene del prossimo, in quanto chi sente eccessive lodi, può esser portato, per una certa reazione psicologica, a cercare qualcosa di male da dire sulla persona elogiata - e così chi aveva elogiato causa di fatto che si faccia maldicenza;

4) In deroga a quanto detto sopra, è lecito riferire a terza persona qualcosa che riguarda il prossimo, quando il riferirla è necessario per il bene del prossimo o per evitargli danno; per esempio, è permesso dare informazioni matrimoniali (si intende, sempre rispondenti a verità) per facilitare le nozze, o per impedire che una persona si sposi con un candidato disadatto; è permesso dare informazioni sull'onestà o meno di una persona ad altra persona che sia in procinto di entrare in rapporti commerciali con quella;

5) I divieti riguardanti il riferire cose che riguardano una terza persona vigono non solo nei rapporti orali, ma a maggior ragione quando si tratta di scritti, in quanto la parola scritta si trova per sua natura a disposizione di un numero maggiore di persone che non una conversazione; in genere: quante più sono le persone che possono venire a conoscenza di quanto viene riportato su altri, tanto più grave è la colpa;

6) I divieti di cui sopra sono in vigore anche se la persona di cui si sparla è presente ed ha modo di difendersi;

7) Il divieto di sparlare vige anche rispetto alle persone che non sono più in vita.

Si può quindi concludere che la morale ebraica esige che ogni individuo (e naturalmente in questo campo non c'è differenza tra uomo e donna) si astenga dal riferire qualsiasi cosa che riguarda il prossimo, tranne nei casi in cui la cosa sia necessaria per far del bene a qualcuno o per evitargli danno. È però superfluo dire che il fare testimonianza di fronte ad un tribunale legalmente costituito non è una contravvenzione al divieto di sparlare del prossimo, ed è anzi dovere di chiunque possa, riferendo quello che sa, contribuire a che si faccia giustizia.

La colpa dello sparlare è così grave che i Maestri l'anno paragonata nientemeno che all'omicidio; ed il Chafez
Chajim, con una delle significative iperboli così caratteristiche dei Maestri, dice che chi sparla è più colpevole dell'omicida;


quest'ultimo, infatti, con un unico atto, tronca la vita del prossimo e con questo è tutto finito; invece l'azione di chi sparla continua a fare nuovi effetti ogni giorno ed ogni momento, ed è come se lo sparlatore tornasse ad uccidere la sua vittima ogni volta che torna sulle sue parole e che altri le riferisce
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Libertà di stampa, propaganda politica, sentenze di tribunali
Da quanto abbiamo esposto sopra, apparirebbe che molte abitudini della società moderna siano in contrasto con la Mizvà della Torà di astenersi dal dare pubblicità ad atti compiuti da certe persone; che sia proibito ai giornali pubblicare quelle che generalmente si chiamano «notizie di cronaca» e le colonne dei «pettegolezzi» e che sia proibito a noi leggere quelle notizie; che, in sede di propaganda politica, o in modo speciale di campagna elettorale,sia proibito mettere in rilievo difetti o colpe di avversari politici; che sia proibito dare notizia sui giornali, ed in genere di pubblicizzare, procedimenti giudiziari penali o civili, e che sia proibito ascoltare notizie in tale campo.
Essendo queste abitudini in grandissima parte prodotto della civiltà degli ultimi decenni o degli ultimissimi secoli, non vi si trova quasi nessun riferimento nella letteratura classica rituale ed anche il Chafez Chajim non vi accenna quasi.
Il tema però è stato oggetto di una ricerca del gruppo di studio della Società «Torath Chajim» di Gerusalemme, che ho l'onore di presiedere, e darò qui brevemente notizia delle conclusioni a cui tale gruppo ha credito di poter giungere, cercando di applicare alle nuove situazioni i principi che trapelano dalla giurisprudenza ebraica;
1) I giornali dovrebbero limitarsi a dare solo quelle notizie di cronaca, il cui contenuto può essere di utilità pubblica, qualora sia divulgato in ogni caso il giornale dovrebbe astenersi dal dare i nomi dei personaggi riguardanti il fatto di cronaca;
2) Il direttore responsabile o il redattore-capo di ogni giornale dovrebbe aver cura che la norma 1) sia applicata nel suo periodico; il giornalista dipendente dovrebbe far di tutto perché le sue corrispondenze rispondessero all'esigenza del punto 1) ed in nessun caso acconsentire che eventuali corrispondenze in contrasto con esso, volute dalla direzione o dalla redazione, portassero la sua firma;
3) Anche in campo politico ed elettorale andrebbe evitata per quanto possibile la divulgazione di notizie negative riguardanti rappresentanti del campo avverso (inutile dire che in ogni caso sarebbe proibita la divulgazione di notizie false od anche di cui non fosse provata in maniera assoluta la veridicità); potrebbe però esser considerata lecita la divulgazione di notizie sicure riguardanti avversari, qualora questi riguardino la capacità dell'avversario di adempiere agli uffici che desidera ricoprire omettano in guardia rispetto alla sua onestà in campo di cariche pubbliche; sarebbero da considerarsi come escluse dalla possibilità di divulgazione notizie riguardanti la vita privata ed intima di avversari;
4) Dovrebbe esser proibita la divulgazione dei nomi di sospetti od accusati di azioni illegali in campo penale e così pure la divulgazione dei nomi dei coinvolti in cause civili, fin a che non sia stata data la sentenza da un tribunale competente;
5) Le cause (analogamente a quanto avviene di solito nei tribunali rabbinici) sia civili che penali dovrebbero esser di regola discusse a porte chiuse, con la sola eccezione di causa in cui il tribunale giudicante stesso, per motivi di interesse pubblico, disponga diversamente;
6) Un caso di causa discussa a porte chiuse, il tribunale dovrebbe dare un comunicato allo svolgimento della causa e sulla sua sentenza: i giornali potrebbero pubblicare il comunicato, integralmente o parzialmente, o non pubblicarlo, a loro giudizio e potrebbero commentare liberamente il comunicato stesso, senza però dare i nomi delle parti in causa (in qualunque modo ne siano venuti a conoscenza), a meno che il tribunale non ne abbia autorizzata, o decretata, la pubblicazione, per motivi di interesse pubblico;
7) In casi di causa discussa a porte aperte, cioè nei casi in cui il tribunale ritiene che il dare pubblicità sia al dibattito che ai nomi delle parti in causa sia per il bene del pubblico, sarebbe lecito farlo senza altre limitazioni che quelle che il tribunale stesso eventualmente stabilisse.
Come comportarci in pratica?
È evidente che le conclusioni, a cui è arrivato il gruppo di studio, non possono avere effetto immediato sui singoli; in gran parte esse trattano «de jure condendo» e non «de jure condito», ed appunto i singoli non hanno nessun modo di influire perché si mutino le abitudini dei giornali e dei tribunali, o, per meglio dire, non possono influire su di esse direttamente ed immediatamente; naturalmente la possibilità esiste, ed è anzi un dovere, nel senso che ognuno deve sforzarsi per influenzare, attraverso l'esercizio dei propri poteri democratici, perché un'attività in tal senso si sviluppi e cerchi di essere accolta nella legislazione – in primo luogo e soprattutto nello Stato di Israele, ma anche nei Paesi della Diaspora, ché infatti un'influenza ebraica per elevare la morale pubblica di ogni popolo va senz'altro vista di buon occhio e considerata come un elemento che può avvicinare l'avvento dell'èra messianica; ma è superfluo dire chele probabilità di successo in tale campo sono minime, e va sempre ricordato che l'èra messianica giungerà per il bene di tutta l'umanità esclusivamente in seguito alla costituzione della società ideale, basata sulla Torà, nella Erez Israel libera ed indipendente.
Alcune categorie di persone, che rivestono cariche particolari, potrebbero applicare parzialmente alcune delle conclusioni, e mi riferisco qui a giudici, che dovrebbero sforzarsi al massimo, nei limiti della legislazione che applicano, perché sia dato il minimo di pubblicità ai nomi dei giudicati o dei contendenti; i giornalisti dovrebbero altrettanto far di tutto nell'esercizio della loro professione per evitare di cadere nella colpa di sparlare. La stampa ebraica, con aspirazione tradizionalista, dovrebbe attenersi scrupolosamente a quanto detto sopra, ed anche in questo modo sarebbe un efficace strumento di educazione alla morale ebraica.
Ma ogni singolo, qualunque sia la sua professione, la sua cultura, il suo livello sociale, economico, può e deve nella sua vita privata astenersi dal parlare die fatti altrui, tranne i casi già accennati in cui la cosa sia necessaria per tutelare interessi e per difendere il prossimo dall'essere ingannato; se in conseguenza di ciò le chiacchiere vane da salotto, che sono una delle occasioni più frequenti per cadere nella colpa di sparlare, non troveranno più argomenti su cui intrattenere, sarà ancora tanto di guadagnato; in modo speciale, se ognuno cercherà di dedicare il tempo, sciupato finora in chiacchiere di tal tipo, allo studio di Torà, all'approfondimento dei contenuti ebraici, della sua identità ebraica, il guadagno in campo morale sarà doppio.

Menachem Emanuel Artom


nota:



Chofetz Chaim  חָפֵץ חַיִּים‎‎


è un libro sul corretto parlare (lashon hara / לשון הרע), secondo la halakha
pubblicato nel 1873


scritto da  Yisrael Meir Kagan Poupko (Dziatłava, 1838 - Radun', 1933) 
con il pseudonimo di Chofetz Chaim 


si divide in tre parti:


Mekor chayim , testo legale
Be'er mayim chayim , commento
Shemirath ha-Lashon , un testo etico sul parlare in appendice.







The HaLashon class is based upon the work "Chafetz Chaim"written by Rabbi Yisrael Meir Kagan, more commonly known as the Chafetz Chaim due to the popularity of his book. The phrase Chafetz Chaim comes from Psalms 34:13 - "Who is the man that desires life (hechafetz chaim), who loves days to see good? Guard your tongue from evil and your lips from speaking guile...."


SHIMRAT HALASHON blog



  • Introduction to Shmirat HaLashon
    1. I'm only speaking the truth!
    2. Commandments of Shmirat HaLashon.
  • Hilchot Lashon Hara (L"H)
      Chapter 1: The Prohibition Against Communicating L"H
      Chapter 2: Repeating L"H Said in front of Three People
      Chapter 3: The Prohibition Applies, Even If...
      Chapter 4: L"H About Spiritual Matters
      Chapter 5: L"H About Interpersonal Matters
      Chapter 6: The Prohibition Against Listening to L"H
      Chapter 7: L"H Told Under Believable Circumstances
      Chapter 8: Speaking L"H - To and About Whom
      Chapter 9: Avak Lashon Hara
      Chapter 10: Speaking L"H - When It's Permissible
  • Hilchot Lashon Hara Review: a three-part series summarizing most concepts covered in the text above.
    1. Hilchot Lashon Hara Review, Part 1: What is Lashon Hara?
    2. Hilchot Lashon Hara Review, Part 2: Repentance
    3. Hilchot Lashon Hara Review, Part 3: When Speaking Lashon Hara is Permitted
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      Chapter 1: The Prohibition of Communicating Rechilut
      Chapter 2: Speaking Rechilut to Groups
      Chapter 3: The Audience for Rechilut
      Chapter 4: Repeating known Information, and Repentance for Speaking Rechilut
      Chapter 5
      Chapter 6
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      Chapter 9
  • Hilchot Rechilut Review: a three-part series summarizing most concepts covered in the text above.
    1. Hilchot Rechilut Review, Part 1
    2. Hilchot Rechilut Review, Part 2
    3. Hilchot Rechilut Review, Part 3
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